L’annuncio mi era capitato sotto gli occhi quasi per caso, quasi a dirmi leggimi, leggimi.
Si trattava di una coppia con il marito 43ennecon il pallino della fotografia erotica, che cercava uomini cui mostrare le foto della lei 38enne.
Si specificava che non si volevano scambiare foto od altro.
Pensai proprio che quello fosse l’annuncio che facesse per me, ma non mi aspettavo niente nella mia casella postale: la Rete brulica di millantatori e troppo furbi…
Quale non fu la mia sorpresa nel leggere la mia casella postale e trovarvi una lettera con un enorme attachment da xxx…
Incuriosito la aprii e restai folgorato, oltre che dalla classe della lettera, dalla bellezza formosa e fastosa della disinibita e succosa signora in foto…
Si trattava di Gabriele e Katia, due distinti coniugi toscani.
Intuivo che il lui trovasse godimento nel mostrare le foto di quell’autentico schianto di sua moglie, ma la cosa che più mi colpì, fu la classe della signora, che intuivo formosa (poi venni a sapere della sua quinta) e disponibile.
Mi veniva voglia di qualcosa di più, ma intuivo che, oltre alla lontananza, sarebbe stato difficile abbattere il muro di salutare diffidenza che trincera chi, in Rete, cerca il gusto del proibito e della passione.
Nel frattempo il suo culo rotondo e sodo mi faceva impazzire, per non parlare delle sue tette da infarto: le foto testimoniavano che le piaceva farsele spremere, tanto che nel frattempo le spremeva da sé…
I capezzoli parevano duri come chiodi, mentre le gambe erano proprio da sballo.
Decisi di rispondere a quella lettera trabboccante di erotismo e di chissà quali promesse, anche se non riuscivo a capacitarmi di quel caso fortunato.
Nella lettera di risposta intessevo le lodi della lei, definendola da schianto ed a ragione.
Il giorno dopo aprii la mia posta con un misto di trepidazione e folle eccitazione: c’era ancora la risposta in cui si precisava che Gabriele godeva molto nel vedere sua moglie, che adorava, alle prese con altri…
Cercava anche di smorzare la mia ammirazione per Katia (appresi anche che lei l’aveva apprezzata oltremisura), definendola forse un po’ troppo formosetta.
Pur tuttavia io non potevo che continuare a tessere le lodi di sua moglie, oggettivamente più che meritate.
La mia fantasia si mise a galoppare e deprecavo la lontananza geografica che avrebbe in ogni caso impedito qualsiasi approccio.
Ma, si sà, quel che la ragione non ammette, la fantasia brama più di ogni altra cosa…
è stato così che mi sono ritrovato a Firenze, lo scorso week-end, armato solo del mio desiderio e di una flebile mezz’ammissione su di un possibile incontro.
Avevamo inconsciamente deciso di giocare, io e Gabriele, ed io gli avevo lanciato un indizio in una mia lettera.
La mia passione mi imponeva di crederci, mentre la mia ragione mi ripeteva senza posa che l’indizio era in verità abbastanza velato se non oscuro.
L’indizio consisteva nel mio paragonare, in una scorsa lettera, il culo liscio a mandolino di Katia nella sua perfetta circonferenza al Tondo Doni conservato agli Uffizi.
In effetti la foto 76 che Gabriele mi mandò era bellissima: vi biancheggiava il culo tondo di Katia nella tipica posa “a pecorino”, mentre le bellissime gambe apparivano inguainate da autoreggenti bianche.
Era una foto che mi aveva eccitato da morire e sulla quale mi ero ripetutamente masturbato.
Avevo fatto anche di più, l’avevo fotoritoccata e rispedita al marito per il suo piacere.
La foto ritoccata incorniciava ora il tondo culo bianco in una circonferenza rossa, a dimostrare la sua perfetta rotondità.
Il paragone con il Tondo Doni non era pertanto azzardato, almeno per la mia fantasia erotica.
In un angolo della foto avevo scritto una data e l’ora in un carattere non troppo appariscente.
Mi ero immaginato a lungo la reazione dei due: li avevo immaginati quando, nella penombra della sera, con Gabriele appena arrivato a casa dal lavoro, aprivano la posta e si eccitavano sia per le parole della lettera sia per l’esaltazione di quel culo da schianto.
Avevo immaginato l’umidore di lei, il suo provocarlo e il loro fare l’amore in modo improvviso ed appassionato.
Avevo anche immaginato che lei, che sicuramente doveva avere più tempo disponibile per il computer del suo uomo, avesse intercettato prima il mio messaggio e presa da sfrenata libidine, si fosse ripetutamente toccata il clitoride e, ormai in cerca di sensazioni forti, si fosse infilata nella vagina ormai allagata l’enorme vibratore che tante volte mi aveva dato la sensazione, almeno in foto, di saper magistralmente usare.
