Oggi vado a studiare latino da Chiara.
E’ da un po’ di tempo l’amica con cui mi vedo piu’ spesso e in cui riesco a confidare di piu’, ho iniziato a frequentarla da quando ho litigato con Susanna a causa del proff di matematica.
Giovedi’ ci sara’ la traduzione di latino in classe per la fine del secondo quadrimestre, e mi sono obbligata a farmi carico dell’odioso quanto voluminoso vocabolario “IL”, dalla copertina sgualcita e ruvida di un giallo cosi’ brutto che e’ quasi un grigio, della grammatica latina e di tanta buona volonta’.
Ho salite con un po’ di affanno le scale sino al suo appartamento con questa zavorra di sapere imposto e ho suonato il campanello.
Eccola, sorridente come sempre.
E’ bionda e i suoi capelli riccioli sembrano una cascata sotto il riflesso che precede il tramonto.
Le ho sempre invidiato i capelli perche’ i miei, neri e lisci, risultano di una piatta normalita’ che non riflettono il mio carattere.
Invece i suoi su di lei sembrano confermare la sua imprevedibilita’ e la sua indole gioiosa.
E’ come un segno che natura, se vuole, ti consegna. Va beh!
Chi si accontenta gode.
E’ a piedi nudi sulla moquette di ingresso ed e’ costretta, per baciarmi le guance in segno di saluto, ad alzarsi leggermente in punta di piedi a causa dei miei tacchi e della mia, seppur di poco, maggior altezza.
Mi invita ad entrare.
Mi guardo in giro per capire se c’e’ sua madre e quindi salutarla.
“Siamo sole, vieni che ci mettiamo in sala, la mia camera e’ un po’ un casino…”.
La seguo in salotto felice di liberarmi del fardello dei libri.
Parliamo un po’ del piu’ e del meno e di come mi va con Paolo. Ricambio la cortesia per sapere come procede la sua storia con Alberto, un nostro compagno di classe.
Ok, sembra che la vita sorrida ed entrambe.
Ed ora allo studio.
Tentiamo una traduzione “volante”, senza vocabolario, di un discorso di Cicerone senza grandi successi e allora ci mettiamo al lavoro con l’ausilio del mattone giallo.
Dopo un’oretta, e qualche sbirciata alla traduzione gia’ fatta ne veniamo a capo.
“Pausa… andiamo a berci qualcosa di fresco…”. In effetti, nonostante le persiane siano socchiuse, il caldo in casa ci infastidisce e quindi acconsento di buon grado.
Mi prepara un latte e menta freddo che bevo con una certa avidita’.
“..ummh.. non credo che sara’ cosi’ stronza da affibbiarci Cicerone..” mi dice sollevando la testa dal bicchiere evidenziando un bel baffo sul labbro superiore.
Prendo un tovagliolo di carta e le asciugo il labbro mentre mouio dal ridere.
“Me lo dice sempre mia madre che sembro ad un lavandino…”.
Di comune accordo riprendiamo lo studio che pero’, dopo la pausa, sembra piu’ pesante…
Chiara mi propone di tentare con la traduzione del tema d’esame di maturita’ dell’anno scorso al classico… ogni tanto mi lascia perplessa… deve essere il caldo.
Ok, proviamoci: e’ un brano di Seneca…
“Solemus dicere summum bonum esse secundum naturam vivere: natura nos ad utrumque genuit, et contemplationi rerum et actioni….”
Dopo poco desistiamo perche’ il brano e’ lunghissimo e riteniamo di aver sudato abbastanza per oggi.
“Vieni, ti faccio vedere le foto che abbiamo fatto tutti insieme al lago…”
Chiara mi prende per mano e mi porta in camera sua.
Prende un raccoglitore e ne estrae delle foto.
“Guarda Alberto che faccia…” mi fa.
E io
“E tu guarda che rinco che sembra il Gusmini, congelato nell’attimo della sua massima concentrazione… Sembra al cesso..” (c’e’ da dire che il povero Gusmini non e’ simpatico a nessuno in classe).
Chiara mi propone di fermarmi a cena, tra un’oretta e mezzo sua madre sara’ di ritorno.
Ok. Chiamo i miei per avvisare.
“Vai in corridoio perche’ il mio telefono l’ha rotto Alberto, quello scemo!”
Esco nel corridoio, compongo il numero e avviso mia mamma che non torno per cena. Sto per affacciarmi in camera di Chiara e….. lei si sta cambiando.
A ginnastica ci si riveste insieme e quindi l’ho gia’ vista nuda ma adesso….. guardandola dallo specchio dell’armadio, di nascosto…
Non ho il coraggio di fare un passo in piu’. Un solo passo che le mie gambe non si decidono a realizzare.
Forse perche’ l’ho sorpresa, le sto rubando quest’intimita’ senza consenso…
Da le spalle allo specchio e i suoi fianchi sono stupendi.
Ha una vita stretta e mentre si abbassa tra le gambe, controluce, spunta incendiato dal sole che filtra dalla finestra il ciuffetto biondo del suo pube.
