La porta del bar si aprì facendo suonare le campanelle che erano appese al soffitto. Claudio era stanco e assetato, si guardò intorno come se cercasse qualcuno, poi con passi lenti si diresse verso il bancone.
Un fisico abbondante, non grasso, ma i segni della dissolutezza si facevano vedere tutti quanti. Qualche ruga pesante sul viso, ma tutti dicono che a cinquant’anni è normale; due occhi azzurri e taglienti come lamine ed una bocca sottile come un coltello.
– Buona sera Claudio – lo salutò il barista senza neanche guardarlo.
– Ciao – rispose lui sedendosi sullo sgabello e togliendosi l’impermeabile fradicio di pioggia.
Giuseppe, il barista, era intento a pulire inutilmente la macchinetta del caffè. Erano mesi oramai che Claudio si sedeva su quello sgabello dopo l’ufficio, ma quell’uomo non l’aveva mai guardato negli occhi. Probabilmente non sapeva neanche che faccia avesse, lo riconosceva solo dal passo con cui entrava nel suo lurido locale.
– Piove ancora? – domandò Giuseppe strofinando uno straccio umido sul beccuccio del latte.
– Sì – rispose Claudio. – Se guardassi fuori da quella fottuta finestra potresti anche evitare di fare domande così idiote – pensò guardandogli la schiena.
Senza che lo ordinasse, un bicchiere di vodka arrivò davanti a lui, evidentemente il barista conosceva i suoi gusti, almeno quelli.
Lo sguardo si perdeva nei vetri delle finestre, pioveva da tre giorni e sembrava non voler smettere. Il grigiore di quella grande città veniva amplificato dall’acqua che cadeva sulle strade. Claudio si sentiva più triste del solito. Poteva perdere un po’ di tempo in quel bar, ma aveva un posto dove andare per quella sera.
Un altro uomo sulla cinquantina entrò nel locale scrollandosi la pioggia di dosso, appese la giacca all’appendiabiti e si sedette a due o tre sgabelli da Claudio.
– Che tempaccio! – esclamò sorridendo.
Se non hai niente da dire perché non te ne stai zitto? Si chiese Claudio rispondendo al sorriso di circostanza. Sorseggiò la sua vodka lentamente come se fosse la cosa più importante della sua vita. Si accese l’ennesima sigaretta della giornata, avrebbe smesso prima o poi. Continuava a ripeterselo ma non c’era mai riuscito. Dopotutto qualcosa lo doveva pur uccidere, prima o poi.
– Sembra che non voglia più smettere di piovere – disse ancora l’altro uomo.
– Mi ha tolto le parole di bocca – fece lui senza neanche guardarlo.
Evidentemente l’uomo dovette accorgersi di aver detto la frase al primo posto della top-ten delle cazzate, trangugiò la birra che il barista gli aveva portato e si immerse nella sua solitudine non considerando più Claudio e tutto il resto che gli stava intorno.
Se lo immaginava, riusciva a vedere la sua vita chiara come se fosse la propria. Claudio aveva il difetto di conoscere quasi per divinazione i fatti degli altri. Immaginava la moglie grassa, sulla soglia della quarantina che accoglieva con evidente emozione l’idraulico, sperando che prima o poi sarebbe successa anche a lei qualche avventura come quelle che si vedono in televisione. Il marito, intanto, seduto al bancone immaginava una splendida ragazza che gli facesse riassaporare il gusto della gioventù, magari buttandosi tra le sue gambe e prendendo in bocca il cazzo bitorzoluto e guasto che oramai non aveva altre funzioni che l’urinare.
– Bella merda – disse tra sé.
– Come, scusi? – chiese indispettito l’uomo che aveva sentito le sue parole.
– Niente, stavo parlando da solo – rispose bevendo un altro sorso.
L’uomo ritornò a pensare ai fatti suoi scotendo la testa.
Bella merda, tutti cercano di fuggire da qualcosa, cercano la via d’uscita per quella vita che gli si stringe al collo e li strozza. Poveri idioti, dimenarsi serve solo a stringere ancora di più i nodi.
