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Giorgia

Era una bella giornata di sole. La primavera stava arrivando, e in quel ristorante di collina si stava bene.
Sotto di loro il paese riluccicava come d’argento, in un sacro silenzio domenicale.
Giorgia, che mangiava lentamente, pensando più a parlare, si stava pian piano svuotando da mesi di tensione, di rabbia repressa.
Quell’uomo che le stava davanti era suo padre. Un padre che aveva ben conosciuto, e poi aveva perduto per due lunghi anni. In quei due anni aveva preso atto di aver perso anche la madre, che aveva scelto il modo più facile e più piacevole per mantenersi.
La rabbia accumulata era molta, ed ora stava scaricandosi raccontando tutto a quell’uomo, semi distrutto dall’alcool e dai problemi famigliari, ma con chi altri poteva sfogarsi?
Si sentiva ormai un’estranea in quella casa, dove gli occasionali amanti della madre sembravano più padroni di lei di quelle mura e la costringeva ad andarsene e a restare fuori anche tutta la notte.
Quando un uomo entrava, lei doveva essere già uscita, e non doveva rientrare se non dopo la nascita del nuovo giorno, come da accordi presi con la madre.
Carlo, che aveva continuato a mangiare lentamente, ascoltando il lungo racconto della figlia, sentì un piccolo conato di vomito e posò la forchetta. Forse erano i residui dell’ubriacatura della sera precedente, oppure era il racconto di Giorgia, che lentamente continuava. Da quando Giorgia aveva cominciato il suo racconto, non aveva mai proferito parola, ed era stato in un muto pesante silenzio.
Giorgia parlò a malincuore ancora di quanto era accaduto tra lei e Erica. Per lei Erica era divenuta l’unica persona che la stava ad ascoltare, con cui stava bene, con cui scambiare quei lunghi silenzi delle serate passate assieme. Un’amicizia forse forzata dai bisogni delle madri, ma in ogni caso, un’amicizia, l’unica che manteneva. Anche a scuola, non legava più con nessuno, chiusa in quei tremendi pensieri.
Erica stava ore ad ascoltare quei silenzi di Giorgia, dentro quelle quattro mura delle loro rispettive camere, e quando parlava lei, era solo per confermare la sua avversità per ogni madre e per ogni uomo del mondo.
Giorgia non aveva che Erica che potesse sopportare il suo malumore, non aveva che Erica che avesse del tempo da dedicarle. Non aveva che Erica, anche solo come persone fisica con cui avere a che fare.
Quella ragazza magra, appena diciottenne, coi capelli cortissimi, dalle sopraciglia marcate, dalle gambe lunghe e dal poco seno, stava facendo da sostituta famigliare per Giorgia.
L’una era un fascio di nervi, scattante, vivace, mentre Giorgia, restava per ore a testa bassa, con i lunghi capelli ricci che inutilmente tentavano di nasconderla al mondo.
Erica detestava ogni madre come detestava qualsiasi uomo. Erano per lei due esseri disprezzabili.
Da quando poi avevano scoperto che Marisa si prostituiva, Erica, noncurante dell’imbarazzo di Giorgia, o forse proprio per liberala definitivamente da ogni tipo di imbarazzo e guadagnarla alle sue idee sulle madri, si divertiva a segnare su un quadernetto tutti i visitatori notturni della madre di Giorgia.
Giorgia s’arrabbiava, ma ogni sera Erica si nascondeva davanti al vicolo d’entrata della casa di Marisa, e segnava il nome del cliente occasionale.
Giorgia se ne restava rintanata in camera di Erica, aspettando ammutolita il ritorno dell’amica:
“Non indovineresti mai… Questa sera è toccato al signor Magrini! Quello dell’autosalone!
Sua figlia è in terza liceo! Ti pensi? Un altro porco che se ne infischia della moglie e dei figli… ”
Erica quando rientrava era un misto d’eccitazione e di rabbia, ed agitava quel piccolo quadernetto dove annotava nomi ed orari, noncurante del malumore di Giorgia, che comunque restava in silenzio a guardare la sua amica, illustrare tutto quello che avevo annotato.
