Io e mio zio

Lui era sfinito e appagato, molle come una gelatina e soddisfatto come un porco.
Si distese sul mio letto per riprendersi da tutto quello che era accaduto così velocemente.
Io presi le mutande sporche con cui prima mi stavo divertendo e mi ripulii come meglio potevo la faccia e il corpo, senza però rinunciare di tanto in tanto a leccare via con la lingua qualche goccia di sperma, sia mio che suo.
Io mi sentivo come nel bel mezzo del più bel sogno della mia vita.
Ero quasi incredulo di quello che fosse successo, e di come fosse successo.
Mi avvicinai e mi distesi accanto a lui, per ascoltarne il suo respiro convulso che si stava placando.
Fu allora che lui si riprese e mi disse:
“Ascolta, mi dispiace di tutto quello che è successo ora. Non dovevo permettermi di reagire in questo modo, non sò cosa mi è preso. In poco tempo questa è la seconda volta che mi devo giustificare con te, ma credimi, non volevo comportarmi così”.
“Così come? Cosa vuoi dire? ” gli feci io.
“Insomma, non ti rendi conto di che razza di cose abbiamo fatto? Di cosa ci siamo detti? ” disse. Io lo guardavo interrogativo.
E lui come per rispondermi, disse:
“Abbiamo scopato come due selvaggi, io e te, io tuo zio e tu mio nipote. Potresti essere quasi mio figlio. Questo si chiama incesto, cazzo. E come se non bastasse, il mio cazzo che lo metto in culo e in bocca a un altro uomo; questa mi mancava proprio. E quell’altro uomo è pure mio nipote. Mio nipote che è un fottuto finocchio. Per me è veramente troppo”.
“Ascolta, sarà pure vero che si chiami incesto quello che abbiamo fatto, ma io preferisco chiamarlo una sana, animalesca scopata tra due uomini adulti, che avevano tutti e due l’intenzione di fottere, e che si sono sfogati come meglio potevano.
Ti ho visto come ti ha appagato ficcarmelo nel culo, sai.
E Dio solo sa come godevo io a prenderlo nel culo.
Nessuna donna è capace di prendere un cazzone in bocca, in culo o in mano così bene come lo sa fare un altro uomo, credimi.
Il fatto poi che siamo zio e nipote, per me è solo un dettaglio.
Insomma, eravamo tutti e due intenzionati a farlo, io da più tempo di te, sicuramente, ma anche tu devi averci fatto qualche pensierino, magari bagnato, visto quello che ho trovato sulle tue mutande”.
Rimase in silenzio, quasi fosse la sua coscienza a parlargli.
“Te lo ripeto, Massimo, io più di ogni altra cosa voglio essere la tua puttana, e sò che tu mi lascerai comportare come la puttana più puttana che tu abbia mai scopato. Tuo nipote sarà la tua puttana privata”, e nel dire questo scivolai la testa lungo il suo torace, leccandogli i capezzoli, scendendo lungo lo stomaco e la pancia, oltrepassandogli l’ombelico, per chiudere le mie labbra sul suo cazzo mezzo moscio che ripresi a succhiare, cominciando al tempo stesso a massaggiargli le pesanti palle sicuramente più vuote di prima.
Lui mi lasciò fare, semplicemente posando una sua manona sulla mia testa, spazzolando con le sue dita i miei capelli.
Avevamo siglato così il nostro patto.

Quelli che seguirono furono giorni fantastici, veramente più eccitanti di qualsiasi cosa avessi mai immaginato.
Ogni giorno si concludeva con una scopata, se non di più.
Prima di tutto ciò che era successo, io e mio zio non eravamo mai stati così assieme come invece accadde dopo: entrambi cercavamo ogni pretesto per rimanere soli a casa, senza la sua compagna; tutti e due ci inventavamo le cose più strane per creare l’occasione di vederci, di trovarci, di amarci.
Lui era un vero stallone, un animale da monta.
Le sue voglie sembravano non esaurirsi mai, così come il suo sperma.
In effetti le sue palle erano sempre gonfie. Io me ne riempivo sempre di più del suo succo: a lui essere munto fino allo svuotamento sembrava dare una gran carica, a me la sua sborra sembrava dare nuova vita.
Mi rigeneravo.
Principalmente in casa, ma qualche volta capitò pure al suo ufficio, nella sua stanza quando magari nelle altre stanze c’erano ancora i suoi colleghi; oppure capitava nell’auto di uno di noi due.
Per non parlare poi delle scopate in garage o in cantina.
Ma devo dire che ogni posticino strano era ideale.
