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Paris

Passeggiava spesso nella piazza del Sacré Coeur.
Forse anche una volta al giorno, forse di più. Si arrampicava sù per i vicoli di Montmartre, tra quelle case antiche, fino alla chiesa bianca e tonda, in stile “pan di zucchero”.
Da lassù, amava guardare i tetti delle mille case, gli sprazzi di verde in primavera, la nebbia d’argento in inverno. A volte si abbandonava sulla ripida scalinata come dall’alto di un monte alpino, a sentire il vento, e godere il sole quando questo si affacciava tra le nuvole.
Le piaceva osservare le persone, ascoltare i loro discorsi, assistere agli incontri, fantasticare sulle vite altrui. Sogni. Visioni. Illusioni.

Non era bella, almeno non bellissima, forse interessante, un filo affascinante.
E così le capitava di essere a sua volta osservata, spiata, incontrata.
Un insegnante di inglese. Un bancario. Un ambulante del mercatino di Place Louis Lépine, venditore di uccelli.
Tre sue storie amorose erano iniziate su quegli scalini, e forse anche per affetto, ritornava lì.
Un po’ la sua dimensione.

Un passo affrettato e un odore forte di pane. Una baguette si intrufola nei suoi capelli, li tira e un dolore lieve le fa alzare il capo.
è vestito di bianco. Il cappello di paglia sotto un braccio. Un piccolo volpino gli scodinzola intorno e i suoi occhi azzurri, ormai sbiaditi dagli anni, la fissano.
” Mi scusi, mademoiselle.. . ”
Lei sorride, gli porge la baguette caduta sulle sue gambe.
Ha ancora dei lunghi capelli, un po’ grigi, un po’ bianchi, che cadono sciolti sulle orecchie minute e lungo il collo, sulla giacca. Qualche ruga. Un orecchino che brilla, e un foulard fiorato. Mani anziane con unghie curate e vene gonfie che le percorrono.
Un sorriso accennato, a bocca chiusa, un po’ sornione.
Mentre lo guarda, lei lo immagina trent’anni prima, giovane, abbastanza bello, mentre su quegli stessi scalini, si avvicinava a qualche ragazza seduta al sole, come adesso, a lei.

“è qui in vacanza? ”
“.. . Quasi.. . No, studio.. . ”
” Italiana ? ”
“Sì. Francese ? ”
“Non esattamente.. . , parigino ! ”
Scoppiano in una risata. Mai chiedere ad un parigino se è francese.

Lui non si siede e la guarda dall’alto al basso.
Lei pensa sia scomodo, e allora si alza. Vuole continuare quella conversazione.
Da più vicino, riesce a sentire il suo profumo: bergamotto. Non lo sentiva dall’ultima festa del citron, in provenza. Quella sensazione le procura una leggera nostalgia. A Parigi non si sente spesso il profumo di bergamotto, non si beve quasi mai pastis per aperitivo.

” Ora la mia baguette sarà più profumata.. . ha incontrato i suoi capelli neri.. . italiani.. . ”

è ancora molto abile. Allenato ormai da anni al corteggiamento, anche in questa situazione improbabile, con la semplicità dell’esperienza, sa esprimere un complimento, facendolo apparire quasi vero.

