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L’Ermete Astrale

Ovunque è notte o giorno in questo nostro globo, che si chiama Terra, cosce di madreperla si dischiudono e rosate vulve fremono. More e tenere braccia si tendono e lombi d’ogni colore scaricano le loro energie. In ogni luogo e tempo giovani o meno teneri amanti fuggono nel piacere ad ogni sorta d’avversità. Non c’è feroce guerra o grave crisi, che accanto al dolore accolga i gemiti e gli spasmi di corpi allacciati, ad ogni amorosa impresa pronti.
Un geodeta che si affanna per il cibo e per l’amore, circondato da miriadi di stelle avvolte in spirali.
Là, nello spazio infinito ed infinitamente freddo, nonostante gli innumerevoli fuochi che si offrono allo sguardo, gli Ermetidi astrali vagano di stella in stella.
Quanti siano gli Ermetidi non lo sanno essi stessi, giacché son usi viaggiare solitari.
Viaggiano compiendo una spirale sempre più allargata, che quindi ripassano, ogni centinaia di migliaia d’anni, dallo stesso punto.
Ciò fa si che, casualmente, due Ermetidi astrali possano incontrasi e fondersi, e dalla fusione escono in quattro, là dove furono in due.
Ognuno dei quattro sa ciò che i due sapevano ed è pronto a ripartire tra le stelle per cercare nuove cose. Non sono spinti da brama di sapere o dal desiderio di progredire.
L’ermete astrale è la curiosità fatta persona. In verità non di persona si può parlare, giacché non a sostanza, bensì ad energia e la loro somiglianza.
Non che siano del tutto immortali. Credo che i freddi ed oscuri buchi neri dello spazio abbiano più volte concentrato in se ciò che fu senziente; della loro sorte non sarei sicuro nemmeno se dovessero trovarsi in una stella nel pieno della sua fittile esistenza. Ma sicuramente sono immortali a paragone della misera esistenza umana.
Un Ermete astrale finì, nel suo migrare, sul suolo lunare.
Ermete riposava lì, sparso nella polvere lunare, da vario tempo (anni o secoli non so, poiché il tempo per un ermetide è estremamente relativo), sicuramente avrebbe ripreso il suo cammino tra un poco ed avrebbe vagato ancora nello spazio per un tempo infinito, se la sua attenzione non fosse stata attirata da una vibrazione. Qualcosa era allunato, distante da li, ma vicino per chi abituato a misurare le distanze in tempo-luce.
In un lampo Ermete fu là dove curiosità chiamava.
Un veicolo di materia dura, dotato di lunghi tentacoli d’eguale materiale, stava poggiato sul suolo di quel desertico granello dello spazio ed un varco si stava aprendo.
Ne uscì una specie di grosso cilindro dotato di quattro altri cilindri attaccati. Due sottostanti ed uno per lato in alto. Il cilindro iniziò a saltellare utilizzando in ciò i cilindri sottostanti.
In un attimo Ermete fu al cilindro, sentì la presenza di qualcosa di senziente e vi penetrò.
L’energia scorse in quella cosa sostanzialmente molle e nel giro di poco aveva conoscenza di tutto, nervi, ossa, ghiandole, liquidi organici e, soprattutto, del cervello coi suoi neuroni.
Subito imparò che di qui poteva assistere, ignorato, a tutto ciò che l’essere percepiva e provava.
Decise di rimanere un poco per curiosare (e un poco può essere molto per gli umani).
Era però ancora indietro nel suo pieno curiosare; era affascinato dal funzionamento di quel corpo, dagli odori, colori e dal tatto che stuzzicavano il sistema nervoso e lui che vi era connesso, pertanto non aveva ancora pensato a studiare quella mente. Ne carpiva di volta in volta le conoscenze per capire ciò che accadeva, ma non ne aveva ancora esplorato i ricordi.
Nella navicella erano presenti altri due astronauti ed Ermete poté studiare quei corpi.
All’arrivo su di un nuovo pianeta, si ritrovò circondato da innumerevoli di quelle creature, d’altezze simili ma varie, con aspetti molto diversi seppur estremamente uguali.
Saltellò da una mente all’altra e, improvvisamente, si trovò in un corpo che era pervaso dalla forte presenza di vari enzimi prodotti da ghiandole che aveva trovato molto meno attive nei corpi precedenti.
Questi enzimi davano ai nervi una tensione elettrica così forte e stimolante che Ermete entrò in stato d’eccitazione, pensò che se il suo corpo fosse stato un agglomerato d’atomi, i suoi elettroni sarebbero schizzati nei gusci più esterni (l’eccitazione umana non è certo quella che può provare una pura energia).
Da un rapido esame Ermete verificò che una delle conseguenze dell’eccitazione del suo ospite era l’irrigidirsi di un’appendice posta tra le gambe, di cui aveva individuato l’uso quale espulsore di liquidi organici di scarto, ma che ora vedeva interessato l’altro canale, collegato ad un produttore di liquido più denso che faceva ambiente di contenimento di numerose cellule flagellate dotate di un corredo cromosomico dimezzato.
Lo sguardo dell’ospite era puntato su di un suo simile, uno di quegli esseri che aveva individuato come forniti di protuberanze carnose poste sul petto. In particolare lo sguardo era puntato sulle cosce di quell’essere, che erano ampiamente esposte alla vista grazie ad una corta gonna ed alla posizione disgiunta delle gambe. Un triangolino di tessuto bianco si intravedeva appena, eppure era la causa delle reazioni del cervello in cui Ermete abitava. Rapidamente si impossessò del concetto di uomo – donna e la sua curiosità crebbe.
La donna si girò verso l’uomo, si accorse del suo sguardo e mutò posizione alle gambe, sulle quali calò anche, per quel che era possibile, la gonna. L’ospite ebbe un moto di delusione e la tensione del pene ebbe un brusco calo.
Troppo tardi. Ermete era curioso.
Allungò un tentacolo di energia fino alla base del cervello della donna, trovò gli analoghi produttori di enzimi e gli dette una scarica magnetica così forte da mandare in tilt il sistema endocrino di quella povera donna.
Attraverso gli occhi del suo “veicolo” Ermete quell’umana, dai lunghi capelli mori e ondulati, mordersi le labbra, stringere ed allentare a ripetizione le cosce, agitandosi sulla sedia e quindi volgere di nuovo a lui lo sguardo e, deliberatamente, assumere la stessa posa di prima con le gambe, ma in modo più spudorato e aperto di prima.