Ero quindi con una scusa per mia moglie a Firenze, nella Galleria degli Uffizi, accalcato come tanti altri davanti al Tondo Doni, ma con fini che andavano al di là della ammirazione estetico-artistica.
Cercavo loro o meglio cercavo lei.
Molte volte sbagliai persona, scusandomi banalmente ma, all’improvviso la vidi con sicurezza.
Lo stesso corpo ubertoso che le fotografie avevano testimoniato, la stessa classe, gli stessi capelli, la stessa bocca che chissà quante volte avevo immaginato rossa e carnosa, le stesse tette generose.
Un bel viso era incorniciato da capelli castani appena appoggiati sulle spalle. Vestiva una gonna molto sobria sotto la quale io immaginavo il tanga rosso che tante volte l’avevo vista indossare, e le autoreggenti bianche.
Sotto il maglioncino nero gonfiato dalle punte dei suoi capezzoli, a mascherare la sua quinta esplosiva, immaginavo il reggiseno a balconcino nero.
Era accompagnata da un uomo molto distinto, che immaginai essere Gabriele, suo marito.
Non vi potevano essere più dubbi, avevano risposto all’invito.
Avevo un mazzo di rose in mano e non notato scivolai alle spalle della signora.
Approfittai della calca per palpare con discrezione quella massa calda che tante volte mi aveva portato ad un solitario orgasmo.
La cosa pareva non dispiacerle, tanto che sporse ancora di più il suo mandolino, quasi protendendolo verso la mia mano: che porcellina.
Dopo quell’approccio “manuale” trovai il coraggio di farmi avanti e mi presentai, donando il mazzo di rose rosse, a significare passione, a Katia.
Il comprensibile imbarazzo durò solo pochi secondi:
Ruppi il ghiaccio esordendo con:
“Bello questo dipinto, Gabriele, anche se conosco, almeno di fama, un tondo ancora più perfetto… ”
Gabriele assentì con eccitazione, mentre Katia già colpita dai fiori e dal mio aspetto, diventò ancora più appassionata.
“Quel tondo fa parte della mia galleria privata, ma credo che, entro sera, anche tu potrai liberamente ammirarlo. ” disse Gabriele.
“Katia, credi tu che potremo mostrargli la nostra galleria privata? ”
“Credo proprio di si, è non c’è solo il Tondo Doni… “, ammiccò Katia.
“Sarà una galleria con pezzi davvero mirabili ed unici! Vorrei tanto vederla dal vero, dopo averla degustata in fotografia.
Mi piacerebbe anche fare delle rilevazioni artistiche… ” replicai io.
“Per Gabriele e soprattutto per me sarà un vero piacere… ” continuò lei, con il rossore delle guance ormai confinante col porpora.
“Ma andiamo a mangiare qualcosa, ho una fame. ”
Andammo in un ristorante tipicamente toscano dove mangiammo divinamente.
Durante il pranzo non potei non notare la vivacità di spirito, la simpatia e la convivialità dei due coniugi.
Oltre a questo apprezzai le coscie polpose e sode di Katia che più volte accarezzai, prima furtivamente, poi con sempre maggior padronanza accertandomi della presenza delle autoreggenti
ad inguaianare quelle lunghe gambe, anche se non riuscii ad appurare che tipo di mutandina celasse quella figa ormai madida di miele profumato.
Gabriele, che non poteva non aver notato le mie manovre sotto il tavolo, appariva eccitato da esse.
Il vino bevuto mi spinse ad un’azione ancora più passionale: lasciai cadere sbadatamente la forchetta sotto il tavolo e mi accosciai per prenderla. Indugiando tra le cosce di Katia rimasi sorpreso dall’assenza totale di mutandine.
La scosciata, che lei fece con opportuna e voluta scelta di tempo, faceva occhieggiare la sua figa perfettamente depilata.
Sapevo che si era depilata in previsione dell’incontro con me, perché in foto l’avevo sempre vista abbastanza pelosa e le avevo più volte chiesto di radersi e fare delle foto alla figa depilata.
Con mossa forse azzardata avvicinai velocemente la mia faccia alla sua vulva e leccai velocemente.
Rimettendomi a sedere notai che l’imbarazzo aveva lasciato il posto ad una crescente eccitazione sessuale sia in Katia che in Gabriele.
Uscendo dal ristorante la palpai con foga, sempre meno attento allo sguardo eccitato del marito.
