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Ricordi di Antonio

Non impegnerei tempo e risorse a ricordare qualcosa avvenuto tanti anni fa se svuotando l’appartamento di mia madre, morta da qualche mese, non mi fosse capitata tra le mani questa lettera.
L’ho letta, poi l’ho riletta, prima incredulo, poi divertito, infine quasi intenerito. E non è la calligrafia di mia madre, il suo modo di arrotondare le “o” come gli avevano insegnato da bambina. No. è il contenuto quello che mi emoziona.
Proverò ad andare con ordine, tornando con la memoria ai miei quattordici anni, un salto nel tempo di quasi quarant’anni.
Era febbraio o forse marzo, difficile dirlo. Con esattezza posso però dire che ero malato da qualche giorno, forse per un’influenza, e mi rivoltavo nel letto stremato ma anche annoiato. Per quattro lunghi giorni avevo solo dormito. Al quinto cominciavo a sentirmi bene. A quel tempo di medicine non ce n’erano molte e bisognava aspettare che tutto si risolvesse per forza di natura.
Mia madre mi aveva accudito con pazienza e anche un po’ di apprensione, senza mai uscire di casa e cominciava a sentire il bisogno di godere di qualche ora di libertà. Così, visto che cominciavo a stare meglio, decise di farsi una passeggiata in città lasciandomi alle cure di una sua amica. Anzi per la verità era un po’ un’amica di famiglia, vedova da sempre, spesso ospite a tavola, oggetto degli incitamenti di mio padre che la spingeva a rifarsi una vita. Ma ogni volta lei sorrideva sorniona dicendo che no, grazie, stava bene così.
Era una bella donna o forse sono io che la ricordo così: due seni sodi, un viso dolce, un sorriso luminoso. Mi conosceva da quando ero nato e spesso mi rifugiavo a casa sua quando tra i miei nasceva qualche discussione.
Dovendo dare un nome a tutte le cose, la chiameremo Anna, ma più per comodità di narrazione che per effettiva importanza.
Anna, dunque, arrivò a casa mia verso le due. Mia madre l’accompagnò nella mia cameretta affinché mi salutasse e affinché, credo, io mi sentissi più tranquillo.
Poi se ne andarono in sala e qualche minuto dopo mi parve di sentire la porta che si chiudeva. Dico mi pare perché subito mi addormentai.
Mi svegliai quasi un’ora dopo con la sensazione che qualcuno mi stesse fissando. Infatti Anna era sulla soglia e mi guardava indecisa. Quando mi vide aprire gli occhi si risolse ad entrare del tutto.
“Come stai? “, mi chiese sedendosi sul letto e passandomi una mano sulla fronte.
“Bene – risposi – ma devo andare in bagno”.
“Ti accompagno”.
Mi alzai a fatica, Anna mi passò la vestaglia appoggiata su una sedia e, sorreggendomi nonostante le mie proteste, mi accompagnò fino in bagno. Qui la guardai perplesso e imbarazzato.
“Non ti preoccupare, non entro – mi disse – solo non chiudere la porta, io mi girerò dall’altra parte”:
Provate voi a orinare con qualcuno vicino, anche se impegnato a fissare una parete! Io non ci riuscivo e decisi di sedermi sulla tazza per nascondere l’imbarazzo. Riuscii a liberarmi ma al momento di alzarmi la debolezza mi giocò un brutto scherzo e barcollai perdendo quasi l’equilibrio mentre con una mano cercavo di alzarmi velocemente mutande e pigiama.
Anna se ne accorse, mi venne in aiuto e non poté fare a meno di guardare verso il basso.
“Ohilà, ragazzino, ma sei tutto bagnato, aspetta che ti aiuto e ti sistemo”.
Detto fatto mi portò verso il lavandino e cominciò a lavarmi.
Sì, avete capito bene, con una mano mi sorreggeva (ma a quel punto stavo in piedi benissimo da solo), con l’altra aveva dapprima appoggiato il pene sul bordo del lavandino e adesso procedeva a insaponarlo.
Aveva una tecnica eccezionale: prima aveva trasformato il sapone in morbida schiuma e poi aveva proceduto a far retrocedere lentamente la pelle per arrivare al glande. L’operazione era stata compiuta più volte così che, adesso, ero in piena erezione.
“Bene – rise lei – così è più facile lavare. Però niente scherzi! “.
L’acqua fredda necessaria a togliere il sapone aveva rapidamente ristabilito la normalità.
Con identica abilità mi aveva rivestito e riaccompagnato a letto.
Seduta sul lettino Anna mi chiese se preferivo riposare o leggere qualcosa.
“Né l’uno né l’altro”, risposi.
“Bene – fece lei facendo per alzarsi – posso fare qualcosa per te? “:
“Forse sì” e mentre lo dicevo sentivo il cuore scendermi nelle ginocchia e lo stomaco chiudersi per la tensione.
“Dimmi”.
“Ecco, mi capita spesso di vedere dei fidanzati baciarsi e…”
“E…”
“E mi chiedevo cosa si prova a baciare così una donna “. Ecco, l’avevo detto e mi sentii meglio.
State ridendo? State pensando che al mio posto, con una donna che poco prima aveva proceduto ad un’attenta igiene personale del vostro sesso, avreste chiesto di più e di meglio? Vi capisco ma provate a pensare che avevo quattordici anni, da poco avevo scoperto la masturbazione e che le donne appartenevano al mondo della fantasia. Altri tempi, altri tempi…

