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Picatrix

Beatrice osservava rapita la figura stagliata contro la luce lunare di Zoara.
Vestita di una tunica bianca in seta, molto trasparente, ornata di fili d’oro che le scivolava da una spalla scoprendo in parte il seno, stava al centro del cerchio di pietre e querce, dove lei non poteva entrare. Portava sul capo, trattenuto da una corona ornata di perle, un velo bianco finissimo che non riusciva a trattenere i suoi lunghi capelli biondi.
Zoara brandiva con la mano destra uno specchio e quando la muoveva l’anello d’oro con incastonata una perla mandava dei riflessi caldissimi. Con la sinistra, invece, teneva un pettine mentre si avvicinava alla brocca di vino appoggiata vicino al turibolo dove ardevano le braci.
La luna le era chiaramente amica se con i suoi raggi disegnava la perfezione del corpo. Si muoveva leggera con movimenti lenti e sensuali, a piedi nudi sull’erba. Beatrice capiva che lei stava per entrare in comunione con il tutto raggiungendo uno stato di completa estraniazione dal corpo.
Nell’aria fresca del bosco, i capezzoli di Zoara segnavano il tessuto premuto dal vento contro di lei, si capiva che era completamente nuda, sotto, dal piccolo rilievo all’altezza del pube, era bellissima pensava Beatrice. Sentiva che se fosse stata bella come lei non sarebbe dovuta ricorrere alle sue conoscenze per risolvere il problema che la opprimeva.
Nel frattempo Zoara lasciò cadere sulle braci una manciata di una sostanza che emise un fumo terribile, ma molto profumato; chiuse gli occhi ed aspirò più volte quella suffumigazione quindi si ritrasse dalla colonna di fumo e disse:

– Ti sia benigno Iddio, o Venere, tu che sei Signora della sorte. Fredda e umida, pura e bella, ben odorata e piacevolmente ornata. Tu che ami l’amore, le feste, gli ornamenti, la bellezza e la raffinatezza e la buona musica …

Beatrice ascoltava quell’invocazione, sapeva che il suo ruolo era solo passivo ma non voleva perdere una parola. Il riferimento all’amore, però, la distrasse. La sua mente vagò alla ricerca dei più bei ricordi di Bertrand, il suo promesso e già amato sposo, partito al seguito di Filippo l’Ardito, conte di Borgogna, nella speranza di conquistarsi un pezzo di terra in quel nascente stato così promettente.
Nato bene, ma non primogenito sperava in quel modo di ottenere una qualche proprietà in cambio dei suoi servizi.
Lei non capiva quella bramosia, la sua dote era più che sufficiente a loro due e ai figli che sarebbero potuti arrivare. Inoltre il suo castello da tempo reclamava una forte presenza maschile dopo la morte di suo padre.
Non accettava il suo presunto orgoglio, credendolo sintomo d’indecisione o paura verso il matrimonio, per questo si era rivolta a Zoara. Non una maga, ma una filosofa avversa nelle materie che riuscivano ostiche a moltissimi uomini. La sua conoscenza e il conseguente potere avevano origini più antiche di quel potere che le aveva strappato il suo amato per portarlo in guerra, per questo era sicura del buon risultato.
Intanto lei continuava la sua preghiera:

– … questi sono i tuoi naturali effetti. T’invoco in tutti i tuoi nomi: Zoara in arabo, Venere in latino, Anyhyt in fenicio, Admenita in greco, Sarca in indiano. – lei pronunciava questi nomi con un misto di rispetto e ammirazione, prima di gettarsi a terra rivolta verso il pianeta che portava il nome della dea, disse ancora – Ti scongiuro inoltre per Beytel, l’angelo che sta al tuo fianco per realizzare pienamente le tue forze.

Rialzatasi getto altro materiale sulle braci per incrementare il fumo che saliva all cielo, prese tra le mani il ciondolo che aveva realizzato e lo alzò verso il pianeta.
Beatrice seguiva con vivo interesse l’operazione che stava per giungere al termine, quindi non riuscì a sentire i lievi rumori del bosco che stavano cambiando dietro di lei.

– Basta così, adoratrice di Satana!
Capitano faccia il suo dovere e arresti quella demonolatra.
– Si, magister.

Improvvisamente il cerchio di pietre fu invaso da armati che si avventarono sulla donna.
Il Domenicano uscì dal bosco e si avvicinò a lei con lo sguardo fiero di chi aveva appena sconfitto un nemico.