Finì il suo bicchiere senza neanche accorgersene, un’altra sigaretta, un’altra boccata di tabacco e la testa iniziò ad ovattarsi. Una bella sensazione, forse quello era il suo modo di scappare.
– Ciao Claudio – dalla porta era appena entrato Marco, un suo collega al giornale, lui non lo aveva neanche visto.
– Ciao, cosa bevi? – gli chiese facendogli posto accanto a lui.
– Uno scotch, e tu ne prendi un altro? –
– Sì – rispose chiamando il barista con un gesto.
I due bicchieri si appoggiarono al bancone, nessuno dei due aveva voglia di parlare, ma in alcune situazioni stare zitti sarebbe troppo intelligente.
– Cosa ha detto il capo della tua recensione? – chiese Marco come se gliene importasse qualcosa.
– Non l’ha neanche letta. – fece lui senza che la sua espressione lasciasse trasparire la delusione.
– La leggerà domani – cercò di consolarlo Marco.
– Non credo, va in macchina questa notte. – evidentemente Claudio non aveva bisogno di nessuna consolazione.
Erano seduti accanto ma sembravano distanti mille chilometri, ognuno perso nei suoi pensieri e nei suoi problemi.
D’un tratto le campanelle della porta suonarono di nuovo, entrò una donna sui quarant’anni molto appariscente. Claudio fece finta di nulla, la osservò da lontano avvicinarsi, barcollava sui tacchi alti, lo spacco della gonna rivelava una fetta abbondante delle gambe coperte dal nylon.
Era di fronte a lui, Claudio buttò giù l’ultimo sorso di vodka ordinandone un’altra con un gesto al barista.
– Claudio Dessì! Vecchio porco! – urlò la donna alle sue spalle.
Si girò un attimo, la squadrò dalla testa ai piedi, le tette erano contenute a malapena dal maglione logoro e scollato.
– Barista! Dovreste fare più selezione all’ingresso, entra di tutto in questo cazzo di bar – esclamò appena Giuseppe gli appoggiò il bicchiere sotto al naso.
La donna incassò il colpo senza abbandonare la sua posa d’attacco. Claudio sapeva di doversi muovere, sapeva che doveva girarsi e parlare alla sua ex, ma ci sono momenti nella vita di un uomo in cui un bicchiere di vodka è più importante di tutto il resto.
Marco guardò i due per qualche secondo, dopodiché capì di essere di troppo e si allontanò a bere dall’altro lato del bancone.
– Potresti salutarmi, almeno. – fece la donna con un tono più pacato.
– Ciao Giulia – rispose lui continuando a darle le spalle.
– Io e te dobbiamo parlare. – lo incalzò tenendo le mani sui fianchi come se lo stesse sfidando.
Claudio imprecò sottovoce, non aveva intenzione di parlare ancora con Giulia, avevano parlato per tre anni, si erano lasciati perché non avevano più niente da dirsi ed ora lei voleva iniziare di nuovo. Cazzo, non posso starmene in pace neanche in questo bar pidocchioso! Sospirò girandosi lentamente.
– Cosa ti succede? – domandò fissandole le gambe lunghe e tornite.
Era ancora una gran fica, dopotutto l’avrebbe scopata volentieri. Ricordava a memoria il suo corpo ma gli avrebbe dato una ripassata anche lì, sul bancone.
– Aspetto che tu ti prenda le tue responsabilità – disse lei a bassa voce, si guardava intorno come se gli sguardi degli altri la infastidissero.
Che pompini sa fare con quella bocca! Ricordò Claudio non ascoltandola per niente. Le labbra di quella quarantenne erano meglio di quelle delle ventenni che aveva avuto la fortuna di conoscere.
– Responsabilità per cosa? – fece finta di non ricordare.
– Non ho intenzione di rifarti il discorso davanti a tutta questa gente. Non c’è un posto più tranquillo? – chiese guardandosi intorno.
– Casa mia è a dieci chilometri da qui. Fra mezz’ora ho un appuntamento. Penso che il posto più indicato sia il cesso. – annunciò incamminandosi con il bicchiere in mano.