“Che cosa studia ? ”
“Grafica, pubblicità.. . ”
“Sì certo, dovevo capirlo dalla sua cartella, toppo piccola per l’Accademia.. . ”
“è il mio book.. . ho avuto un colloquio di lavoro.. . ”
“Sta cercando qualcosa da fare ? ”
“Magari.. . questa città è un po’ costosa per le mie tasche.. . ”
“Sà, io una volta, avrei potuto darle una mano, se ad esempio avesse voluto fare la modella.. .. .. ma adesso, la mia vista non è più quella di prima.. . non riesco più a dipingere per ore.. . ”
“Lei è un pittore ? ”
“Un pochino, sì.. . beh.. . veramente, non ho mai fatto altro.. . ”
Mentre lui racconta, iniziano a scendere giù verso i vicoli, e senza dirselo, vanno via insieme.
“Vuole dirmi il suo nome ? ”
” Francesca, e il suo ? ”
“Yves”
“Yves.. . possiamo darci del tu ? ”
Così dicendo, Francesca prende sottobraccio Yves, mentre sono ormai arrivati in Place Pigalle.
“Ci sediamo un attimo ? ”
“Ma.. . se vuoi.. . possiamo bere un pastis nella mia reggia.. . ”
Una parola magica.
“Ok, va bene.. . ”
Poco più in là il portone di Yves. Entrano.
è buio, ma lei può vedere i grandi quadri alle pareti, un tavolo rotondo nell’angolo, e le mattonelle esagonali e rosse del pavimento.
Yves tira le tende ed ora appaiono anche un divano marrone, alcune librerie, molti scaffali, barattoli di colore ovunque, una macchina fotografica russa sul cavalletto.
“Siediti.. . ”
Francesca cerca una sedia, e ne trova una sotto un cumulo di giornali. La libera, si siede. Yves prepara il pastis. Lo serve sul tavolo rotondo.
“Quanta acqua ? ”
Sono vicini, a lato del tavolo. Bevono.
“è bello ascoltarti parlare Yves.. . parlami ancora.. . ”
Yves racconta. Francesca ascolta, e si accorge che quel parlare, raccontare, descrivere, è per lei come una strana fonte di piacere. Mentre ascolta guarda le labbra di Yves aprirsi e chiudersi, i suoi occhi diventare lucidi, socchiudersi, guardare fuori mentre ricorda.
E i ricordi di lui diventano nettare per lei. Si scopre avida di assaporare quegli scorci di vita di cui, a poco a poco, Yves la sta facendo partecipe.
Le parole di Yves le attraversano la mente, la trapassano, e a poco a poco, diventano solo suoni che la accarezzano, e forse un poco la fanno tremare. Ormai sente solo la voce di lui, ed ha smesso di seguire il senso del discorso.
Un piccolo colpo di vento entrato dalla finestra aperta la riporta in sè da quella specie di trance. Sente il sudore sulla sua schiena e l’umido dei jeans, che hanno tenuto strette le sue gambe per tutto quel tempo.
Da non sa quanto è lì immobile accanto a quel signore anziano e al suono di quella voce gentile.
Si scuote. è incredula. Che cosa le sta succedendo ?
Lui ha almeno quarant’anni più di lei. Come è potuto accadere ? è eccitata. Continua a sudare, ed ora sta arrossendo.

Yves interrompe il suo racconto.

Lei si allunga sulla sedia. Lui si inchina verso di lei.
Mette le sue mani vissute sulle ginocchia di Francesca.
Un respiro più forte degli altri le sfugge, ed ora lui sa che cosa è successo alla sua giovane ospite.
Yves non sorride più, ora ha lo sguardo fermo e serio.
Vorrebbe salire sulle gambe di lei con le sue mani, arrivare alle braccia, accarezzarle il viso, il collo e la bocca socchiusa, ma forse non ricorda più i gesti per farlo.
Lei interrompe la sua immobilità e allunga una mano verso il viso di Yves. Sente sotto le dita le rughe di tutti quegli anni, le conta, e pensa ad ogni altra donna che nel tempo ha fatto quel gesto prima di lei. Lui gira il capo piano e le bacia il palmo della mano. Ma è pieno di timidezza, forse paura e non sa andare avanti.

Allora è lei che lo fa.

Lo bacia ed entra con la sua lingua in quella bocca di saggio che profuma di pastis. Le sembra di entrare in un vicolo buio, un mondo sconosciuto, ma non ha paura. Lui si lascia prendere il viso, e lei inizia ad amarlo.
Mette le mani sotto la giacca di lui, apre la sua camicia per accarezzargli il petto. Quando arriva alla sua pelle l’emozione è troppo grande e i respiri forti di prima, ora diventano sospiri, quasi lamenti.
Anche lui è trascinato nel fiume delle sensazioni che lei sta procurando ad entrambi e si lascia andare all’indietro chiudendo gli occhi.
Non si spostano dalle loro sedie. Nessuno dei due vuole interrompere il filo magico del sogno che stanno vivendo.
Si spogliano piano, e restano nudi uno di fronte all’altro, seduti.