Quindi, costretta da un impulso irresistibile, di cui Ermete avrebbe ben dovuto conoscere la causa, si alzò muovendo le labbra in quello che avrebbe scoperto essere un sorriso e si mosse verso l’uomo.
Lo strusciò come casualmente, ma deliberatamente, mentre passava e si infilò in una porta di un corridoio li vicino.
L’ospite, la cui tensione all’appendice era divenuta così forte da farla aumentare notevolmente di volume, si alzò e la seguì.
Guardò intorno per assicurarsi di non essere notato e varcò la stessa porta.
Si trovò in uno spazio angusto, subito prospiciente una seconda porta, da cui fece capolino la donna che, afferratolo per un braccio, lo trascinò dentro.
Si avvinghiarono. Ermete sentì le forti scariche piacevoli che derivavano dal passaggio delle mani dell’uomo sul corpo caldo e morbido della donna e in piacere che dava il tocco delle mani di lei sul suo. Una scarica di piacere fortissimo emanò quando la mano di lei si poggiò sull’appendice massaggiandola con vigore ed un’elettricità in progressivo aumento traversò i nervi via via che la mano dell’ospite risaliva le cosce nude sotto la gonna, per giungere al culmine quando, varcato quel famoso oggetto di stoffa bianca, si ritrovò prima tra il pelo serico di lei e quindi la dove la pelle della donna cedeva sotto le dita facendole entrare in un ambiente caldo e invaso di liquidi.
Una serie di azioni e di termini gli giunsero tramite il cervello dell’uomo, per lo più senza significato preciso, ma tutto ciò che avveniva era quanto di più incredibilmente piacevole ed eccitante che gli fosse capitato nella sua millenaria esistenza.
L’uomo strappò le “mutandine” alla “vaccona mora” la girò in quello spazio poco meno angusto del precedente e le fece appoggiare le mani al “lavandino”, estrasse il “cazzo” dai “pantaloni” e lo infilò d’un colpo nella “fica” di lei iniziando a farlo scorrere, mentre la “troia” accompagnava il suo movimento con un suono melodioso che usciva dalla bocca ogni qualvolta il cazzo spariva per intero al suo interno. La sensazione che arrivava ad Ermete da quello strofinamento, in particolare dal “glande” del “pene”, e dal caldo umido pertugio avvolgente che apparteneva all’altro essere, era la più sconvolgente che avesse trovato nell’intero universo da che gli Ermetidi esistevano.
Quella sensazione saliva inoltre di intensità, fino a che non intuì che il suo ospite si sentiva prossimo al culmine.
Fu seccato quando l’uomo si estrasse per evitare il culmine, stava per intervenire, ponendovi rimedio, ma si accorse che in realtà qualcosa aveva attirato l’attenzione nel suo compagno di godimento, rinnovandone l’eccitazione.
Un forellino piccolo e stretto che a tratti si scorgeva nell’allentarsi e serrarsi dei “glutei” della mora.
Così pensò, come il suo ospite, “ora assaggiamo il culo di questa bella troia”.
Quando la donna sentì il glande paonazzo, del cazzo teso e gonfio allo spasimo, poggiarsi al “buco del culo”, iniziò a divincolarsi e a protestare con la voce all’indirizzo dell’uomo.
Non sarebbe stata impresa facile se Ermete non avesse nuovamente agito sulle ghiandole della donna, che iniziò ad ansimare, ma smise di cercare di sottrarsi alla sodomizzazione.
Serrò invece la mani al lavandino e diede un trillo, soffocato dalla mano di lui sulla bocca, quando il cazzo le “sfondò” il culo. Ermete capì che la mora stava lamentandosi, ma le celestiali scariche dei sensi dell’uomo, che godeva
dello scorrere in quel budello avvolgente, fecero si che gliene importasse meno che al suo ospite stesso. Anzi, sentì che i gemiti eccitavano maggiormente il suo coesistente, dando, per mutua condivisione, più piacere a lui.
Né l’eccitazione calò quando i gemiti e i movimenti di lei cambiarono e sembrarono manifestare piacere. Curioso allungò un tentacolo e sentì che la donna provava piacere in quella violazione del suo intestino. Fremiti, simili a spilli, si riversavano dall’ano sollecitato al sistema endocrino della vulva, tanto che la donna iniziò a massaggiarsi con la mano una piccola protuberanza, posta subito sopra il varco che prima aveva loro donato piacere, sensibile come il glande del cazzo dell’uomo; e la sensazione era per Ermete paradisiaca. Senti il piacere delle mani dell’uomo che erano scese ai seni, impossessandosene ed usandoli come punto di appoggio per rendere più possenti i colpi che le invadevano l’intestino e le percuotevano le natiche al termine dell’affondo, facendo sbattere i testicoli alla sommità delle sue cosce.
Così, nei due cervelli, colse il culmine del piacere. L’improvvisa contrazione del ventre dell’uomo, che sparava il liquido denso nell’intestino di lei, liberando una tensione di piacere simile ad un’esplosione e, il piacere di lei, che toccato il culmine e provato piacere anche nella calda invasione del seme di lui nel suo sensibile profondo, si placava lentamente in un susseguirsi di contrazioni del corpo sull’asta infissa di lui che rese beati tutti e tre.
Sfuggi a quei corpi e si disseminò nell’aria di quel bagno.
Che esseri meravigliosi! Non solo gli avevano fatto provare le sensazioni più profonde dell’universo, ma lo avevano nutrito fino a satollarlo. La sua energia, che viveva di curiosità e stimoli, non era mai stata così carica!
Vagò nell’aria per molti giorni umani, satollo e carico, curiosando qua e là dall’esterno di quei corpi.
Era satollo e le sue incursioni si limitarono ad alcuni “studi”, dai quali apprese che non tutti gli uomini apparivano gradevoli alle donne e viceversa e giungendo ad appropriarsi dei gusti estetici medi di quegli esseri facendoli propri ed apprezzando la bellezza secondo il punto di vista umano. Ovviamente con qualche cantonata presa per i gusti particolari di alcune delle persone visitate.
Gli capitò un altro impulso mentre “navigava” nell’aria di un treno.
La sua attenzione fu attratta da una stupenda bionda, dai lunghi capelli lievemente ondulati color dell’oro grezzo e dalla pelle ambrata dal sole, sul cui volto brillavano come diamanti due intensi occhi azzurri. Era una splendida donna, dal seno pieno e dalle cosce ben tornite. Una di quelle donne che, qualche chilo in più di una modella, rendevano estremamente sexy. Il ventre, leggermente arcuato da trentenne, era anch’esso fonte di piacere per gli occhi.