Giulia lo seguì a due passi di distanza. Si ritrovarono nel fetido bagno, l’odore di piscio e di vecchio impestava l’aria. Tra le piastrelle si potevano notare strati e strati di sporco depositati lì da chissà quanti anni. Non era il posto ideale per i loro discorsi ma Claudio si sentiva a suo agio, soprattutto per il bicchiere che stringeva tra le dita.
– Che intenzioni hai? – domandò la donna facendosi vicina.
– In merito a che? – l’alcol girava nelle vene da tempo sufficiente per assopire i sensi e far traballare la vista.
Giulia non credeva alle sue orecchie, non poteva essersi dimenticato anche di quello. Era troppo importante per loro.
– Sono incinta, cazzo! Non puoi far finta di niente anche adesso! – la donna si stava scaldando.
Claudio la guardava come se fosse un’aliena. Quelle parole non le accettava, o meglio, sapeva benissimo che la sua ex era rimasta incinta dopo una delle loro rimpatriate, ma il suo cervello non concepiva la parola incinta riferita ad una donna che era stata con lui. Una cena ed una scopata, nient’altro. Lo facevano spesso, dopotutto si volevano ancora bene. Era più uno sfogo che sesso vero e proprio. Era rimasta incinta ed ora chiedeva a lui che intenzioni avesse per il bambino.
– Ti ho già detto che quel fagotto è roba tua. Puoi farne quello che vuoi. – disse lui prima di trangugiare un altro sorso di vodka.
– Sei un porco. Un vecchio porco. – lo apostrofò guardandolo fisso negli occhi.
– Hai ragione, ma preferisco essere un vecchio porco piuttosto che un giovane agnello. – rispose lui.
– Non capisci, non hai mai capito. Ed io mi domando come posso amarti così tanto. – era quasi in lacrime. Claudio non sopportava di veder piangere una donna. Lo mandava in bestia.
Giulia fu presa da una delle sue crisi di nervi. Una di quelle che Claudio si sorbì durante la loro convivenza.
– Ti amo, questo riesci a capirlo? – gli fece avvicinandosi e appoggiandogli le labbra sulle sue.
– Cosa credi che importi se mi ami o no. Stai parlando di un bambino, non di andare a fare le ferie insieme. – l’apostrofò lui senza staccarsi dal bacio che si faceva sempre più caldo e bagnato.
Non rispose, Giulia era troppo occupata a cercare di eccitarlo. Con una mano iniziò ad accarezzargli il pacco che si gonfiò quasi subito. La lingua iniziò ad esplorare la bocca di Claudio che non opponeva nessuna resistenza. Si ritrovarono avvinghiati in meno di un secondo. Il cazzo scivolò fuori dai calzoni e si puntò direttamente verso l’inguine di Giulia che lo guardò soddisfatta.
– Vedo che ti faccio sempre un certo effetto. – si gongolò aspettandosi una risposta che non arrivò.
Si chinò lentamente facendolo sospirare dalla voglia di sentirsi quelle labbra sul pene. Claudio posò il bicchiere sul lavandino accanto a loro e chiuse le palpebre per assaporare meglio il lavoro della bocca della sua ex.
La lingua si muoveva con esperienza sulla mazza tesa, sfiorando i peli dello scroto e soffermandosi sulla cappella rossa. Le labbra distribuivano un poco di saliva tanto da far luccicare la pelle di quel cazzo che sparì dopo poco nella gola della donna.
– Sai, penso che il cielo ti abbia dotata di un talento naturale per i pompini – sospirò accarezzandole la testa. – Ma tu non ti devi sprecare con me, vai a farli a qualche pezzo grosso, uno di quelli che occupano i gradini più altri di questa stramaledetta scala sociale. –
La donna non rispose, emetteva solo dei risucchi che eccitavano ancor di più Claudio che oramai era sul punto di venire. Le spinse la testa più in profondità, fino quasi a strozzarla, ma poco prima di schizzare la fece togliere da quella posizione e venne nel lavandino.
Il liquido biancastro colava piano piano verso la fogna, mentre Claudio cercava di pulirsi con gli asciugamani di carta che la gentile clientela del locale aveva avanzato.
Giulia non parlava, si puliva la bocca dalla saliva che le era colata anche sul mento ed aspettava una risposta, una parola, un bacio da quell’uomo che forse veniva dall’inferno.