– Donna, – disse – la tua adorazione del demonio ti ha persa. Non solo lo adori senza timore ma trascini nella tua esecrabile nefandezza una giovine innocente, sfruttando le sue pene d’amore.
– Non sto adorando nessun demonio, prete! – lo interruppe lei – Lo sai benissimo. Tu mi accusi perché hai paura delle conoscenze che stanno alla base dei miei riti.
– Non è con le parole che salverai la tua anima, ma riabbracciando la vera fede … capitano portatela nel palazzo del Vescovo e lì rinchiudetela. Trattatela con riguardo, non è accusata di eresia, per ora, ma di adorare il demonio, quindi non c’è pericolo che infetti con le sue dottrine false altri bravi cristiani.
Andate ora … – li incitò l’inquisitore. Poi rivolto al giovane notaio al seguito disse: – Avete sentito signor De Roussan?
– Si, magister. La donna che si fa chiamare Zoara si è citata durante la sua infame preghiera al signore degli inferi. Chiaro segno della sua perversione… – tentò di imbastire un discorso il notaio.
– Signor De Roussan, non avete inteso niente dunque?
Quella donna stava pregando Venere e Zoara è uno dei nomi di quel pianeta. Precisamente il suo nome nella lingua degli infedeli.
Sappiate che ho riconosciuto chiaramente la provenienza di quelle parole. Esse derivano dal Fine del saggio, un libro blasfemo che tenta di riportare agli antichi splendori la false divinità dei greci e dei romani, altrimenti noto con il nome del suo traduttore dall’arabo: Picatrix.
Un testo condannato dalla Chiesa ma che continua a traviare i sedicenti filosofi che vedono in esso una comoda scorciatoia al sapere.
Quando Alfonso X il Saggio nello scorso secolo lo fece tradurre in lingua volgare, commise un gravissimo errore, di cui ancora oggi ne paghiamo le conseguenze e chissà per quanto tempo ancora le pagheremo.
La donna che abbiamo arrestato stava pregando Venere, probabilmente per la buona riuscita di un talismano d’amore, confezionato per la giovane che era qui poco fa.
Ma perché perdo tempo a spiegarvi queste cose?
Al processo verrà fuori tutto. Spero solo, per l’anima di quella donna, che si ravveda e torni in seno alla Chiesa.
Andiamo, è stata una notte lunga e fredda!

L’inquisitore seguì il drappello sino al vecchio convento trasformato dal Vescovo in sede inquisitoriale, per sincerarsi che la donna fosse trattata con il dovuto rispetto. Anche quello faceva parte dei suoi doveri: lui e i suoi colleghi non dovevano punire ciecamente il colpevole o il sospetto do eresia ma convertirlo, ricondurlo nella vera fede, e per fare questo gli imputati dovevano essere in buona salute.
Rinchiusero la donna in quella che era stata una delle celle dei monaci, verificarono la chiusura della porta e raccomandarono alla guardia di portargli altre coperte e dell’acqua per lavarsi. Al domenicano non era sfuggita la macchia di sangue all’altezza del pube di lei e conosceva ciò che il libro richiedeva per quel rito che aveva interrotto.
Era sua intenzione lasciare la sospetta da sola, a meditare sulle sue colpe, per alcuni giorni prima di sottoporla all’interrogatorio. Prese mentalmente nota di procurarle degli abiti più casti prima di portarla di fronte ai suoi collaboratori; soprattutto al notaio, così giovane e schiavo dei suoi sensi, del tutto privo del controllo che lui, come i suoi fratelli, aveva acquisito negli anni del noviziato.
Finalmente giunse nella sua cella ai piani superiori, senza nemmeno accendere un lume recito velocemente e automaticamente le solite preghiere e si coricò dopo aver risposto lo scapolare sull’inginocchiatoio. Si addormentò immediatamente, come d’abitudine.