Era rabbia o eccitazione quello che provava quando vedeva arrivare l’uomo davanti alla casa di Giorgia? E cosa provava, ogni sera, nel constatare che tutto era come diceva o voleva lei: un uomo non poteva che essere meschino e porco, che scopava una madre che non poteva che essere puttana e meschina?
Giorgia se lo chiedeva spesso, ma le risposte non le interessavano più di tanto. Aveva smesso di interessarsi a tante cose, e cominciava anche ad accettare tutte quelle avance, sempre più sfrontate dell’amica, che con la scusa di consolarla, tentava sempre d’infilarsi nel suo letto.
Giorgia avrebbe voluto non sentirla più, non udire più quelle odiose sue considerazioni, quei suoi resoconti dettagliati sul vestito, l’età, la bellezza dell’amante, seguito dall’orario d’entrata ed a volte pure quello d’uscita.
Poi però, qualche sera, quando la sentiva spostare le coperte, e il corpo di lei intrufolarsi nelle sue lenzuola, accettava la sua compagnia, bisognosa di quel calore umano, fosse anche sotto forma di amore omosessuale, che le mancava terribilmente.
Accettava e contraccambiava quelle leggere carezze, quei baci dati nell’oscurità più completa in quella piccola camera d’appartamento popolare, quei toccamenti reciproci, quei gemiti soffocati.
Sentire Erica gemere e godere, gli faceva però scoppiare il cervello, riuscendo a confondere quei gemiti con quelli di sua madre, e questo non le faceva più raggiungere il suo meritato godimento.
Così però, sebbene con gli occhi pieni di lacrime, dava a Erica la sua soddisfazione di giovane donna che aveva una visione tutta sua della vita, e che piano piano Giorgia stava assimilando.
A casa ci restava poco, pochissimo. Solo il tempo di mangiare, un saluto e via, lasciando il campo libero alla madre, recandosi da Erica, a sentirla protestare contro la vita e contro quel modo di vivere di merda.
“Mia madre si è allontanata sempre più” sussurrò Giorgia, non riuscendo a sopportare lo sguardo fisso ed il silenzio pesante del padre “e a me non restava che Erica. Lei pretendeva che io andassi a letto con lei, ed io lo facevo più per riconoscenza, per amicizia. Però erano anche i soli momenti in cui riuscivo a volte, a scordare tutto… ”
Giorgia alzò gli occhi in modo supplichevole, quasi chiedendo perdono per quello che aveva confessato.
Carlo sorrise per farle capire che non doveva temere, che poteva continuare a confidarsi, ma senza a dire nulla.
Giorgia riabbassò quegli grandi occhioni e continuò:
“Mi sentivo sola. Tremendamente sola, ed avevo paura della gente, che sapeva, che poteva sapere…
Ogni uomo poteva essere stato l’amante di mamma, o poteva diventarlo…
Non riuscivo ad uscire, e me ne stavo pomeriggi interi chiusi in camera con Erica, e l’unico argomento che c’era erano gli amanti di mamma o l’amante della madre di Erica… ”
Carlo scosse la testa. In che situazione assurda era finita sua figlia… Non riusciva a trovare le parole per consolarla, restando immobile, con le mani incrociate. Cosa poi poteva dirle?
Giorgia, che non riusciva a mangiare il piatto che aveva di fronte, ad un tratto alzò la testa e disse a voce più alta:
“Poi però è successo quel casino in discoteca… ” e il suo viso si tirò in una smorfia di dolore.
Un sabato sera si recarono in discoteca. Erica l’aveva convinta ad andarci, tanto per passare un sabato sera diverso.
A Giorgia piaceva la musica disco, ma dopo tutto quello che stava capitando, evitava ogni luogo affollato, vivendo nell’incubo di essere fermata, denigrata, offesa per colpa della madre.
Quella sera, in treno si diressero in un paese vicino. Erica era eccitata più del solito, e prima di entrare, la baciò calorosamente, noncurante della molta gente sconosciuta all’ingresso.
La musica assordante, il calco ed il ballo, avevano letteralmente scatenato Erica, che era vestita in modo attillato, mettendo in risalto le sue lunghe gambe.
