Passeggiava oziosamente per quella via, una via pregna dei suoi ricordi, della sua gioventù. Osservava la folla davanti a se, scorrere lentamente; un moto uniforme e regolare, lento ed ipnotico. Immerso in un leggero stato di torpore, gli parve di scorgere tra le tante facce che gli passavano davanti quel pomeriggio autunnale, un viso famigliare, dolorosamente famigliare. Un viso che pareva emergere dalle pieghe del suo inconscio. Ella avanzava col passo di sempre, lento e assorto, perso in chissà quali elucubrazioni. I capelli scuri non troppo lunghi frustavano l’aria attorno alla sua testa. Era lei, ne era certo, era come la ricordava. Quel suo lento incedere, il suo abbigliamento ricercatamente trasandato; pareva quella di un tempo, come se dieci anni non fossero passati da allora. I capelli, che tanto l’avevano affascinato. erano gli stessi di allora. Chissà se continuava a tormentarli, tirandoli, attorcigliandoli fra le dita mentre era assorta in qualche pensiero, mentre fissava il vuoto davanti a sé trapassando l’universo. Sentiva, scandito ad ogni passo di lei, il lento rifluire dei ricordi. Prima piano, come un lento gocciolare di pioggia, poi forte, più veloce e violento. Un fiume in piena che tracima e inonda la campagna circostante. La marea dei ricordi lo travolse portando a galla come relitti di nave quei sentimenti che credeva d’aver perduto, dimenticato per sempre. Quei sentimenti lasciati a morire in qualche oscuro angolo di quella città da tempo abbandonata. Capi in quel momento il perché dei suoi viaggi al quartiere della sua prima maturità. Viaggi voluti e contrastati ad un tempo, viaggi che egli sentiva di dovere a se stesso. Quei ritorni, a volte brevissimi, erano motivati da una ricerca, una inconscia ricerca intrapresa ad insaputa di se stesso, una ricerca di qualcosa che fino a quel momento egli non aveva intuito. Niente lo legava più a quel luogo. Eppure, egli periodicamente tornava; per incontrare qualche vecchio amico, diceva a se stesso, qualche conoscente. Gente di cui oramai non nutriva più alcun interesse, troppo lontani… eppure. Perché? Tornava a cercare se stesso, questo intuì quel pomeriggio, quella parte di sé che ancora vagava in quei luoghi, gemendo sofferente come una creatura incatenata. Capì che era vero. Si… era vero, i fantasmi esistono. Esistono non come simulacri di ciò che un tempo fu, ma piuttosto come emozioni legate ad un particolare luogo, ad una determinata epoca o situazione della nostra vita. Sono le nostre paure quei fantasmi, le nostre gioie e i nostri rancori e i nostri odi. Ogni parte del mondo ne è pervasa, continuamente attraversata dagli ectoplasmi dei nostri sentimenti. Una fitta rete in cui i destini degli uomini s’affiancano, si scontrano e s’intersecano e si eludono ad ogni istante. Questi fantasmi a lungo tenuti con ogni mezzo sotto il pelo della coscienza non aspettano che una piccola occasione per liberarsi, per emergere e travolgere le fragili barriere che la nostra parte cosciente cerca di erigere con l’unico velleitario scopo di non affogare, di non affogare in noi stessi. Essi non aspettano altro che la più piccola occasione per liberarsi e coglierci di sorpresa, colpendo forte, così forte da far vacillare la nostra fragile anima. Così forte da impedirci qualsiasi azione. Sopraffatti dal dolore; Scappare, urlare, persino annullarci diventa impossibile in quel momento. Fu quel che accadde a lui. Avanzava lentamente nella sua direzione. Non lo vedeva forse? Voleva chiamarla. farle almeno un cenno. gridarle qualcosa. Il suo nome, un offesa, una richiesta d’aiuto, un “ti amo ancora”. Voleva correrle incontro e afferrarla, tenerla fra le braccia senza farla più scappare da lui, mai più. Se ne stette immobile all’altro lato della strada guardandola mentre passava, senza dire una parola e con la testa piena di immagini. Il fiume dei ricordi aveva rotto gli argini che lo trattenevano e lo sommerse.
Si vide mentre passeggiava con lei per quella stessa via. Vide i suoi sorrisi e i suoi atteggiamenti. Sentiva nelle narici il profumo che indossava e rivide quel suo abituale tic nervoso, quel gesto che la costringeva a tormentarsi i capelli. Ricordava la sua aria dubbiosa, perennemente indecisa; un po’ per finta, molto sul serio. Lei dimostrava una totale sfiducia in se stessa, una sfiducia che traspariva da ogni suo discorso finendo per assomigliare ad una richiesta di protezione, ad un richiamo. Era, in quell’epoca, un’autentica professionista del dubbio e dell’esitazione. Lei con i dubbi ci giocava; con i suoi ed anche con quelli degli altri purtroppo. Ricordava fin troppo bene le ore passate in cupa malinconia, cercando di carpire un significato da ciò che ella faceva, da ciò che diceva, rimuginando in continuazione senza capire, senza trovare una soluzione, una maniera per fermare quel tarlo che rode il sonno ed un po’ anche la vita. Il resto di quella assurda storia d’amore a “senso unico” ancora non la capiva . Forse si era trattato di un senso alternato; innamorati prima uno e poi l’altro senza trovare una strada per amarsi a vicenda. Certo che in quanto a dubbi neanche lui se la cavava male: era un professionista, forse fra i migliori in circolazione. Una questione di tempi dunque? Nel corso della sua esistenza raramente era arrivato al momento giusto: regolarmente in ritardo. A volte, nella foga, pure in anticipo, con un risultato fors’anche peggiore.
Mentre lei s’allontanava si chiese cosa ne sarebbe venuto se la loro storia fosse andata bene: un dubbioso e incerto amore?
La seguì mentre s’allontanava fra la folla indifferente attraverso un velo umido che gli copriva la vista. Poco più avanti una giovane donna dai capelli neri non troppo lunghi camminava lenta, lo sguardo assente e perso nel vuoto. Gocce colorate d’un vago azzurro le scendevano dagli occhi per correre ad infilarsi nel collo del giaccone, quasi a cercare un riparo, un posto per nascondersi dalla gente. Più indietro, un uomo, fermo di fronte ad una vetrina di un negozio lentamente si volse nella direzione da cui era venuto; si sentiva dolorosamente euforico in quel momento. Raccolse i suoi fantasmi e s’avviò piano per la sua strada. FINE