Era in uno scompartimento, attorniata da quattro maschi piuttosto prestanti. Il tipo del “macho”, forse un po’ da bulli di periferia, ma molto sexy secondo i canoni di alcune “ospiti per studio” di Ermete.
Ciò che aveva attirato la sua attenzione erano le sue gambe.
Si serravano e si stringevano, strusciando un po’ tra loro, in modo da ricordargli le reazioni della donna che aveva stimolato quando era dentro a quell’ospite che tanto piacere gli aveva fatto provare.
Senza indugio entrò nella donna, che si chiamava Maria (aveva imparato molte cose, anche a riconoscere i suoni umani, anche se molti termini gli sfuggivano ancora).
Fu subito preso da una grossa delusione. La donna non era eccitata. Si trovava in una situazione da cui non sapeva come uscire.
Quei bulli di periferia l’avevano attorniata per divertirsi alle sue spalle. La provocavano, ma non sembravano, per ora, intenzionati ad andare oltre. Maria aveva però paura che, alzandosi e cercando di andar via, avrebbe potuto rompere quel fragile equilibrio, provocando una loro reazione.
Preferiva, anche se sempre più a disagio, aspettare sperando nell’arrivo del controllore. Il vagone purtroppo era vuoto, e lei si dava della cretina per averlo scelto, aveva pensato che dove c’è gente c’è sempre più sicurezza, ma quel giorno era così vogliosa di stare sulle sue ed il treno era così vuoto!
L’eccitazione dei maschi era invece evidente, anche se si vedeva che, essendo più giovani della donna, sui 18/20 anni, erano più portati alle parole che all’azione.
Si limitavano a frasi tipo “perché la nostra presenza ti imbarazza! “, “noi siamo pazzi per te e te non ci rivolgi la parola! “, “siamo dei tipi molto sensibili, abbiamo voglia di tenerezza! ” e a qualche risata. Nessuno aveva osato allungare una mano. Il commento più pesante era stato, fino ad allora: “Lo sai che hai due gambe da infarto? “.
Tutto sommato erano dei bravi ragazzi, che si esibivano, così come si abbigliavano, più per far vedere agli altri di essere dei “duri” che perché lo fossero. Ognuno si sarebbe già alzato, reputando finito lì il gioco, se non avesse avuto paura di far brutta figura con gli altri. (Inoltre quella di fronte a loro era veramente uno schianto ed anche se non pensavano di andare oltre, fissarle le cosce e quel che si vedeva delle sferiche tette era un piacere).
Ermete che, essendo nel profondo del cervello di Maria, la scrutava più in fondo di quanto essa non potesse nel proprio Io, aveva visto riposto in un angolo un suo pensiero, la stimolò fortemente.
Si beò di sentire come suo il corpo che veniva invaso di emozioni, il calore dell’eccitazione che avvampava, il calore della passerina che si inondava, stimolata sin dal basso ventre. I capezzoli che si facevano eretti e dolenti e si
beavano della carezza dello strofinio della stoffa.
I pensieri di Maria mutarono, sotto l’ubriacatura degli ormoni che invadevano il suo corpo.
“Che scema, se continuo così rischio di essere violentata e provare solo dolore e disgusto, quando potrei, una volta nella vita, lasciarmi andare e gustarmi del buon sesso fine a se stesso. Nessuno mi conosce e dopo sarò quella di prima, ma con una voglia soddisfatta. La trasgressione è una cosa eccitante e con questi dopo è un arrivederci e grazie. In culo a quello stronzo di Carlo che è andato al mare con la sua ex -tanto non c’è niente di male, siamo solo buoni amici.
Anche se lo facessi tu non sarei geloso, se so che siete solo amici- sicuro che io non lo farei mai. Invece ora mi diverto un po’ io, se mi hai fatto le corna per vendicarmi e se non me le hai fatte perché non capisci un cazzo su come
ci si comporta con chi ti vuol bene. ”
Lei era pronta e il suo sistema nervoso era una serie di scintille, come le fiaccole di capodanno.
Ermete allungò un tentacolo a stuzzicare quello che aveva individuato come il più deciso dei quattro, se non altro per il ruolo di capobanda che doveva mantenere.
Il ragazzo, di nome Giulio, che fino ad allora era eccitato ed aveva il pene baldanzoso, fu preso da una smania feroce che gli faceva dolere il cazzo, ormai duro come pietra. Aveva paura, ma non riusciva a trattenere la sua voglia di possedere quella splendida donna, di vederle spalancare le cosce e di essere stretto tra di loro. Preso da raptus, come ubriaco, balzò in piedi e, spinto dal desiderio, ebbe il coraggio di dire
“Guarda come mi hai ridotto il cazzo, vieni a succhiarlo prima che scoppi! ”
Gli altri ammutolirono ammirati, ma sgomenti, temendo il seguire degli eventi e rimanendo con le bocche aperte come tanti pesci lessi.
Quale fu la loro meraviglia nel veder la donna buttarsi di botto in ginocchio ad armeggiare con la chiusura dei pantaloni ed estrarre, con mani tremanti dall’impazienza, il cazzo turgido con il glande già fuori lucido e teso. I loro giovani e baldanzosi uccelli si tesero nelle mutande quando la testa di lei scese, a bocca aperta, facendo scomparire l’asta fremente.
Non è che le sensazioni di cui Ermete si beava fossero particolari. Semplicemente un ermetide astrale non ha sesso. Si beava della sensazione eccitante di quell’asta calda che riempiva la bocca della sua ospite, dell’eccitazione che inumidiva la vagina e portava la mano a premervi sopra attraverso il tessuto. Si beava della sensazione di potere avvertita da Maria che sentiva gli ansimi che derivavano dai suoi gesti. Era schiava e padrona nello stesso tempo ed entrambe le sensazioni la eccitavano e rendevano eccitato il suo attuale parassita.
Sentì che gli altri tre, ormai eccitati al massimo dall’erotismo della scena, discutevano su chi inizialmente dovesse sacrificarsi per fare il palo.
Poi senti la sensazione calda ed eccitante di due mani calde e frementi che la frugavano sotto la gonna ed altre mani che si impossessavano dei suoi seni, le torcevano i capezzoli dando a lei ed Ermete lunghi brividi di piacere.
Le mani che le frugavano le cosce si impadronirono delle natiche e la spinsero ad alzarsi, rimanendo a 90 gradi, sorretta con le mani sui glutei di Giulio.
