Il telefono squillò presto quella mattina e fui contento quando il mio capo mi comunicò che avrei dovuto recarmi a Cittadella per lavoro, un lavoretto semplice e veloce, affermò. Mi piaceva molto quella città, piccola e piena di storia, per quanto riguarda il lavoro, poi, come ogni volta le cose semplici si rivelavano complesse, e quella breve sosta si trasformò in un soggiorno di due notti. Ma potevo ritenermi fortunato, era un periodo della mia vita in cui sentivo il bisogno di allontanarmi da casa e dagli affetti che mi stavano stancando oltremodo.
Preparai la valigia e partii per Cittadella, era ottobre ed il sole timido sopra le nuvole, mi accompagnava lento. Sentivo una strana felicità riempirmi il cuore, mi piaceva viaggiare ed il lavoro me lo permetteva spesso. Dopo tre ore mi ritrovai nell’ufficio del cliente a pianificare il lavoro. Dovevo stendere un dettagliato programma di lavoro da passare poi in ufficio, per la compilazione del preventivo di spesa. Cominciammo a chiacchierare, il cliente mi conosceva da due anni oramai, e si era instaurato un bel rapporto di rispetto reciproco, bevuto il caffè volli mettermi subito al lavoro. Le ore passavano lente e capii immediatamente che il mio compito mi avrebbe costretto a pernottare in albergo. Telefonai per prenotare una camera, lo stesso albergo di sempre, anche lì ero conosciuto e l’aria amichevole mi rilassava durante le mie soste. La ragazza della reception all’albergo Danieli mi salutò cordialmente e mi confermò la stessa camera di sempre, la trecentodue.
Alle sette di sera decisi di aver fatto abbastanza per quella giornata, salutai il cliente e mi diressi verso l’albergo.
Arrivai nella hall, mi diedero le chiavi e salii immediatamente per buttarmi sotto alla doccia. Dopo un’ora fui pronto per la cena e scesi nel locale ristorante. Era deserto; strano, pensai, normalmente incontravo qualche agente di commercio, lavoratori in trasferta, ma quella volta mi ritrovai da solo nell’elegante salone. Poco male, mi dissi, ero comunque stanco e dopo cena mi sarei fiondato a letto per riposare.
Appena presi posto al tavolo mi raggiunse il cameriere, Marco:
– Buona sera signor Sperelli, è un piacere rivederla. – era un ragazzo allegro e sincero, più di una volta mi ritrovai a parlare con lui al bancone del bar, dopo cena.
– Buona sera, Marco. Vedo che non c’è il pienone questa volta. –
– Ha ragione. È uno strano periodo di crisi, fino a due settimane fa non si trovava una camera libera, ma ora siete solamente in due. – mi confidò
– Due? E che sarebbe l’altro? – domandai curioso.
– L’altra, vorrà dire. È una signora, viene da Pavia e si fermerà qui per almeno due notti. E, se posso confidarglielo, è proprio una splendida donna. A proposito, lei quanto tempo rimarrà da noi? – ero terribilmente curioso di vedere quella donna.
– Non so ancora, Marco. Ma sicuramente mi ritroverai qui anche domani, poi vedrò. –
– Molto bene, Signor Sperelli, vuole ordinare ora? – mi chiese tornando ai suoi panni di cameriere.
Ordinai un antipasto leggero ed una bistecca con patate, ho gusti semplici nel cibo, come in tutto il resto. Marco mi sorrise e si diresse in cucina con la comanda.
Mi accesi una sigaretta nell’attesa, quando attraverso la nuvola di fumo vidi fare il suo ingresso la signora. Era veramente bellissima, sembrava uscita da un film degli anni venti. Una chioma di capelli corvini avvolgeva il viso fine, uno sguardo intelligente scrutò la sala prima di scegliere il tavolo. Indossava una gonna nera che sembrava rubata ad una strega, di raso e con i bordi sfilacciati in modo da farla apparire molto sexy, un maglione color panna copriva il petto abbondante ed una scollatura generosa faceva assaporare il seno duro. Calze nere e scarpe a sandalo completavano quell’opera d’arte di semplicità e bellezza.
