L’impiegato dell’agenzia passò per primo ma solo per fare un passo all’interno e cercare un qualunque interruttore sulla parete di destra. La luce di un lampadario coperto di polvere gettò un velo giallo sugli oggetti, un velo che fece dipingere una smorfia sulle labbra rosse di lei.
– <<Accomodatevi>> fece l’impiegato.
I due entrarono con l’aria sospettosa. Non dissero nulla, ma il loro silenzio poteva essere abbastanza eloquente per uno del mestiere. Il primo impatto conta più di ogni altra cosa, e l’uomo in giacca e cravatta di fronte a loro sembrava saperlo molto bene.
– <<è un appartamento che é rimasto chiuso tutto l’inverno>> aggiunse.
Si precipitò ad alzare gli avvolgibili, a spalancare le finestre. La luce del giorno li colpì allo stesso modo di un pugile sorpreso dall’uppercut di un avversario. Quando riaprirono gli occhi l’appartamento mostrava apparenze migliori. L’impiegato sorrise compiaciuto della nuova impressione che era riuscito a suscitare in loro. Sembrava dire: ‘E allora? Vi piace? Certo che vi piace, non é vero? Del resto… Siete certi di poter trovare di meglio alla stessa cifra? ‘
– <<Siete sposati da poco, vero? >> disse l’impiegato. Rimase ad attendere la risposta con un sorriso ebete stampato sul viso. Lui di tutta risposta si affacciò alla finestra. Una brezza leggera soffiava dal mare. Di fronte, una palazzina identica alla loro li privava della vista sulla spiaggia. Si trattava di palazzine a schiera, anonime come solo possono essere palazzine a schiera rimaste sfitte in una località di mare in pieno agosto. I suoi occhi sembravano voler guardare lontano, ma tutto intorno a loro sembrava impedirlo. Un bagliore accecante lo colpì sugli occhi, probabilmente qualcuno aveva aperto la finestra di uno degli appartamenti di fronte, e il riflesso del sole sul vetro aveva fatto il resto. Una ragazza in costume si era affacciata con una espressione annoiata.
– <<Va bene, non é vero cara? >> disse tornando a guardare dentro.
Lei non rispose. Si era seduta sul letto e guardava gli zaini gonfi da far paura. Avrebbe dovuto rimettere tutto a posto ora, e l’idea sembrava non piacergli affatto.
– <<Non mi va di uscire stasera. Sono stanca morta>>.
Portava una veste da camera di colore rosa, sotto la quale lui poteva vedere tutto: due gambe lunghe, un sedere piccolo ma ben tornito fasciato dalle mutandine che preferiva, quelle di pizzo con il bordo blu traforato. Mangiarono in silenzio. La bombola del gas perdeva colpi, ma di questo erano già stati avvertiti dall’impiegato dell’agenzia. L’indomani avrebbe provveduto l’agenzia stessa. Un calendario di padre Pio era tutto ciò che pendeva dalle pareti delle due stanze ammobiliate. Il suono delle cicale riempiva l’ambiente vuoto di qualcosa che voleva dire: Estate! Eppure di estate sembrava non esserci niente, eccetto il caldo e il dovere che ci si dà di fare i villeggianti. Fuori il vento soffiava discreto. Il buio aveva già coperto ogni cosa. Spense la luce della cucina e anche lui, come tutto intorno del resto, piombò nel buio. Sentiva respirare sua moglie nella stanza adiacente. Lei aveva già preso sonno ed ora lui era completamente solo. Gli piaceva quella sensazione di serena disperazione che ogni tanto l’abbrancava sul principio di ogni cosa che stava per cominciare. Lo sapeva. Se lo aspettava. Era come ricevere la visita di un amico di cui ci si era dimenticati: un po’ di sorpresa, qualche frase di circostanza e la conversazione avrebbe avuto inizio. Ma non era questo che stava in cima ai suoi pensieri; o perlomeno, non solo questo. Lei era ancora li. Sembrava non essersi mossa affatto, sembrava essere rimasta li da sempre. Si era appoggiata con i gomiti sul davanzale e guardava giù dondolandosi in avanti di tanto in tanto. Le anse dei seni le si gonfiavano al ritmo del tempo che lei aveva scelto, quello della risacca quando il mare é calmo e il vento tiepido increspa la superficie dell’acqua. Non aveva spalline, o almeno, sembravano non essercene. Non ci avrebbe scommesso su, ma addosso non doveva portare niente. Lui si avvicinò alla finestra lentamente, si appoggiò con il pube sul termosifone