Giorgia ballava, non riuscendo però a divertirsi più di tanto, ed invidiando l’amica che, probabilmente riuscendo a dimenticare tutta la sua vita e i suoi problemi, sembrava così serena e scatenata.
In breve Erica, con il suo modo di ballare, aveva attirato attorno a se un gruppetto di ragazzi, e Giorgia si sentì ben presto di troppo, e si defilò pian piano, andando dopo un po’ a sedersi in un divanetto.
Erica ballava disinvolta in mezzo al gruppetto di ragazzi, e sembrava davvero impetuosa.
I ragazzi si avvicinavano sempre più, ed a volte Giorgia non riusciva più a vederla, attorniata com’era dagli altri. La bianca camicetta s’era via via sbottonata, mostrando a volte i seni piccolini, liberi da ogni indumento, e la pelle lucida dal sudore della giovane.
Rideva felice, e lanciava sguardi divertiti verso Giorgia. Sembrava davvero contenta d’avere tutti quei ragazzi attorno a lei.
Ballava in modo sempre più scatenato, muovendo quel suo corpo magro e slanciato in modo incredibile, a ritmo della musica.
Ad un tratto Erica, notando che molti la stavano osservando, si sedette pesantemente accanto a Giorgia, si appoggiò al suo fianco, e di scatto la baciò, infilandogli una mano dentro il giubbino in jeans, toccandogli i seni.
Giorgia ebbe un gesto di ribellione, ma Erica gli strinse subito il seno, costringendola a restare ferma e ad accettare quel bacio a tradimento.
Si vergognava, mentre la lingua dell’amica le rovistava assatanata la bocca.
Sentiva l’odore forte di lei mischiato con il sudore e quella mano che le stringeva forte in seno.
Quando Erica si staccò, si girò ad osservare gli sguardi sbigottiti dei ragazzi, i quali erano rimasti sorpresi.
“Lesbiche di merda… ” gridò in mezzo al rumore assordante uno dei ragazzi.
Giorgia si scostò liberandosi dall’abbracciò dell’amica, e poté osservare l’autore di quel grido. Un ragazzo con la testa pelata, rotonda, e con un giubbotto di pelle pieno di scritte. Si sentì il sangue gelare, a causa di quell’insulto, ma Erica rise sonoramente, e baciò sulle labbra l’amica sussurrandogli:
“Li voglio far schiattare di voglia, questi maschi del cazzo! ” e si rialzò, ed ondeggiando sorridente, si ripresentò in pista per scatenarsi nuovamente.
Giorgia era terribilmente imbarazzata, ma non seppe rifiutare quei baci, quelle carezze che Erica, quando ritornava per riposarsi qualche minuto, continuava a fargli nella semi oscurità della discoteca.
Giorgia non riuscì più a fare un solo ballo, in preda all’imbarazzo causato da quell’incredibile comportamento dell’amica, la quale ormai, era completamente accerchiata da molti ragazzi, incuriositi ed attirati da quella giovane gay.
Giorgia finì con il perderla di vista per una buona mezz’ora. Se ne stette ferma, in silenzio in mezzo a tutto quel frastuono musicale, e solo un ragazzo gli si avvicinò, timidamente, sorridendo a chiedergli:
“Si diverte la tua amica eh? ”
Giorgia fu come risvegliata da quel tiepido torpore che l’attesa l’aveva provocato.
Il giovane gli sembrò subito simpatico, ma la domanda che gli aveva fatto gli sembrò un po’ troppo invadente, e con rabbia, si girò dall’altra parte.
Il giovane, aspettò un attimo, come colpito da quella indifferenza, poi si allontanò caracollando, senza più aprir bocca, e perdendosi in mezzo alla calca della pista.
Erica si rifece viva poco dopo, accompagnata da cinque, sei ragazzi, che la tenevano stretta tra di loro. Sembrava facesse fatica a camminare, ma rideva divertita.
Giorgia si stupì di vederla abbracciata a quei giovani. Lei, che odiava ogni oggetto maschile! Giorgia però rideva divertita, con la camicetta sbottonata che faceva scappare fuori ogni tanto un seno, gli occhi sgranati e lucidi, la testa a penzoloni da una parte.