– Ciao – le fece prima di uscire da cesso lasciandola sola tra quelle piastrelle maleodoranti.
Prima che Giulia si riprendesse dalla rabbia, Claudio aveva già ripreso il suo posto ed aveva ordinato un’altra vodka.
Sentì la donna che usciva di corsa dal bagno dirigendosi a passo svelto verso la porta d’uscita.
Riuscì solo a percepire un “Vaffanculo” mormorato tra i denti quando gli passò dietro.
Se ne era liberato un’altra volta, fortunatamente.
Il bicchiere finì presto e Claudio guardò l’orologio: le sette. Era ora di andare.
Buttò quattro soldi sul bancone ed uscì senza salutare nessuno. Notò, però, degli sguardi invidiosi che lo seguirono fino alla porta. Evidentemente Giulia aveva suscitato qualche pensiero nelle menti addormentate di quei nulla facenti da ufficio. Meglio di niente, pensò sbattendosi la porta alle spalle.
La sua Punto l’aspettava sotto alla pioggia. La stessa macchina da sette anni. Il suo stipendio da giornalista a cottimo non gli poteva certo permettere il lusso di un’auto nuova. Con le solite preghiere sentì il motore tossire un poco prima di partire.
Si mise in coda con gli altri malcapitati che affollavano le vie del centro in quell’ora di punta. La sua auto si confondeva sul cemento lucido di pioggia in mezzo alle altre tutte uguali. Il grigiore le rendeva simili, anche le persone all’interno sembravano tutte copie una dell’altra. Claudio sentì lo stomaco ribollire nella solita ansia che provava trovandosi in mezzo a tanta gente. Non era una forma di fobia, era piuttosto un senso di oppressione che gli toglieva l’aria. Il pensiero di trovarsi con tutte quelle persone lo stava innervosendo. Si accese una sigaretta abbassando il finestrino per lasciar uscire il fumo. Le gocce di pioggia battevano sul bracciolo dell’auto, alcune gli arrivavano fino sul collo, ma lui non se ne curava, un po’ di aria fresca gli avrebbe fatto bene. Guardò le insegne luminose dei locali e dei negozi. Si accendevano e si spegnevano mentre il suo cervello brillo le elaborava cambiandone le forme e le parole.
Svoltò per la periferia, la casa di Marta era poco lontano da lì. Le strade si facevano più tranquille ed il pensiero di ritrovare quella ragazza lo fece sentire meglio, tanto che un timido sorriso piegò le labbra dopo tanto tempo.
Il palazzo era alla fine di una stradina sterrata. Un posto tranquillo, Claudio era innamorato anche di quella casa oltre che della ragazza. Tutto, quando stava con lei, lo faceva sentire bene, migliore.
Suonò il campanello e senza che nessuno chiedesse chi fosse sentì il cancello aprirsi con un clic.
Salì le due rampe di scale quasi di corsa, si sentiva anche più giovane. Giunto davanti alla porta socchiusa si rese conto che aveva dimenticato i suoi cinquant’anni in macchina. Sorrise ancora a se stesso ed entrò nell’appartamento numero dodici.
Marta lo accolse saltandogli al collo. Era felice di vederlo ed i suo occhi verdi lo dimostravano sbattendo velocemente davanti alle rughe di Claudio.
– Ciao amore. Mi dispiace, non ho ancora preparato niente, stavo finendo un lavoro. – si scusò lei sculettando verso il suo laboratorio.
Claudio non rispose, la stava osservando allontanarsi. Il suo culetto delizioso saltellava nel miniabito azzurro che le copriva a malapena l’inguine, il resto era pura giovinezza.
La voce di Marta lo raggiunse dallo studio.
– Vieni, ti faccio vedere una cosa –
Claudio si fermò al mobile bar prima di raggiungerla. Si versò un’abbondante dose di vodka e si presentò sulla soglia dello studio di Marta.
– Non è ancora finito, ma se prometti di non darmi subito il tuo parere te lo farò vedere. – annunciò la ragazza mescolando i colori sulla tela.
