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Prestazione indecente

Sono trascorse poche ore da quando sono scesa dall’aereo, che mi ha riportato in Italia dopo una lunga vacanza trascorsa sulle spiagge assolate del Mar dei Caraibi.
Una corsa veloce in autostrada dalla Malpensa fino a Modena. Il tempo di scaricare le valigie, una pisciatina, una doccia ristoratrice, un pasto frugale, ed eccomi pronta, puntuale, a prendere servizio fra non più di un’ora in ospedale.
Una vacanza programmata da tempo, che avevo sempre rimandato perché Cinzia, mia compagna di viaggio, non riusciva ad ottenere ferie concomitanti alle mie.
Fare l’infermiera è un mestiere difficile. L’ambiente di lavoro è segnato dalla sofferenza, dal dolore e da orari di lavoro stressanti. Si lavora su tre turni giornalieri Natale, Capodanno e festivi compresi. Un lavoro ricco di soddisfazioni, ma molto logorante. Ho appena venticinque anni e sinceramente non so per quanto tempo sarò ancora in grado farlo.
Attraverso la città a bordo della mia Opel Tigra. Le strade a quest’ora di sera sono poco trafficate. Dopo una decina di minuti raggiungo l’ingresso dell’ospedale. Parcheggio l’auto e a piedi raggiungo la clinica. Manca un quarto d’ora alle dieci, quando raggiungo lo spogliatoio.
Mi svesto dei miei abiti comprese calze e reggiseno. Dopo aver riposto i miei abiti, nell’armadietto, infilo le autoreggenti bianche e indosso camice e grembiule bianco. Sotto la divisa tengo solo le mutandine di seta bianca.
Preferisco non indossare il reggiseno, sia per essere più libera nei movimenti, sia per una questione di pulizia e igiene, ma soprattutto perché la consistenza dei miei seni è tale che non ne guadagnerebbero esteticamente più di tanto. Le mie tette non sono enormi, come quelle di certe maggiorate che appaiono giornalmente su riviste patinate e televisione, ma sono sode, salde, verso l’insù.
In poco tempo finisco di vestirmi, senza tralasciare di tenere leggermente aperto qualche bottone sulla scollatura.
Mancano pochi minuti alle dieci quando giungo in reparto. Le mie colleghe sono raggruppate in guardiola nell’attesa del mio arrivo.
– Ciao a tutte, novità? –
Gli dico appena mi affaccio sulla porta della guardiola.
– Cavolo come sei abbronzata –
Mi fa Giulia, tutta sorridente
– Sembri Naomi Campbell –
– Complimenti, devo dire che questa vacanza ti ha fatto proprio bene – l’interruppe Eleonora.
La conversazione andò avanti per alcuni minuti secondo i rituali canoni delle chiacchiere fra donne. Mi chiesero se la vacanza era stata bella, se mi ero divertita, e se avevo conosciuto qualche bel ragazzo.
Pensai che non era opportuno raccontare le mie avventure, per cui preferii cambiare argomento.
– Parlatemi del reparto piuttosto- dissi, interrompendo i loro discorsi, mentre nel frattempo avevo iniziato a scorrere le pagine del quaderno delle consegne.
– Tutto tranquillo? Oppure ci sono novità? –
– No! Nessuna novità, la nottata dovrebbe essere tranquilla, anzi ormai è ora che ce n’andiamo – mi fa Giulia, infilando a tracolla la sua borsetta ed avvicinandosi alla porta d’uscita.
– Ah dimenticavo di dirti che la stanza dei carcerati è occupata da un detenuto, niente di grave, ha solo due polsi rotti che gli sono stati ingessati –
– Domani mattina dovrà eseguire un piccolo esame di laboratorio, in ogni modo troverai ogni spiegazione sul quaderno dei prelievi –
Così dicendo, si lasciarono entrambe sfuggire un sorriso sibillino e con un cenno della mano mi salutarono.