e rimase in equilibrio come una vedetta sul ponte di una nave. Dall’altra parte lei alzò gli occhi lentamente fino a che lui non si sentì trafitto da quello sguardo. Aveva i capelli tagliati pari, lisci, assolutamente neri. Gli occhi sembravano essere due diamanti, neri anch’essi, attraverso cui non era possibile specchiarsi. Lui afferrò la bustina dei fiammiferi, ne accese uno e lo portò bene in alto con un movimento ampio, quindi lo avvicinò alla sigaretta. Lei dall’altra parte smise di dondolarsi, ma i suoi occhi continuarono a fissarlo con tanta risolutezza che lui arrivò a dubitare di essere oggetto di tanta attenzione. Lei abbandonò la testa all’indietro come se alle spalle avesse ricevuto una frustata, poi alzò le braccia con un movimento improvviso, come se avesse voluto afferrare qualcosa al di sopra di lei. Addosso non aveva niente, ora ne era sicuro, e lei voleva mostrarglielo. Lui fu preso da una sensazione di spaventata eccitazione. Si premette tutte e due le mani contro il suo sesso. Si sentiva scoppiare, voleva scoppiare. Si diresse verso la porta e si ritrovò a correre come un pazzo giù verso l’atrio di ingresso. Provò a scuotere il portone della palazzina antistante. Era chiuso. Stava per rivolgersi con lo sguardo alla fila dei citofoni illuminati quando udì un ronzio elettrico seguito da uno scatto secco. La serratura si era aperta. Spalancò di getto il portone, salì le scale tre alla volta. Arrivato sul pianerottolo del secondo piano rallentò la sua corsa. Il pianerottolo era ampio e densamente oscuro. Poteva vedere le spie luminose che segnalavano la presenza degli interruttori a tempo, ma se ne disinteressò. Premette la mano sulla prima porta a sinistra, poi sulla seguente. Quando si voltò per aggredire le porte dall’altra parte del pianerottolo si fermò di colpo: una di queste era spalancata e lui vi era davanti. Dall’esterno poteva vedere ombre di oggetti immersi anch’essi nell’oscurità. Sentì sulla pelle un vento caldo che gli procurò un brivido al contatto col sudore del suo corpo. Varcò la soglia misurando i passi come un uomo nell’atto di entrare dentro una chiesa prima di essere inghiottiti dal buio. Sembrava deserto. Una ‘Settimana enigmisticà giaceva aperta sul tavolo da cucina. Aveva le pagine agitate dal vento, come una vela ancora non issata del tutto. Sentì un singulto proveniente dalla stanza accanto, qualcosa di simile al verso dei bambini che si svegliano di notte dopo aver fatto un brutto sogno. Si era rannicchiata tutta dentro sé, nuda. Sedeva vicino al bracciolo di un divanetto con l’intelaiatura di bambù. Piangeva, ma sommessamente, come se avesse avuto paura di disturbare. Doveva sapere di non essere sola, eppure fece finta di non badare all’uomo che ora doveva stare sul limitare della stanza da letto. Si strinse ancora di più in sé come se cercasse da sola di abbracciarsi in mancanza di qualcuno che potesse farlo al suo posto. Lui si inginocchiò accanto a lei, posò i suoi occhi sopra di lei. Aveva i piedi piccoli, disegnati morbidamente, con le unghie laccate di un verde molto chiaro. I fianchi avevano una forma dolcemente sinuosa, tonda e dolce come la forma delle torte al cioccolato che puoi ricoprire di panna, oppure di cacao fuso. I loro occhi si incontrarono come se non avessero potuto fare altro che incontrarsi. Lei lo osservò con gli occhi bagnati di lacrime, con i suoi risoluti occhi neri. Lentamente lui portò la sua mano sopra quegli occhi, lei gliela prese e la condusse delicatamente lungo il suo corpo giù fino al pube. Premette la mano di lui tra le sue gambe con il desiderio che quell’uomo capisse. Allargò leggermente le cosce chiuse a coppa. Appena percettibilmente strinse le sue labbra come se stesse immaginando di gustare qualcosa di fresco: un frutto maturo, di quelli che raccogli sugli alberi. Lui si divincolò e la prese tra le braccia. Lei aveva addosso un profumo dolce e allo stesso tempo asprigno, come di cannella. La adagiò delicatamente sul letto sfatto, con le lenzuola tirate via in modo disordinato. Premette il suo corpo contro quello di lei, le immobilizzò le mani con una stretta decisa. La