Mani frementi fecero scendere gonna e mutandine, le sollevarono una ad una le gambe per togliere il tutto.
La camicetta le fu fatta scivolare via, costringendola a mollare un attimo la presa di quelle sode natiche maschili.
Poi fu tutto un fremere di piacere. Mille mani le torcevano i seni, le graffiavano la schiena, scorrevano sulle natiche, dove labbra calde ed umide le strappavano fremiti di piacere.
Dita iniziarono a cercare la sua vagina e fu una fitta immensa di piacere la prima impacciata intrusione. Le dita ruotavano in lei, le sentiva in ogni angolo del suo interno. Un bruciore ed una scossa accolse un dito che, poco gentilmente, aveva varcato la porta del suo intestino, ma non appena iniziò a scorrere e ruotare il bruciore si trasformò in profonde fitte di piacere alla fica.
Il dito scomparve e qualcosa di umido e grosso iniziò a frugarla da dietro, finché trovata la vagina, s’introdusse lentamente. Ermete sentì la sensazione di quel caldo fremente organo che si faceva varco in lui dilatandolo al passaggio e sentì i fremiti che si impossessavano del “suo” corpo allo scorrere del membro in lui.
Senti il pene in bocca che iniziava ad avere come dei piccoli scatti e fremere alla base e senti l’indecisione di lei se mantenere o mollare la presa con la bocca e subito “convinse” l’ospite a rimanere con il membro in bocca e senti le pulsazioni farsi forti e frequenti e un uragano percorrere la scanalatura sul retro del pene, per erompere dalla sommità in una valanga che gli invase la bocca.
Non era un sapore del tutto gradevole, ma forte era l’eccitazione del potere-sottomissione, del sentire ogni fremito di quel corpo che pareva concentrato nel proprio cazzo, delle mani che serravano il suo capo in preda ad un irrigidimento totale ed annientante. Inghiotti, ma altro seme si riversò nella bocca, quasi soffocandolo e parte scivolò fuori dagli angoli della sua bocca, riversandosi sui fianchi del pene. E inghiottì, mentre ancora un fiotto le invadeva la bocca impastandole lingua e palato, densa come panna, così densa e vischiosa da dubitare di liberarsene per lungo tempo il cavo orale. E i fiotti rallentavano, ma non il piacere, aiutato dalla vanga che rimestava la sua passera fradicia d’umori. Ed iniziò a fremere e venne con scosse del corpo che sembravano non arrestarsi mai e, mentre ancora le scosse erano all’apice, la fonte del suo piacere vibrò e schizzi caldi colpirono il collo del suo utero.
Si sedette ansimante. Ma subito mani calde la fecero sdraiare, le mantrugiarono piacevolmente l’interno delle cosce, spingendola ad allargarle ed un giovane caldo corpo si coricò su di lei e un’altra verga tosta e dura le allargò la vagina.
I nervi angora tesi raggiunse nuovamente un nuovo orgasmo, nonostante la brevità della copula, dato che il maschio, giovane, inesperto e troppo eccitato, durò poco. E un piacere profondo la colse mentre nuovi fiotti di sperma raggiungevano i precedenti, quasi fosse un omaggio che riceveva, un mazzo di fiori donato da un ammiratore della propria bellezza e femminilità.
Si avvicinò il terzo quarto ragazzo, l’ex palo. Anche ciò che le svettava davanti era un autentico palo, un autentico Signor Cazzo. “Sei tutta sporca! Alzati! ” Lei si alzo. “girati verso il sedile! “.. “ora inginocchiati e poggiati sul sedile! ” Obbedì come ubriaca dal piacere. Le il davanti delle cosce aderiva al davanti del sedile e la testa toccava lo schienale, mentre sentiva il ruvido e caldo tessuto del sedile contro il ventre e i seni. Sentì due mani arroganti impossessarsi dei glutei divaricandoli e udì il suono di uno sputo, mentre una fresca sensazione si impossessava del suo ano. Un dito si intrufolò come prima, ma alla sensazione di prima si sovrappose improvvisa la coscienza di ciò che stata per esserle fatto e il ricordo della grandezza del pene del quarto ragazzo. La paura la prese e cercò di levarsi da quella posizione. Ermete stava per intervenire, ma sei mani di tre ragazzi ormai infoiati giunsero in aiuto dell’amico bloccandola in quella posizione in cui già era difficile divincolarsi da uno solo. Cercò con meno vigore di sottrarsi, mentre il dito continuava a scorrerle nell’intestino. “Nessuna è mai morta per un’inculata. Nessuna è mai morta per un’inculata” cominciò a ripetersi dentro di se, cercando di rilassarsi e di respirare fondo. Il dito uscì ed un nuovo sputo le raggiunse il buco del culo. Poi udì un nuovo sputo, ma non avvertì niente ed immaginò che il giovane si stesse lubrificando quella mazza, ma il pensiero la riportò alla dimensione e, quando sentì qualcosa di grosso che allargava ancor di più i glutei per andare a poggiarsi sul suo sfintere, fu presa nuovamente dal panico e si irrigidì. Quel bastone pigiava con forza e iniziò a sentire un forte dolore mente sotto spinte progressive l’anello muscolare del suo anfratto cedeva dilatandosi pochi millimetri per volta nonostante la sua resistenza.
“Così ti fai solo fare del male, stupida! ” sentì dire e le tornarono in mente i precedenti propositi.
Cercò di rilassarsi e con rumore, forse un immaginario pop, si sentì lacerare lo sfintere e penetrare una spada rovente nell’intestino. Cacciò un urlo liberatorio del dolore e una mano le serrò la bocca. Un urlo rispose ai suoi denti che entravano nella carne a cercare la resistenza al dolore. Una tirata furiosa ai capelli la costrinse ad aprire la bocca.
Le bruciava l’intestino e dolori lancinanti giungevano dall’apertura anale. Il movimento dell’asta dentro di lei trasformo, con i cambi di direzione ed il movimento, il dolore da continuo a alterno, dandole in questo quasi sollievo.
Ed iniziò a gemere a tratti, ogni qualvolta quel ferro incandescente, finito di risalire, affondava nuovamente a dilatarle le budella. Ma il massaggio ebbe effetto e le fitte iniziarono a portarsi anche davanti, ai suoi organi genitali, dandole la sensazione di un piacevole stuzzicante dolore-piacere. Si ritrovò a gemere e a supplicarli che qualcuno le massaggiasse la passerina. Cosa che le fecero con molto piacere. E godette, come mai aveva goduto e Ermete con lei.