Fortunatamente il periodo che precede il Natale, per il nostro reparto di chirurgia, è tempo di riposo. Poche sono, infatti, le persone che scelgono di farsi operare durante le feste natalizie ad eccezione dei casi urgenti.
Onde evitare spiacevoli sorprese, prima di mettermi a leggere le consegne, eseguo un breve giro del reparto per verificare che tutti riposino tranquillamente.
Davanti all’ingresso della camera che custodisce il detenuto, due guardie carcerarie stanno sedute sulle seggiole conversando e fumando una sigaretta.
In quest’ospedale esistono due camere adibite alla custodia di pazienti detenuti. Una è situata presso il reparto di medicina, l’altra è qui in chirurgia. Entrambe hanno solide inferriate alle finestre e contengono un letto singolo
– Che reato ha commesso il vostro detenuto? – gli domando con finta noncuranza.
Uno dei due, il più giovane, mi guarda con aria perspicace.
– Non si preoccupi signorina, non ha niente da temere, è solo un povero diavolo. Per difendersi dall’aggressione di due albanesi ha spaccato la testa ad uno di loro. Fuggendo però è caduto fratturandosi entrambi i polsi. –
Entro nella camera, la luce è ancora accesa. Sul letto sta coricato un giovane di circa trent’anni di carnagione scura, capelli bruni, forse alto circa un metro e ottanta.
– Buonasera, tutto bene? –
– Si! Grazie, nessun problema – mi fa lui.
Di certo non ha molta voglia di conversare. Lo saluto con un sorriso e gli auguro la buonanotte.
è giunto il momento di aprire il quaderno delle consegne e preparare tutto l’occorrente per i prelievi, che dovrò eseguire il mattino successivo. Si tratta perlopiù di inserire delle etichette sulle provette, contrassegnandole con nome e cognome del paziente, e il tipo d’esame richiesto.
Un lavoro noioso che preferisco, di solito, eseguire all’inizio del turno di lavoro.
Scorro velocemente l’elenco degli esami ed inizio ad incollare le etichette.
Un sussulto mi coglie quando leggo il tipo d’esame cui deve essere sottoposto il paziente del letto numero 15, quello del detenuto e non posso fare a meno di rimanere esterrefatta.
La richiesta del medico è chiara, non ammette false interpretazioni.
ESEGUIRE AL SIG. GIANCARLO FERRARI PRELIEVO PER ESAME DI SPERMIOGRAMMA E SPERMIOCOLTURA.
L’esame consiste nel far eiaculare lo sperma e depositarlo in una boccetta sterilizzata.
Il problema insorge dal momento che il paziente, in questo caso il detenuto, ha le mani e le braccia ingessate!
– Ci fossero almeno presenti la fidanzata o una parente qualsiasi – penso io.
– Mica posso chiedere alle guardie carcerarie di fargli una sega! -.
Alla luce di questa scoperta estraggo immediatamente la cartella clinica dall’armadio, dove è riposta insieme a quelle di tutti gli altri pazienti, e verifico che il paziente non soffra di malattie infettive.
Leggo con cura l’anamnesi del medico. I risultati degli esami di sangue ed urine sono nella norma.
Sono ormai le due di notte, mancano ancora alcune ore all’alba.
A tutti i costi devo trovare una soluzione al mio problema o inventare qualcosa.
– Come diavolo faccio, mica posso presentarmi da lui e dirgli: stia comodo sul letto, calmo e disteso che ora le faccio una bella sega! –
– E poi, un conto è masturbarsi da soli.. Si! Perché quando ti accorgi d’essere prossimo all’eiaculazione afferri la boccetta e ci schizzi il tuo seme all’interno, ma in questo caso quello lì le mani non le può usare! –
– Potrei trovare un preservativo, ne ho sempre qualcuno nella borsetta. No! Impossibile potrebbero non essere sterili -.
Dando ormai per scontato che la sottoscritta per poco più di due milioni di stipendio il mese dovrà masturbare quel tizio, sarà bene almeno che reperisca tutto il materiale utile ad effettuare la prestazione.
