Il tipo è un bel moro, riccio, sui venticinque. Porta dei calzoni militari, pieni di schizzi di vernice e una magliettaccia senza maniche e col collo slargato. Se ne sta seduto sulla panchina, colla sua bottiglia di Peroni poggiata a terra e un panino ripieno che aggredisce con morsi voraci. Un muratore in pausa pranzo. Lo sto fissando pressoché ininterrottamente da un quarto d’ora, cioè da quando stavo per metterlo sotto con la macchina: era comparso dal nulla, in mezzo alla strada, e io avevo fatto appena in tempo a schiacciare il pedale del freno. Lui non si era minimamente scomposto, mi aveva solo rivolto un’occhiataccia e aveva proseguito a passo sicuro verso il bar dall’altra parte della strada. Superato lo spavento per l’incidente sfiorato, ero passato ad un esame più attento di quella che aveva rischiato di essere la mia vittima: un dio greco, né più né meno. Viso molto maschile, con barba di un paio di giorni, spalle larghe, torace possente e villoso (ciuffi di peli irsuti fuoriuscivano dal collo della maglietta), collo taurino, braccia grosse, sode e muscolose, culo marmoreo. Così ho deciso di parcheggiare e stare lì buono buono in macchina a guardarlo per un po’. Lui è entrato nel bar, ha ordinato qualcosa e dopo pochi minuti l’ho visto riuscire con in mano una birra gelata e una busta bianca: ha raggiunto il parco qui di fronte e si è messo comodo, a consumare il suo pranzo prima di rimettersi al lavoro. Per un attimo me lo sono immaginato in slip, con in testa un cappellino fatto con la carta di giornale e la mano sul pacco, guardarmi con aria lasciva e chiedermi:
” Allora, dove la vuoi la CAZZuola? … “. Un paio di minuti fa, con gli occhi sazi di lui, me ne stavo per tornare a casa e spararmi un ricco segone, quando ho notato che mi aveva lanciato un’occhiata. Tra me e me ho detto:
“Ma no, ti sei sbagliato… “, ma ho deciso di aspettare per un altro po’, vuoi vedere che… Ok, mi ha guardato di nuovo, stavolta ne sono sicuro. Ora ha finito il panino, appallottola la carta e tira su la bottiglia della birra, se la accosta alle labbra e, guardandomi di nuovo, comincia a versarsi la birra in bocca con un’espressione goduriosa, come se stesse per venire. Cazzo! Questo ci sta!!! Decido di passare all’azione: scendo dalla macchina e mi vado a sedere su una panchina poco lontano dalla sua, mi accendo una sigaretta e mi metto a fissarlo. Lui finisce la sua birra, si alza e si incammina verso il cestino della spazzatura, a pochi metri dalla mia panchina. Fa il suo dovere di bravo cittadino gettando la carta e la bottiglia vuota tra i rifiuti e a quel punto avanza verso di me. Io continuo a fissarlo dritto negli occhi. Al che lui si ferma, proprio davanti a me e con una voce bassa, appena velata da una finta curiosità, mi fa:
“Perché me stai a guardà? “. Al che io potrei venire, perché se c’è una cosa che mi fa perdere completamente il controllo è un dio greco vestito da muratore che mi si rivolge in romanaccio, ma invece cerco di trattenermi e, dandomi un tono il più possibile virile, gli rispondo:
“Beh, sai, è che sei proprio un gran bono… “, tanto l’ho capito che ci stai, è inutile che ci stiamo a prendere in giro, no? Lui rimane un attimo sorpreso, poi, guardandosi intorno con aria da cospiratore, mi fa:
“Senti, ma che t’andrebbe de famme venì? … “, e così dicendo si porta una mano in mezzo alle gambe, dove, sotto la stoffa dei calzoni militari, si sta muovendo qualcosa di molto, molto grosso. Naturalmente acconsento più che volentieri, e lui decide di portarmi lì di fronte, nell’appartamento in cui sta lavorando,
“tanto er padrone de casa nun ce sta… “. Attraversiamo la strada e due minuti dopo siamo in una casa piena di secchi, mattoni, cazzuole, livelle. Il mio bel muratorone chiude la porta dell’appartamento e mi guarda.
“Io de solito nu le faccio ‘ste cose, oggi però sto proprio ‘nfojato, chi lo sa pecché… “, e così dicendo si riporta le mani sul pacco, che rispetto a due minuti fa sembra essere cresciuto ulteriormente. Io gli rispondo: “Non lo so perché, ma per quanto mi riguarda va benissimo così… “, quindi decido di rompere gli indugi e mi butto a terra davanti a lui, gli sbottono i calzoni, ormai tesi all’inverosimile, e mi ritrovo tra le mani un cazzo letteralmente mostruoso. Resto a bocca aperta, ma invece di tapparla come credete voi, decido di far prevalere il ricercatore che è in me, mi guardo in giro e appoggiato su un tavolo, vicino a dei fogli con scarabocchiati sopra dei calcoli, vedo un metro avvolgibile.