Si sedette proprio al tavolo di fronte al mio, io accennai un timido saluto di cortesia, ma avrei voluto parlarle, dopotutto ero abituato a chiacchierare con gli altri avventori di quell’albergo, e se poi questi avevano l’aspetto di una fata come lei, tanto meglio. Ma decisi di limitarmi ad un cenno del capo, non sapevo come avrebbe reagito ad un’irruente inizio di conversazione.
Mi squadrò da capo a piedi, giudicando il mio abbigliamento e il mio aspetto, niente altro da fare, pensai, ci siamo solo io e lei, non ha molta scelta se vuole guardare qualcuno.
Sedendosi spostò i capelli che le coprivano il viso con un gesto elegante, la tovaglia corta mi lasciava vedere le sue gambe tese verso di me, mentre con lo sguardo cercava il cameriere.
Marco entrò nella sala e si diresse verso la signora, mi fece un cenno d’intesa ed io gli sorrisi facendogli capire che gradivo la compagnia.
Ordinò sottovoce, quasi non facendosi sentire, poi si accese una sigaretta, prendendola dalla borsa che era appoggiata sulla sedia a fianco a lei.
Puntò nuovamente il suo sguardo verso di me, io sorrisi e mentre lei aspirava dalla sigaretta mi sentii mancare, c’era qualcosa nel suo sguardo che non riuscivo ad afferrare, qualcosa di misterioso.
Rimanemmo a fissarci qualche secondo fino a che Marco mi portò il vino e mi versò il primo bicchiere. Lo bevvi a piccoli sorsi per aprire lo stomaco in vista della cena. La signora estrasse dalla borsa un’agendina e con aria interessata iniziò a leggere qualche appunto.
Dovevo rivolgerle la parola, non volevo lasciarmi sfuggire un’occasione del genere, ma proprio mentre Marco stava appoggiando il piatto sul mio tavolo, la vidi divaricare leggermente le gambe, la sua gonna si aprì di poco lasciandomi scorgere tutto il nylon che avvolgeva le sue splendide gambe; il mio sguardo arrivava quasi fin alle mutandine, ed il gusto di quello che stavo guardando mi fece salire il vino al cervello. Stava giocando, pensai, stava giocando con me. A quel tipo di mosse ero abituato, ringraziando il cielo non ero un bambino inesperto. Ma quella strategia non era tipica di una donna di quella specie, era più una tattica da vecchia zitella, di quelle affamate che si incontrano in locali popolati da mezze tacche. Non me lo sarei mai aspettato da lei.
Le sue gambe mi ipnotizzarono tanto che persi il senso del tempo, ed il mio piatto rimase a guardarmi senza che io potessi affondare la forchetta. La signora sembrava accorgersene, mi puntò gli occhi addosso, e dopo che ebbe capito cosa stavo fissando, si rivolse a me per la prima volta:
– Guardi che il suo piatto si fredda. – disse con un sorriso maliardo.
Non credevo alle mie orecchie, aveva capito perfettamente che le stavo guardando le gambe, ma non accennava a chiuderle, d’altro canto io, non riuscivo a spiccicare parola, ero in quella fase di ebetismo in cui qualsiasi cosa esca dalla bocca suona stupida e superficiale.
– Oh, mi scusi. Non volevo importunarla con il mio sguardo, è raro trovare una così bella donna qui. – Come volevasi dimostrare: di originale in quella frase c’era veramente poco.
– Non mi sta importunando. Mi preoccupo solo della sua cena. – non toglieva dal viso quell’aria di superiorità che mi disarmava.
Ed ora cosa avrei potuto rispondere? Mi sentivo un bambino in preda alla timidezza. Sembrava che volesse almeno scambiare due parole, e le sue gambe ancora aperte forse volevano anche qualcos’altro.
– Non si preoccupi, tanto non ho molta fame. – come se le interessasse il mio appetito.
– Mi dispiace, non si sente bene? – fece lei.
– No, sono solo molto stanco. È stata una giornata pesante; sa, il viaggio e poi il lavoro. –
– Anche lei ha viaggiato. Posso chiederle da dove viene? – evidentemente era la mia giornata fortunata. Era lei a voler parlare con me.
Chiuse le sue gambe, evidentemente ora che il pesce aveva abboccato poteva ritrarre l’esca.
– Dalla provincia di Milano. Da Lainate, precisamente. E lei? – non volevo essere indiscreto, ma il discorso era partito da lei.