Non riesco a vedere bene la sua vagina…. mi sembra un po’ meno sporgente della mia…
Ho sempre avuto il complesso della vagina prosperosa, per meglio dire ho due grandi
labbra tali da meritarsi la definizione e quindi….. risulta un po’ cicciotta…. Paolo mi prende sempre per il culo….
Anche le sue gambe sono molto belle… certo, non lunghe come le mie ma dritte, affusolate e con un polpaccio ben disegnato.
Oddio, si sta voltando!
No prende solo le mutandine dalla sedia.
Le vedo un seno.
E stavolta si gira.
E mi becca li’ impalata, incapace di proferir parola!
Un rossore inequivocabile mi sale sino al viso e mi scalda le guance.
Mi sto dando della scema perche’ non ho fatto niente ma mi sento di merda….
Credo di cogliere un cenno di disorientamento nei suoi occhi che si scioglie subito in una increspatura delle labbra, un sorriso che sembra miscelare compiacenza e nervosismo.
“Sto arrivando” mi fa…
Entro e raccolgo le foto cercando di fingere interesse ma… non riesco a guardarle e nemmeno ad alzare gli occhi su di lei.
C’e’ un fastidioso imbarazzo adesso tra noi due.
Lei con un po’ piu’ di coraggio di me mi sta dicendo:
“Scusa, ma e’ tutto il pomeriggio che volevo cambiarmi, dopo cena vado a trovare Alberto… ” pero’ smette di rivestirsi.
Mi si avvicina. Oh no! Speriamo di no!
“Senti, perche’ non ti siedi un attimo….” mi dice sedensosi lei stessa e picchiettando con la mano il suo letto accanto a lei.
In questo momento maledico tutte le storie di sesso che ho inventate e che ho raccontato in classe.
Io ho un anno in piu’ delle mie compagne (ho perso un anno in quarta ginnasio prima di iscrivermi al liceo scientifico) e mi sono sempre sentita in dovere di farlo pesare.
E cosi’ nel mio falso “carniere” di donna vissuta ci ho messo pure un paio di ragazze inesistenti alle quali adesso vorrei poter rendere giustizia.
Che scema!
Chissa come ha interpretato Chiara la mia reazione.
Oddio, e adesso come ne esco?
Mentre soppeso rapidamente alcune possibilita’ (le dico tutto… che io di saffico ho letto solo dei sonetti…
E ma dai, che figura ci fai…. proprio tu, l’esperta del sesso a tutto campo…) Chiara mi si incolla letteralmente addosso, ha solo le mutandine bianche e nell’abbracciarmi il suo seno mi sfiora il braccio. Mi bacia una guancia.
Mi tengo aggrappata all’unica speranza che mi viene imposta dallo smarrimento e come
appesa sul ciglio di un precipizio le dico
“Ma…. non torna tua mamma?” .
Per un attimo immagino di aver avuto successo perche’ lei si scosta e sembra soppesare la situazione.
Con un
“…ma va, dai…” mi lascia cadere senza pieta’ nell’orrido che io stessa ho creato.
“..come sei bella…”.
Una mano si fa strada sotto la mia T-shirt e raggiunge presto il mio seno che e’ li, senza difese, a cercare di trattenere il cuore che vuole martellare quella mano.
Non respiro.
Lei percepisce la mia tensione, mi guarda dritta negli occhi e mi bacia sulla bocca.
Tenera, senza intrusioni.
“Non ti piaccio, vero?”
E sento me stessa replicare quasi balbettando
“…no, anzi. …E’ che…”.
La mano insiste sul mio capezzolo, come se cercasse di sintonizzarmi su un programma che non c’e’.
Mi bacia di nuovo spingendomi dolcemente per invitare a stendermi.
Vince anche questa battaglia e mi solleva la maglietta oltre il seno. Adesso mi sta baciando il capezzolo superstite.
Oh. Com’e dolce!
Mordicchia questa piccola escrescenza ormai inturgidita come se io fossi racchiusa li’ dentro e da li io non possa evadere.
Con decisione ma attenta a non dolermi.
Sono sospesa tra il pudore e il desiderio.
L’altra mano, sinuosa e ipnotica come la serpe del peccato, mi scende lungo i fianchi sino alla fine della mia gonna, me la solleva con decisione e in un attimo sta gia’ litigando con l’elastico delle mie mutandine che scopro, per pochi attimi, alleato nel rifiuto.
Con la decisione di chi conosce mi cerca la clitoride e con un dito inizia a danzarci insieme il suo allegro girotondo.
Credo che abbia anche trovato il mio umido disagio.
Adesso mi sta dando dei piccoli pizzicotti, troppo convincenti.
E mi stempero in un morbido sospiro.
Ora e’ la mia mano che fruga, senza discrezione, solo impedita dal fatto di essere la mancina.
Sento in lei come una nuova leggerezza.
Si scosta e si alza, si libera degli slippini e risoluta mi spoglia.
Mi inarco per lasciarle sfilare la gonna in un tutt’uno con le mie mutandine.
Le scarpe cadono insieme alla mia biancheria e all’ultima mia resistenza. Adesso mi tolgo la maglietta.