Il sonno di Carlo era molto agitato come di regola da alcune settimane.
Sperava in quel periodo di ferie, in Agosto, per recuperare le forze e la tranquillità. Apparentemente non aveva motivi di seria preoccupazione, il lavoro andava bene e la sua relazione con Cristina aveva trovato nuovi spunti da quando avevano iniziato a vivere insieme nella sua casa.
Quel senso di oppressione, il sonno rovinato da sogni che non riusciva mai a ricordare, l’inappetenza e il conseguente dimagrimento lo tormentavano da circa tre mesi dopo l’inizio della convivenza. I medici interpellati non avevano rilevato niente di patologico ed erano concordi a ritenere la sua psiche il vero colpevole senza, però, proporgli nessuna soluzione valida al di là di un vago: ” Si riposi un po’! “.
Per quello si erano recati in Francia con l’intento di visitare la Linguadoca e l’Aude. In quei giorni si trovavano nei pressi del confine con la Provenza, in una zona di ameni altipiani tagliati dal fiume Hérault.
Dopo la cena e una breve passeggiata nei campi prospicienti la villa di fine ‘600 trasformata in albergo, conquistarono la stanza da letto.
Cristina tentò, come di norma in quelle sere di vacanza, di risvegliare il suo desiderio erotico, senza risultati apprezzabili. Carlo si scusò con lei, promettendole un risveglio di fuoco, poi tentò di riposare.
Forse fu il tentativo di seduzione messo in atto da Cristina a guidare i suoi sogni o forse no, ma sognò.

Sognò una donna molto bella, dai lunghi capelli rossicci. Un corpo da favola, molto alta, aveva uno sguardo a volte intenso e indagatore altre volte dolce e sensuale.
Portava indosso una tunica bianca legata in vita da un semplice cordino ed era scalza. Una catena al collo la legava alla statua, in grandezza naturale, di un uomo nudo dalla possente muscolatura, la testa coronata e una spada incisa sulla destra.
Mentre si avvicinava vedeva la sua bocca muoversi come per parlare ma, rapito dalla carnosità di quelle labbra non udiva alcun suono. Quando fu davanti a lei con estrema facilità la sciolse dalla catena, tant’è che si stupì che non l’avesse già fatto lei stessa.
Con un’abile mossa, la donna, slegò la sua cintura e subito la tunica scivolò a terra, non indossava altro.
Era incredibilmente alta, poteva guardarla negli occhi mentre lentamente faceva aderire il corpo al suo.
Come accade nei sogni si ritrovò, all’improvviso, nudo come un verme, i suoi occhi vogliosi, il suo seno sodo premuto contro di lui tanto da consentirgli di sentire la pressione dei capezzoli, lo eccitarono oltre ogni misura. Il bacino si muoveva piano al ritmo del suo respiro stuzzicandogli il pene eretto, sentiva la sua pelle aderire alla cappella e poi staccarsi lentamente mentre si muoveva come se fosse dentro di lei.
Gli accarezzò il viso guidandolo verso le sue labbra e la baciò. Lei rispose con passione mentre con una sua gamba lo avvinghiava. La strinse forte facendo scivolare una mano sulla sua schiena, raggiunto il sedere prese con forza una natica. Lei allora sollevò anche l’altra gamba e se la ritrovò in braccio con le gambe aperte e la peluria della sua vagina premuta contro il suo membro.
La portò verso il letto e delicatamente la mise seduta sul bordo, quando staccò le labbra dal bacio le mani di lei corsero alla ricerca del pene. Se lo portò alla bocca e iniziò a succhiarglielo molto lentamente quasi con dolcezza ma con un ritmo inesorabile. Lui provava un piacere caldo e pacato quando le sue labbra si dischiudevano intorno alla cappella per ingoiarlo. Quando, però succhiava con forza sembrava che tutto il suo sperma volesse uscire in un colpo solo provocandogli una fitta di intenso piacere, violenta, quasi dolorosa.
Si allontanò di colpo da lei, per riprendere un minimo di controllo, quindi s’inginocchiò fra le sue gambe mentre con una mano la invitava a sdraiarsi sul letto. La vista della leggera peluria rossiccia sul suo sesso fu un richiamo irresistibile, vi tuffò la lingua mentre con le mani si faceva spazio. Lei sospirava di piacere sotto quella lingua ed ebbe un forte fremito quando, con tutta la sua forza lui la penetrò con la lingua. Aveva un buon sapore e non smise di leccarla sino a quando i movimenti del suo bacino furono sintomatici di un imminente orgasmo.
Lei era li, sdraiata sul bordo del letto con le gambe aperte appoggiate a terra. Lui sempre in ginocchio di fronte a lei con le mani massaggiava ogni parte del suo corpo. Quando sentì il suo respiro regolarizzarsi appoggiò il pene alla vagina, guidandolo con una mano lo strofinò delicatamente. Un movimento del pube lo invitò dentro di lei, allora spinse, prima delicatamente poi, non trovando alcuna resistenza, la penetrò a fondo.
Le sue gambe lo legarono nuovamente a lei impedendogli ogni movimento. Fu lei, muovendo il bacino e contraendo i muscoli giusti a gestire il loro piacere.
Arrivò all’orgasmo quasi subito, slacciò le gambe appoggiandole a terra e inarco il corpo. Lui, finalmente libero gli diede quello che non aveva potuto dargli prima, andò avanti e indietro cercando di seguire il ritmo delle sue ondate di piacere. Un suo sguardo lo aiutò a capire cosa voleva ancora da lui. Venne dentro di lei, spingendo a fondo dentro il suo ventre, mentre lei inspirava a bocca aperta ad ogni suo impulso di piacere.
Lei non disse mai una parola, si rialzo e gli regalò ancora un breve bacio, dal suo sguardo s’intuiva la sua gratitudine.

