Sono alto quasi più di due metri, naturalmente tutto è in proporzione millimetrica.
Annalisa è 1, 50, una vera Venere tascabile.
Proporzionata anche lei come non mai, una vera miniatura di donna mora con occhi verdi.
Una miniatura perfetta di donna bella.
Ci conoscevamo sin da piccoli.
Tra noi vi era una amicizia fatta di cose serie, la letteratura, e scherzi e battute micidiali sulla nostra differente altezza e peso.
Lei, vedendomi, sollevava la curata manina aprendo solo l’indice e il pollice con l’indice in alto a significare che i grandi l’avevano piccolo. Poi la girava a pistola ridendo: i piccoli ce l’avevano lungo.
Naturalmente ridevo, non avevo mai pensato a lei come partner sessuale, mai sarebbe stato possibile, pensavo che l’avrei sfondata.
La sollevavo come un fuscello, me la facevo girare dietro il collo per farla ripiombare a terra in piedi ridente e felice della mia prova ginnica e della sua.
Si rideva pensandoci a letto con lei che scivolava sempre dalla mia parte trascinata dal diverso livello del materasso ma non se ne era fatta mai una immagine a doppio senso.
Solo il peso contava.
Quella sera in montagna avevamo trovato una sola stanza.
Che facciamo? – avevo chiesto ridendo, pronto a rigirare la macchina e scendere di nuovo in pianura.
A noi piaceva molto girare insieme, avevamo gli stessi gusti, gli stessi desideri, eravamo davvero due fratelli intellettivamente.
Sapevo delle sue esperienze sessuali e lei delle mie, ne discutevamo ridendo senza mai coinvolgere l’altro negli stessi desideri, era altro da noi due, noi non si poteva farlo.
Facciamoli ridere, dichiariamoci sposati, dai…. –
Disse ridendo e facendomi l’occhio di triglia.
Ma le carte d’identità? –
Ci siamo sposati Domenica scorsa, non abbiamo i documenti in regola, dai, prova. –
La bugia era passata, tanto all’albergatore interessavano i soldi, non le coppie strane e avevamo ottenuto la camera col letto matrimoniale.
Io, decisi, avrei dormito nel sacco a pelo che portavo dentro lo zaino, si trattava di una notte soltanto.
Si era riso spogliandoci e nascondendoci per poi ritrovarci io in pigiama e lei con una corta vestaglietta di cotone.
Già l’avevo vista in costume da bagno.
Aveva due gambe bellissime, un seno piccolo e duro e un sorriso luminoso da incantare.
Perché non provi prima il letto? Tu stai buono dalla tua parte e io prometto di non sedurti.
Gigante. Puoi sempre rifugiarti dopo in quella bara calda. –
Era il fatto che lei non mi seducesse che mi convinse, avevo accettato la battuta come una sfida, lei sedurmi? Ma va… –
Il materasso si comportò come previsto, lei era trascinata verso di me.
Si lasciò andare e ben preso il suo corpo aderì al mio ed era un corpo caldissimo e tenero, pneumatico, adorabile.
Che faresti per sedurmi, nanetta? –
Dissi ridendo con voce provocatoria.
Se volessi sedurti ora, ti bacerei, stronzo. –
Seee, la nana che bacia il gigante… Maddai.. –
Sghignazzai come un matto.
Lei mi guardò seria con occhi luminosi e la bocca un poca aperta.
Non sei carnivoro, vero? –
Mi guardò con strani occhi appannati.
Dipende dalla carne, con te ci farei il brodo, nient’altro. –
Non so che pensammo, forse la stanza fredda, forse il caldo delle labbra e del corpo ci agevolarono nel nostro primo impacciato bacio senza lingua.
Una scossa elettrica per entrambi, forse erano anni che lo desideravamo dentro di noi.
Poi venne la lingua, il respiro pesante, la mia insana eccitazione, il suo accorgersi del mio stato, le sue mani ad aprirmi il pigiama, le sue labbra su di un mio capezzolo.
Tremende.
Odore di sesso.
Fermati, ti prego, va a finir male… –
In che senso? – chiese con una vocina eccitata.
Nel senso che ti faccio anche se non so come, puttanella. –
Ci sarebbe solo un modo, gigante, che lo facessi io. –
Cosa? –
Scoparti. –
Era salita su di me ridendo, la sua bugnetta contro la mia eccitazione evidentissima e involontaria, era pur sempre una bella donna.
Cercavo di farla scendere e più cercavo più’ pressava su di me ridendo.
I feronomi galleggiavano nell’aria.
Mi ribaciò trascinandosi in alto e questa volta cercò la mia lingua tutta.
La trovò anche se era una lingua esitante.
