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Mi ha detto lei di chiamarsi Giovanna

Giovanna (mi ha detto lei di chiamarsi Giovanna) è seduta su una sedia, in cucina; le braccia sono dietro lo schienale, legate ai polsi con uno spago di quelli che si usano per legare gli arrosti prima di cuocerli, non troppo stretto, comunque efficace. Anche le gambe, leggermente divaricate, sono legate, con lo stesso spago, ciascuna ad una gamba della sedia. Un bavaglio, ricavato utilizzando un asciugapiatti trovato sul lavello, attraversa la bocca socchiusa ed è legato dietro la sua nuca, così forte che le permette solo di mugolare non potendo articolare mandibola e mascella. è una donna non ancora quarantenne, che definirei bruttina, insignificante, neutra, ma nella quale intravedo una fortissima carica erotica, a lei sconosciuta, latente, ma per me molto eccitante.
Michela, lei mi ha detto che sua figlia si chiama Michela, è invece sdraiata sul divano-letto, completamente addormentata dal cloroformio. Una splendida diciottenne il cui corpo giace inerme, in una posizione innaturale, un braccio abbandonato verso il pavimento, l’altro sul petto. Indossa una T-shirt molto attillata che evidenzia i piccoli seni (una 1°? ) ed un paio di calzoncini da jogging che lasciano scoperte le sue meravigliose gambe, lunghe, affusolate, sode.
Lo sguardo di Giovanna è un caleidoscopio di sentimenti ed emozioni: terrore, sorpresa, angoscia, rassegnazione, rabbia: leggo tutto ciò in quello sguardo, alternato, in ordine sparso, a volte anche due o tre emozioni contemporaneamente.
Prendo una sedia e la pongo davanti alla sua, vicinissima; mi siedo con le gambe aperte, abbracciando dall’esterno le sue, e comincio piano a parlare, scandendo bene le parole.
“Rilassati. Per prima cosa ci tengo a tranquillizzarti. Non ho, ripeto, non ho alcuna intenzione di farvi del male, assolutamente. Il peggio che vi potrà capitare è che domattina, andandomene, vi lascerò legate ed imbavagliate ed impiegherete un po’ di tempo a liberarvi, ma poi tutto sarà veramente finito”.
Il suo sguardo si ammorbidisce trasmettendomi messaggi di fiducia, speranza, preghiera, con ancora tuttavia una sottile venatura di angoscia.
“Ora vorrei toglierti il bavaglio, ma mi devi giurare che non ti metterai ad urlare. Non tanto perché abbia paura che qualcuno ti senta: questa cascina è così isolata nella campagna che la casa più vicina è ad oltre cinque chilometri. Non è dunque che tema questo; semplicemente mi danno fastidio le grida, mi innervosiscono, e potrei diventare più cattivo. Hai capito bene tutto? Se vuoi che ti tolga il bavaglio, impegnandoti a non urlare, fai un cenno con la testa”.
Giovanna annuisce con il capo, più volte.
“Sei proprio sicura?
Guarda che se ti metti a gridare .. Allora lo tolgo? “.
Annuisce ancora. Mi alzo, vado dietro le sue spalle e, non senza difficoltà, snodo il bavaglio.
Apre e chiude più volte la bocca, come a massaggiarsi le articolazioni, mentre torno a sedermi di fronte a lei. Poi, con un lampo d’odio negli occhi, mi sputa in faccia “sei un bastardo! “.
Mi asciugo lo sputo con
quello che era il suo bavaglio e, gelido ma tranquillo, le dico
“Che sia l’ultima volta che fai una cosa del genere. Questa volta ti capisco e ti perdono, ma non sarà così la prossima, se ci dovesse essere”.
Il tono della mia voce ottiene l’effetto sperato; si tranquillizza e con un filo di voce, al massimo della rassegnazione, mi chiede
“ma che vuoi da noi? Che cerchi? Soldi? Non ne abbiamo molti, ma se vuoi sono tuoi. Cosa cerchi? “.
“Semplice: cerco il Piacere! “.
Il suo sguardo è di nuovo terrorizzato: “ci vuoi violentare? Dio, ti prego, lascia stare la mia bambina. è così? Ci vuoi violentare? Fammi tutto ciò che vuoi, ma non toccare lei, ti prego, ti prego, è ancora una bambina”.
“Non voglio violentare nessuno. Almeno, non è questa la mia intenzione. Voglio solo raggiungere le vette più alte del piacere insieme a te, con te”.
“Con me? Ma io non sono fatta per queste cose . ”
“E chi te lo ha detto? Ne sei sicura? Lasciati guidare, lasciati condurre lungo la strada del piacere”.