In strada lei ci abbracciò entrambi, con mossa veramente eccitante: sentivo il calore dei suoi fianchi e, a volte il discreto strusciare del suo seno sul mio fianco, quando lei si voltava verso di me.
A zonzo per la città ebbi modo di entrare ancor di più in sintonia con il marito, creando un rapporto di complicità (manuale) con la moglie.
Tutta la restante parte del pomeriggio la impiegammo a visitare il centro storico di Firenze.
Alla fine mi fu fatto uno scontato invito a passare a casa loro, “a dare un’occhiata alla nostra collezione personale” come ammiccò lui, mentre lei mi abbracciava ancora più strettamente pizzicandomi il sedere.
La loro casa era in realtà una grande villa, sistemata su di un verde rialzo.
Se l’esterno della casa comunicava un’impressione di spaziosità, l’interno era davvero elegante e ricercato, segno di un gusto non comune.
Mi complimentai per questo con loro due.
Decidemmo di prendere un boccone, cenando in cucina.
Durante la cena continuò la schermaglia piccante tra me e Katia e la complicità voyeuristica di Gabriele.
Lei si era cambiata, indossando “qualcosa di più comodo”.
Quel qualcosa le lasciava scoperta buona parte del seno e delle gambe, un vero invito a nozze per le mie mani vogliose.
Con il vino si sciolse ancora di più, tanto che ripeté, a parti invertite, la scenetta del ristorante.
Si offrì lei di prendere la forchetta e impiegò quel tempo smisurato ad ammirare a bocca piena la mia erezione.
Risalita come se niente fosse stato, riprese a conversare amabilmente.
Propose di andare a vedere la televisione in salotto, mentre rigovernava.
Ci sedemmo sul divano centrale lasciandole il posto d’onore.
Quando si sedette ci abbracciò ancora.
Guardavo la televisione ma non vedevo veramente, assorbito dal pizzo di quella autoreggente nera che faceva capolino da una vestaglia colpevolmente corta.
La mia mano le si appoggio sulla coscia, come quella di sua marito ed entrambi reclinammo il capo sulle sue spalle, simmetricamente.
Ogni tanto lei baciava in modo provocante suo marito.
Sempre più eccitato da quella situazione, le proposi di farle un massaggio ritemprante, spacciandomi per esperto di massaggi orientali.
Le andai alle spalle e cominciai a massaggiarla con decisione e naturalezza le spalle, in un caso massaggio.
Fu Gabriele a proporre una variante al massaggio:
“Amore, togliti la blusa così faciliti il massaggio”
Con naturalezza lei si tolse la blusa e rimase con uno striminzito reggiseno nero di pizzo velato che esaltava più che celare la sua splendida quinta.
Il massaggio prese un ritmo più convulso, mentre prendevo le esatte misure ottiche di tanta opulenza unita a tanta sodezza.
La zona del massaggio di era allargata dalle spalle al collo (suo vero punto erotico, fino ai fianchi ed alle fossette che fanno presagire un culo coi fiocchi.
Ancora Gabriele, visibilmente infoiato, disse:
“Cara, slacciati il reggiseno, così il massaggio sarà migliore… ”
Conservando la naturalezza di prima, lei si slacciò il reggiseno, anche se in un residuo di pudore (? ? ) strinse le cinghiette sotto le ascelle per evitargli di cadere. Il massaggio, abbandonata oramai la finzione terapeutico-rilassante, era diventato un passionale palpare dappertutto, dalla schiena alla base del seno, fino alla base del suo Tondo Doni.
Il marito, nel frattempo non si faceva pregare e le insinuava le mani sotto la gonna, alla ricerca di un’improbabile mutandina da sfilare.
Fu solo per continuare una finzione che proposi di continuare il massaggio sul davanti.
Per risposta ebbi un mugolio che mi spinse ad afferrarle le poppe e strizzarle con forza.
Le strinsi gli appuntiti capezzoli con forza, facendola mugolare di piacere, mentre Gabriele le sfilava la gonna lasciandola con solo le autoreggenti.
La baciai per la prima volta, assaporando con volutta il sapore mielato della sua bocca.
Intanto il marito ne approfittava per decantare le lodi artistiche della sua privata galleria artistica, i cui “pezzi” erano così apertamente a disposizione non solo dei miei occhi.
“Ecco un mandolino prezioso, che nessun liutaio ha mai potuto costruire”, diceva, pizzicandole il latteo deretano.
“Ecco un altro pezzo raro: due terracotte Ming della V dinastia, dalla mirabile forma e slancio”, continuava, lisciando il candore alabastrino delle mammelle.
