In ogni città esistono quartieri nei quali nessuno vorrebbe abitare. Di solito si attraversano queste zone in automobile, per uscire dalla città, e da dentro l’abitacolo si lanciano occhiate malinconiche sullo squallore che si vede al di là del proprio finestrino. Qui tutto appare sporco e grigio, anche in una splendida giornata di maggio. Ma c’è anche molta gente che in questi quartieri viene volentieri. Sopratutto di notte. C’è addirittura chi viene dalla provincia vicina, appositamente per cercare qualcosa, qui, in questa periferia. Ma io abito proprio al centro di questa periferia; e l’attrazione principale, neanche lo immaginate, è l’incredibile quantità e varietà di prostitute che animano le notti di questa terra bruciata. Dalla finestra di casa mia controllo tutta la strada, in entrambe le direzioni, per centinaia di metri, per dozzine di lampioni, per decine di minigonne vertiginose. Dovete sapere che tutti gli abitanti della zona non tollerano l’andazzo che queste “operatrici” causano, non sopportano che sia proprio il “loro” quartiere ad essere al centro della cronaca. Mia madre dice sempre – Se non ci fossero quelle lì, questo sarebbe un quartiere rispettabile. Ma più loro le spregiavano, più a me piacevano. Tanta gente fà dei chilometri per venire fin qui, ed invece io le ho a portata di mano; pensavo che sarebbe fantastico potermi affacciare dalla finestra e invitare a salire in camera mia la più bella e giovane di loro. La tentazione di soddisfare alcuni dei miei più intimi desideri con una di loro era molto forte. Non l’avevo mai fatto, ma quella sera capii che l’occasione era giusta: i miei genitori, i vicini di casa e mezzo quartiere si sarebbe riunito in assemblea. Assemblea organizzata dal Comitato Spontaneo per la Salvaguardia del Nostro Quartiere dal Fenomeno Dilagante della Prostituzione. Sapevo già chi sarebbe stata la prescelta: una splendida ragazza di colore, appena arrivata. Ieri è stato il suo primo giorno, e nessuno l’ha caricata, anche perché ad una certa ora è scesa una nebbia fittissima, ed io dalla finestra a mala appena riuscivo a distinguere l’ombra del suo corpo statuario sotto la luce ambra del lampione. Avevo già pianificato tutto: arriverò da lei in macchina, potrei andarci a piedi ma ho paura che qualcuno possa riconoscermi, le chiederò il prezzo, anche se sò già che trentamila saranno più che sufficenti, la farò salire in macchina e le dirò che la porto in un posto che sò io; farò un percorso strano con la macchina giusto per disorientarla, mi infilerò nel vicolo buio di casa mia, e poi su in casa dall’ingresso che c’è in garage. Tutto calcolato, niente può andare storto. Il sole indugia sull’orizzonte, i miei escono di casa, ed io tutto profumato mi affaccio alla finestra, la mia bella non è ancora sotto il suo lampione. Prendo la macchina e mi dirigo verso il luogo dell’incontro, ora la vedo: è appena arrivata, sta armeggiando con entrambe le mani sotto la minigonna, come a sistemarsi in qualche modo il body di pizzo che sembra indossare. Sono un po’ emozionato, ripasso la parte mentalmente, rallento. Ma: cazzo! chi è stò stronzo? … Un tipo con una BMW si blocca davanti a me, lei si avvicina al suo finestrino, parlottano, contrattano. Nooo, questa non ci voleva! Merda, và tutto a puttane così! Attendo dieci lunghi secondi, mi innervosisco, metto la freccia per superare la BMW e al diavolo la scopata di stasera. Faccio per partire e quello davanti a sua volta parte con un’accelerata furiosa, ma la mia bella è ancora lì. Retromarcia. Mi avvicino a lei, il finestrino è gia aperto, le dico – Sali! – Lei mi guarda con due occhi da antilope, si scosta le lunghe treccine dalla fronte e mi dice – cinquanta boccafica – Non mi scompongo: – Trenta. Dai sali, io sono buono -, chissà perché le dissi così, “io sono buono”, che cazzata. Comunque funziona, lei sale in macchina, mi vuole indicare una strada, le dico che la porto io in un bel posto. Non l’avessi mai detto. La mia antilope si trasforma in una pantera, mi urla cose che non capisco, è più agitata di una mandria di bisonti, tenta di afferrare il volante, mi agito anch’io, le dico di calmarsi. Si tranquillizza solo quando accosto al bordo della strada. A questo punto, – addio scopata con questa bella figona – penso. Lei fà per uscire dall’auto, io l’afferrò per un braccio, mi accorgo