Non è da molto che lavoro in questo posto e il titolo di studio poco conta davanti all’esperienza dei miei colleghi, perciò faccio lo schiavetto di tutti e colgo quest’opportunità di fare apprendistato.
Lo stipendio non è granché, ma mi permette di mantenermi e questo, per ora, basta e avanza.
Alcuni colleghi sono molto affabili e mi danno una mano a capire cosa e come fare, altri sono piuttosto insofferenti, per parlare di quelli proprio maleducati.
In particolare c’è una collega, ha una decina d’anni più di me ed è di un’antipatia unica. La fede che porta al dito e la foto di un uomo con due bambini sono gli unici elementi, per i quali non si può ritenere che sia una zitella inacidita. Una moglie frustrata? No, non perde occasione per dire a destra e sinistra che è felicemente sposata.
Si comporta da diva ed è piuttosto ordinaria come donna, non è grassa, ha una seno nella media, insomma non ci si volterebbe per strada a guardarla, ma lei si comporta come fosse così, come se l’intera azienda sbavasse per lei.
Un giorno mi soffermo su quella foto, posta in bella vista sul comodino. Il marito non ha l’espressione felice e i due bambini hanno un’aria inespressiva, innaturalmente priva della tipica gioia infantile.
Per venire al dunque, se devo citare un esempio di scarsa collaborazione e di egocentrismo esasperato, quello è lei: la “strega”, come la chiamo io. Per fortuna, come in tutte le favole, dove c’è il male, c’è anche il bene. In quell’ufficio c’è anche una ragazza, molto carina, è slanciata, ha molta personalità, un volto angelico e un personale niente male, nonostante non sia questo ad attirarmi di lei devo ammettere che madre natura l’ha dotata di un culo e due tette da sballo. Lei è della mia età e mi da ben più di una mano ad integrarmi; questo senza che nessuno le abbia detto di farlo.
Mi segue come avessero previsto un affiancamento, mi presenta ai colleghi che non conosco, descrivendomene il carattere e il grado di collaborazione. Mi ha dato le dritte su clienti e fornitori e via discorrendo. I maligni dicono che abbia una cotta per me, ma a me sembra solo una ragazza estremamente gentile.
Insomma ero in questa mia favola una: la “strega”, l’altra: la “fatina”. Io il principe azzurro? No, certamente no, in questa favola non ci sono principi azzurri e principesse da liberare in castello, casomai un drago da combattere e vincere: il mio stato di disoccupato.
Posso dire che il drago per un po’ ha agonizzato, ma poi è morto.
Ieri, dopo alcuni mesi di prova (si scrive interinale, ma si legge prova), ho avuto la ratifica del contratto ottenendo l’agognato “a tempo indeterminato” e, per qualsiasi ragazzo giovane alla ricerca di primo impiego, questo è un momento importante.
Il primo giorno da definitivo. Tutti i miei colleghi mi sono venuti a trovare per congratularsi con me e darmi il loro benvenuto nella “famiglia”. A dire il vero, non proprio tutti; tutti tranne la “strega cattiva”, l’unica che, mi era stato riferito, aveva espresso giudizi negativi sulla mia persona e sulla mia professionalità, senza che io avessi peraltro offerto reali motivi per farlo. Cortese con tutti, impegnato nel lavoro, perfezionista come può essere qualcuno senza esperienza che non vuole e non può farsi scappare un’occasione di lavoro, ma la sua era una di quelle antipatie a pelle che non abbisognano di motivi o spiegazioni. Se qualcosa aveva ottenuto, visto che sono stato assunto nonostante la sua “buona” opinione nei miei confronti, era che, ora, il sentimento di “stima” era reciproco, non perché lei mi stia antipatica a pelle, ma perché me ne ha dato i motivi. Come dire: antipatica a palle, perché era proprio li sopra che mi stava ormai.
