Incontrai Giulia all’appuntamento che ci eravamo dati per telefono. Dovevamo definire alcuni aspetti di collaborazione aziendale, soprattutto sulla pubblicità, dal momento che la sua azienda lavorava molto in questo settore. Le cose andarono abbastanza bene, oltre quanto sperato, così che finimmo con largo anticipo sui tempi che pensavo occorressero. Non solo, ma l’accordo raggiunto mi sembrava del tutto soddisfacente. Pensai che fosse buona cosa invitarla a pranzo. Lei accettò e andammo in un ristorante. Non ostante il periodo estivo, al ristorante si stava bene. Pranzammo all’aperto, sotto un pergolato. Durante il pranzo, i discorsi si fecero meno professionali, maggiormente personali, parlammo di musica, di libri, di teatro. A mano a mano che la conversazione proseguiva, scoprimmo un ampio ventaglio di punti di vista in comune, di gusti simili. L’affiatamento crebbe via via, fino al punto da scivolare, sempre di più, sul personale. Mi raccontò che aveva da poco finito una storia, a causa del fatto che lui aveva trovato un’altra.
“Non so cosa ci abbia trovato … in fondo, con me andava tutto liscio, prima che la conoscesse … andavamo in vacanza assieme, quando i miei erano fuori gli telefonavo perchè mi raggiungesse … spesso, andavamo in qualche albergo fuori città … ” Non sapevo come consolarla, anzi non sapevo neppure se lo volesse. Forse, le bastava poterne parlare. Le chiesi se le mancasse.
“Cosa vuoi, ti manca sempre il rapporto con una persona, ti resta l’amarezza per come è finita … ti chiedi dove hai sbagliato … ti chiedi cosa lei, l’altra, abbia dato di più … Non mi ero mai negata, forse è in questo che ho sbagliato … “, concluse.
“Su, non dire così, non addossarti tutte le colpe … ”
“… Pensa, che mi hanno riferito che l’altra non si sottraeva dall’andare a letto anche con due uomini contemporaneamente o con le donne … mi dicono, che anche lui ha partecipato a questi incontri … plurimi … ” Mi lasciai andare ad una domanda:
“Tu, però, l’avresti fatto? ”
“Mah, non so, dipende … le circostanze potrebbero essere importanti … ma anche le persone. Forse, se si trattasse di persone simpatiche, fidate, pulite … non so, non ci ho mai pensato … veramente … forse avrei anche potuto … farlo … “, si lasciò confessare.
“Ora parliamo di te … non farmi sentire al centro dell’attenzione … ”
“Cosa vuoi, non ho molto da dire … ”
Lei insistette
“Sei sposato, non è vero? … Come va con tua moglie? … Ti trovi … bene? ”
“Mah, … sai com’è … non sempre sono rose e viole … ”
“Ho capito, non te la da … “, constatò francamente. Tutta la conversazione era oramai sulla china dell’intimità, e i nostri discorsi accelerarono lungo questa linea. Quando ci alzammo per lasciare il ristorante, il clima di affiatamento era molto elevato e mi venne la voglia di chiederle se le andasse di fermarci da quale parte, in un albergo discreto. Mi guardò, aveva gli occhi che sembravano sorridere, le sue labbra si incresparono appena, ma non rispose. Si incamminò verso la mia auto, senza dire altro. In auto, si lamentò per il caldo che c’era, ma non fece cenno alla mia proposta.
Ritenni di vedere se quel silenzio significasse adesione e mi diressi verso la periferia. Non disse nulla vedendo che la macchina si dirigeva da tutt’altra parte a dove lei aveva lasciato l’auto. Raggiungemmo la campagna e arrivammo in un albergo lungo la provinciale. Si trattava di una villa immersa in un parco, un posto tranquillo, fuori dalle vie di traffico. Parcheggiai. Lei scese senza dire una parola e si avviò all’ingresso. Ci diedero una camera al secondo piano, posta sul retro. Dalle finestre si vedevano solo i grandi alberi del parco. Il silenzio era assoluto. Notai come, sul retro, vi fossero numerose auto parcheggiate. Lei, dato uno sguardo dalla finestra, accostò le tende. La parete della camera posta sul lato opposto alla finestra era interamente coperta da uno specchio, che rifletteva le nostre figure. Si girò verso di me, guardandomi profondamente negli occhi.
