L’avevo visto già prima in altri viaggi della nuova metropolitana di Napoli, ed ero rimasto di stucco ad ammirare il suo fisico perfetto: spalle larghe, una vita stretta e un ventre piatto e duro.
I suoi jeans mostravano una patta di eccezionali dimensioni, e la stoffa sdrucita in quel punto rendeva più che intuibile la grandezza del suo attrezzo nonché come si posizionava di solito.
I capelli erano lunghi e gli scendevano sul viso.
Gli occhi erano scuri, contornati da ciglie lunghe, nere, molto pronunciate che mettevano in risalto uno sguardo molto intenso.
Un giorno lo vidi sorridere a un controllore e notai i suoi denti bianchi e perfetti.
Le sue labbra erano carnose e spesso se le mordicchiava nell’attesa di un treno o della sua fermata. Inconsciamente iniziai a frequentare la metropolitana negli stessi orari in cui l’avevo visto, con la speranza di incontrarlo.
Forse non ero neanche il solo, perché nello spostare lo sguardo da lui, per non dare troppo nell’occhio, mi accorgevo che in molti lo guardavano.
Ragazze – che se lo sarebbero mangiato vivo – e anche signori e ragazzi che o per invidia, o per altro, indugiavano il loro sguardo su di lui.
L’avevo sempre visto con magliette attillatissime, e jeans dall’aspetto logoro e sdrucito in più punti.
Erano dei veri e propri squarci nella stoffa che mettevano in risalto dei particolari piccolissimi delle sue cosce e dei suoi peli.
Quando si sedeva, a gambe aperte, era uno spettacolo averlo davanti con quella patta prominente e quei fori proprio nel cavallo che mi facevano sbirciare con insistenza nella speranza di qualche improvvisa fuoriuscita.
Un
giorno non resistetti e lasciai passare la mia fermata per vedere dove scendesse.
Lo seguii e facendomi largo tra i passanti lo raggiunsi sulla scala mobile.
Avevo la mia faccia in corrispondenza del suo sedere e potei notare che anche lì il jeans aveva dei tagli e dei buchi.
Feci la considerazione che non aveva alcun genere di mutanda per poi, con maggior meraviglia ricredermi quando da un taglietto del fianco si intravedeva il cordoncino rosso di un perizoma, o d’altro simile.
Questo accese maggiormente la mia fantasia e il desiderio.
Dopo di allora lo avevo visto altre volte, cercando sempre di guardare in quei buchini del suo jeans.
Il desiderio di lui mi aveva fatto più ardito e riuscivo a fissarlo con intensità.
Mi accorsi che mi aveva notato anche lui, quando dopo avermi guardato con insistenza nel vedermi scendere degluttì, quasi con rammarico.
La sua espressione mi svuotò il cuore e quella sera a casa non riuscii a pensare ad altro.
Dopo qualche giorno riprendemmo lo stesso treno, insolitamente quasi vuoto.
Il mio attrezzo era diventato così duro all’improvviso, che dovetti alzarmi da dov’ero per il dolore che i peli del pube mi avevano procurato attorcigliandosi, e fui costretto ad aggiustarmi la parte sotto gli occhi di tutti.
Non scesi alla mia fermata.
Continuai il viaggio aspettando che il posto davanti a lui si liberasse.
Così fu, e mi sedetti di faccia a lui mostrandogli il mio fagottone arrapato.
Gli sguardi si incrociarono.
I respiri più ansiosi facevano comprendere ad entrambi che eravamo sulla stessa sintonia d’onda.
Ebbi la conferma di ciò quando neanche lui scese alla sua fermata.
Mi sembrava di sentire il battito accelerato del suo cuore, anche se il mio, nel fargli concorrenza, lo vinceva.
Pian piano la carrozza si svuotò, e rimanemmo soli.
Il treno riprese il suo viaggio.
Mi alzai e mi inginocchiai di fronte a lui.
In un secondo affondai la mia faccia sul suo sesso trovando conferma della
sua durezza.
Emise un gemito di piacere che mi lasciò stupefatto, sebbene fossi ancor più stupefatto della mia audacia.
Il treno si fermò a una stazione.
Di corsa senza dire niente scendemmo dirigendoci in un corridoio laterale del marciapiede.
Mi buttò sulla panchina di pietra facendo saltare i bottoni del mio jeans, che sfilò con rapidità.
Non vidi la fine che fecero i miei boxer: ero nudo.
Calò i suoi jeans e scostò un sottilissimo e velatissimo perizoma azzurro.
Con un movimento rapido e deciso me lo infilò subito, vincendo ogni possibile mia resistenza alla sua esuberanza.
Mi prese sul davanti sdraiandosi sul mio corpo.
Avvicinò il suo viso al mio e d’improvviso mi baciò in bocca.
La sua lingua fu un’altra penetrazione, alla quale non ero pronto ma che mi procurò subito un piacere incredibile a dirsi.
E giù a botte di reni mi fottette.
Era bellissimo perché lo vedevo così vicino a me, e godevo nel vederlo ansimare quando roteava il bacino per meglio entrare in me.
Il suo respiro era possente e i suoi occhi, ancor più profondi, sprizzavano il piacere di questa nuova, inattesa complicità.
Mi venne dentro, per poi schizzare nuovamente il suo sperma con un getto potentissimo che coprì il mio ventre e il viso e che era riuscito ad arrivarmi finanche in bocca.
Benchè quando mi inculava smanettai il mio attrezzo con forza, ero rimasto indietro.
Non aspettò un secondo.
Dopo il suo orgasmo si buttò con avidità sul mio sesso, ingoiandoselo tra le labbra.
I suoi denti, talvolta mi facevano male, ma il mio glande rigonfio aveva trovato un aspiratore di prima potenza.
Iniziò un gioco di alternanze succhiandomi le palle, e segnandomi con la punta della sua lingua i contorni della mia cappella finché non venni anch’io.
Ingoiò tutto mostrando di gradire il mio nettare bianco.
Si accasciò su di me mostrandomi ancora la sua attenzione con una serie di bacetti e mordicchiandomi i capezzoli e il collo.
Gli presi la testa e lo guardai negli occhi.
Ci venne da ridere per il tempo che avevamo perso per deciderci! FINE