La mia “fatina”, invece, è stata la prima a congratularsi Addirittura mi ha inviato a festeggiare questa sera con una “promettente” cena a casa sua, lei ed io soli soletti. Questo mi da ad intendere che la sua simpatia per me sia qualcosa di più di una semplice amicizia; tuttavia sono un ragazzo serio e con la testa sulle spalle, per cui mantengo i piedi per terra e non m’illudo, senza per questo smettere di sperare.
Certo, ritrovarmi assegnato (sbattuto) proprio nella stanza della “strega”, lo confesso non era una delle massime aspirazioni durante il periodo di prova.
Non solo, la “strega” non s’è congratulata con me, ma per tutta la mattinata dall’inizio della comune giornata di lavoro mi ha piantato gli occhi addosso con un’espressione fredda di cui non riesco a comprenderne i motivi o forse sì, probabilmente sta cercando di cogliermi in fallo, per potermi criticare pubblicamente. Già me la immagino a dire in giro:
– Lo avevo detto io che era un incapace, un lecchino adulatore che voleva solo farsi assumere per poi campare di rendita combinando solo casini. –
Con due occhi piantati addosso e il fiato sul collo non si lavora bene, ma finalmente arriva la pausa mensa ed esco, insieme con la “fatina”, a mangiare un tramezzino.
Un’oretta di pace, calma e tranquillità in buona compagnia a fantasticare sui possibili sviluppi della serata.
Appena rientrati dalla pausa mensa, la strega si piazza dritta davanti alla mia scrivania, ecco adesso mi ricopre di giudizi negativi sul mio operato, penso.
– Devo andare in archivio a prendere uno scatolone pieno di vecchi documenti, è pesante e ho bisogno di un uomo che mi dia una mano. –
Magari un “per favore o un “per piacere”? “Sì, signora padrona”, pensai, è ovvio che l’ultimo venuto dove continuare a fare lo schiavetto nero, quasi non avessi altro da fare che andare a raccogliere il cotone ringraziano il padrone per il bicchiere d’acqua e il tozzo di pane.
Attraversando il corridoio, passiamo davanti all’ufficio della mia “fatina”, ne incrocio lo sguardo e le sorrido. Ormai la trovo bellissima! Sono proprio cotto di lei.
Arriviamo davanti ad una porta, la dicitura applicata sopra recita, inequivocabilmente: archivio. Entriamo dentro, uno stanzone enorme, scarsamente illuminato.
Faccio per accendere la luce, ma lei mi ferma.
– Lascia stare, so dove dobbiamo andare, seguimi! –
Mi metto dietro a lei, seguendola passo, passo; sinceramente non riesco a vedere quasi niente, ma lei si muove come fosse a suo agio in quella semioscurità.
“Tutto sommato come donna non sarebbe nemmeno fatta male, peccato il carattere di merda che ha! “, penso. Nella penombra le linee del suo corpo mi si delineano evidenti e, per la prima volta, noto che è una donna; tuttavia la differenza d’età, ma soprattutto l’antipatia che provo per lei, non me l’hanno mai fatta considerare più che un pezzo d’arredamento.
Adesso siamo nell’unico luogo illuminato. Dietro le nostre spalle, un lucernaio fa entrare il sole, che illuminava perfettamente gli scaffali davanti a noi.
La vedo fermarsi, probabilmente lo scatolone è lì.
Posa le mani su una mensola, arretrando i piedi e allargando le gambe, quindi solleva il sedere rimando immobile.
Mi viene un solo pensiero vedendola così, ma non può essere così.
Cerco delle alternative a quel pensiero, ma non lo trovo. Non è orrenda come donna, anzi ad essere onesto si porta bene i suoi anni, ma non provo attrazione per lei, la mia “fatina” è più carina e anch’io provo più di una simpatia per lei.
I secondi sembrano minuti. Lei rimane immobile e non parla, la cosa mi eccita e sono in erezione.
Netto si forma il pensiero che fin’ora ho tentato di fuggire: “vuole che la scopi”.