Quella stanza era una specie di officina per tutte le idee di Marta. La sua principale attività era la pittura con qualche piccola mostra nelle gallerie minori cittadine, ma si era cimentata anche con la scultura con risultati più che soddisfacenti.
Nello studio regnava un disordine supremo come in tutte le menti migliori. A terra qualche pezzo di giornale copriva inutilmente il pavimento dalle macchie di tempera ed olio che imbrattavano praticamente tutto quello che si trovava in quella stanza. In uno scaffale un numero incredibile di trattati e libri di pittura si accatastavano senza un ordine evidente. La finestra era socchiusa per cambiare l’aria pregna di arte e fatica. Le lampadine illuminavano abbondantemente tutto l’ambiente che si presentava ogni volta come una sorpresa agli occhi increduli di Claudio che si sentiva nel bel mezzo di un’officina.
– Cos’è? – domandò ricordandosi della tela di Marta.
– Un ritratto. – bisbigliò lei dando un’altra lieve pennellata alla tela, quasi che la sua voce potesse sciogliere quel suo momento di concentrazione.
– Di chi? –
– Tuo – disse volgendosi verso di lui e sorridendogli a bocca aperta.
Claudio ricevette quel sorriso come una fucilata. Si sentì smarrito da quella dolcezza che aveva infranto il freddo che aveva provato fino ad allora. Un senso di caldo e di serenità lo avvolse in un attimo lasciandolo senza le sue solite armi.
– Fammi vedere. – disse avvicinandosi.
La ragazza girò un poco la tela verso di lui e lo lasciò sbirciare il suo lavoro ancora incompiuto.
La faccia era praticamente identica a quella che vedeva ogni giorno allo specchio. Forse c’erano alcune rughe in meno, ma non se ne curò. I capelli grigi e neri si mescolavano a perfezione tra i colori del capo. Il mento scarno e ossuto era stato addolcito da quel pennello così benevolo.
Solo gli occhi erano molto diversi, almeno da come Claudio era abituato a vederli. Sembravano più cattivi, più duri, da un momento all’altro potevano tagliare la tela e perdersi nella stanza.
Non parlò, si limitò a sorridere e a volgere ancora la tela verso Marta.
– Beh, allora cosa ne pensi? – chiese lei guardandolo dal suo sgabello.
– Mi hai detto di non parlare ora. – rispose bevendo un sorso di vodka.
– Hai ragione. Non è ancora finito. – e riprese subito a ritoccare i lineamenti di Claudio che stava assorto al suo fianco pensando a come gli sarebbe piaciuto ridisegnare il suo vero viso e farlo tornare qualche anno indietro.
Guardava quella ragazza come se fosse la prima volta. I suoi trent’anni erano aria fresca sulla sua pelle secca e consumata. Non sapeva se era innamorato di lei o di quello che lei rappresentava. Da quando si erano conosciuti ad una mostra di pittura la sua vita sembrava cambiata, una ventata di energia lo aveva fatto ricominciare a respirare dopo tanto tempo. Marta era una ragazza dolce ed interessante, l’esatto opposto delle donne che aveva frequentato fino ad allora.
Lo sguardo era sempre docile e sincero attraverso quegli occhioni scuri, i capelli neri a caschetto la facevano apparire ancora più giovane. Il fisico asciutto e sinuoso era un richiamo molto forte per i sensi di Claudio che l’aveva desiderata sin dal primo istante.
– Come è andata la recensione? – domandò facendolo tornare in sé.
– Non lo so. Non so neanche perché mi abbiano mandato laggiù. Quante persone pensi che leggeranno il mio articolo? A chi pensi che interessi una mostra di pittura neoclassica? Avrà lo stesso successo di una rassegna cinematografica di qualche regista filippino. E pensare che c’erano due tele del Tiepolo. – fece lui sconsolato.
Marta lo guardò negli occhi, un senso di dolcezza gli fece tornare il sorriso. Questo era il potere di quella ragazza: farlo sorridere; mai nessun’altra ci era riuscita prima.
– Non preoccuparti, ci sarà pur qualcuno che lo leggerà, stanne certo. – disse per consolarlo.