Si risvegliò, sudato ed estremamente eccitato. Aveva ben chiaro in mente il viso di quella donna ma non riusciva a ricondurlo a nessuna donna da lui conosciuta. è strano non gli era mai capitato di avere dei sogni erotici con delle donne sconosciute, normalmente sognava la sua compagna, qualche amica o conoscente che era riuscita ad accendere la sua fantasia ma mai una sconosciuta.
Osservò la sua donna che ancora stava dormendo. Appoggiata su di un fianco gli volgeva la schiena. L’invitante curva del suo sedere fece rinascere in lui la voglia. Iniziò ad accarezzarle la schiena strappandogli un leggero mugolio. Fece scorrere la mano dalla sua spalla sino in vita, poi risalì i fianchi. Si portò verso di lei mentre con la mano cercava la sua vagina. La trovò umida quindi, da dietro guidò il suo pene dentro di lei.
Se era già sveglia non lo diede a vedere, lo lascio fare per un po’ poi iniziò a muoversi anche lei, ancora intorpidita dal sonno i suoi movimenti erano languidi e dolci come quelli della donna del suo sogno.
Cercò, con una mano, la vagina e iniziò a stimolarla mentre la penetrava. Trovò il suo collo con la bocca e lo baciò provocandogli leggeri brividi di piacere mentre il loro ritmo aumentava.
Lei, stando bene attenta a non farlo uscire sfruttava tutta la lunghezza del pene per poi chiudersi contro di lui quando lo aveva tutto dentro. Quando lui si accorse che stava per venire l’afferrò, una mano fra il materasso e il suo fianco, l’altra da sopra l’altro fianco aperta sul suo ventre per stringerla contro di se. Seguì, come nel sogno, il suo piacere cercando di incrementarlo con le sue spinte.
Non venne dentro di lei ma la invitò a girarsi, si mise a cavallo su di lei e appoggiò il membro in mezzo al suo seno che lei premette con le mani per farlo aderire bene. Le bastarono poche mosse per farsi inondare dal suo seme.

Carlo aveva deciso di riempire il corpo della sua donna per verificare la quantità di seme che aveva a disposizione quel mattino. Il sogno era stato così reale da lasciargli dei forti dubbi sulla sua semplice valenza onirica.
Dopo quell’amplesso ritrovò parte della tranquillità che aveva perduto, convinto di poter attribuire l’agitazione delle sue notti ad un desiderio erotico non soddisfatto. Pensava che se avesse sfogato i suoi istinti, con la volenterosa collaborazione di Cristina, i suoi sonni sarebbero tornati normali … ma si sbagliava.

Zoara era rinchiusa da cinque giorni ormai quando sentì il rumore dei passi di più persone nel corridoio. La porta della sua cella si aprì mostrando la figura austera, nell’abito del suo ordine, dell’inquisitore.