Sono stesa, completamente nuda con un insano desiderio che mi sbrana, con lei in piedi che mi guarda.
Adesso si inginocchia e mi apre gentilmente le ginocchia per esporre la mia rosea femminilita’ coperta di rugiada.
Chinandosi scompare dalla mia vista sotto la massa bionda dei suoi morbidi capelli che stanno ricadendo tra le mie gambe e sul mio ventre.
Non mi aspetto nulla ma mi sorprende.
Mi sta leccando nell’incavo dell’inguine, tra la coscia e la protuberanza della mia vagina, provocandomi un solletico malizioso.
E improvvisamente una lama di saliva mi trafigge la ferita tenuta aperta dalle dita impietose.
Rapida e biforcuta mi succhia, mi morde, mi trattiene e mi respinge…..
Mi alzo senza fiato.
Lei mi butta giu’ con vigore facendomi stendere per il verso giusto del suo letto e mi monta sopra!
Mi allarga con prepotenza le gambe e simula la mia penetrazione.
La sua vulva contro la mia, le due clitoridi che si ricorrono e non sempre si trovano, riescono ogni tanto a sfiorarsi e allora un brivido bollente come il ghiaccio mi attraversa.
Mi spinge un po’ piu in la’ sul letto e si gira, le sue gambe parallele alle mie braccia.
Mi costringe su un fianco e cosi’ si incastra con me.
Ora i nostri fianchi sono uno solo.
Sento gli umori fondersi e nel contatto ustionarmi le cosce e i nostri respiri aumentare di frequenza.
Oh. Come vorrei mi crescesse la clitoride.
Vorrei possederti, entrarti dentro, farti godere.
Ci stacchiamo sudate e sfiancate per la folle acrobazia.
La prendo io, la giro, la costringo a mettersi carponi mostrandomi le sue natiche che incorniciano il suo ardore.
La lecco e non mi schifa.
Sono dentro con una, poi due dita.
Lei si dondola eccitandomi oltre quanto vorrei.
Genero cio’ che natura non m’ha dato.
Due dita in lei e il pollice quasi in me che quasi autonomo mi lusinga il centro dell’anima.
Le lascio la vagina e con un dito umido le bagno l’ano stimolandolo.
Con Paolo a me piace.
E anche a lei.
Si gira stendendosi e guardandomi.
Adesso la guido io.
Le salgo sopra al contrario.
Una simmetria opposta su un vaso greco.
La mia testa tra le sue gambe e le mie gambe aperte sul suo viso.
Le tiro i capelli con un ginocchio e, liberandola per un attimo, lei se li raccoglie di lato con una mano.
Adesso e’ puro delirio.
Ci lecchiamo, ci abbracciamo le natiche a vicenda, ci scambiamo dita, bevo ricambiata il piacere dalla sua coppa arroventata.
Si aggrappa feroce ai miei fianchi e cerca di strapparmi dal mio pertugio la coscienza.
E finalmente sento le onde dell’orgasmo nascere, propagarsi in me, infrangersi sul mio corpo, sullo scoglio duro e minuscolo che si protende dalle mie labbra e contro il mio utero.
Devo trattenermi dal morderla violentemente.
E gemo, fremo con lei.
All’unisono come forse solo due donne sanno fare.
Mi sento intonare una nenia che e’ un misto tra dolore, piacere e vergogna.
E continuiamo sino a stillare le ultime gocce dal piacere in un lungo, cosi’ mai provato, fiero orgasmo.
Mi affloscio, esausta su di lei. I tendini delle gambe mi fanno sentire il dolore di uno sforzo prima non avvertito.
Il suo odore misto al sudore mi ferisce le narici per l’asprezza.
Mi alzo e la guardo. Anche lei si mette a sedere e mi carezza.
Un piccolo bacio ed e’ gia’ in bagno.
La seguo e mi aciugo grossolanamente dal sudore.
Ci rivestiamo complici e stranite nel silenzio.
Mentre penso cosa dire suonano alla porta: e’ sua madre, lei le apre la porta sotto dal citofono.
Risistemiamo il letto velocemente come meglio possiamo.
Nella fretta ci diamo una capocciata che ci rilassa in una sonora e quasi isterica risata.
Sua madre entra e guarda orgogliosa la figlia che studia con l’amica, nonostante fuori sia una splendida giornata estiva, l’odiato latino.
Fingiamo non sia successo niente e uscendo insieme dopo cena, sotto casa sua, nonostante sia ancora molto chiaro e ci possano vedere lei mi saluta con un fuggevole bacio sulle labbra e sussurra
“…domani studiamo ancora insieme, ciao!”
E mi pianta li’, sola sul marciapiede mentre percepisco a fatica le macchine che sfrecciano e non riesco a conciliare la mia vergogna con poliedricita’ del piacere che ho provato.
E come tutte le volte che trasgredisco una regola, mi pervade un angoscioso senso di soddisfazione che mi sorprende orgogliosa e tremendamente colpevole d’averlo fatto.
Mi incammino verso casa, sono le otto e trenta e tra poco Paolo sara’ li’.
FINE