– A volte mi sento stupido a preoccuparmi per la gente, troppi di loro meriterebbero solo sei millimetri di piombo nella schiena. – il pessimismo non lo lasciava neanche in quell’ambiente tanto dolce.
La ragazza scosse la testa, oramai lo conosceva bene. Sapeva quali era i suoi difetti ed i suoi pregi e non lo si poteva certo chiamare un uomo tollerante. Ma lo amava, lo amava come non credeva possibile. La differenza di età non le era mai neanche passata per la testa. Sentiva che lui aveva qualcosa che la rendeva felice, forse la sua aria burbera, forse i suoi capelli grigioneri, magari la sua bocca tagliente, ma qualcosa c’era, e Marta lo amava per quello.
– Ora basta. Sono stanca. Andiamo a mangiare. – disse alzandosi dallo sgabello ed appoggiando i colori sul tavolo.
Si sedettero in cucina, Claudio si versò un altro po’ di vodka mentre Marta preparava la cena.
Non parlarono molto, non ce ne era bisogno. Si guardavano ogni tanto, quasi per controllare che nessuno dei due scappasse.
– Hai parlato con il capo? Ti darà la promozione? – chiese finalmente lei prima di alzarsi da tavola.
– No, non credo che ci sia nessuna speranza. Ho la lingua troppo tagliente per leccare i culi. Nessuna promozione per me. – rispose aspettando che Marta preparasse il caffè.
– Lo penso anch’io. –
L’effetto della vodka stava scemando lentamente nonostante ne avesse bevuti ancora due bicchieri. Era la voce di Marta a farlo rimanere sano. In altri tempi si sarebbe ubriacato per molto meno, ma ora era tutto diverso.
– Andiamo di là – propose Marta prendendolo per mano dopo aver bevuto il caffè.
Si sedettero sul divano nel salotto. I quadri appesi alle pareti, quasi tutti opere sue, rilassavano la vista con i loro colori freddi e le forme confuse.
– Ti va se ti faccio un massaggio? – chiese vedendolo teso e stanco.
– Sì – rispose togliendosi la camicia.
Si sistemò dando le spalle a Marta che impugnò subito il collo e lo massaggiò dolcemente.
– Ma almeno parlaci, con il capo. Magari prima o poi si accorgerà di quanto sei sprecato. – consigliò movendo le mani sul corpo caldo di Claudio.
– Parlare? Pensi che qualcuno ti ascolti quando parli? No, ti sbagli. Aspettano solo il loro turno per parlare. –
Le mani di Marta si muovevano sempre più energicamente, provocandogli un senso di formicolio in tutto il corpo. Sentiva una sensazione di indefinito benessere avvolgerlo, mentre guardava le gambe della ragazza stringergli i fianchi.
Le accarezzò piano, senza quasi farsi scoprire. Marta lo lasciò fare, sapeva bene cosa volevano entrambi. Le carezze si fecero subito più spinte e lei lasciò la presa dalla cervicale per scendere più giù verso il petto. Le mani si intrecciavano sul corpo di Claudio che inseguiva quelle di Marta per stringerle prima di baciarla. Non ci riuscì, ma si voltò un poco per guardarla negli occhi. Vide solamente le labbra rosse avvicinarsi e toccare le sue. Si baciarono a lungo, lasciando perdere i loro problemi e tutto quello che gli stava intorno.
– Mi ami ? – chiese d’un tratto Marta.
Claudio si bloccò in un istante. Non si aspettava una domanda del genere. Non glielo aveva mai chiesto. Non conosceva la risposta, oppure la conosceva fin troppo bene. Aveva paura, non poteva ammettere a se stesso di essere dipendente da quella ragazza. Il suo mondo sarebbe crollato in un botto. Aveva bisogno delle sue convinzioni, del grigiore della sua vita, dello squallore che vedeva ogni giorno, della rabbia per l’ipocrisia. Ammettere di amarla era come confessare che tutto quello che aveva vissuto fino ad allora era inutile. Rimase muto, si girò verso di lei e iniziò a spogliarla. Le tolse il vestitino e le baciò il seno sopra al reggipetto. Si lasciò spogliare a sua volta dalle mani tremanti di Marta che non si aspettava più una sua risposta, anzi, si era accorta che non avrebbe mai dovuto chiedergli niente del genere, almeno non per il momento.