Il suo sguardo è perso, non capisce, non può capire.
“Facciamo un patto – le suggerisco – tu ti abbandoni totalmente e senza riserve a me ed io ti giuro che non toccherò un capello a Michela. D’accordo? “.
è sempre più smarrita. Non capisce,
proprio non capisce cosa voglia da lei, ma la possibilità di preservare sua figlia da pessime esperienze la fa capitolare.
“Si, si, d’accordo. Ma cosa
vuoi da me? Hai promesso che non mi avresti violentata, ma dici che vuoi godere. Non capisco. Sono confusa. Ti prego, vattene e lasciaci sole. Ti giuro che non dirò niente a nessuno. Ti prego . “.
Questa sua condizione di precarietà psicologica mi procura un sottile brivido lungo la schiena. è bruttina ma ha qualcosa . qualcosa che m’incanta e mi eccita, forse proprio il suo essere così spaurita. Appoggio la mano sul suo ginocchio destro e la sento irrigidirsi.
“Calma, stai calma. Non succede nulla. Voglio solo conoscerti, parlare con te. Stai tranquilla. ”
“Parlare? E di cosa vuoi parlare? ” il suo sguardo è come un punto interrogativo.
“Si, parlare.
Voglio che tu ti apra con me, che mi confidi i tuoi pensieri più intimi, che mi consideri come la tua migliore amica, come il tuo confessore. Voglio che mi racconti tutto di te, senza remore, senza nascondermi nulla, voglio entrarti dentro”.
“Ma io, io non so cosa dire. Cosa ti devo dire? Di cosa ti devo parlare? Dei campi? Del raccolto? Delle bestie? O di come faccio fatica a tirare la fine del mese con i soldi? O del timore che ho che Michela faccia brutti incontri? Di cosa vuoi parlare? E davvero vuoi solo parlare? Non capisco, proprio non capisco”. La sua ingenuità e semplicità quasi mi commuove.
“No, no. Voglio che mi parli di te. Solo di te. Dei tuoi desideri, delle tue voglie segrete, quelle di cui non hai mai parlato con nessuno. Di questo voglio parlare con te”.
Più passano i minuti e più si sta rilassando. Vede allontanarsi il pericolo, soprattutto quello che riguarderebbe sua figlia, e la cosa la tranquillizza. Ora l’ansia, l’angoscia e la paura stanno lentamente lasciando il posto alla curiosità.
“Ma io non ho voglie segrete. Non posso permettermele. Devo mantenere una figlia, io. Altroché voglie segrete. Siete voi di città che avete tutti questi fronzoli per la testa. Io no. Io devo essere una donna pratica, affrontare i problemi quotidiani, e sono tanti. Mica posso permettermi voglie strane”.
Appoggio anche l’altra mano sull’altro ginocchio, stavolta non si irrigidisce più, e la guardo fissa negli occhi “Ti masturbi mai, Giovanna? Non ti tocchi mai? “.
Arrossisce ed abbassa lo sguardo. Tace.
“Giovanna, ti ho fatto una domanda. E voglio una risposta. Sincera. Assolutamente sincera”.
Silenzio.
“Ricorda il patto che abbiamo fatto, ricorda Michela . ” questo nome la scuote. Non alza lo sguardo, sussurra appena un “qualche volta”.
“Brava Giovanna. Vedo che sei ragionevole. è questo che voglio da te: che sia ragionevole. E non accadrà nulla di brutto. Te lo prometto. Ora guardami, dai, alza il viso e guardami”.
Con uno sforzo estremo alza il suo sguardo, incrocia per un attimo il mio, poi
lo distoglie fissando un punto indistinto dietro le mie spalle. La mia eccitazione comincia a crescere.
“E come fai, Giovanna? Voglio che mi descrivi minuziosamente come ti masturbi, dai, racconta”.
“Dio, Dio, perché proprio a me? Perché? Ti prego, lasciami perdere. Ti prego, ti prego, ti prego”.
Una lacrima solca la sua guancia. è bellissima così, struccata, indifesa, mentre piange. Silenzio.
“Allora? Sto aspettando”.
Silenzio. Piange copiosamente adesso, in silenzio.
Aspetto un minuto, senza che il mio sguardo possa incrociare il suo, beandomi delle sue lacrime. Poi levo le mani dalle sue ginocchia e molto lentamente mi alzo e mi dirigo verso Michela.