Ed altri peni si scambiarono il posto nel suo intestino con suo dolore-piacere. Sentiva gli umori della passerina colarle lungo l’interno delle cosce, misti alla sborra che aveva ricevuto, ed allagare il pavimento.
E prese il sopravvento, o fu Ermete a farlo. Volle che uno di loro si sdraiasse a terra per impalarvisi sopra ed un altro le trafiggesse nuovamente il culo. Vibrò di quel piacere sconosciuto e non seppe più contare i suoi orgasmi.
Stuzzicò quei giovani cazzi con la bocca per farli nuovamente sollevare per il suo piacere, per il piacere di abbatterli nuovamente.
Ad un certo punto i giovani, tanto stremati da avvertire dolore ai genitali, raccolsero i vestiti e fuggirono da quella donna assatanata ed anche Ermete uscì, lasciandola nuda e prostrata dalla stanchezza sul pavimento, dove gore di umori femminili e maschili si allargavano a partire da ogni suo antro.
Ormai Ermete era una pila troppo carica, come un reattore nucleare che, raggiunta la massa critica, entra nell’inarrestabile fase della “sindrome cinese”.
Sebbene “sazio” si fermò in ogni dove.
Trovò, ad esempio, un uomo che stava copulando con sua moglie in modo stanco e svagato, come ormai avveniva da troppi anni. La donna sentì improvvisamente il membro nella sua vagina gonfiarsi, tanto si tese allo spasimo, le mani di lui frugarla in ogni dove come mai aveva fatto dopo il primo anno di matrimonio e il suo ritmo farsi forsennato. Godette come il suo uomo non la faceva più godere da anni e quasi pianse quando sentì i getti del suo stantuffo innaffiarle l’utero spesso dimenticato. Ma il pene non scese. L’uomo ruotò portandosi sotto e facendola alzare a cavalcioni su di lui. La fece sobbalzare su di lui con le mani afferrate ai suoi fianchi e, quando lei assunse da sola il movimento che gli aveva comandato, iniziò a scorrere ovunque le sue mani e quando fu vicino a venire nuovamente, s’impadronì dei suoi seni sobbalzanti, ancora pieni e piacenti torturandoli e dandole fitte di piacere.
E venne, e nuovamente continuò, lui che anche da giovane aveva nel due il suo limite massimo.
Amorevole lei gli disse di stare attento, di non sforzarsi troppo. Lo supplicò di smettere quando iniziò per la quarta volta e piangeva mentre l’uomo la possedeva per la quinta volta. Solo allora l’uomo svenne ed Ermete se ne andò.
Trovò una coppia di uomini intenti ad amoreggiare e si entusiasmò di quella nuova possibilità e stette con loro fino a che non li lasciò esausti.
Da ultimo fu attratto da una giovane coppia che scorse, seminuda, in un letto.
Una giovane ragazza di 23 anni ed un ragazzino appena diciottenne. Lei era molto carina, lunghi capelli castani splendenti incorniciavano un volto dai tratti delicati. Un seno non abbondante, ma ben pronunciato sollevava la stoffa di una corta camicia da notte che, malgrado quanto lei pensasse, traspariva leggermente, facendo intravedere lo scuro dell’aureola del seno non protetto da alcun reggiseno. Le gambe erano tornite e dalla liscia pelle giovanile di color dorato.
Lui aveva i calzoncini di un pigiama e la camicia dello stesso sbottonata sul giovane implume petto, aveva tuttavia il fascino di tratti maschili ma dolci ed il corpo era ben modellato e sufficientemente maschile per l’età. Stavano ridendo e scherzando.
Entrò in lei.
“Marina, tu hai sempre voglia di scherzare. Io ho paura sul serio. Fino ad ora ho corteggiato Luisa e non ho pensato ad altro, ma lei è sempre uscita con ragazzi più grandi e so per certo che non si sono scambiati solo qualche bacetto. Ora che ha accettato di uscire con me sono preoccupato. SONO VERGINEEE! Hai capito? E se faccio brutta figura? ”
“Ho capito, ma andare a puttane secondo me non serve a niente e rischi qualche malattia. C’è sempre una prima volta, diglielo e vedrai che si sentirà lusingata di sverginare un ragazzino. Poi, fratellino mio, credi che qualcuno in questa casa non immagini quel che fai rinchiuso ad ore nel bagno? Vuol dire che ti funziona”
Ermete aveva dato alla giovane una prima scarica, ma aveva trovato un’inaspettata resistenza. La giovane aveva iniziato a sentire pulsare la giovane passerina, la sua voce si era un po’ incrinata nel parlare di quegli argomenti e la sua fronte si era imperlata di goccioline di sudore, ma aveva iniziato a pensare “Che cavolo mi viene in mente! Con mio fratello! Forse ha ragione Gino quando dice che quando faccio l’amore dimostro che sotto sotto sono una gran zoccola. ”
Ed aveva cercato di scacciare l’eccitazione pensando a qualcosa di triste.
“Sorellina, funzionerà a mano, ma in altro modo? E poi, sarà lungo abbastanza? Reggerà il confronto con quelli che ha già visto? Saprò farla godere o verrò subito come dice che capiti ai principianti? ”
Ermete non ammetteva questo imprevisto, e che cavolo voleva dire “fratello? ” erano un uomo ed una donna no? E poi aveva visto che andava bene ogni cosa, uomo – donna, uomo – uomo, donna – donna. Nel suo pellegrinare aveva visto che funzionava anche donna – cane!
Questa volta dette una scarica così forte da farle girare un attimo la testa per il violento improvviso assalto degli ormoni.
“Sono proprio una zoccola” pensò, mentre il sudore aumentava proporzionalmente all’invasione dei liquidi nella sua vulva e si sentiva dire, con voce a stento controllata, mentre un fremito così forte le attraversava il corpo per l’eccitazione da aver paura che si vedesse.
“Va bene, ho capito. Fammelo vedere così ti dico se può andar bene per Luisa. Non son certo meno esperta di una ragazzina di diciott’anni per quanto puttanella possa essere! ”
Lui la guardò stupito a bocca aperta per un momento. Poi con voce tremante per l’emozione e speranzosa le chiese “posso davvero? ”
“A meno che tu preferisca chiedere il parere a papà o mamma! ? ”
“NO! Non ho confidenza con loro! ” E balzò su ritto iniziando a sfilarsi i pantaloncini. Come tutti gli adolescenti era un gran porcello e spesso aveva sognato le cosce di sua sorella mentre si masturbava ed aveva sognato storie poco fraterne con lei per eccitarsi. Aveva persino pensato che, se si fosse trovato in difficoltà con Luisa, avrebbe potuto chiudere gli occhi e pensare che lì con lui ci fosse Marina. Il suo pene non diventava mai così duro come quando sognava cose proibite con lei. Anche quando pensava alle cosce di Luisa, che così abbondantemente mostrava, il cazzo non era altrettanto teso allo spasimo. Anche ora che era cresciuto, l’idea di mostrarlo alla sorella lo eccitò a tal punto che il pene saltò dall’elastico, già tosto e duro, come il pupazzo a molla di una scatola a sorpresa.