Aveva un’espressione tranquilla.
“Non conoscevo questo posto … è carino … ” Si avvicinò a me, l’abbracciai, lei si strinse aderendo al mio corpo, facendomi sentire il calore del suo corpo. Mi abbracciò a sua volta, le sue mani scorrevano sulla mia schiena. La baciai sull’orecchio, la sentii fremere. Si scostò da me.
“Fa molto caldo, oggi … “, mormorò. Rimase in piedi, ferma, davanti a me. Dopo un momento, aveva cominciato a sbottonarmi la camicia. Quando ebbe slacciato tutti i bottoni, ne tirò fuori i lembi dai pantaloni. Fece in modo da togliermi la camicia, appoggiandola sulla sedia davanti all’improbabile scrittoio specchiera. Prese ad accarezzami il petto, poi si chinò portando la sua bocca e la sua lingua sui miei capezzoli.
Lasciai fare per un po’, quindi passai a toglierle la camicetta, ammirando i suoi seni gonfi dentro al reggiseno bianco, ricamato. Sganciai la gonna sul fianco, abbassai la cerniera, la feci scivolare sul pavimento. Si allontanò da me, distendendosi sul letto. Fin tanto chè mi toglievo i pantaloni, sganciò la chiusura del reggiseno. La raggiunsi sul letto con i soli calzini addosso. Lei prese in mano il mio cazzo, già duro e proteso in avanti, come per accarezzarlo, stringendolo caramente, muovendo la mano lungo l’asta. Le accarezzai i seni, poi scesi lungo il ventre per arrivare alla fica, infilando la mano negli slip. Si lasciò massaggiare la fica per un po’, poi mi allontanò per togliersi lo slip. Denudatasi, mi tirò a sè in un abbraccio pieno di voglia. Mi sussurrò in un orecchio che voleva scopare, in tutti i modi possibili. L’accontentai penetrandola nella fica da davanti, alla pecorina, a forbice. Ci lanciammo in un sessantanove che mi sembrò lunghissimo, senza fine. Mi leccò la schiena, poi giù lungo la colonna vertebrale fino al solco tra le mie natiche. Ricambiai quella leccata, dedicandomi ai suoi seni, al suo ventre, al suo ombelico, in cui infilai la lingua. Si trattò di un incontro ricco e fantasioso, del quale lei si dimostrò pienamente all’altezza, inventando posizioni che non conoscevo, assumendo iniziative che mi eccitavano quanto più erano per me impreviste. Alla fine eravamo sfatti e sudati, ma profondamente rilassati. A turno, facemmo la doccia e ci rivestimmo. Mentre la riaccompagnavo, mi chiese di dividere a metà la camera, cosa che rifiutai, ma lei insistette dicendo che in questo modo si sentiva libera da obblighi. Era un modo per sottolineare come lo avessimo voluto entrambi. Eravamo entrambi adulti e avevamo fatto delle scelte con libertà. E, contemporaneamente, nessuno dei due poteva avere pretese, neppure aspettative per il futuro. Era stato un episodio, una parentesi aperta e subito chiusa. Anch’io insistetti, strappandole come contropartita la promessa di una cena assieme e, allora, avrebbe pagato tutto lei. Ci pensò sù per un momento, poi accettò. Prima di scendere dall’auto, mi diede un bacio su una guancia, appoggiò una mano sulla mia, leggermente:
“Telefonami … per la cena … così saldiamo i conti … “. La risentii il giorno dopo, dovevo accertarmi se avesse avuto l’approvazione della sua azienda su quanto concordato e se avesse predisposto i documenti necessari. Era tutto a posto, mi disse che potevo passare nel pomeriggio per la firma. Mi avrebbe atteso nel suo ufficio. FINE