– Da Pavia. – rispose secca.
A quel punto non seppi cosa dire, vidi Marco che entrava portando il piatto destinato alla signora. Iniziai a mangiare lentamente, augurandole buon appetito e guardandola mentre sensualmente portava i bocconi alle labbra.
Sembrava voler troncare il discorso, non capivo perché ora non mi rivolgesse più la parola. Era strano, forse aspettava una mia intraprendente mossa, ma la preda era degna di qualcosa di veramente bello e originale ed io non riuscivo a pensare a niente alla sua altezza.
Fu lei a scatenare nuovamente i miei ormoni, dopo aver finito di mangiare il primo piatto, allontanò la sedia dal tavolo e si sistemò la calza lisciandosi le pieghe sul polpaccio sodo. Ero tornato in estasi, dal mio posto osservavo la pienezza delle sue gambe ed il modo in cui se le accarezzava stendendo la calza. Fece durare l’operazione qualche secondo più del dovuto, certamente un messaggio per me che non riuscivo ancora a spiaccicare una parola.
– A quanto pare lei è un uomo di poche parole – disse sistemandosi nuovamente sotto al tavolo.
– Che lei ci creda o no, è da diversi minuti che sto cercando qualcosa di intelligente da dire. – le mie difese venivano meno, tutto a mio discapito.
– Può iniziare a dirmi qual è il suo mestiere, per esempio. Ci siamo solamente lei ed io in questa sala e non mi piace sentirmi sola quando mangio. – era tornato il suo sguardo di superiorità.
– Sono un agente di commercio, lavoro per una ditta che si occupa di sistemi di sicurezza e antincendio. Sono qui per preparare un grosso lavoro da un nostro cliente. – la mia voce usciva da sola. Non riuscivo a controllarla, avrei potuto dire qualsiasi fesseria.
– Interessante. Io invece sono una rappresentante di abbigliamento. La stilista è mia sorella e sono qui a promuovere la nuova collezione ai cliente che abbiamo in questa zona. – disse guardandomi sempre negli occhi.
– Non le ho chiesto ancora il suo nome. Mi chiamo Andrea. – potevo finalmente presentarmi.
Mi alzai e mi avvicinai a lei, che fece lo stesso e si presentò stringendomi la mano.
– Piacere, signor Andrea. Io sono Vania. – il suo nome era rappresentato esattamente dal suo aspetto. Non so perché, ma mi aspettavo un nome del genere.
Tornai a sedermi e bevvi un bicchiere di vino, tanto da stemprare l’eccitazione di averla vista da vicino, il suo profumo mi rimase nelle narici per molto tempo, ricordava il deserto ed il sole cocente.
Mi vide trangugiare il vino e sorrise, evidentemente aveva capito che mi aveva in pugno, e mi terrorizzò il fatto che per lei sembrava la cosa più naturale del mondo, aver un uomo ai suoi piedi.
Marco tornò a prendere i due piatti vuoti, Vania ordinò solo un caffè, lo bevve velocemente e si alzò dirigendosi verso la sua camera.
– Allora le auguro buon riposo, signor Andrea. – disse frusciandomi vicino e riempiendomi nuovamente del suo profumo.
– Mi auguro di vederla anche domani sera. – sperai.
– Non so per quanto tempo mi dovrò trattenere ancora, comunque se sarò ancora qui la rivedrò volentieri. – disse allontanandosi.
– Se sarà ancora qui, sarò così audace da invitarla a cenare al mio stesso tavolo. – finalmente un po’ di coraggio mi era uscito, ma forse era troppo tardi.
Rispose solamente con un sorriso uscendo dal salone seguita dallo sguardo di Marco e dal mio.
Rimasi solo a ripensare alla figura che avevo fatto: mi sentivo un bimbo stupido, non ero neanche riuscito ad invitarla subito a cenare con me. E dire che non mi sembrava restia, ma c’era qualcosa che mi impediva di capirla fino in fondo, sembrava una donna molto spigliata, ma i suoi sguardi a volte facevano sembrare tutto uno scherzo. Forse avevo fatto bene a restare sulle mie, ma speravo ardentemente per il giorno successivo di avere la possibilità di invitarla al mio tavolo.