Sembrava completamente ubriaca, e si faceva baciare sul collo da un ragazzo che la sorreggeva a fatica per un fianco.
Giorgia sospettò subito qualcosa, ma tacque, e restò seduta mentre tutti quanti si facevano largo attorno a lei in quei divanetti a bordo pista.
Erica sembrava in preda ad una ilarità senza fine, e rideva nel vedere che i ragazzi gli si stropicciavano addosso, palpeggiandola, arrivando pure a baciarla in bocca.
Giorgia fece per protestare, ma Erica la bloccò con un’altra sonora risata, mentre abbracciava un ragazzo a caso, e lo trascinava in un lungo bacio.
Non riusciva a capacitarsi su quanto stava facendo la sua amica. Fino a pochi istanti prima era decisa a prendere in giro quei ragazzi che ora la stavano palpeggiando dappertutto, la stavano baciando, toccando, spogliando.
Giorgia era terrorizzata, e si voltò in cerca d’aiuto. In mezzo alla confusione, incontrò nuovamente lo sguardo del ragazzo castano di prima, che appoggiato ad una colonna osservava con un minimo di sufficienza la scena da lontano.
Le porsero un’aranciata, ma Giorgia rifiutò di prenderla. I ragazzi insistettero per farla bere, ma Giorgia, terrorizzata, rifiutò, e con un gesto più disperato che rabbioso, fece volare il bicchiere per aria.
Erica, che ormai aveva la camicetta sbottonata, si fermò e scoppiò in un’ulteriore risata.
Ora era distesa sul divano, ed un ragazzo gli stava rovistando dentro i stretti jeans, che aperti, ormai non potevano più opporre nessuna resistenza.
“Lasciatela stare! ” urlò Giorgia, ma era come se nessuno la sentisse.
I ragazzi si misero davanti al divanetto, e fecero da separé, mentre uno di loro, avuto ragione dei stretti jeans, glieli stava togliendo dal tutto.
Erica, con la testa riversa giù dal divano, osservò sorridendo Giorgia, che continuava a non capire, a chiedersi cosa fare.
Giorgia sorrise, poi Erica chiuse gli occhi. Giorgia osservò quegli occhi spenti, addormentati, e vide che ad un tratto si spalancarono atterriti, mentre il corpo dell’amica diveniva un fascio di nervi.
Le gambe s’irrigidirono, mentre il viso del ragazzo andava a baciarla sul collo.
Lo sguardo di Erica si fece terrorizzato, ma fu un attimo, poi gli occhi si chiusero nuovamente, e dalle labbra di Erica uscì solo un flebile lamento. Il ragazzo l’aveva penetrata, e velocemente stava portando a termine l’operazione, nascosto dalla semi oscurità e dal resto del gruppo che circondava i due, nascondendoli ai più.
Giorgia silenziosamente si mise a piangere. Com’era possibile? Cosa avevano fatto alla sua amica?
Il ragazzo dette dei colpi più feroci e veloci, poi sollevò la testa, e Giorgia poté riconoscerlo. Era il ragazzo che poco prima le aveva offese.
Restò impietrita, e lo osservò rialzarsi soddisfatto, con il cazzo tra le mani. Velocemente se lo rimise tra le mutande, e si abbottonò con gesti veloci i pantaloni.
Erica sembrava un sacco vuoto, e si muoveva appena.
Giorgia accorse accanto all’amica, e cercò di coprirla rivestendola velocemente.
Febbrilmente le riassestò le mutandine, che erano rimaste infilate sulla gamba sinistra, ma non riusciva però ad infilargli i jeans. Allora alcuni ragazzi la aiutarono, e poco dopo la stavano accompagnando fuori.
L’aria fresca ebbe il merito di far riprendere un po’ i sensi a Erica, che ricominciò a ridere e a baciare i ragazzi che la sostenevano.
La caricarono su una macchina, invitando a salire anche Giorgia. Tremane, terrorizzata, avrebbe voluto scappare, prendere un treno che la riportasse a casa, ma non volle lasciare l’amica in balia di quei ragazzi, che probabilmente l’avevano fatto bere qualcosa che l’aveva stordita.