“Noooo .. ” un urlo strozzato e disperato
“no, fermati, farò tutto ciò che vuoi, tutto, tutto, ti prego fermati. Lasciala stare. Prendi me. Fammi ciò che vuoi ma lasciala stare”. La sua impotenza la ferisce, strattona le braccia nell’intento di liberarsi i polsi. Ho raggiunto Michela. Prendo tra le dita il bordo inferiore della sua maglietta e, mentre uno straziato
“Noooooo . ” riempe la stanza, la sollevo sin sotto il mento. Appaiono i suoi seni. Acerbi, sodi, meravigliosi, da adolescente, con una piccola areola rosea al centro e due capezzoli bellissimi.
La lascio così, scoperta, e torno a sedermi davanti a sua madre.
“Ricorda il patto che abbiamo fatto, Giovanna. Ricordalo sempre”.
“Si .. si .. te lo giuro, ma lascia stare Michela”.
“Dipende da te, solo da te, lo sai”.
Silenzio. “Allora, adesso vuoi rispondere alla mia domanda? “.
“Mi tocco, mi tocco tra le gambe” lo sguardo sempre fisso dietro di me.
“Guardami Giovanna. Voglio che mi guardi dritto negli occhi. Ecco, così, brava. Ed ora racconta”.
“Ma te l’ho detto. Mi tocco tra le gambe, che altro di devo dire? “.
“Voglio una descrizione minuta, dettagliata. Deve essere come se ti vedessi farlo. Devi descrivere ogni minimo particolare in modo che io possa immaginarlo, hai capito? “.
“Si, si, . ma non so come dirlo. Insomma mi tocco il seno e la vagina sino a che vengo. Va bene? “.
“No. Assolutamente no. Non vedo niente. Non immagino niente. Non è la lista della spesa questa, è la descrizione minuta di una tua masturbazione.
Avanti. Ricomincia”.
Ancora lacrime. In silenzio. Lacrime e senso di impotenza. Passa un minuto. Faccio per alzarmi. Sa cosa farei e mi blocca, mi ferma prima che mi sia alzato “Senti . non so come dirlo, davvero. Se vuoi . se vuoi te lo faccio vedere”.
Una staffilata! Questa frase è una staffilata per il mio uccello. Provo un brivido di eccitazione.
“Va bene. Se preferisci così. Ma deve essere vero, come fai da sola, devi godere, godere sul serio, hai capito? Io non ti toccherò, non ti sfiorerò neppure, ma voglio vederti godere. D’accordo? “.
Annuisce con il capo, guardandomi negli occhi. MI alzo, prendo un coltello da una mensola e le libero prima le mani e poi ambedue le gambe.
“Ecco, ora sei libera. Non fare scherzi e tutto andrà bene. Io non ti sfiorerò, magari verrò solo un po’ più vicino per verificare se stai godendo veramente. D’accordo? Comincia, dai”.
Prima si massaggia i polsi e le caviglie, cercando di riattivare la circolazione del sangue, poi mi guarda interrogativa: non sa cosa fare, come farlo, è persa nel suo imbarazzo.
“Cercherò di aiutarti. Quando lo fai, di solito? ”
– “La sera, quando Michela si è addormentata, dormiamo nella stessa stanza”
– “Bene, allora immagino che lo farai da sdraiata, sul letto; vuoi sdraiarti? ” – “Sarebbe meglio. Mi sdraio qui per terra” – “No, senti, mettiti qui, sul tavolo. è abbastanza grande ed io, da seduto, avrò un’ottima visuale”. Si alza dalla sedia, ormai è completamente rassegnata.
Accosta la sua sedia e la utilizza come scalino per salire su tavolo. Poi si sdraia. Solleva la gonna e per la prima volta vedo le sue cosce. Sono bellissime, sode, senza una smagliatura, bianchissime. Ha gli occhi chiusi.
Mi sposto davanti a lei e le guardo le gambe spalancate. Indossa un paio di mutande di cotone, dozzinali. L’insieme è molto eccitante. Scosta leggermente sulla sinistra il cavallo delle mutande ed appare una folta peluria nera, e due grosse labbra. Infila un dito verso il clitoride e comincia a muoverlo lentamente. Sono estasiato.
Le gambe raggruppate, le ginocchia allargate, ed il dito che strofina: bellissimo spettacolo.
Dopo circa un minuto solleva la mano, alza il capo dal tavolo e, piangendo, dice
“non ce la faccio, non ci riesco, non ci riesco proprio, sono secca ed asciutta, ti prego, ti prego. “.