Finii di cenare e, con un senso di solitudine misto all’eccitazione che quella donna mi aveva fatto montare, mi misi a dormire. Non riuscii ad addormentarmi subito come mio solito e così fantasticai su come doveva essere Vania a letto. Sicuramente una donna aggressiva e fantasiosa, come piacevano a me. Non sarebbe stata certamente una frigida senza estro, come ultimamente me ne capitavano, avevo voglia di andare a letto con lei, e quelle immagini mi accompagnarono fino a che riuscii ad addormentarmi in un sonno senza sogni.
Mi svegliai alle otto, mi buttai sotto la doccia, mi vestii e scesi per la colazione, seppi che Vania era già uscita da molto e non aveva lasciato detto niente per il suo soggiorno. Era probabile che l’avrei rivista la sera. Fischiettando mi misi in auto e raggiunsi il mio cliente per un’altra giornata di lavoro.
Le ore passavano più lente che mai. L’eccitazione di vedere Vania mi impediva di concentrarmi sul lavoro e così passavo più tempo a correggere errori su errori che a stilare il preventivo vero e proprio. Avevo fretta di tornare in albergo a chiedere se Vania avesse pagato il conto, ma ogni volta che guardavo l’orologio mi accorgevo che troppo tempo mi divideva ancora da lei.
Anche il cliente si accorse della mia distrazione e non mancò di notare come a volte non pensassi a quello che stavo facendo, addussi scuse stupide per giustificarmi, ma continuavo a guardare l’orologio, anche questo non passò inosservato al cliente.
Alle sei decisi di aver lavorato abbastanza per quella giornata, salutai e mi fiondai in albergo.
La ragazza della reception affermò di non aver ancora visto Vania dalla mattina, e perciò non sapeva ancora se sarebbe tornata per cena. Poco male, mi dissi. Almeno ero sicuro che non aveva lasciato la camera, avrei aspettato il più possibile prima di scendere per cena, pensando che lei avrebbe ritardato di parecchio. Dovevo essere là nel momento in cui Vania faceva il suo ingresso nel salone, così da invitarla a sedersi con me.
Tentai di rilassarmi con una doccia e guardando uno stupido quiz in televisione. Quando furono le otto e mezza decisi di scendere ed attenderla nel salone ristorante.
Scendendo le scale mi accorsi che qualche altro avventore aveva riempito le camere, maledizione, pensai ora non sono più l’unico. Ma avevo fiducia in me, mi sentivo molto più audace della sera precedente e questa volta non avrei fatto la figura dello sprovveduto.
Passando per la reception chiesi ancora insistentemente di Vania, mi dissero che era tornata cinque minuti prima e che si era diretta in camera, con un sorriso pieno di ottimismo presi posto al tavolo della sera prima, ma questa volta notai che un tavolo in fondo alla sala era occupato da quattro uomini grassi e chiassosi, non mi preoccupavano come pretendenti, ma sicuramente avrebbero rovinato l’atmosfera che volevo creare.
Mi sedetti e subito Marco mi raggiunse.
– Visto che bella donna, signor Andrea? Glielo avevo detto, no? – mi chiese con aria soddisfatta.
– Certo, è proprio stupenda, anzi spero che scenda presto. Ho deciso di invitarla a cenare con me. – confidai al cameriere.
Marco mi passò il menù e mi sorrise amichevolmente. Non volli guardare subito la carta, volevo aspettare Vania, così da iniziare insieme la cena.
Dopo pochi istanti entrò lei, vestita come immaginavo la Venere, gaudente ed austera. Gonna corta nera, con uno spacco che poco lasciava all’immaginazione. Una maglietta bianca e semplice copriva il petto e calze nere coprivano le sue gambe tornite. Il paio di sandali della sera precedente avvolgeva i suoi piedi. Mi vide da lontano, io mi alzai per avvicinarmi a lei, ma vidi che subito si diresse nella mia direzione. L’aspettai accanto al tavolo, guardandola in tutta la sua bellezza. Camminava come solo le donne che sono state tanto amate sanno fare, il suo passo era una musica che riempiva gli occhi, ogni suo muscolo si muoveva come un’opera d’arte. Lo spettacolo che mi offerse era splendido tanto che rimasi senza parole, osservandola.