Si ritrovarono nudi e abbracciati sul divano. Marta scese fino a prendere in bocca il cazzo gonfio. Claudio le accarezzò dolcemente la nuca vedendo la sua testa nera fare su e giù. La lingua leccava timidamente la cappella, le labbra scorrevano sull’asta tesa con un movimento soffice e delicato. Si ricordò dei pompini di Giulia, ma quella era tutta un’altra cosa. In quel momento si accorse di non desiderare il suo orgasmo ma quello di Marta. La fece rialzare baciandola in bocca, le tolse il reggipetto e le mutandine e la distese sotto di lui. Entrò nella sua vagina nel modo più delicato che conosceva. Si mosse piano dapprima, per poi iniziare a pompare sempre più vigorosamente. La ragazza gemeva di piacere sotto ai suoi colpi decisi, pronta ad avvinghiargli la schiena con le sue lunghe gambe.
Claudio sentì i polpacci avvolgergli i fianchi ed il bacino di Marta che iniziava a pompare insieme al suo. Il ritmo salì ancora d’intensità, fino a sfociare in un godimento simultaneo e devastante.
Rimasero fermi uno nell’altra per qualche secondo, i respiri affannosi si placarono piano piano e Claudio uscì da quella dolce fessura per sdraiarsi accanto a lei.
Non parlarono, si limitarono a scambiarsi degli innocenti baci da adolescenti, si coccolarono per un tempo che parve infinito, nessuno di loro voleva muoversi da quell’angolo così caldo.
– Cosa pensi di me? – domandò Marta che non riusciva a frenare il suo bisogno di comunicare con quell’uomo che tanto amava.
Ci pensò un attimo, nessuna risposta poteva sembrare intelligente in quel momento. Non poteva affidarsi al suo repertorio di vecchio ubriacone, non era quello il caso. Sentì un groppo salirgli in gola mentre aprì le labbra senza sapere cosa dire.
– Penso che ci sia più poesia nel tuo culo che in un libro di Quasimodo – bisbigliò senza accorgersene.
La ragazza rise di gusto, agitò le gambe divertita e poi lo fissò negli occhi.
– Ti amo, vecchio porco – disse scherzando.
– Questa è la seconda volta che mi chiamano così oggi, inizio a crederci. – rispose sorridendo a bocca aperta.
Si sorpresero a ridere insieme di gusto. Non c’era una ragione particolare, ridevano e basta. A Claudio sembrò strano, non si comportava così da troppo tempo. Da quanto non rideva così per nulla? Forse l’ilarità era dovuta a tutto quello che aveva vissuto fino ad allora, e che con tutte le probabilità si stava stupendo di come quella ragazza lo amasse così tanto. Era riuscito a fottere il suo destino ed il suo passato, forse.
Risero ancora e poi ancora, fino a che, stremati dal divertimento e dalla passione, si distesero calmi ancora a fissarsi negli occhi.
Marta prese il telecomando dello stereo, accese il lettore cd e la scritta lampeggiante annunciò l’inizio del brano.
– Ti piace De Andrè? – chiese mentre le prime note riempirono dolcemente la stanza.
– Sì – rispose.
Quando capì quale era la canzone che stava iniziando pensò che a volte il destino conosce benissimo le sue vittime.
Ricordi sbocciavano le viole
con le nostre parole
“Non ci lasceremo mai, mai e poi mai”
Vorrei dirti ora le stesse cose
ma come fan presto, amore, ad appassire le rose
così è per noi.
L’amore che strappa i capelli è perduto ormai
non resta che qualche svogliata carezza e un po’ di tenerezza
E quando ti troverai in mano
quei fiori appassiti al sole
di un aprile oramai lontano li rimpiangerai
Ma sarà la prima che incontri per strada che tu
coprirai d’oro per un bacio mai dato
per un amore nuovo
E sarà la prima che incontri per strada che tu
coprirai d’oro per un bacio mai dato
per un amore nuovo
Si ringrazia la casa discografica per i diritti de “La canzone dell’amore perduto”, ma forse questa canzone è più mia che di chiunque altro. FINE