“Scusa – gli dico – ma questa cosa va documentata!!! “. Afferro il metro e con tutta la solennità di cui sono capace gli prendo le misure di quel cazzo assolutamente prodigioso. Eccole… Lunghezza, dall’attaccatura delle palle alla punta della cappella: 27, 3 cm. Circonferenza dell’asta: 18, 2 cm. Circonferenza della cappella: 20, 5 cm. A questo punto sono leggermente inebetito, ma mi ci vuole un attimo per ricordarmi dove sono e cosa devo fare: do un’occhiata al muratorino, che ha un’espressione oscillante tra l’orgoglioso-soddisfatto e il “Ahò, allora, che famo? … “, e mi avvento sulla sua nerchia stupefacente. Comincio a ciucciargli la cappella, dando colpi di lingua qua e là e facendo scivolare sul randello saliva a profusione. So che non è facile prendere in bocca un affare del genere, ma non mi va di perdermene nemmeno un millimetro quadrato, così faccio sdraiare il muratore a terra, mi metto sopra di lui, spalanco le mie fauci e mi calo sul suo cazzo equino. La cappella è dentro, la sento pulsare nella mia bocca, ci muovo intorno la lingua e gli titillo il buchino, da cui già fuoriesce qualche saporitissima gocciolina di sborra: questa cosa mi fa arrapare ancora di più e, dando fondo a tutte le mie capacità oro-laringo-tracheali, comincio a prendere in bocca anche la grossa asta del muratore, guadagnando centimetro dopo centimetro, affondando, ritornando indietro e poi affondando ancora un po’ di più, in uno sforzo sovrumano di allargamento e approfondimento, finché, provatissimo, al limite del soffocamento, mi ritrovo i grossi testicoli del muratore proprio davanti agli occhi: ce l’ho fatta!!! Ce l’ho tutto in bocca!!! Decido che l’impresa va festeggiata in qualche modo, e l’unico modo degno che mi viene in mente è di prendere in culo quel randello spaziale. Così mi libero in quattro e quattr’otto dei vestiti, spalanco le gambe e mentre lui si sta ancora chiedendo cosa succede, gli faccio:
“Bello, questo è il mio culo, lo vedi? Beh, è tuo, è tuo, cazzo, scopalo finché non ne posso più… ROMPIMI QUESTO CAZZO DI CULO!!! “. Lui, che dev’essere abituato a signorine un po’ più timide di me, resta per un attimo interdetto, ma si tratta, per l’appunto, di un attimo: mi mette alla pecorina e senza perdere tanto tempo in convenevoli appoggia la sua spropositata cappella, ancora grondante saliva, sul mio buco di culo. Inizia a spingere, e io parto per il mio viaggio interstellare: sento il mio corpo aprirsi, dilatarsi, rimbalzare tra le stelle e i pianeti, guardo con gli occhi appannati dall’eccitazione nuove galassie che si stendono senza confini di fronte a me, poi ritorno in me, giusto in tempo per provare il dolore più lancinante di cui sia mai riuscito ad immaginare l’esistenza. Il muratorino, che non dev’essere un tipo molto delicato, mentre io vagavo tra le stelle e le galassie, ne ha approfittato per infilare tutto il suo immane randello tra le mie chiappe incredule. Vorrei gridare, ma sono completamente senza fiato. Lui, invece, che di fiato deve averne eccome, comincia a chiavarmi il culo a tutto andare e nel frattempo mi sbraita nelle orecchie:
“GODI PUTTANA, VUOI CHE TI ROMPO IL CULO, EH TROIA? E IO TE LO ROMPO, TE LO SFONDO IL BUCO DEL CULO, VACCA!!! FAMMI GODERE, TROIAAAA!!!! “. Questo naturalmente ha su di me un effetto rigenerante, piano piano riesco a riprendermi e comincio a percepire chiaramente che il terribile dolore che il suo cazzo da urlo stava provocando alle mie budella si sta trasformando in un piacere nuovo, indescrivibile, mai provato, assolutamente spossessante. Comincio a godere di culo e a non sentirmi più me, a non sentirmi nemmeno più un essere umano, ma qualcos’altro, qualcosa dai confini indistinti, confusi, con una sola certezza, quella di voler godere e di far godere questa portentosa creatura che si sta dando da fare alle mie spalle.
“Cazzo come mi stai fottendo” gli dico,
“sei lo stallone più possente dell’Universo, tesoro, chiavami così, dai, continua, FOTTIMI… “. Lui dal canto suo ci da dentro da matti, mi stantuffa la nerchia nel culo con una tale foga che ho paura che gli venga un colpo. Dopo un po’ rantola:
“Devo venire… “. E io:
“Sì tesoro, sborrami dentro, vienimi in culo, voglio che mi riempi con la tua sborra, devi farmela uscire dalla bocca, dai, DAI, SBORRA NEL CULO DELLA TUA PUTTANAAAAA”. Lo sento accelerare, poi rallenta e, con quattro affondi decisi, tanto decisi che credo che il cazzo mi uscirà dalla bocca, mi sborra in culo. Io sono assolutamente estasiato, ma il massimo del piacere lo raggiungo quando lui mi sfila il suo arnese mostruoso dal culo. Resto letteralmente tramortito. Mi risveglio non so neanche quanto tempo dopo. Del muratorino nessuna traccia. Mi rivesto e faccio per andarmene, ma quando mi avvicino alla porta vedo un foglio di carta ripiegato e infilato nella maniglia. Lo prendo e leggo:
“Ben svegliato. Tirati pure dietro la porta, anche se non è chiusa a chiave non succede niente. Ciao. Massimiliano. Ah, visto che mi sa che oggi t’è piaciuto, volevo dirti che io continuo i lavori qui dentro per altre tre settimane, da solo o con altri miei colleghi, che forse si vogliono divertire pure loro con te. Passa quando vuoi che ti diamo ‘na bella ripassata… “. Col cuore giubilante chiudo la porta alle mie spalle… a presto.. FINE