baciò. Le sue labbra avevano un sapore fresco, un sapore che gli ricordava la marmellata di albicocche che da bambino mangiava spalmata sul pane. Poi c’era il latte, il cioccolato liofilizzato. Il burro si fondeva una volta spalmato sulla superficie abbrustolita. Scese più giù, le morse i seni coprendosi i denti con le labbra. Erano piccoli, i suoi seni, ma perfettamente proporzionati con il resto del corpo. Lei aveva socchiuso gli occhi, ansimava a scatti, come se non riuscisse a far fluire dentro di sé il fiume di emozioni contrastanti che la attraversavano. Premette il capo di lui verso il basso e questo si lasciò spingere giù, fino al pube coperto di una peluria rada che profumava di umori umidi e teneri, come l’odore che lasciano i temporali quando d’estate l’acqua che scende non basta a saziare la terra secca. Lui prese a massaggiargli le grandi labbra, a bere alla fonte di quel desiderio sconosciuto che non si capacitava di avere mai avuto prima di allora. Lei si agitò in preda a spasmi violenti, urlò una prima volta, poi una seconda. Lo lasciò entrare tenendolo stretto tra le braccia, serrando le gambe intorno al sedere di lui per fare in modo che non uscisse più, che fosse per sempre suo e di nessun’altro. C’era una disperazione strana in lei, qualcosa che sapeva fondere insieme dolore e piacere. è sempre così. Non ce ne accorgiamo, ma é così. Come potremmo, del resto? C’é solo il desiderio che ci lega, l’unico ponte che rimane tra noi e un territorio in cui finalmente ci perdiamo. E lei sprofondò in quella disperazione come se si fosse trattato di un naufrago che fugge dalla scialuppa dei soccorritori. Lui la guardò, teneva gli occhi chiusi, i seni gonfi come arance mature che pregano solo di essere colte. La sollevò senza fatica, la spinse contro il muro e la schiacciò fino a far aderire il proprio corpo contro quello di lei. La sosteneva affondando ben strette le mani sotto i suoi glutei, e strinse, strinse sempre di più. Attaccò fino a che non si gettò di nuovo indietro, sopra il letto alle sue spalle. Lei era sopra di sé ora, ma si muoveva con andature delicate. Si lasciava scivolare le braccia dall’alto lungo tutto il suo corpo in una danza di cui solo lei poteva sentire la musica lieve e delicata. Si gettò di nuovo su di lui, gli morse il mento, affondò i suoi denti sopra le sue spalle. Fu scossa da un brivido che la percosse fino a straziare il suo corpo in tremori violenti. Lui uscì da lei. Lei disse “No” come se stesse pregando. Lui le prese la testa tra le mani e glielo spinse in bocca. Lo prese stringendolo con entrambe le mani, poi con i denti. Bevve tutto il frutto di quell’albero, strinse ancora il pene di lui per farne uscire ancora, raccolse ai lati della bocca altro succo che con le dita ricacciò dentro. Lui era finito in terra ed ansimava come un animale che ha appena finito la caccia. Lei si fece vicino e lo guardò con i suoi occhi neri e risoluti, ma non resistette a lungo. Cercava di capire troppo in fretta, tutto in una volta, e questo le dava uno stordimento a cui piano piano si lasciò andare. Quando si addormentò, fuori stava per sorgere il sole. Lui era già in piedi. Il corpo di lei profumava ancora di cannella. Respirava regolarmente, e nella penombra aveva l’aspetto di una bambina. Avrebbe voluto rivedere aperti i suoi occhi neri e profondi, ma non voleva svegliarla. Era bellissima. Eh già! Ora le sembrava davvero bella. Passò il dito su quell’ansa che si crea nel fianco di una donna quando é coricata di lato. Descriveva una collina che dirada e poi riprende a salire fino ad un monte di cui la vetta si scorge appena.
Sulla spiaggia poteva sentire le cose che sentono tutti. Il rumore del mare, naturalmente. Il vento era già caldo a quell’ora di primo mattino, ed ebbe l’impulso a gettarsi in mare. Sorrise sforzandosi di non pensare, di sentire solo il suono del mare e non quello del suo cervello che aveva fretta di riprendere a funzionare. Non gli erano mai piaciuti gli inizi. Non voleva più iniziare niente, solo vivere. Cominciò a camminare sul bagnasciuga, e, col tempo che passava, si dimenticò di tornare indietro. FINE