di stringere un bicipite turgido, voluminoso, e guizzante come un anguilla. Ha già messo un piede fuori dal veicolo, e con uno strattone si divincola dalla mia presa. Gioco lì tutte le mie carte, in una frazione di secondo mi viene in mente la sola cosa che può farla risalire in macchina. Le dico – Centomila! Ti dò centomila. – La parola “centomila” è effettivamente magica, mi dice di pagarla subito e così sulla savana ritorna la pace. Risale in macchina senza dire una parola, resta in silenzio un minuto, io intanto faccio il percorso strano per non farle ricordare la strada per casa mia, poi improvvisamente si gira verso di me e con un’aria serissima, quasi minacciosa, mi dice – No culo! Io non prendere in culo! , capisce? -. Lascio i suoi occhi e torno a guadare la strada, annuisco col capo, non riesco a sostenere il suo sguardo. Svolto velocemente nel vicolo buio, siamo arrivati, scendiamo dall’auto, una finestra del secondo piano è illuminata; ci infiliamo repentinamente in garage, da lì in casa. Il ticchettio dei suoi tacchi alti risuona nel corridoio dell’appartamento, entriamo subito in camera da letto. Ci guardiamo come due adolescenti alle prime armi, ed in effetti lei è ancora un adolescente, sedic’anni forse diciasette. Le chiedo se ha sete o fame, con un sorriso mi dice no; lascia cadere la sua borsetta ricamata di perline colorate sulla poltroncina, con un gesto leggero si slaccia la gonna, sono quasi incredulo quando vedo le sue lunghe gambe in tutto il loro splendore. Io sono imbarazzato, mi spoglio e poi goffamente cerco di sfilargli il body, mi fà capire che sà fare anche da sola. Io mi lascio cadere sul letto, lei è di fronte, le ammiro i seni, deliziosamente a punta, il pube nerissimo, come uno schizzo a carboncino. L’avvicino a me e subito le mie labbra sono attratte dai suoi capezzoli. Ne succhio per bene uno, le stringo forte il seno con la mano e cerco di infilarmelo il più possibile in bocca. Lei è seria, rigida, ma mi lascia fare. Mi adopero per coinvolgerla almeno un poco. Le mordicchio i capezzoli mentre con le mani, partendo dai ginocchi, le accarezzo le coscie, su fino ai fianchi, poi con un gesto avvolgente le massaggio le natiche, con le dita esploro il solco del suo culo, poi con una mano continuo il tragitto, le sfioro l’ano, ma mi fermo. Lei, prosaicamente mi dice – Dai, adesso noi scopare – Sono veramente eccittato, sento la cappella che mi stà per scoppiare, la prendo per i fianchi e la butto sul letto di fianco a me, con la mano aperta le accarezzo il basso ventre, e col dito medio le arrivo a toccare le labbra della vagina, sono ancora strette, asciutte, quasi indifferenti. Io non la eccito affatto, secondo me non vede l’ora di andarsene. L’accetto come una sfida, riuscirò a farla sciogliere, mi dico. Lei sempre più materialmente – Tu scopa me, fare presto – Incurante delle sue parole le allargo le gambe, continuo ancora ad accarezzarle la vulva, avvicino il capo e inizio a passarle la lingua su e giù, le umidifico la strettoia accuratamente, sotto la lingua sento che la carne sta per cedere, con i polpastrelli mi rendo conto che ora è tutto più caldo, sento che l’umido non è dato solo dalla mia saliva, è un umore che sgorga dall’interno di quel dolce antro. Soddisfatto alzo il capo e la vedo con gli occhi socchiusi, il capo volto all’indietro, anche la bocca è socchiusa e intravedo la lingua che cerca di assaporare qualcosa di indefinito sulla superfice delle labbra. Vorrei penetrarla, ma questo gioco mi piace moltissimo, voglio prolungarlo il più possibile. Se la fotto adesso devo mettermi il preservativo e rovinerei l’atmosfera. Il preservativo. Le ho appena leccato la figa, capirai, a cosa mi serve più il preservativo? Ma no. Scaccio via questi pensieri dalla mente. La mia antilope è una ragazza sana, si vede, non ha malattie, è troppo giovane, è troppo bella. Ormai ho tolto il freno, con la punta della lingua traccio il perimetro del suo clitoride, lei mi accarezza la testa. Dimena i fianchi e il bacino per trovare un ritmo, sento anche alcuni lievi gemiti. Dopo alcuni sospiri profondi mi tira su la testa per i capelli, ma molto dolcemente, scivola verso di me, sinuosa come un cobra, strofina i suoi seni contro il mio sesso, sulla cui punta luccica una perlina traslucida. Il suo movimento si conclude ai piedi del letto, si