Poi si perse il nume della ragione.
Le bocche si divorarono selvagge senza tralasciare nulla della bocca dell’altro.
Le mie mani a spogliarla delle mutandine, le mie grosse dita a cercarla delicatamente, a trovarla, a farle mordere il mio labbro inferiore.
A portarsi le mie dita bagnate di lei in bocca e succhiare se stessa.
Erano dita grosse per lei, forse pensava ad altro.
Fu una lunga, lunghissima carezza.
Il suo cuore batteva forte come il mio, ci stavamo davvero eccitando, che sarebbe successo?
Ci saremmo fermati?
Mi ritrovai nudo, le sue mani a cercare il mio corpo teso e io a cercare lei.
Venne l’urlo, quasi da gatta in amore, lungo, bello da udire, pazzesco da sentire nelle sue contrazioni vaginali sulle mie dita in profondità.
Il suo orgasmo fu rapido e violento, mi morse il collo quasi singhiozzando alla fine.
La sentii rialzarsi quasi subito, guardarmi negli occhi e prendere la verga con una mano.
Era enorme per lei pensavo.
Non lo fare è troppo per te, ti farò male. –
Mi guardò come si guarda uno stupido.
Dici? Vediamo, gigante, se ti porto dentro. –
La sua voce era un ricordo di quella squillante di sempre, era roca, bassissima ed eccitante.
Guardavo la sua mano dirigere sulla sua natura, che mi sembrava piccola e delicata, il grosso fungo della mia testa.
Era scivolosa e bagnatissima.
Occhi annebbiati e stretti, la mano decisa, la verga dura puntata in alto.
Roteò un poco il bacino e il fungo entrò deciso e senza sforzo.
Rise e incominciò a cavalcarmi prima lenta poi veloce, sceglieva lei il ritmo.
Possibile?
In quella fichetta da bimba?
La sostenni, la mossi io su e giu.
Smise di ridere e io smisi di stupirmi, quella mi stava chiavando e in modo naturale e meraviglioso.
Il guanto giusto per la mia verga.
Non ne avevo mai sentite di quelle cosine che ti stringono dentro con muscoli vaginali di ferro, era una ginnasta, un’insegnante di ginnastica e i suoi muscoli erano forti, eccezionalmente forti.
Il suo seno spariva nelle mie mani ma dentro al palmo lo sentivo vibrare in modo solidale con i suoi movimenti.
I capezzoli come rocce solitarie dure e scaldate dal sole interno.
Il sole nel ventre pensai ammirato.
Lei sapeva rigirare il mio membro sui suoi punti erotici interni trovandoli e godendoli sempre.
Fu la scopata più bella della mia vita, più lunga e goduta e quando lei precipitò sul mio petto la cinsi teneramente con le mie braccia mentre sentivo il mio seme e i suoi umori colarmi addosso.
Fu una tregua breve.
Puoi farlo ancora? –
Chiesi interessato, eccitato, con voglia non dissimulata di maschio al calor bianco.
Sì, tutta notte se vuoi, non mi fai male, sei la mia giusta misura. –
Accelerò il mio recupero con le mani sapienti.
Chi l’avrebbe detto. –
Io, lo so da una vita che prima o poi ti avrei preso, gigante. Preso tutto e in ogni luogo. –
Non ci provare, ti sfondo. –
Dici? Vediamo. Sai che lo uso spesso, te l’ho confessato apposta, prima o poi lo avrei preso anche lì, volevo lo sapessi, sono molto elastica, vediamo. –
Fu più difficoltoso, lo capii dalle smorfie del viso ma era testarda e piena di voglia, non esistevano giganti per lei.
Ma poi cedette, mi sentii dentro a quella caverna muschiata che tanto mi piaceva mi sembrava di impalare una bimba.
Era estremamente eccitante, che cosa ero, un maniaco?
Ma poi vedevo le tette da donna ballarmi davanti agli occhi e sapevo d’inculare una nana.
Era stupendo.
Poi vidi la stilla di sangue che sparì da sola, mi sentivo un porco.
Lo facemmo per quasi tutta la notte trovando anche il modo di muovermi io da dietro in quel culetto metà del mio bacino e dal bordo del letto, lei mi fece assaggiare anche la bocca e fu davvero esperta e convincente.
La mia lingua le divorò la clitoride.
Le penetro l’ano sfondato.
Avevo perso una amica e trovato un’amante.
Che amante.
Non perdemmo mai l’umorismo, sapevamo come eravamo buffi ma non perdemmo mai nessuna occasione di rifarlo anche da sposati e nessuno sospettò mai che la nana mi scopasse.. hehehe… anche col culo. FINE