Per prima cosa è indispensabile che trovi un buon sapone liquido detergente, he mi sarà utile nell’eseguire il lavaggio del pene, soprattutto per quanto riguarda la pulizia del glande. Dopodiché mi occorre una salvietta pulita per asciugarglielo dopo la prestazione. Dovrò anche procurarmi un paio di guanti in lattice, che indosserò al momento dell’intervento. forse sarà meglio me ne procuri anche un altro paio di riserva, non si sa mai.. Infine devo procurarmi il barattolo di plastica sterile, dove far defluire il suo seme.
Leggendo più attentamente la cartella clinica apprendo che il paziente è già stato avvertito dell’esecuzione dell’esame. Peccato che a parità di diritto non sia stata avvertita anche la sottoscritta. Ora capisco il perché di quel saluto sibillino da parte di Eleonora e Giulia al momento del commiato.
La notte ora sembra più lunga a morire e il pensiero della prestazione, che mi attende all’alba mi è compagna sgradita.
Le prime luci del mattino fanno capolino fuori della finestra. Il carrello con tutta l’attrezzatura è pronto.
Davanti alla porta del detenuto le due guardie carcerarie, semi assonnate stanno puntellate col capo al muro nell’attesa che anche per loro giunga il cambio di turno.
Le gambe mi tremano, i battiti del cuore pulsano a ritmo accelerato.
Prima d’aprire la porta della stanza avverto le due guardie di non entrare, poiché devo sottoporre il detenuto ad un esame molto particolare, senza spiegare in cosa consista.
Il detenuto è ancora addormentato. Con una mano gli scrollo la spalla.
– Signor Ferrari, si svegli, è mattina, dobbiamo eseguire quell’esame che le ha prescritto il dottore ieri in visita. –
Lui si rigira e si pone disteso a pancia in alto.
– Mi dica signorina come mi debbo mettere, qual è la posizione più comoda per lei –
Ora lo guardo più attentamente in viso. I caratteri sono quelli di una persona distinta e assai curata, un uomo dal viso dolce e sereno. Gli occhi di colore marrone scuro, sono quasi coperti da una frangia di capelli che scendono lungo la fronte.
– Non si preoccupi e lasci fare tutto a me –
– Per prima cosa scopra le coperte ed abbassi pigiama e mutande trascinandole fino ai piedi –
Un lieve sorriso comparve sulle sue labbra.
– Se fossi in grado di fare queste operazioni allora sarei anche capace di effettuare l’esame da solo – sospirò
– ma con le mani ingessate non sono in grado di farlo –
– Ci penserò io – gli risposi.
Gi afferro contemporaneamente gli elastici del pigiama e delle mutande ed in un solo strattone glieli abbasso.
Quello che apparve fu qualcosa di strabiliante. Se nell’universo esiste la perfezione, allora, quell’oggetto fino a pochi istanti prima nascosto sotto lo scudo del pigiama, rasentava la perfezione assoluta.
Sicuramente non riuscii a nascondere l’emozione che mi prese, anche perché la mia voce si fece flebile ed affannata.
In mezzo ad una foresta di peli neri, un fallo armonioso di colorito bruno faceva bella mostra, in tutta la sua maestosità. Le dimensioni a riposo erano ad occhio e croce di circa 15-18 cm. Una splendida bestia insomma.
– Ora signor Ferrari procederò alla pulizia del suo pene, lei stia rilassato che finiremo in un attimo. –
Infilati i guanti in lattice, inizio a cospargere su ad una garza alcune gocce di una soluzione di clorexidina, un sapone disinfettante, utile per lavaggio della cute.
Attorno all’area da lavare, dispongo alcune tele di stoffa verde, di quelle che di norma si usano durante gli interventi operatori.