Marina, che nascondeva a stento la forte eccitazione che la pervadeva, cercò di mascherare lo sguardo avido per quello di una scrupolosa attenzione promessa. “Accidenti, il fratellino è messo bene. Non so come stia nella media, ma non sfigura con quello di Gino! ” Pensò bagnandosi ulteriormente. “Sorellina, cosa ne pensi? ” chiese ansioso. “Vieni più vicino… così… vediamo se è anche duro a sufficienza” E mentre pronunciava queste parole pose la mano sul membro del fratello, che si allungò almeno di altri due centimetri, lo saggiò come a sentirne la consistenza e iniziò a muovere lentamente la mano in su e in giù sull’asta tesa. Godeva della sensazione che le dava la calda e pulsante asta nel palmo della mano e gioiva dello sguardo ipnotizzato del fratello, che non riusciva a togliere lo sguardo da quella mano serica e femminile dalle dita affusolate che stentavano a circondare completamente l’asta. Quella mano che in bagno, quando chiudeva gli occhi, sognava fosse al posto della sua. Con somma eccitazione Marina sentì il pene allargarsi ancora e crescere ancora, seppur di poco, ormai ridotto ad una pelle morbida e bruciante che seguiva il moto della sua mano lungo quel pezzo d’acciaio. Iniziò a carezzargli con l’indice la sommità del glande, ormai lucido d’umori.
“Tranquillo, ti faccio i miei complimenti fratellino (e un fiotto caldo d’umori si aggiunse ai primi mentre pronunciava la parola fratello), è più lungo e tosto di quello di Gino. ” Il ragazzo non aveva bisogno dell’aiuto di Ermete, le sensazioni che si susseguivano nella sua giovane mente erano più che sufficienti a scombussolare il suo equilibrio ormonale. Quest’ultime parole lo inorgoglirono, ma gli fecero anche intravedere ulteriori possibilità di realizzare i suoi sogni ed i pensieri iniziarono a scorrere alla ricerca delle frasi e dei gesti più adatti per arrivare a scoparsi la sorella.
“Ti ringrazio, non lo dici solo per farmi contento vero? Ma a parte la lunghezza, funzionerà a dovere? ” Marina diede un sospiro, che mascherava, in verità, il desiderio che inutilmente aveva cercato di reprimere. “Non sei mai contento! No che non dico per farti piacere. è la verità. Quanto all’ultima domanda guai a te se ti lasci sfuggire qualcosa con mamma, papà, Gino o chiunque altro”
E detto ciò dischiuse le labbra e iniziò ad avvicinarle al pene turgido del fratello cui parve che quella scena si svolgesse al rallentatore e un gemito gli uscì non appena avvertì il contatto delle labbra, e divenne un sospiro di godimento e sollievo quando avverti la calda bocca chiudersi sul glande ed iniziare a bearlo con la lingua mentre veniva coccolato dalla sua accogliente saliva.
Marina si beava di quel cazzo in bocca. Era una cosa che non le dispiaceva, ma con suo fratello era sublime. Mancava ogni sensazione di iniziale ripulsa, quasi che avvertisse in ogni sua fibra che era della sua stessa carne, e il gusto del proibito le dava quella carica di trasgressione che la faceva godere pienamente con il cervello ancor prima che con la carne. Si sentiva una felice puttana, mentre scorreva con gioia lungo l’asta e la sentiva affondare in se. Iniziò a guardare suo fratello puntando le pupille più in alto che poteva e un fremito l’accolse quando vide che lo sguardo di lui era fisso sulla bocca di lei che faceva apparire e scomparire l’asta fin dove poteva. Si compiacque che il fratello le afferrasse i capelli e li tenesse dietro la nuca per bearsi della visione di lei che lo spompinava con passione. Iniziò a muovere la testa anche di lato, consapevole del fascino perverso delle sue guance che venivano a tratti deformate a disegnare la sottostante pressione del! la cappella di lui. Quando suo fratello iniziò a fremere, sentì le mani di lui poggiarsi entrambe sulla sua nuca, invero con gentilezza, a chiederle silenziosamente di farlo godere in lei, ma non c’era necessità.
Era tanta l’eccitazione che mai si sarebbe persa il gusto di bere tutto ciò che i lombi di suo fratello avessero riversato in lei. Accolse con gioia i fiotti di lui, gareggiando con la frequenza dei violenti e abbondanti fiotti viscosi e la sua velocità a deglutire. E vinse, assorbendo fino all’ultima goccia tra i gemiti del fratello, mentre il fremito che la pervadeva la portò a godere più volte a ripetizione senza essere toccata neppure da se stessa. Ermete era al massimo del suo godimento, si era gustato in ogni sua particella di energia questo godimento cerebrale e ristette un attimo quieto.
Marina si distese sul letto disfatta dal godimento, con le carni che ancora chiedevano soddisfazione, ma tesa anche, ora che un poco il cervello era snebbiato, per ciò che stava facendo.
Non si ribellò, però, al fratello che le sfilava la camicia da notte e chiuse gli occhi beata mentre la bocca di lui, che si era sdraiato al suo fianco, succhiava ora l’uno e poi l’altro dei tesi e gonfi capezzoli delle mammelle che di frequente le sue mani giungevano a palpeggiare dopo aver scorso il suo corpo lisciando il ventre e le cosce.
Poi un mano si fece di volta in volta più audace nel carezzare l’interno delle cosce, là dove la pelle era calda come l’inferno e per Marina era ogni volta un sospiro interiore più profondo. Fino a che la mano arrivò dove voleva e il sospiro di Marina proruppe all’esterno. La carezza era delicata e amorevole e la faceva sciogliere tutta. Fremiti intensi e visibili correvano dalla nuca alla punta dei piedi ogni volta che le dita del fratello incontravano il clitoride e le gambe si contrassero, stringendo le cosce ad imprigionare la mano di lui, quando le dita entrarono nell’antro umido e caldo. Subito si rilassò e spalancò le cosce alla sua intima carezza. In breve Marina godette rotta da singulti di piacere stringendo forte a se il corpo accanto al suo.