Le alzo la gonna, rivoltandola sul sedere e infilandola nella cintola.
Lei non si muove e rimane in silenzio.
Scosto le mutandine a perizoma che indossa. Il sole le illumina un sedere niente male.
Lei non si muove e rimane in silenzio.
Abbasso la cerniera dei pantaloni ed estraggo il cazzo in erezione, posandolo tra quelle due natiche esposte ed ostentate.
Lei non si muove e rimane in silenzio.
Forse proprio l’occasione di scoparmi così una persona che mi sta antipatica mi eccita tremendamente.
La penetro senza difficoltà, nonostante non ci siano stati preliminari è completamente dilatata la porca.
Finalmente emette un suono: un gemito che reputo di gradimento.
L’afferro ai fianchi e comincio a muovermi in lei sempre più rapidamente e violentemente.
Lei geme, ma non pronuncia nemmeno una parola.
Non l’accarezzo, continuo a tenerla stretta ai fianchi, senza nemmeno pensare che le possibili conseguenze saranno degli evidenti lividi da dover poi spiegare al marito.
La sento vibrare e godere e penso che è solo una gran vacca.
Non parlo, ma nella mia mente la insulto e sfogo tutta la mia rabbia repressa nei suoi confronti.
Sto per venire, non mi va di portarmi alla fine da solo, non so se vuole prendermelo in bocca. Voglio “farcirla”, sputo sul suo sedere, spalmo la saliva con il pollice sull’ano e la penetro d’un colpo nel culo.
Lei mi lascia insoddisfatto, mi aspettavo un urlo di dolore, invece geme di piacere. La troia probabilmente è abituata ad avere il culo sfondato.
Le mie palle sbattono sulla sua fica, mentre lei resta ferma nella posizione di partenza, senza toccarsi o sfiorarsi.
L’unico segnale che ricevo da lei sono i suoi gemiti di piacere. La cosa mi riempie di rabbia, la troia gode anche nel culo.
Più la sfondo e più gode, allora anch’io allora trattengo il gemito, mentre le riempio l’intestino della mia sborra.
Continuo a scoparla ancora un po’, poi vedo fuoriuscire i coli del mio seme e decido si uscire per ripulirla con la lingua per evitare di sporcare l’archivio.
Quando ho terminato, finalmente si muove. S’inginocchia ai miei piedi e con cura ripulisce il mio pene. Non mi fissa negli occhi, si gode il mio pene come fosse un oggetto a se stante. La perizia del suo pompino non è un gesto d’amore per me, ma per il mio cazzo, quindi per se stessa e l piacere che tutto questo le dà.
Si alza, si risistema mutande e gonna, come niente fosse accaduto, quindi s’avvia verso la porta, ma prima di sparire nell’oscurità mi dice:
– Lo scatolone e quello, grazie. –
Mi risistemo anch’io, prendo lo scatolone, che, in effetti, è molto pesante e torno in ufficio.
Le lascio lo scatolone accanto alla scrivania e torno al mio tavolo per terminare quella giornata di lavoro come non fosse successo niente. Già mezz’ora dopo ritengo che sia stata solo una fantasia, una cosa a metà tra un sogno e un incubo.
È passata più di una settimana e tutto è tornato normale. L’unica novità è, che mi sono messo insieme alla mia “fatina” e che la serata a casa sua s’è conclusa risvegliandoci il giorno dopo insieme nel suo letto.
Oggi è stata una giornata particolarmente dura, gli occhi della “strega” puntati su di me; appena rientrati dalla pausa mensa eccola arrivare alla mia scrivania, si piazza dritta e mi dice.
– Devo andare in archivio a prendere uno scatolone pieno di vecchi documenti, è pesante e ho bisogno di un uomo che mi dia una mano. –
Mi alzo, la seguo e so che, questa volta, non avrò dubbi su cosa lei voglia che io faccia. FINE