Non sono mai stato così felice ed eccitato di rimanere a casa come in quel periodo.
A casa era diventato quasi impossibile per noi fare tutto quello che magari prima facevamo insieme, senza che quella situazione generasse un occasione di eccitazione, di arrapamento tra noi.
E stava diventando pesante, quasi, ma di sicuro non avrei mai sperato in meglio.
Così capitava che io mi trovassi in bagno seduto sul cesso e che lui entrando, chiudesse la porta perchè in casa c’era pure lei, facendo finta di lavarsi i denti o di farsi la barba o altro, mi ficcasse invece il suo cazzone venoso e scappellato in bocca, solo per dargli un’eccitatina.
Oppure capitava che, sempre in bagno, non potessi lavarmi i capelli nella vasca che lui, passando, strofinasse il suo uccello, fuori o dentro le sue mutande, tra le mie chiappe.
O ancora capitava che quando lui mi chiamava per lavargli la schiena, io finissi poi per scappellargli e smanettargli il pisello fino a farlo venire.
E non mancava occasione che, quando c’era da attaccare un quadro, sostituire una lampadina, montare una tenda, salire sulla scala, io non gli stuzzicassi il cazzo e le palle, con la bocca o con le mani, o lui non mi stuzzicasse il buco del culo.
Oppure capitava che, quando dovevo lavare io i piatti, lui passasse per la cucina e mi infilasse le sue mani nelle mutande per ficcare le sue dita, insalivate, su per il mio culo.
Quando eravamo a tavola, poi, era un continuo giocare con i nostri piedi, e le nostre gambe.
Quando non eravamo visti, io allungavo le gambe da sotto il tavolo e arrivavo a piazzargli il piede tra le sue gambe, per lisciargli il cazzo e le palle.
Oppure lui mi strofinava le sue gambe contro le mie.
Una volta è capitato che io stessi per qualche motivo affacciato alla finestra, poggiato con i gomiti sul davanzale.
All’inizio non lo sentii arrivare, poi invece notai la sua presenza: ero in calzoncini e lui, postosi proprio dietro a me, me li ha abbassati, assieme alle mutande, doveva essere già col cazzo duro di fuori, perchè subito me lo ha infilato dentro, tutto contento.
Gli dissi:
“Che cazzo fai, non vedi che stiamo davanti alla finestra. Che ti prende? Fino ad ora siamo stati sempre discreti, oggi vuoi dare spettacolo? “.
E lui allora, senza venire fuori da me, ha preso la corda della tenda e l’ha chiusa immediatamente.
Così eravamo io che sporgevo dalla finestra e nascosto dietro la tenda era lui che si spingeva dentro di me.
E spingeva pure tanto.
Fu un’emozione forte, davvero: nessuno, pur guardando, poteva sapere che venivo inculato davanti alla finestra, e per di più da mio zio.
Al più si poteva intuire che stessi inculando il davanzale, viste le spinte che lui mi dava.
Più di una volta è successo che mi sono svegliato di notte perchè mio zio, dritto davanti al mio letto, con le mutande calate fino alle ginocchia, voleva che gli facessi un pompino svelto svelto.
“Visto che mi sono dovuto alzare per andare a pisciare, almeno mi diverto pure un po’”, mi diceva in quelle occasioni.
E io, più che mezzo addormentato, aprivo la bocca, tiravo un po’ fuori la lingua, e dopo un po’ mi bevevo la mia razione di sborra.
E tutto questo per noi era solo il preludio a tutto quello che ogni giorno avremmo fatto, appena trovavamo il giusto momento.
Era, come dire, l’antipasto delle grandi scopate che ci aspettavano.
La cosa più eccitante era proprio la complicità sessuale che si era creata tra noi, il voler trovare situazioni, occasioni, pretesti ai nostri infiniti giochi d’amore.
E naturalmente tutto nella più assoluta clandestinità.
Le nostre scopate si consumavano, come ho detto, soprattutto in casa, ma anche nel suo ufficio, ci scappavano delle sveltine.
Lui mi chiamava sul cellulare, quando aveva qualche momento libero, e io se potevo lo raggiungevo.
Entravo nella stanza dove lavorava, che non condivideva con nessuno, senza problemi, d’altronde ero e sono suo nipote, e una volta chiusa la porta, mi buttavo in ginocchio e mi ingoiavo il cazzo di mio zio, fino a farlo sborrare nella mia bocca, mentre lui mi infilava le dita nel culo.