Piano si sciolse e si rilassò, mentre la sua mano carezzava i capelli di suo fratello.
Sentì suo fratello muoversi e lo vide porsi tra le sue gambe, il cazzo fremente come e più di prima.
“NO! ” Urlò. “Marina, un conto è venire, un conto essere capaci di penetrare! ” Disse con parole evidentemente già preparate, ma voce un poco esitante per la reazione temuta e verificatasi.
Ermete restò un attimo sorpreso, eppure sentiva che il corpo in cui si era insediato era ancora teso ed eccitato! Anche Marina ne era cosciente, ma sentiva un limite in se e non lo voleva varcare. Eppure non resisteva alla voglia di sentire quell’asta muoversi e vibrare in lei!
Poi si decise. “Non ti devi scordare che sei mio fratello. Mi sono fatta prendere decisamente la mano e sono andata ben oltre ciò che intendevo fare. Sappi che è stato bello, ma sento che non è giusto. Voglio accontentarti fino in fondo, perché tirasi indietro a questo punto sarebbe sciocco, dovevo farlo prima di ridurre te e me a questo stato di eccitazione. Ma voglio che tu abbia chiare due cose. Questa è una pazzia che non si ripeterà, quando ci alzeremo da questo letto saremo due fratelli che si vogliono bene come tali e niente di più, come se questo fosse un sogno e nemmeno tra noi ne parleremo mai più. Secondo voglio che resti un limite anche nel sogno. Abbiamo fatto dei giochi, o prove se preferisci, e continueremo così, senza fare ciò che fanno normalmente un uomo ed una donna. La tua prova l’avrai e più decisiva che se facessimo l’amore normalmente. Ora vai in cucina e porta qui il panetto del burro. ”
Schizzò via come un fulmine ed arrivato in cucina s’impadronì del burro e iniziò a dire sottovoce, battendo i piedi per terra ed agitando le braccia come un calciatore che ha realizzato un insperato e sofferto goal “M’inculo mia sorella! Le rompo il culo! ”
Quindi, sforzandosi di restare calmo, tornò da lei. La trovò già distesa a pancia in giù, un cuscino sotto il ventre e l’altro abbracciato.
Teneva le gambe divaricate e si scorgeva sia la bella passera che, semi nascosto, il roseo e giovane buchino del suo ano. Aveva due gambe stupende e il culo era meravigliosamente giovane e sodo.
Sollevò il capo e girandolo verso di lui e chiese “Sai cosa devi fare vero? “.
“si”
“Ti prego, prima leccami un poco la passerina e il buchino. Quando sarai eccitato allo spasimo fa ciò che devi” e subito proseguì “Michele, ti piaccio? ”
“Non ho mai visto una donna bella come te, lo pensavo fino ad ieri e lo penserò ancor più domani, anche se manterrò la promessa. ”
“Grazie. Parla pure sporco se vuoi, so che agli uomini piace ed anche a molte donne, me compresa, se non eccedi. Fino a che saremo sul letto sarò la tua donna. Immagina che io sia Luisa. ”
“è con Luisa che dovrò immaginare che sei te” E la tristezza con cui lo disse fece sentire a Marina una stretta al cuore per suo fratello.
Poi sentì due mani gentili poggiarsi sui glutei e l’alito di lui avvicinarsi caldo alle labbra della sua vagina e fu il paradiso. Michele Leccò ora con foga ed ora con dolcezza entrambe le sue intimità e seppe attendere non solo che lei
godesse, ma che le sue convulsioni si placassero. Poi sentì le sue dita giocare con il suo forellino più stretto, cercando di introdurvi un pezzetto di burro freddo, che si scioglieva e scivolava via. Poi un pezzo entrò, dandole un senso di fresco e facendo precipitare il dito dentro di lei. Ma non ci fu sforzo né attrito e la sensazione fu piacevole. Marina ringraziò in cuor suo le insistenze di Gino, che l’avevano convinta ed allenata a questo, anche se il suo culetto era quasi sano, tanto che Gino lo chiamava “il mio regalo di Natale” dato che l’aveva avuto due Natali prima, ma in realtà lo aveva voluto anche per i suoi compleanni. Quello che Marina non aveva voluto confessargli era che, tolta la prima volta, che aveva avuto continuamente la voglia di pregarlo di smettere per il bruciore provato, le volte successive gli era piaciuto e il mese prima era stata impaziente che giungesse il suo compleanno e si era bagnata spesso pensando a ciò che l’attendeva. Suo fratello insisteva col burro e con le dita, diventate due e lei era tutto un fremito, pensando che il pene di suo fratello era un poco più grosso, ma era convinta che, una volta saputo cosa si prova, un poco di dilatazione in più sarebbe stata solo un maggior sforzo iniziale e un piacere maggiore dopo.
Sentì uscire il dito. Poi suo fratello si sdraiò su di lei, il pene poggiato lungo il solco del suo sedere, scorrendovelo lentamente, come in una spagnola fatta con i glutei.
“Marina”. “Si”. “Ti hanno già… hai già provato… “. “Solo una volta… ” Mentì lei. “… e il tuo pene è più grosso. Quindi sii delicato all’inizio, se puoi… finché vedi che mordo il cuscino. Poi puoi muoverti come più ti piace. ” “Prima, quando sono andato in cucina ho urlato dentro di me -ora sfondo il culo a mia sorella-“. Capì che suo fratello era combattuto tra l’amore e la violenza dei suoi impulsi e per aiutarlo gli disse crudamente “Cosa credi. Anch’io non vedo l’ora di sentire il tuo cazzo così grosso nel mio culetto! Non ti meravigliare, quindi, se passato il momento iniziale t’inciterò a sfondarmi più che puoi col tuo cazzo. ”
Unì le gambe e fece divaricare quelle del fratello, che continuò un momento a strusciare il pene duro e caldo tra le sue natiche, poi sentì il bacino del fratello sollevarsi dai suoi glutei e la verga sorretta dalla mano cercare l’ingresso nel suo culetto tondo. Sgusciò qualche volta nell’unto e poi di colpo la cappella le affondò nell’ano ben lubrificato.
Non fu un gran dolore, ma c’è sempre una certa sorpresa nell’evento in chi non lo pratica spesso e le uscì un urlo soffocato dal cuscino. Michele si arrestò “ti ho fatto male? ” “Continua! ” ordinò perentoria lasciando per un istante il cuscino serrato tra i denti.