Non poteva lasciare da sola l’amica, come non poteva chiedere aiuto… a chi? Come?
Salì su una seconda auto, e si rintanò nel sedile posteriore, rannicchiandosi, e sperando di arrivare il prima possibile a casa.
Le auto sfrecciarono fuori dal parcheggio, ma dopo pochi chilometri, s’infilarono su una stradina di campagna, andandosi a fermare in un luogo desolato.
Giorgia si sentì raggelare, e si rannicchiò maggiormente, sentendosi perduta.
Dalla prima macchina scesero due ragazzi, i quali vennero a sistemarsi sulla seconda auto, dicendo:
“è partita completamente… adesso la scopiamo tutti… ” e guardarono Giorgia ridendo.
“è una gran vacca la tua amica… Vuole proprio farsi sbattere da tutti noi…. ”
“Che le avete fatto? ” sussurrò Giorgia.
Risero, poi facendosi seri di colpo, gli risposero:
“Nulla… Lei ha chiesto di bere, e noi l’abbiamo accontentata… Non stiamo facendo nulla che lei non voglia. L’hai visto anche tu no? ”
Sola, al buio, in mezzo a quattro ragazzi, non aveva mai provato tanta paura come in quel frangente.
Di fianco, poteva vedere la testa di Erica appoggiata al finestrino, e il corpo di un maschio che si muoveva con difficoltà dentro l’auto. Dopo un po’ poté constatare il lento dondolare del veicolo, mentre la testa dell’amica era scivolata verso destra, pesantemente.
Dopo un po’ la porta posteriore dell’auto si aperse, facendo cadere fuori le gambe di Erica, con i jeans e le mutandine infilate su una gamba.
I due indumenti, lentamente caddero a terra.
Ora i ragazzi si davano il cambio, uscivano, si portavano sulla prima auto, sistemavano un po’ meglio Erica, le allargavano le gambe, e stando fuori dall’auto, si sbottonavano i pantaloni, poi si buttavano sopra il corpo della ragazza, quasi meccanicamente.
Giorgia restò con gli occhi sbarrati ad osservare irrigidita quelle gambe che spuntavano fuori dall’auto, ed il lento sussultare dell’auto.
La cosa durò un’eternità per Giorgia, in un silenzio surreale, rotto solo dalle risatine dei ragazzi che salutavano il ritorno di un amico e l’uscita di un altro.
Per ben cinque volte Erica dovette subire inconsciamente quella violenza, dopodiché, dopo che anche l’ultimo ebbe finito, si rivolsero a Giorgia:
“E tu? ”
Giorgia ebbe uno scatto furioso, e tentò di rintanarsi maggiormente nel suo angolino. Tremava come non mai, e stava per scoppiare a piangere, quando il ragazzo con la testa rasata, che sembrava essere il capo, la rassicurò:
“Stai tranquilla… Ci siamo divertiti abbastanza… Ora scendi ed aiuta la tua amica… ” e fece per farle una carezza.
Giorgia schivò con un scatto rabbioso quella mano protesa, e saltò giù dall’auto e si sentì subito come rinata. Si avvicinò a Erica, che era ancora con gli occhi sgranati, ma questa volta bagnati da grosse lacrime.
Lentamente raccolse gli indumenti dell’amica, l’aiutò ad alzarsi, ed a fatica la fece scendere.
Dopo pochi passi, la fece sedere sull’erba, e cominciò nuovamente a rivestirla.
Le auto, schizzarono via in un baleno, e si ritrovò sola, con la sua amica intontita e completamente nuda.
Giorgia, osservò con la coda degli occhi le auto scomparire, e quando scomparvero all’orizzonte, sentendosi finalmente libera, scoppiò a piangere, seguita a ruota dall’amica, che lentamente stava ritornando a connettere. Si abbracciarono, sedute sull’erba, disperate e sole in mezzo alla campagna.
Giorgia era disperata. Erica non si reggeva in piedi, ed era mezza nuda, in quanto era riuscita solo ad infilargli le mutandine e la camicetta. A terra, ai loro piedi, i jeans ed una scarpa.
