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Una giornata in ufficio

Delle donne ho sempre avuto una grossa considerazione. Le reputo più intelligenti, più capaci, più simpatiche, più forti. Ma, purtroppo, vi sono anche donne che non hanno tali pregi. Una di queste ultime è una mia collega che per il terzo giorno non si presentava al lavoro e mi costringeva, quindi, a sostituirla allo sportello: una desolazione, considerato che il tutto si risolveva a smistare chi arrivava o ad altri sportelli o agli uffici interni. Se a questo si aggiunge che il posto dove lavoro è frequentato da persone tutt’altro che giovani e piacenti capirete il mio stato d’animo quel mattino.
Così, mentre svogliatamente tiravo avanti a far passare la giornata, cercando di essere il più gentile possibile con chi mi capitava a tiro, la mia attenzione fu catturata da una signora che era in coda davanti a me. La fila abbastanza lunga mi diede il modo di guardarmela per bene: di media statura, snella ma non troppo, bionda con i capelli a coda di cavallo, una camicia di una bella tonalità di giallo, la larga gonna a fiori che lasciava indovinare il profilo delle gambe, insomma una gran bella donna. Vedete, il lavoro è sempre lavoro e un brutto lavoro è sempre un brutto lavoro ma se lo devi fare con una persona che ti va a genio le cose migliorano di molto. Venne il turno della bella signora ed io già invidiavo il collega al quale avrei dovuto indirizzarla. Ma, quando si dice la sorte, la signora cercava proprio di me. Le aveva consigliato di contattarmi un mio conoscente al quale si era rivolta per un problema che aveva. La pregai di attendere un po’ e, esaurita la coda, la invitai ad accomodarci nel mio ufficio per parlarmi del suo caso. Entrammo in ascensore e nel piccolo ambiente il suo profumo, eccezionalmente fresco, mi solleticò piacevolmente le narici. Quando poi al piano superiore altra gente entrò in ascensore e mi ritrovai di fianco alla bella signora, il suo profumo, benché non fosse assolutamente forte, mi provocò una piacevole sensazione all’inguine. E, poiché anche l’occhio vuole la sua parte, uscendo dall’ascensore dopo averle ceduto il passo per cortesia, l’occhio stesso mi scivolò sul suo fondoschiena aumentando la piacevole sensazione di prima. Né il suo modo di camminare mi aiutò a calmarmi: aveva un incedere da persona sicura, determinata ma allo stesso tempo flessuoso, da felino. Una gran bella gnocca, pensai, mentre la “sensazione” stata assumendo oramai dimensioni evidenti. La preoccupazione di fare una figuraccia fece un attimo capolino e la “sensazione” smise di incrementare le sue dimensioni. Nel mio ufficio ritrovai completamente il controllo di me stesso anche in virtù del racconto che mi fece che non era particolarmente lieto alla fine del quale, però, sapevo qualcosa in più di lei. Si chiamava Lucrezia, andava per i sessanta (da non credere) ed il suo uomo l’aveva abbandonata con due figli piccoli, una azienda ancor più piccola, con pochi soldi e molti debiti, quasi trent’anni prima. All’inizio se l’era vista brutta ma grazie ad una forza di volontà che certamente aveva e che traspariva dal suo racconto, era riuscita con il suo lavoro a risollevarsi dalla difficile situazione. Ora l’azienda era cresciuta e così i suoi figli che attualmente la mandavano avanti. Da me l’aveva portata la preoccupazione che colui che trent’anni prima era sparito, insalutato ospite, potesse tornare ed accampare diritti su ciò che lei aveva costruito. Mentre parlava con la sua voce dolce ma decisa, e che assumeva dei toni particolarmente duri nei passaggi più amari, ancora l’occhio, sempre lui, mi cadde sulle sue gambe accavallate. Intendiamoci, non era seduta in maniera scomposta, ma le sue gambe che uscivano dalla gonna a fiori attiravano in maniera imbarazzante la mia attenzione. Ma dai, mi dicevo, hai la