“Ecco ancora due colonne quali nemmeno il Partenone ha mai avuto”, continuai io, incalzando le gambe tornite e polpose.
“E per finire ecco un pezzo di rara squisitezza e fattura, una conchiglia dei mari del Sud incrociata con un petalo di rosa ed affogata nell’ambrosia”
Continuava ancora lui, pastrugnando la vulva ormai allagata della moglie, mettendo così fine all’eloquio retorico delle bellezze della moglie.
La retorica aveva fatto il suo corso, ora era il tempo di fare sesso.
Le afferrai la nuca e le spinsi a prendere in bocca la mia prepotente erezione, mentre il marito si baloccava con il formoso deretano.
Da quella posizione, le scopai la bocca, con lei che mugolava e si rivelava una pompinara di rarissima classe ed esperienza.
Il marito, con un’erezione pazzesca pensò bene di concretizzarla nel suo sfintere e cominciò a leccarlo e lubrificarlo.
Mentre lei travolta dalla passione si sditalinava con energia, gustandosi il pompino, lui le cercò di introdurle con decisione il cazzo nello sfintere.
Forse la troppa foga, forse la grossezza dell’ordigno, causarono una temporanea disfatta: il cazzo rimbalzo sullo sfintere, insaccandosi nella figa.
Prontamente lo riappuntò contro il tenero garofanino e stavolta con più gradualità, ne ebbe ragione.
Comiciammoa pompare con decisione chi nell’ano chi nella gola, mentre l’orgasmo montava.
La porcellina, presa tra due fuochi, smaniava strizzandosi le grandi tette e titillandosi il clitoride.
L’orgasmo ci prese all’improvviso: Gabriele le sfiottò nello sfintere allagandole il deretano, mentre lei veniva forse per la terza volta.
Non restavo che io, lei si accosciò e si dedico completamente al mio piacere, regalandomi infinito piacere con la sua
gola esperta.
Mentre osservavo i fiotti di sperma colarle oscenamente dal culo ed inondarle la vulva e le gambe non resistetti oltre: le afferrai la nuca e versai un torrente di sperma nell’infimo della sua gola.
Con consumata bravura lei non ne mollo neanche una goccia e, sazia di sperma, si ripasso le labbra con la lingua con fare lascivo.
Eravamo tutti un po’ stanchi e provati dall’intensità di quel rapporto ma Gabriele trovò ancora la forza di avere un’erezione e, sedutosi sul divano, la fece impalare.
Restava la vulva aperta e grondante che provvidi a soddisfare personalmente con lingua esperta.
I colpi nella figa si susseguivano senza posa.
Ebbi un’idea: feci girare Katia, in modo che pur immolata la figa sull’erezione ancora asinina di Gabriele, mi voltasse le spalle.
Con Gabriele semiaffogato nel caldo abbraccio del suo seno, il culo di Katia ammiccava oscenamente, dimenandosi al ritmo dello smorzacandela di Katia, non richiuso dopo l’ultima penetrazione ed ancora gocciolante del fiume di sperma di cui era stato contenitore.
“Ora t’inculo io” mormorai.
Detto fatto: mi abbrancai ai suoi morbidi fianchi e m’immersi fino ai testicoli in quel meato già abbondantemente lubrificato, sincronizzando il mio andirivieni con il cazzo che occupava l’altro canale, sicuro che l’ormai slabbrato sfintere anale non le facesse ormai più alcun male.
Katia, che mai aveva provato la forte esperienza del sandwich, era folle di foia e si leccava oscenamente le labbra, cingendomi all’indietro la schiena con le mani e baciando appassionatamente ora me ora suo marito.
Passato qualche minuto di folle godimento, sentimmo che l’orgasmo si appressava per tutti i componenti del triangolo ed aumentammo il ritmo.
L’epilogo fu una scarica di sperma in tutte e due i canali della nostra bella ad aumentare oltre il verosimile il suo folle orgasmo.
Sfilandosi disinvoltamente dai nostri arnesi, li ripulì con cura con la bocca e, osservando il suo ano che grondava sperma ormai tumefatto e dolente, commentò con brio:
“Credo che per domani la galleria privata sarà chiusa, dal momento che il pezzo più pregiato, il Tondo Doni, dovrà andare in restauro…
è a questo punto che mi sveglio nel mio letto, pensando lascivamente di trovarvi i due coniugi, ma con mia moglie che, già alzata da un pezzo, mi dice con un’alzata di sopracciglia:
“Ma hai fatto sogni erotici stanotte? ”
Mi rigiro e, afferrando il cuscino quasi fosse una Katia virtuale, le rispondo ameno:
“Se l’ho fatto non me ne ricordo, amore. ” FINE