Mi porse la mano che io strinsi con una felicità che trasformò la mia cordialità in morsa, lei mi sorrise ed io le offrii subito la mia compagnia:
– Spero che mi voglia degnare della sua presenza, questa sera al mio tavolo. – la speranza mi tagliava il cuore, anche se, dentro di me, sapevo che avrebbe accettato.
– Certo, sono tornata di fretta apposta, avevo paura di non trovarla più qui. – rispose allegra.
– Non mi sarei mosso per nulla al mondo. –
– Mi lusinga. – il suo tono era amichevole e promettente.
Ci sedemmo ed ordinai una bottiglia di vino rosso con una cena leggera a base di carne. Prendemmo entrambi lo stesso piatto e fui felice di constatare che avevamo entrambi gli stessi gusti.
Parlammo amichevolmente per alcuni minuti, finche non sentii qualcosa muoversi sotto al tavolo, Vania intanto si stava accendendo una sigaretta.
Tentai di capire quello che stava accadendo e, la mia speranza risultò esaudita, era il suo piede che si faceva strada sul mio polpaccio. Il suo sguardo era diventato accattivante e le sue labbra tumide succhiavano la sigaretta.
Io favorii il suo piedino allargando le gambe e allungandole verso di lei, il massaggio durò pochi minuti, fin tanto che Marco arrivò portandoci le pietanze. Allora ella ritrasse la sua gamba e si mise composta per cenare. Io mi sentivo eccitato, la visione di quella splendida donna davanti a me, il pensiero che fino a pochi istanti prima il suo piede mi stava salendo su per le gambe mi faceva impazzire, dovetti avere il viso molto rosso in quanto ad un certo punto Vania mi chiese:
– Cosa c’è? Non ti senti bene? Spero che non ti spiaccia se ti do del tu. – domandò
– Certo che no – riuscii a rispondere – anzi vorrei approfondire molto la nostra amicizia. –
Ormai dovevo giocare tutte le carte, il doppio senso doveva fare centro, così da non perdere tempo, era probabilmente l’ultima sera in cui l’avrei vista, niente e nessuno avrebbe potuto fermarmi.
– Devo dire che anche a me piacerebbe conoscerti meglio. – se anche lei usava il doppio senso, allora il gioco era fatto.
Allungò nuovamente il piede sotto al tavolo, questa volta si tolse la scarpa ed arrivò immediatamente ai miei genitali che già tiravano i calzoni. Lei sembrò felice di quella manifestazione di gradimento e non perse tempo iniziando a masturbarmi lentamente con il piede.
Io riuscii a prenderle una mano tra le mie, volevo dire qualcosa di veramente intelligente, così da farla cadere definitivamente nelle mie braccia, e assicurandomi la sua compagnia per la notte.
– Sei la donna più bella che abbia mai visto. – le dissi sospirando ad ogni colpo del suo piede.
– Sei molto carino, Andrea. Ma non sei certo originale. – rispose sorridendo.
– È la tua vicinanza che mi rende ebete. – Presi il coraggio a due mani e sputai la mia proposta. – Ti voglio, Vania. –
Per un attimo ebbi paura della risposta, avrebbe potuto fare una scenata, ma realizzai subito che non poteva rifiutare, guardando il suo piede avvolto dalla calza nera che masturbava il mio pene duro.
– Certo che sei di poche parole. Ma mi piaci. – si limitò a rispondere.
– Lo prenderò come un si. – sperai
– Prendilo come vuoi, ma ora mangiamo. – e così dicendo tolse il piede, calzò la scarpa e riprese a mangiare.
Stetti in silenzio per qualche secondo, volevo sapere qualcosa di più su di lei. Ma non potevo sembrare troppo impertinente, si era creata la giusta aria tra noi, non volevo rovinarla.
Finimmo di mangiare molto in fretta, entrambi con la passione che sconvolgeva lo stomaco, salutammo Marco e ci dirigemmo verso l’ascensore, seguiti dal sorriso del cameriere.
– Perché non vieni da me, potrei offrirti qualcosa da bere. – mi resi conto che non riuscivo a dire niente di originale e a lei non sfuggì.