metà dei suoi anni, potrebbe essere tua madre. Fortunatamente l’interesse per le cose che mi stava raccontando ebbero il sopravvento sull’altro interesse, molto meno nobile. Un po’ di domande, qualche riflessione e una serie di considerazioni mi aiutarono a prospettarle un paio di accorgimenti da adottare per mettersi al sicuro da eventuali brutti scherzi che il suo ex marito avrebbe potuto giocarle. Abbastanza rassicurata da ciò che le andavo dicendo, il suo viso dall’espressione tesa e preoccupata si distese ed i suoi occhi acquistarono una ridente luminosità. Una mia piccola spiritosaggine, neanche tanto spiritosa considerato che non sono un tipo molto brillante, le provocò una simpatica risata. Oramai il colloquio era finito e mi sentii in dovere di offrirle qualcosa da bere. Accettò di buon grado e così ci avviammo all’ascensore per andare al caffè. Nell’ascensore il suo profumo mi rammentò quel che avevo provato in precedenza provocandomi lo stesso effetto. Inoltre, questa volta mi ritrovai proprio di fronte a lei (benedetti siano i luoghi affollati) e così mi accorsi che era fornita di un bel paio di tette che potei parzialmente ammirare dalla scollatura della camicia. E quando sollevai gli occhi, incontrai i suoi. Mi sentii infiammare il viso: accidenti è successo, mi ha scoperto a guardarle il seno, accidenti a me e al mio inesistente autocontrollo. Invece i suoi occhi avevano un’aria vagamente maliziosa ed anche le sue guance si colorirono leggermente.
Il bar non era molto affollato. Mi stavo avviando verso un tavolino libero ma lei imboccò decisamente la scala che portava al soppalco. Ci sedemmo in uno dei séparé che spesso avevano ospitato i miei veloci pasti da impiegato in pausa mensa. Arrivato quello che avevamo ordinato, continuammo a chiacchierare del più e del meno. Eravamo come due vecchi amici e ci sembrò naturale saltare anche l’ultimo ostacolo: passammo a darci del tu. Lucrezia mi raccontò un po’ della sua vita privata ed altrettanto feci io. Mi fece una serie di domande alle quali all’inizio non feci molto caso. Ma quando, quasi inavvertitamente, mi ritrovai a parlare di cose abbastanza intime, realizzai: ci stava provando o almeno questa era la mia sensazione. Stavo accendendomi una sigaretta e il prendere coscienza della situazione mi fece cadere l’accendino dalle mani. Scoppiò a ridere e mi disse che il trucco di far cadere l’accendino per guardarle le gambe sotto il tavolo era vecchio e non ci sarebbe cascata. E invece quando mi chinai per vedere dove era finito, le sue gambe, fino a quel momento accavallate, si mossero, dandomi la sensazione di una cassaforte che si apriva per rivelare il suo contenuto. Indossava mutandine bianche che contrastavano con l’abbronzatura di fine estate delle sue gambe e che lasciavano libero un piccolo ciuffetto biondo. E rimasero aperte per un istante che mi sembrò non finire mai. Il mio mondo era là sotto e là sotto avrei voluto passare il resto della mia vita. Riemersi con la testa in fiamme. Lucrezia continuava a ridere ed oramai mi sembrò chiaro: ci stava, le andavo a genio. Nel sedermi mi avvicinai a lei e puntuale avvertii il suo profumo. Adesso o mai più, accada ciò che deve accadere, pensai, e, preparandomi a beccarmi un sonoro ceffone, la baciai. La mia intenzione era solamente di sfiorarle le labbra ed invece la sua lingua si insinuò tra le mie labbra alla ricerca della mia. Quasi avesse vita propria la mia mano partì in direzione del suo petto. Le sue tette sode mi sorpresero piacevolmente: chissà perché mi aspettavo che non lo fossero. Quanto durò quel bacio? Non so dirlo ma so che a un certo punto dovemmo riprendere fiato. Nel frattempo i due uomini che sedevano ad un tavolo a fianco erano andati via. Non me ne ero accorto ma la cosa non mi dispiacque affatto. Ripresi a baciarla sbottonandole la camicia. Sollevai una coppa