Giorgia imprecò nel scoprire che ne era stata smarrita una, e piegatasi di lato, continuò a piangere appoggiata all’amica, ancora intontita.
La baciò sulla guancia, piangendo sempre più forte, e si ritrovò lei a cercare le labbra di Erica, come per risollevarla, per rincuorarla. Era lei ora, che con dei baci omosessuali, cercava di far piacere a Erica, cominciando ad accarezzarla dolcemente sui suoi piccoli seni.
Erica rispondeva appena, cercando vagamente con la bocca la lingua dell’amica.
Giorgia, con le lacrime agli occhi, smise di baciarla, e cercò di pensare sul da farsi. Non c’era altra scelta che cercare di portarsi sulla strada principale, e cercare di fermare un’auto e chiedere aiuto.
Che avrebbe raccontato?
L’importante era soccorrere l’amica. Baciò sulla guancia l’amica, poi la distese docilmente sull’erba. Gli occhi di Erica erano ancora completamente assenti, anche se cominciava a muoversi ed a reagire, dopodiché Giorgia cominciò a correre verso la strada principale.
Correva veloce, piangendo, in preda ad un’inizio di crisi isterica, quando vide un’auto percorrere quel vialetto di campagna.
Si bloccò e trattenne il fiato, pensando che potessero essere di nuovo il gruppo di ragazzi della discoteca. L’auto si bloccò davanti a lei, e dal finestrino si sporse un viso conosciuto. Era il ragazzo castano che le aveva parlato in discoteca:
“Ciao… serve aiuto? ”
Giorgia disperata si appoggiò all’auto, scoppiando in un pianto dirotto.
Il ragazzo scese, e presala per le spalle cercò di tranquillizzarla:
“Calmati… è tutto finito… ”
Giorgia si girò, con le lacrime che gli scendevano sulle guance, e lo osservò con quegli occhi grandi e disperati.
Il ragazzo, tenendola per le spalle, gli sorrise, e cercò di calmarla:
“Quei balordi sono tornati in discoteca, mentre stavo per andarmene, e li ho sentiti vantarsi di quanto avevano fatto.
Sono subito venuto a vedere se… se avevate bisogno di aiuto… Dov’è la tua amica? ”
Giorgia si staccò da quel ragazzo, ricordandosi che Erica, poco lontano, distesa seminuda sull’erba era sola, e la stava aspettando.
Si mise a correre, seguito dal ragazzo, che subito si chinò su Erica e la osservò attentamente:
“Devono averla drogata, o fatto bere qualche intruglio… ”
Il ragazzo la osservò attentamente alla luce dei fari della sua auto, poi si girò verso Giorgia e chiese:
“E te? Ti senti bene? Ti hanno fatto qualcosa? ”
Giorgia scosse la testa in modo negativo, senza trovare la forza di aprire bocca.
“Aiutami a caricarla in auto. Vi riporto a casa… ”
Giorgia restò ferma, incapace di muoversi e timorosa di qualche altro brutto scherzo.
Il ragazzo si fece più deciso, e presa Erica in braccio ordinò:
“Apri la portiera! Aiutami, o vuoi aspettare che qualche altro balordo senta le gesta di quegli idioti e venga anche lui a vedere? ”
Giorgia si mosse, ed aiutò a coricare Erica sul sedile posteriore. Raccolse velocemente i pantaloni e la scarpa, poi restò ancora titubante:
“Sali… Fidati… Vi riporto a casa…. ”
Il ragazzo sorrideva, e a Giorgia sembrò un sorriso solare, onesto. Poi, non aveva altra scelta, ed accettò l’invito.
L’auto si mise in movimento, e velocemente si riportarono sulla strada principale fuggendo velocemente da quel luogo.
Il ragazzo rallentò l’andatura. Ormai potevano tranquillizzarsi. E volgendosi verso Giorgia, chiese:
“Dove abitate? ”
Giorgia, fissando la strada rispose meccanicamente, ancora tutta rigida dalla paura e dalla tensione.
Il ragazzo le sorrise nuovamente, e disse:
“Anch’io abito lì… e a proposito… mi chiamo Marco. E tu? ” FINE

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