– Certo che come originalità lasci un po’ a desiderare. – mi disse e poi facendosi seria. – Una sola regola, non chiedermi niente della mia vita privata, io non conosco te e tu non conoscerai me, intesi? –
Non chiedevo di meglio, ultimamente la mia vita privata era già abbastanza aggrovigliata e non volevo sicuramente aggiungere Vania ai miei pensieri, anche se devo ammettere che mi stava facendo innamorare di lei, lentamente.
– Va bene, niente domande. –
Salimmo al terzo piano e la feci entrare nella mia stanza. Vania si sedette sul divano mentre io le versavo una coppa di spumante scadente che trovai nel frigo-bar.
– Le camere d’albergo non mi piacciono. – affermò
– E perché? –
– Sono così anonime, non hanno spirito. Ci dormono migliaia di persone senza lasciare un segno del loro passaggio. –
Se non fosse per la mia voglia di possederla quel discorso poteva sembrarmi interessante, ma in quel momento la vedevo davanti a me con le gambe leggermente divaricate, mentre con le labbra appoggiate al bicchiere, sorseggiava lo spumante.
Volli fare la prima mossa, mi sedetti vicino al suo fianco ed iniziai a baciarla sul collo dandole delle timide leccatine ai lobi delle orecchie. Lei rispose subito ai miei stimoli slacciandosi due bottoni della magliettina che copriva il seno duro. Iniziò poi a baciarmi in bocca passandomi la sua saliva con la lingua.
Io presi a maneggiare con la sua maglietta per scoprirle il seno completamente, ma mi dovette aiutare lei, in quanto la mia foga impediva i movimenti più semplici.
Quando vidi le sue grandi tette puntate verso di me, mi ci buttai a capofitto, leccando e succhiando i capezzoli e passando poi sui contorni rosa con la mia lingua umida.
Vania intanto, emetteva dei gemiti di piacere e, spalancate le gambe, iniziò ad alzarsi la gonna, con una mano estrasse il mio cazzo oramai livido dallo sforzo di stare nei pantaloni e con l’altra mi teneva la nuca continuando a baciarmi.
Mi inginocchiai davanti a lei mentre mi sorrideva, le allargai maggiormente le cosce e iniziai a leccarle la fica da sopra i collant.
Vania strinse la mia testa con le sue mani e con i suoi gemiti mi supplicò di continuare. Non c’era certo bisogno di chiedermelo. Le calai le calze e le mutandine, e finalmente vidi la sua fica pelosa davanti a me. La leccai piano in principio, aumentando ad ogni colpo il ritmo, mentre lei si contorceva dal piacere. La stavo scopando con la lingua quando lei riuscì a chiedermi di smetterla.
Si alzò in piedi e si spogliò completamente, mostrandosi nuda alla timida luce della stanza.
Io feci altrettanto e baciandola, la sollevai e la adagiai sul letto. La sua pelle abbronzata faceva un sensuale contrasto con le lenzuola bianche, avevo il cazzo in erezione da un tempo incredibile. Sentivo che dovevo soddisfarmi, ma non volevo bruciare subito la mia serata. Lei, vedendomi nudo ed in piedi davanti al letto, si inginocchiò sul materasso e ingoiò il mio pene per un pompino che mai nessuna riuscirà ad eguagliare. La sua lingua si muoveva per tutta la mia asta, la sua mano sinistra soppesava i testicoli stringendoli delicatamente e con il dito medio dell’altra mano passava sulla linea delle mie natiche ridisegnandola.
Le sue unghie talvolta si conficcavano nella carne soda del mio sedere, ma la cosa non faceva altro che procurarmi ulteriore piacere, tanto che dovetti estrarre il cazzo dalla sua bocca per non venire subito. Lei capì e volle invertire i ruoli, così da far riprendere al mio attrezzo l’energia necessaria.
Si mise supina sul letto, prese un seno con la mano destra e iniziò a leccarlo lentamente, guardandomi dritto negli occhi. Io capii cosa voleva e mi stesi sopra di lei, leccando avidamente l’altro capezzolo, mentre con le dita ispezionavo la sua fica bagnata.
Rimanemmo in quella posizione per qualche minuto, entrambi leccando le sue tette e baciandoci, fino a che lei mi rivolse la parola per la prima volta da quando avevamo iniziato a fottere:
– Ora ti voglio dentro. –
Accettai subito la richiesta, scesi lentamente leccando il pancino tondo e sensuale, le divaricai le gambe e infilai il mio cazzo ancora umido della sua saliva.