del reggiseno e la tetta, non più trattenuta, mi dilagò in mano. Grande strumento di piacere il seno delle donne: mi aveva sempre interessato e anche se non mi dispiacciono affatto le sise piccole o quelle belle alte, quelle che preferisco sono quelle grosse che in virtù del loro peso e a dispetto di qualsiasi reggiseno tendono a scendere. La tetta di Lucrezia era proprio così. Ed aveva un sapore eccellente quando mi chinai ad assaggiarla. La scura aureola ed il grosso capezzolo mi apparvero nel loro splendore nella penombra della sala. Continuai a massaggiare e a leccare quello splendido globo carnoso mentre lei con le mani sulla testa mi attirava al suo petto. Questa operazione mi costringeva a stare chino sopra di lei e, per agevolarmi il compito, fu lei stessa a tirare fuori anche l’altro seno e ad offrirli uniti alle mia lingua. Così facendo mi ritrovai la mano libera e mi sembrò naturale farla scivolare verso le sue gambe. Cominciai accarezzandole il ginocchio e su quello indugiai a lungo risalendo mano a mano. Eccitata ed impaziente spalancò le cosce, chiaramente invitandomi ad andare oltre. Arrivai a toccarle il caldo sesso. Spostai le mutande, la figa era lì, quasi la vedevo, come se avessi un altro occhio proprio sulle dita. Presi ad accarezzarla delicatamente, cercando ogni tanto di risalire verso il suo culo, per poi insinuare le dita ancora nella figa umida. Nel frattempo anche Lucrezia mi aveva messo una mano tra le gambe e mi massaggiava il cazzo da sopra i pantaloni. Mi aprii la patta e lei svelta mise dentro la mano arrivando a toccarmi. Non so se a tutti fa lo stesso effetto ma una donna che me lo prende in mano mi provoca un brivido alla base dei coglioni, quasi un orgasmo. Cominciò a menarlo piano; ogni tanto accelerava per poi fermarsi un attimo, prima di riprendere piano. Il mio dito medio ormai la sditalinava da un pezzo e lei stringeva le gambe quasi da farmi male. Bastò questo e qualche altra leccata ai capezzoli intervallata da profondi baci a farla venire. Un orgasmo molto discreto ma incredibilmente lungo. Continuai a baciarla durante tutto il tempo del suo piacere mentre lei continuava a masturbarmi. Dopo che ebbe goduto si chinò sopra di me per prendermelo in bocca. Cercai di trattenerla, caspita eravamo in un bar, già ci eravamo spinti troppo oltre, ma lei si abbassò decisamente. L’azione della lingua combinata al veloce andirivieni delle labbra lungo l’asta mi fecero sborrare in pochissimo tempo. Non sono mai stato molto bravo a trattenermi ma forse quella volta ho battuto tutti i record. Ingoiò tutto in un lampo ripulendo coscienziosamente ogni stilla di sperma.
Era arrivato il momento di ricomporsi. Mi richiusi i pantaloni mentre le sue tette ritornarono sotto il reggiseno a sua volta nascosto dalla camicia e la sua gonna, a mò di sipario, si richiuse sulla sua figa e sulle sue cosce. Una coppia di ragazzi, che arrivarono poco dopo, trovarono una coppia di amici intenti a parlare. Lucrezia mi stava dicendo che si era accorta già mentre era in fila che la guardavo con insistenza, e che, in ascensore, avevo avuto una erezione. La cosa all’inizio le aveva dato fastidio ma aveva cambiato idea ne corso della chiacchierata in ufficio, quando aveva capito che, con scarso risultato, cercavo disperatamente di controllarmi. Restammo a parlare ancora per un po’ ordinando qualcos’altro da bere dopodiché ci scambiammo i numeri di telefono e ci lasciammo. Non prima di esserci data un’altra reciproca palpata veloce.
Dopo quella prima volta abbiamo iniziato a vederci abbastanza spesso. Non una relazione bensì una complice amicizia fatta di confidenze, risate e sane scopate.
Ah dimenticavo: un’altra delle doti che ho sempre riconosciuto alle donne è l’intraprendenza. E poi la mia collega non mi sta più tanto antipatica. FINE

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