Porto la mia sedia al capo del tavolo, vicino alla sua testa. Le parlo piano, con voce suadente:
“Non fare così. Rilassati. Vedrai che ci riesci. Intanto spogliati. Lo faccio io? Vuoi che lo faccia io? Solo se vuoi tu”. Silenzio. Immobile. Gli occhi ed i pugni serrati con forza.
Comincio a spogliarla con delicatezza. Sbottono la camicetta consunta. Slaccio la gonna sporca e gonfia di odori. Poi le sollevo la testa e, tenendola sollevata con la destra, con la sinistra le levo la camicetta. Mi aiuta con i movimenti del suo corpo. Le sollevo la maglietta e la faccio passare oltre la testa. Non porta il reggiseno. Ha un seno giovanile, piccolo, sodo, sembra quello di sua figlia, se non fosse per l’areola grande e bruna, e per due grossi capezzoli, che fuoriescono dall’areola anche in stato di quiete. Non la tocco, per non aumentare il suo imbarazzo. Le sollevo le gambe e le tolgo la gonna. Prendo le mutandine ed il collant insieme e tiro verso il basso, mentre lei solleva il culo per aiutarmi ancora. Ecco. Ora è completamente nuda, abbandonata sul tavolo, inerme. Non l’ho sfiorata neppure per un istante, se non inavvertitamente, nello spogliarla, e credo che l’apprezzi.
Torno a sedere al suo fianco, e torno a bisbigliarle piano nell’orecchio.
“Vedi, non è successo nulla. Sei stata bravissima. Ed anche io. Non ti ho toccato. Ti guardo soltanto, guardo il tuo stupendo corpo. Non ti tocco. Ora masturbati. ”
Gli occhi sempre serrati porta la mano sinistra al seno e comincia a sfiorarlo delicatamente. La destra gioca un po’ con i peli, poi comincia a sfiorare le labbra, ad entrare appena, a sfiorarle ancora. è bellissima e molto eccitante. Le parlo ancora
“Cosa stai facendo, Giovanna? Dimmi cosa stai facendo, descrivilo con le tue parole”.
“Mi tocco il seno e la vagina. ” –
“La chiami così? Tu la chiameresti così, vagina, come dal dottore? Ti stai masturbando e la chiami vagina? Non ci credo. Usa un altro termine, quello volgare, che meglio si addice alla situazione, dai, riprendi la descrizione, stai andando benissimo”.
Il movimento delle sue mani continua in sincrono. Ora gli occhi non sono più serrati, sono solo chiusi, come se stesse sognando, immaginando. E riprende
“Mi sto sfiorando il seno e la fica. Sento le mie dita su di me . mi sto masturbando . ” – “E cosa immagini? Avrai una fantasia preferita quando ti masturbi, no? Descrivila.
Voglio che mi parli di quello che fai e di quello che immagini. Vai Giovanna, vai che sei bravissima, e bellissima”. Un attimo di silenzio, di tentennamento.
“Vedo Sauro, il nostro cavallo, il mese scorso l’ho portato alla monta. Vedo . vedo il suo . il suo . cazzo, vedo il suo cazzo enorme, lunghissimo, tutto nero con la cappella rosea, enorme anch’essa . ” si sta lasciando andare alle immagini, si sta lentamente sciogliendo, sta superando tutte le difficoltà dell’ultima ora ” lo vedo che balla ciondola . è enorme . gocciola . gocciola tanto . ” – “e ti piace? . ti piace quello che vedi? ” –
“si .. mi piace . mi eccita . è tanto che non vedo un cazzo . tanto, tanto tempo . ” – ha accettato il gioco, posso entrare nella sua fantasia, è semplicemente stupendo
“e . lo vorresti toccare? Vero che lo vorresti toccare? ” –
“si .. si .. vorrei toccarlo, sentirlo tra le dita .. si . ” il movimento delle sue mani si fa accelerato –
“e . vorresti leccarlo? Vorresti anche leccarlo, Giovanna? ” –
“si, vorrei leccarlo, vorrei succhiarlo, sentirlo duro duro, vorrei . vorrei fargli un . un pompino . si, tutto in bocca, tutto in bocca quel cazzo enorme .