Non era un gran dolore, già prima che l’asta arrivasse e scorrerle nella pancia, l’eccitava quel tappo che le dilatava lo sfintere. Michele iniziò ad avanzare. Aveva unto bene tutta l’asta e il pene, passata la punta, avanzava stretto, ma senza trovare eccessive resistenze scorrendo fin verso la sua elsa. Marina sentiva le sue interiora dilatarsi alla lenta e progressiva invasione, e quando i lombi di suo fratello toccarono se sommità dei glutei già sentiva la passerina pulsare insieme al suo retto E ancor più le piacque sentire il ventre di lui schiacciargli con forza le natiche per penetrarla più in fondo che poteva.
Sollevò la bocca dal cuscino e vi poggiò la guancia, per dare via libera al fratello. Michele iniziò a scorrere lentamente, ma ricevendo, in risposta al suo scorrere nello stretto e fasciante budello della Sorella, solo gemiti ed ansimi di piacere, lasciò via libera alla sua libido. Marina impazziva dal piacere. Si portò una mano alla vagina e godette una prima volta. Nell’impeto Michele era uscito dall’ano di Marina e si accorse che il muscolo dilatato non opponeva più resistenza. Allora si divertì ad uscire e rientrare lentamente. “Non farmi dispetti! Lo voglio nel culo, sfondami! ” “Si, mi piaci così. Sei la mia troietta. T’ho rotto il culo sorellina! ” E sfilando il pene le allargò le chiappe guardando il foro anale, che per un istante esitava aperto e si chiudeva lentamente. “T’ho fatto un culo tondo come una galleria! ” “basta, ti prego, riempimi il culo col tuo cazzone! ” “Mettiti in ginocchio sul letto con la testa appoggiata! Voglio vedere il mio cazzo che ti sfonda. ” “Si ma fai presto! ” E la penetrò meravigliandosi del tronco largo del suo pene che affondava là dove un tempo c’era un buchino. Ora non si vedeva che il pene che affondava, come se entrasse direttamente nella carne di sua sorella. “Mi piace stronzo! Mi piace come mi sfondi, mi sento la pancia piena del tuo cazzo” Diceva la sorella infoiata. E Michele capì che in quel piccolo momento era lui a guidare la danza ed uscì. “Dai, fottimi il culo, pezzo di merda! ” “Solo se mi dai anche la passerina” “Mai, piuttosto vado in cucina e m’inculo da sola con una melanzana! ” “Allora mi dai il culo ogni volta che te lo chiedo” “Non sono i patti! ” “Non ho mai detto che li accettavo”
“Stronzo! Inculami e falla finita! ” “Sogni insieme a me una volta al mese o mi alzo” “ogni due mesi” “Giura! ” “Lo giuro stronzo! ” “Eccomi sorellina” e la sentì sospirare di piacere mentre l’asta la penetrava nuovamente.
Afferro la sorella da sotto per i seni ed iniziò a scoparla con foga nel culo. Sentì la mano della sorella, che prima si lisciava la micina, giungere a carezzargli i testicoli, ogni volta che affondando in lei giungevano alla sua portata ed in un attimo arrivò al culmine. Sentendo il pene di Michele vibrare si portò nuovamente la mano alla passerina e in due sole passate arrivò all’orgasmo gridando “Fratelliinoo hai un cazzo portentoso! Fammi un clistere di sborra! ”
Michele aveva già iniziato ad obbedire e si sentì invadere l’intestino da lunghi fiotti caldi.
Stettero lì affannati. Lei nuovamente sdraiata a pancia in giù e il fratello sulla sua schiena. Il pene ancora nel suo ano dilatato che iniziava lentamente a ridursi pulsando. Dette un grande sospiro di piacere e socchiuse gli occhi. Era bello stare così. Riaprì gli occhi di colpo. Il pene di suo fratello pulsava ancora, ma adesso si stava ingrossando.
“Michele! Non ti è ancora bastato? Meno male avevi paura di non farcela! ” Disse sinceramente ammirata. “Non siamo ancora scesi dal letto, sorellina. Ti scopo il culo finché mi reggono le forze. ”
“Ma ora brucia un poco! ” “Sopporta, a meno che non preferisci darmi l’altro buchino. ”
“No! ” “Allora prendilo nel culo sorellina! ” E si afferrò alle sue spalle per dare vigore ai suoi colpi.
“Ma ormai potrebbero tornare mamma e papà! ” “Se hai paura stringi le chiappe e cerca di farmi venire più in fretta! ”
“Dio, che bello Michele! ”
Ermete aveva capito che solo agendo sul ragazzo poteva continuare ancora, ed era passato in lui.
Michele venne ancora nelle ambite chiappe e in un attimo il suo pene era tosto e duro ancora una volta. Per fermarlo a Marina, che aveva provato in tutti gli altri modi, non rimase che promettergli la passerina. Ma solo la prossima volta, dato che potevano essere scoperti da un momento all’altro. E comunque dovette fargli un’ultima rapida sega, che terminò con la bocca.
Questo racconto vi avrà anche eccitato, ma dovrete convenire con me che la cosa è incontrollabile e pericolosa. Per poco qualcuno non è morto d’infarto! Tremo anche al pensiero di un Ermetide che voglia far fare l’amore a due piloti d’aereo in volo o cose analoghe. Ciò che l’Ermetide non sa è che lascia un “ricordo” nelle persone che ha visitato, lentamente riaffiora e lascia nell’ospite anche una traccia dei suoi pensieri. Io sono quello del bagno. La sua prima esperienza. Ma sono anche medico e mi sono trovato davanti l’uomo colpito da sincope per la scopata con la moglie. Una volta capito dai sui vaghi ricordi e dai miei affioranti cosa stava accadendo, ho messo un inserzione sui giornali, un poco oscura ai più, ma chiara per chi ha “conosciuto” Ermete. Garantendo l’anonimato ho avuto molti racconti. Il più preoccupante è quello di Michele.
Il ricordo lasciato in lui dall’Ermetide astrale è che ha deciso di correre a velocità folle verso la fine della sua spirale, per condividere con altri la sua scoperta. Siamo in pericolo! Dobbiamo trovare il modo di difenderci. Nessuno
sa quanti sono gli Ermetidi spaziali, e neanche quanto impiegherà ad andare e tornare. Così come non so se qualcuno, tranne i miei compagni d’avventura, mi crederà. Purtroppo ho certa una cosa. TORNERà E NON SARà SOLO. FINE

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