Oppure mi tiravo giù calzoni e mutande, mi mettevo alla pecorina appoggiato alla sua scrivania, mi prendevo i suoi 20 e più cm di cazzo su per il culo e mi facevo montare.
Oppure sempre a culo scoperto, mi arrampicavo sulla sua poltrona e sopra di lui per poi scendere e impalarmi sul suo attrezzo duro e caldo.
E lui sempre senza troppo agitarsi e senza fare rumore, soffocando i gemiti e i sospiri di passione, entro poco tempo mi sparava i suoi sei o sette schizzi di sperma in profondità nel mio corpo.
Si ricomponeva, si risistemava, aiutava me a ripulirmi alla meglio e a rendermi presentabile, e mi accompagnava fuori.
In macchina invece accadeva spesso quando mi veniva a prendere all’uscita dell’università, o dalla palestra.
Le nostre strusciate, i nostri strofinamenti cominciavano quasi subito: io più spesso gli mettevo una mano tra le gambe e gli massaggiavo le palle e il pisello attraverso i pantaloni; lui più spesso portava la sua mano sotto la mia coscia con le dita mi tampinava il culo.
Poi ci appartavamo in qualche posticino isolato.
Se c’era veramente poco tempo io gli aprivo la patta dei pantaloni, gli scostavo le mutande e gli liberavo il cazzo, per poi prenderlo in custodia nella mia bocca, coccolandolo fino a fargli tirare fuori tutto il succo che aveva.
Se invece il tempo non ci mancava ma volevamo concludere prima di arrivare a casa, allora facevamo scendere i sedili e io salivo sopra di lui e mi facevo montare per bene.
A casa, come dicevo, ogni occasione era buona e pure ogni posto era buono.
Tuttavia il nostro rapporto non era alla pari.
Per le mie sborrate, insomma, dovevo pensarci da solo.
Lui spesso mi allisciava, mi si strofinava contro, ma non si era mai occupato del mio appagamento, non mi aveva mai toccato il cazzo o le palle, se non distrattamente, senza intenzione.
E io mi tiravo seghe a non finire, sia durante i nostri coiti, sia da solo, senza lui, quando ripensavo a quello che avevamo fatto e a quello che avremmo fatto in futuro.
Io subivo un attrazione innaturale per le mutande che lui si toglieva, ambrate di urina, e a volte chiazzate pure di sperma.
Me le indossavo e poi ci venivo dentro, strofinando il cazzo sul materasso del letto, oppure usandole per pulirmi il cazzo dopo essermi tirato una sega.
Visto che comunque il bucato lo facevo molto più spesso io per entrambi, era facile non farglielo sapere.
Forse la colpa della sua mancanza di attenzioni nei miei riguardi era stata mia, gli avevo proposto di essere io la sua puttana, non anche lui la mia.
Tra noi c’era un grossissimo feeling sessuale, ma non c’era sentimentalismo.
Al di fuori della nostra intesa a letto, il rapporto zio-nipote, quello vero, di tutti i giorni, sebbene agli occhi di terzi l’evidenza dimostrasse il contrario, non era veramente cambiato.
Voglio dire, non c’era ancora quella complicità, quella comunicazione a 360 gradi che invece avrei sempre sperato di avere con lui.
Per lui come per me era un meraviglioso sfogo.
Lui aveva bisogno di soddisfare i suoi appetiti sessuali, io morivo dalla voglia di scopare con lui, per cui eravamo tutti e due felici e contenti.
Comunque non potevo proprio lamentarmi, e magari in futuro le cose sarebbero cambiate, sarebbero evolute.
E in effetti qualcosa accadde.
Un giorno, eravamo tutti e tre a tavola, c’era anche la sua compagna, mio zio disse che sarebbe dovuto andare qualche giorno, o forse una settimana, fuori città per lavoro.
Naturalmente propose alla sua compagna di accompagnarlo, visto che si tratteneva fuori più spesso del solito, ma lei rispose che non sarebbe potuta andare per suoi impegni di lavoro.
Con mia grande sorpresa lei stessa propose che magari potevo accompagnarlo io, se volevo, visto che i miei esami li avevo passati con soddisfazione.
Non sapevo cosa rispondere..
Guardai mio zio negli occhi, per capire se gradiva o meno.
Perchè non me lo aveva chiesto lui direttamente?
Perchè non subito?
O forse sapendo degli impegni della compagna, era stata una mossa studiata e programmata, per avere me invece che lei?
I suoi occhi mi risposero: mi fece l’occhiolino e mi guardò con lo sguardo da mandrillo che aveva sempre quando godeva.
Partimmo il giorno dopo.

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