“Chiudi gli occhi.. . ma petite chéri.. . ”

Yves si alza e va a chiudere le tende che prima aveva aperto, ma lo fa solo quando lei gli obbedisce e chiude gli occhi. Non vuole che lei veda meglio il suo corpo e apprenda tutto il tempo che è trascorso sulla sua pelle.
Le ritorna vicino. Si inginocchia davanti alla sua giovinezza.
Ora è meno impaurito e ritrova i movimenti conosciuti.
Apre dolcemente le gambe di Francesca e si inoltra nel sentiero che forse non percorreva da molto tempo.
Respira il suo odore e si lascia accarezzare il viso da peli e carne rosa umida.
Lei è ormai in viaggio per mondi lontani e bastrebbe un gesto più affrettato di Yves per farle scoppiare il ventre e la testa. Si allunga sempre più sulla sedia fino a cadere a terra, sul fresco del pavimento. Allarga tutto il suo corpo come per raccogliere a braccia aperte campi interi di girasoli, branchi di delfini in mezzo agli oceani, milioni di pagine scritte, tonnellate di fogli pieni di vernici colorate.
Lui si china su di lei.
“Apri gli occhi, mon amour.. . vorrei amarti, amarti di più.. . ”
“Fallo.. . ”
“No.. . chéri.. . ora, non posso, non più.. . non come un tempo.. . vorrei che fossi una delle mie donne di allora, vorrei averti ritratta per ore sulle mie tele fino a non poterne più.. . e prenderti così, in terra, qui, su questo pavimento macchiato dei miei colori, i colori della mia vita.. . dei miei quadri, dei miei sogni.. . , ma .. . aspetta.. . ”
Si alza e lei lo sente frugare tra le mille cose accatastate in giro.
Quando torna, lei può notare un oggetto tra le sue mani. Un fallo. Forse di cuoio, con un ingegnoso intreccio di lacci, pronto per essere indossato da un uomo pieno di desiderio.
Glielo mostra.
“Vuoi? .. . ”
“Voglio sentirti dentro di me.. . ”
“Ma non sarò io.. . ”
“Sarà la tua voce a penetrarmi.. . parlami.. . e mi avrai.. . come prima.. . ”

E lui indossa il fallo di cuoio, sale su di lei, e si avvicina al suo orecchio.
Sottovoce ricomincia il racconto. Ed entra dentro di lei.
è nel suo corpo, ma ancor di più nella sua mente.
E lei sogna, cullata dalle sue parole.
E il sogno di lei diventa il sogno di lui.

“Ti ricordi quando ti appoggiavo al vetro della finestra nelle notti piene di luna.. . ? .. . mi piaceva studiare le ombre sui tuoi seni, e la linea che quella luce disegnava sulle tue cosce.. . e poi, il giorno dopo, accendevo tutte le candele, al buio, per ritrovare le stesse emozioni, e trasportarti sulla mia tela bianca, e riempirla di te, delle tue forme.. . ”

” Sì, .. . mi scoppiava il cuore.. . riuscivo a leggere me stessa nelle tracce lasciate dalle tue pennellate.. . , scoprivo parti di me sconosciute, impronte della mia anima vaganti tra le tue vernici, i tuoi segni, i tuoi colori.. . ”

“Baciami.. . Yves.. . , accarezzami gli occhi e la fronte.. . fammi sentire il calore delle tue mani.. . ”
Yves esce da lei, e si abbassa per raggiungere la carne rosa di lei con la sua bocca, e succhiarla.
Lei, sua modella, spalancata, si offre al suo studio sapiente, e urla il suo orgasmo sognato sulle pareti della stanza, e fuori dalla finestra, nei vicoli.

“Vieni.. . mia piccola modella italiana.. . ”

Le porge il fallo di cuoio, e lei lo indossa.
Yves si appoggia alla finestra aperta sui vicoli, e lei si piega piano su quella schiena antica, fa scorrere le sue mani fino alle spalle curve, e con tutta la delicatezza che trova in sè, inizia a possederlo lentamente.
Yves guarda i tetti e la nebbia che sale. Francesca è dentro di lui, e con un mano scivola dalla schiena ad accarezzare quel pene ora vivo e forte, come un tempo.
Lo sperma che arriva le inonda la mano come una crema preziosa e lei gira e rigira intorno per raccoglierlo tutto. Risale la schiena di Yves, e lo sparge su di lui fino al collo e alle orecchie. Lo lecca e assapora, insieme al sapore della pelle, piena di rughe.

è giorno ormai.
Yves, Francesca e il piccolo volpino, escono in strada, nei vicoli.
Salgono sù, verso il monte.
E possono vedere tra i tetti, la cima del loro sogno, la cupola bianca del Sacré Coeur, in stile “pan di zucchero”. FINE

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