Finalmente inizio a lavare il suo membro, frizionando la parte più prossimale, quella vicino alla radice, con molta delicatezza. Dopodiché,
spostandomi sullo scroto, noto che ha un colorito ancora più scuro del suo membro ed un piccolo neo fa bella mostra sul testicolo di destra. I movimenti della mia mano scorrono dalla linea perineale, vicino al suo sfintere, all’insù avvolgendo di schiuma le sue palle.
Un lieve fremito delle sue gambe giungeva ogni tanto a testimoniare la sua irrequietezza e ipersensibilità.
Con delicatezza afferro con la mano sinistra il suo membro, mentre con le dita dell’altra mano inizio a frizionare con una garza il glande.
Il seppur breve e delicato strofinio aveva aumentato notevolmente le dimensioni del suo membro. I corpi cavernosi si erano riempiti di sangue e il battere ritmico delle pulsazioni era così forte da renderlo percettibile alla mia mano.
Dopo aver terminato questa prima fase, con la garza imbevuta d’acqua tiepida, tolsi il sapone depositato sulla superficie della sua pelle e mi apprestai ad iniziare la parte più difficile del mio compito.
– Ora signor Ferrari andrò ad eseguire la parte più delicata. Quando lei avrà la sensazione di eiaculare, mi avverta per tempo che io, mi premurerò di afferrare il contenitore sterile, nel quale far defluire il suo sperma –
Il mio respiro già affannoso, si fece ancor più ingombrante. Le mie mammelle erano gonfie come cocomeri, i capezzoli, ora turgidi, penetravano il bianco candore del mio camice.
Afferrai con cura quel dolce oggetto che per la sua grandezza e la consistenza, assomigliava ad una verga.
Con cura e delizia iniziai a masturbarlo. I movimenti furono all’inizio lenti ma decisi.
Mi ero posta di fianco al letto, con le spalle leggermente girate al paziente, in modo da non sentirmi troppo in imbarazzo.
Non avevo più parole, ora la saliva scorreva copiosamente nella mia bocca ed iniziai a deglutirla.
Fra le mie cosce potevo sentire l’umidiccio delle mie mutande di seta impregnate dell’umore dalla mia passera in calore.
Non riuscivo più a dominarmi, il movimento della mia mano che all’inizio era dolce e delicato, accelerò seguendo lo stato della mia eccitazione.
Avrei voluto disfarmi dei guanti e gettarli dalla finestra, afferrare con le mani nude quel gioiello della natura, succhiarlo, lambire con la lingua il suo glande per poi ingurgitarlo fino alla radice.
Per facilitare l’eiaculazione, con la mano libera iniziai a trastullargli i testicoli, che ora erano gonfi e consistenti come due palle da tennis.
Furono momenti d’irrefrenabile piacere. Il suo enorme glande era ora viola, non dalla vergogna ma dall’eccitazione. Le dimensioni della sua verga avevano ora raggiunto il massimo vigore, sembrava un cannone.
Presa da questi pensieri fui riportata alla realtà dalle parole del detenuto:
– Vengo. vengo – bofonchiò l’uomo.
Feci appena in tempo ad afferrare il barattolo, che subito l’uomo iniziò ad avere i primi fremiti di piacere, fino ad eiaculare.
La sborra scendeva copiosa dall’orifizio uretrale, depositandosi nel contenitore. La mia lingua avrebbe voluto ingoiare tutto quel ben di Dio.
Solo a stento mi trattenni.
Terminato l’esame, provvidi ad asciugare il membro, dopodiché gli tirai su pantaloni e mutande, ricoprendolo di nuovo con il lenzuolo e depositai sul carrello il barattolo.
Rimirandolo costatai che doveva contenere circa 5-6 cm. cubi di sperma. Mi tolsi i guanti di lattice, mi girai verso di lui e gli dissi; – Ciao! – ed uscii dalla stanza.
Vivo costantemente circondata dalla sofferenza e dal dolore ma non riesco a farci l’abitudine. Ecco perché ho tanto bisogno d’amore. FINE

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