inginocchia sul pavimento. Io mi siedo davanti a lei, mi accarezza le coscie con entrambe le mani, poi l’inguine, con una mano cerca di afferrare i testicoli, vuole riempiere il palmo della sua mano con il mio scroto, per facilitarle il compito mi alzo in piedi. Mi esamina accuratamente ogni venuzza del mio cazzo. Ha ancora le mie palle in mano e sento che me le sorregge, le ha avvolte con le sue lunghe dita, e avverto anche una lieve pressione, ritmicamente, come un massaggio. Lei non ci pensa sù due volte, non me ne accorgo neanche, e tre quarti della mia asta scompare in un caldissimo bacio. Mi stringe ancora di più i testicoli, con l’altra mano tiene salda la base dell’uccello. Avanti e indietro, pompa che è una meraviglia, io stò quasi per venire. Ho le mie mani appoggiate sulla sua testa, e fin’ora io ho dettato il ritmo. Ora i miei sensi si stanno confondendo, lei ha preso un ritmo tutto suo, accelera e poi quasi si ferma, sento la pressione delle sue dita aumentare sui testicoli, sembra che li voglia strizzare, quasi per spremere tutta la linfa. Sento anche che mi stà affondando le unghie nella pelle, sopratutto lì sotto, dove tutto è così delicato. Anche con l’altra mano aumenta la pressione, mi sta strozzando il collo del pene, anzi lo tira come se volesse mungere una vacca, mentre con le unghie sta cercando di forarmi l’inguine. Non sento più la capella sotto il suo palato, forse è più giù, fra le sue fauci. Cerco di sfilarmi da lei facendo leva con le braccia contro la sua testa, ma lei non molla. Mi tiene per la palle, mentre con la bocca continua ad aspirare. Non riesco a svincolarmi e sembra che il mio cazzo si stia fondendo con il suo esofago. Sono sul punto di eiaculare, ormai tutto il mio corpo è scosso da fremiti incontrollabili, mi manca il respiro, e credo di avere le mani gelate. Dolore e orgasmo si avvicendano in una gara che è ormai arrivata al giro finale, ognuno dei due antagonisti cerca di prevalere sull’altro. Trattengo il respiro alcuni secondi per esplodere in un urlo atroce, ha vinto il dolore. Mi risveglio come da un sonno lungo una vita, sento la pressione delle mandibole della troia che stanno per recidere il mio solo ed unico cazzo. I suoi maledetti denti da squalo stanno affondando nella turgidità del mio sesso. Colpisco violentemente la mano che mi stringeva i coglioni, le sue lunghe unghie mi incidono lo scroto logitudinalmente come un coltello taglia la buccia di un’arancia. Poi con la mano sinistra le affero la mandibola inferiore, con l’altra mano le spingo la testa all’indietro nel tentativo di liberarmi dalla sua morsa. Urlo disperato come un animale finito nella trappola di un bracconiere. Infilo le dita della mano destra sotto il suo labbro superiore, cerco di tirare con tutte le mie forze, quasi a strappargli la faccia. Con uno sforzo congiunto di entrambe le braccia riesco a astrarre il mio cazzo dalla sua bocca, da cui fuoriesce una disgustosa sbavata di sangue, saliva e sperma. Ancora inginocchiata si dimena come un’indemoniata, cerca ancora di aggredirmi, mi lancia unghiate furiose, mi morde la coscia. Mi ritraggo e le assesto una violenta pedata in pieno petto, sotto il tallone ho l’impressione di sentire qualcosa che si spezza. Forse le ho incrinato qualche costola. Cerco di tamponare la profonda ferita con la mia maglietta, il sangue sgorga copioso. La puttana si è trascinata verso i miei pantaloni che avevo gettato in un angolo, non le sue mani sudice mi arraffa il portafoglio. Non me ne curo, mi catapulto in bagno, cerco di tamponare l’emoraggia. Sono sul punto di svenire ora. Mi siedo sul bordo della vasca, ho paura, non so cosa fare. Sento la troia che corre fuori dalla mia stanza, urta contro alcuni mobili, rumori di oggetti fragili che si infrangono al suolo. Il mio primo respiro dopo quell’inferno coincide con il rumore della porta che sbatte. Quella troia schifosa è sparita, con essa il mio portafoglio e chissà cos’altro. Mi guardo fra le gambe. Ha cercato di portarmi via anche questo. Ma per fortuna è ancora attaccato, ridotto male ma c’è l’ho ancora attaccato. Dopo il dolore lo sgomento, la mia stanza è ridotta come un mattatoio, le bomboniere di mia madre sono sparpagliate sul pavimento come coriandoli di porcellana. Cosa dirò al medico del pronto soccorso. Cosa gli racconto? Che me l’ha morsicato il gatto? FINE