La stantuffai lentamente, senza fretta, come se avessi paura di romperla, ma il mio scopo era quello di farle sentire ogni singolo movimento del mio membro dentro di lei. Vania inarcò la schiena accogliendomi, e ricominciò a mugugnare dal piacere. Vederla lì, mentre godeva del mio cazzo, mi fece salire l’eccitazione ancora di più.
Presi a darle dei colpi più forti, salendo sempre di più col ritmo, lei aumentava i suoi sospiri e sembrava sul punto di venire, quando io rallentai nuovamente, abbassò la testa per guardarmi e vide nel mio sguardo tutto il mio desiderio, tanto che si eccitò ancora di più e prese entrambe le tette con le mani pizzicandosi i capezzoli. Io capii che stavo arrivando al culmine, proprio mentre Vania iniziava ad urlare per il piacere dell’orgasmo, tolsi il pene dalla sua fica e le inondai la pancia. Lei ancora in preda al piacere, si passò la mano vicino all’ombelico e poi la leccò, ingoiando qualche goccia del mio sperma.
Mi sdraiai accanto a lei senza dire una parola, anche lei sembrava pensierosa. Fissammo a lungo il soffitto della camera, poi lei ruppe il silenzio con una domanda:
– Posso dormire qui questa notte? – sembrava una bambina, ora.
– Certo, non ho altri impegni – e mi girai baciandola.
Lei ricambiò il mio bacio abbracciandomi e stringendosi a me. Mi sembrò la creatura più indifesa del mondo, non potevo credere che fino a pochi minuti prima urlasse di piacere leccando la mia sborra.
Le persone sono strane, pensai. E le donne ancora di più.
Ci addormentammo quasi subito; così, abbracciati come ci ritrovammo dopo l’amplesso. Io mi sentii l’uomo più forte del mondo, come solo un uomo che difende una donna si può sentire.
Dormii profondamente tutta notte, mi svegliò il suono del telefono. Era la reception che mi avvertiva che erano passate le otto.
Mi misi seduto ricordandomi piano piano di quello che era successo la sera precedente, mi voltai di scatto verso Vania e non la vidi. Non vidi neanche i suoi vestiti che dovevano essere sparsi sul pavimento dalla sera precedente. Sul tavolino c’era un biglietto piegato. Mi alzai, mi infilai le mutande e i calzoni e aprii il biglietto.
–
Caro Andrea, mi hai fatto felice questa notte. Forse per il sesso o forse solamente per l’abbraccio. Comunque spero che tu possa capirmi se ti dico che la mia strada mi porta lontana da te, non posso farci niente.
E spero anche che non ti arrabbi per quello che ho fatto.
Un bacio sulla punta,
Tua, Vania.
–
E che cosa mai mi aveva fatto? Pensavo. Avevamo scopato, niente altro, e perché mi sarei dovuto arrabbiare?
Poi capii tutto. Vidi il mio portafogli aperto sul tavolo, lo guardai. Vuoto. Si era portata via tutto. Anche l’orologio, regalo di mio padre, non c’era più. Fortunatamente almeno i vestiti me li aveva lasciati.
Mi lavai e mi vestii velocemente, sorrisi tra me e me pensando a come dovevo essere sembrato idiota a pensare che una donna del genere fosse venuta a letto con me per le mie qualità amatorie, e non per qualcosa d’altro.
Pagai il conto dell’albergo ed uscii. Se lavoravo sodo, per quella sera sarei potuto essere di nuovo a casa.
Dopo la prosa, l’amplesso in versi.
Come ti muovi sconvolgi la mia mente
Quello che fai oscura la mia ragione
Guardo ebete le vesti scendere lentamente
Vedo i tuoi occhi aprirsi al tuo padrone
Ti avvicini timida al mio corpo, sensualmente
Tocco di te i frutti maturi di stagione
Abbandonati, ti chiedo. E tu sommessamente
Ti chini a leccare il mio solido cordone
Poi ti alzi da me quasi di scatto
Lasciandomi seduto in posa d’attesa
Attendo le tue membra e sembra che dorma
Il cazzo mio eretto al tuo contatto
Ma veglia al tuo muoversi sull’asta tesa
Dell’amor sciogliendo i lacci e prendendone la forma FINE