Ma Anna non rise, si limitò a dirmi di mettermi a sedere.
Poi mi si fece più vicina, mise la sua mano dietro la mia testa e appoggiò le sue labbra sulle mie forzandole con la lingua. Adesso la sentivo perlustrare ogni angolo della mia bocca e mi parve bellissimo. Impiegai pochissimo a capire ed a ricambiare, in breve le nostre lingue erano attorcigliate e poi toccò a me esplorare la sua bocca.
Ancora oggi ricordo quel bacio come il più bello della mia vita, durò poco ma mi parve infinito.
Quando Anna si staccò da me, mi sorrise e mi disse:
“Hai capito adesso perché i fidanzati lo fanno così volentieri? ”
Stavo per rispondere ma mi accorsi che la sua attenzione era rivolta verso le coperte. La mia erezione era tornata, più forte di prima.
“Oh, anche a lui è piaciuto” esclamò e con pochi gesti mi scoprì completamente.
Poi tornò a guardarmi ma stavolta non sorrideva più:
“Baci ne avrai tanti nella tua vita ma come quello che sto per darti non ne riceverai spesso”.
Appoggiandosi col fianco al mio petto abbassò la testa e in un colpo solo, o così a me parve, fece scomparire il mio pene nella sua bocca cominciando a masturbarmi con le labbra.
Bastarono pochi secondi perché me ne venissi nella sua bocca senza che avessi il tempo di avvertirla e senza che lei facesse nulla per evitare il mio getto. Anzi, continuò con più foga e poi, rialzatasi, deglutì rumorosamente, leccandosi le labbra.
“Adesso ricomponiti, tua madre sarà qui a breve” mi disse infine levandosi dal letto e facendomi una rapida carezza.

Infatti da lì a poco sentii la porta aprirsi e le due donne chiacchierare. La seconda volta che la porta si aprì capii che Anna se ne era andata.
Vi risparmio il racconto delle ore e dei giorni successivi ma vi basti sapere che tutto fu molto difficile.
Naturalmente provai a cercare Anna ma seppi quasi casualmente dai miei che si era trasferita per lavoro in un’altra città e che era passata a salutarci una domenica che ero in giro con alcuni amici (amici, che naturalmente, odiai, colpevoli di avermi involontariamente impedito l’unica cosa che in quel momento desideravo: rivedere Anna).

No, non la vidi mai più, se è questo che volete sapere. E poi la vita esige attenzione, non ci si può fermare troppo a lungo a recriminare o a desiderare qualcosa che non si può ottenere.

Adesso però possiamo tornare all’inizio, alla lettera di mia madre.
Era indirizzata ad Anna e non saprei dire come mai fosse tra le sue carte. Forse non l’ha mai spedita o forse è tornata indietro per destinatario sconosciuto ma ciò che conta è che contiene l’altra parte della verità: mia madre ed Anna erano d’accordo, forse non sui gesti, che probabilmente sono stati decisi al momento, ma sull’intenzione. Mia madre uscì apposta quel giorno lasciandomi solo con Anna, certa che qualcosa sarebbe avvenuto, sapendo che Anna era sul punto di andarsene per sempre, volendo che provassi il tormento dello spirito unito alla soddisfazione del corpo.
è stato giusto tutto ciò? è servito? Si poteva crescere diversamente? Ci vorrebbe un’altra adolescenza vissuta diversamente per saperlo.

Certo è che, nel caminetto, quella vecchia carta da lettera bruciava molto, molto bene…

P. S. : Ieri al cimitero ho rivisto Anna. Non so chi gli abbia detto della morte della mamma.
Mi ha riconosciuto subito e mi ha fatto un gran sorriso, l’unica cosa che in questi anni non è invecchiato.
Mia moglie, che era con me, mi ha chiesto chi fosse quella anziana donna.
“Un’amica di famiglia che non vedevo da tanti anni” ho risposto.
Poi, la sera, mentre provavo ad addormentarmi, ho ripensato all’Anna di oggi, alla sua mano rugosa e rinsecchita, alle sue labbra grinzose e al fatto che probabilmente, adesso, porta la dentiera.
E ho provato fastidio all’idea che anche le emozioni invecchiano… FINE

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