” ora si tira il capezzolo con forza; si é inturgidito, è grosso; l’indice della sua mano sinistra è completamente infilato nella figa, lo muove, ansima, geme. Mi alzo in piedi ed accosto il viso al suo
“Apri gli occhi, Giovanna, aprili, guardami. Ecco, guardami, guardami mentre godi. Vorresti farti chiavare, chiavare da quel cazzo enorme? Lo vorresti? ” – “Si, si vorrei che mi chiamasse, che mi sfottesse, che mi riempisse tutta .. ahhhh . tutta fino in fondo. Sei un porco, tu sei un porco, cosa mi fai dire, cosa mi fai fare, . porco, porco, porco . ” –
“Ma ti piace, vero? Ti sta piacendo. Ora vorresti chiavare davvero, vorresti sentire un cazzo che ti riempe tutta, vorresti sentire i denti che ti strappano i capezzoli, vorresti farti
inculare, inculare, e poi sborrare in faccia, in bocca, vero? Vero che vorresti tutto questo? dillo, dimmelo, dimmelo Giovanna . ” adesso i suoi movimenti sono convulsi, forsennati; mi guarda negli occhi con aria di sfida e grida
“Siiii . è vero, vorrei tutto questo .. Che tu sia maledetto, porco, porco, . chiavami . dai chiavami . fammi sentire il tuo cazzo . lo voglio . lo voglio dentro . siiiii .. “. Sta quasi per godere. La fermo. Le blocco le mani “fermati . basta . non godere subito, aspetta, aspetta e sarà ancora più bello”. Il suo sguardo è smarrito, il respiro ansante “perché mi hai fermata, perché. Stavo per godere. Non era questo che volevi da me? Ma che vuoi allora? ” e si abbandona sul tavolo, inerme. Silenzio.
“Voglio l’apice, Giovanna, l’apice. Il piacere più alto possibile, per te e per me. Sei bravissima. Ma si può avere di più, molto di più, credimi, credimi” la mia mano ora è posata sul suo seno e gioca con il capezzolo, lievemente. Lei non sembra reagire, anzi .
“che si può avere di più di una goduta? Stavo per godere, per venire, che posso avere di più? “. –
“Devi tirar fuori l’anima, ecco cosa devi fare, devi rivoltarla come un calzino, e godere come mai hai goduto, in modo sconvolgente. Ti piace la mia mano sul seno? La posso tenere? Ecco, non parlare, rispondi con lo sguardo, io capirò. Allora ti piace, ti piace anche se ti accarezzo la figa? Così? Uh, come sei bagnata! Vedi che ti piace? Senti il piacere che sale? Che sale? Vedi le tue immagini segrete che riaffiorano? Cominci a muoverti come una cagna. Sborri a fiumi. Cosa vedi? Cosa vedi di così porco e depravato? Lo senti come ti strizzo il capezzolo? Ti faccio male? No? Più forte? Ancora di più? Cagna. Godi come una cagna in calore. A che stai pensando di così forte? A cosa di così proibito? Ci sono. Ho capito. Te lo dico mentre ti strizzo il clitoride, ecco, mmm come ti piace! Ho capito a cosa stai pensando. Aspetta che mi slaccio i pantaloni. Ecco. Lo vedi il mio cazzo.
Lo senti sulla tua guancia. Stai per venire? Aspetta. Aspetta veniamo insieme. Vuoi che ti dica a cosa stai pensando? Meglio: tu me lo dici ed intanto io ti punisco per quello che dici . va bene? Va bene? Cosa vorresti fare? A cosa stai pensando Giovanna? Dimmeloooooo … “.
Il suo corpo è in preda alle convulsioni. Si è infilata due dita in figa e due in culo e si masturba violentemente, io la guardo attonito e, mentre con la destra mi sparo una sega sul suo viso, con la sinistra le torco violentemente un capezzolo. Sta urlando di dolore. Il capezzolo sembra staccarsi e lei stessa ha levato le dita dalla sua figa e si sta schiacciando con forza il clitoride. Urla, geme, ansima e, alla fine s’inarca gridando con quanto fiato ha in gola
“Saraaaaaaaa . si porco . sto pensando a Saraaaaaaaa … ahhhhggggggg .. Vengoooooooooo … siiiiii. godoooooooo”.
Il getto di sborra, il primo violento spruzzo la colpisce in viso, il secondo in bocca, il terzo le copre gli occhi.
Le sue mani sono umide dei suoi stessi succhi ed un getto di pipì esce violento dalla figa. Sul capezzolo una goccia di sangue è il risultato di un’unghia che l’ha graffiato durante l’orgasmo. La mia sborra le cola lungo il viso.

Mi sveglio di soprassalto. Sono nella mia linda cameretta in centro Milano.
Sono sudata fradicia, la maglietta aderente al petto ed i capezzoli inturgiditi e dolenti.
Le mie mani sono sporche di sangue; sollevo le coperte ed anche il letto, e le cosce sono sporche di sangue. Cazzo!! Mi sporco sempre quando mi masturbo nel sonno durante le mestruazioni!! FINE

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