– Alzati e non temere, siamo qui per ascoltare la tua confessione di pentimento. Speriamo che le notti in questa cella che ha visto tanti veri credenti nel passato ti abbiano portato verso la luce della fede. – iniziò senza tanti preamboli il domenicano.
– Io sono sempre stata e sono ancora una buona credente.
Chiedete a chi volete in paese. Chi mi conosce potrà testimoniarvi la mia fede. – si difese lei
– Dimentichi che ti abbiamo vista e sentita adorare il demonio poche notti fa?
– Non adoravo Satana e voi tutti lo sapete.
Applicavo nient’altro che i riti descritti nel libro scritto da uno che …
– Allora confessi la tua latria. – la interruppe lui.
– Sapete benissimo che quel libro è stato scritto da un infedele e che loro non credono nemmeno nei santi. Quindi non potrebbero ritenere i pianeti degli dei … ed è di questo che mi si accusa … o sbaglio?
– Sbagli. Il tuo errore sta nel non vedere il disegno del maligno dietro le parole di quel libro.
Inoltre non sai nemmeno che quel libro è ritenuto blasfemo anche dai mori.
Medita su questo, più tardi sarai condotta al cospetto dei teologi che studieranno il tuo caso, Saranno loro a decidere in cosa tu credi veramente.

Il domenicano uscì dalla sua stanza e lasciò entrare il giovane notaio che doveva occuparsi di compilare i documenti relativi alla sua identità.
Lei n’approfittò per affinare il suo piano atto a renderle la libertà. Notò con vero piacere l’interessamento del giovane verso il suo corpo. A giudicare da come la stava guardando capiva che, in quel momento, la stava vedendo senza vestiti. Maledì mentalmente la mancanza di uno specchio e una quantità d’acqua sufficiente a rendere decente il suo aspetto. In ogni caso era sufficientemente attraente per lui.
Si sedette sull’asse che fungeva da letto e indicò al notaio la sedia posta di fronte al semplice scrittoio. Il quale dopo aver disposto le sue carte si accomodò e iniziò a studiare sfrontatamente la donna.
Non disse una parola mentre osservava le curve del suo corpo a malapena nascoste dalla tunica semi trasparente che indossava la notte del rito. Puntava sulla sua posizione di forza e sul suo potere per intimidirla e spingerla a chiedergli un aiuto nella sua causa. In fondo essere un notaio al servizio dell’inquisizione portava degli indubbi vantaggi.
Il suo sguardo si fece sempre più esplicito e spudorato; gli sembrò di intuire qualche segno di difficoltà da parte della donna. Bene, quello era il suo scopo. Metterla in condizioni di inferiorità e lasciar cadere dall’alto della sua posizione la sua benevolenza. Quella tattica gli aveva fruttato parecchi favori da parte delle indagate che gli erano capitate tra le mani. Si sentì incoraggiato a continuare nella sua intimidazione, sapeva che dopo il pianto disperato, la donna non sarebbe più riuscita a negargli niente; la promessa, che non avrebbe potuto mantenere, di un suo benevolo interessamento avrebbe smontato l’ultima barriera posta a difesa della femminilità.
Aveva raggiunto la massima sicurezza di se quando lei prendendolo in contropiede iniziò ad alzarsi lentamente, guardandolo negli occhi. Si avvicinò a lui lasciando scendere lo sguardo sulla zona genitale dell’uomo messa in evidenza dai calzoni aderenti, sorrise maliziosa e divertita mentre lasciava che la tunica scivolasse giù da una spalla sino a scoprirle completamente il seno. Lui indietreggiò e lei gli si fece ancora più incontro offrendogli le labbra per un bacio.
Il giovane notaio iniziò a sentirsi meno sicuro di se, si aspettava una donna remissiva e disperata; non una che prendesse l’iniziativa. Tentò di riprendere il controllo della situazione minacciandola come ultimo tentativo di dimostrarsi superiore a lei.
Zoara gli si portò contro, appoggiandosi a lui con tutto il corpo, sfiorandogli le labbra e accarezzandogli delicatamente la zona genitale. Sospirava invitante con la bocca socchiusa in attesa di un suo bacio. Lo stimolò con delle pressioni ritmiche del suo pube contro il membro di lui.
Quest’ultima mossa terrorizzò del tutto il giovane che uscì di corsa dalla stanza. Ordinò alla guardia di richiudere la porta poi appena raggiunse un angolo isolato del lungo corridoio si lasciò scivolare seduto in terra con il respiro ancora affannato.
Nella sua cella, intanto, Zoara sorrideva soddisfatta. Aveva sconfitto l’arroganza di quel piccolo uomo troppo sicuro della posizione che aveva. Non temeva la possibilità di ritorsioni da parte sua, era troppo debole anche solo per pensare di farle. Sapeva che superata la fase del terrore, lui sarebbe tornato da lei per avere quello che le aveva appena promesso; allora sarebbe stato completamente nelle sue mani.
Tra gli altri problemi doveva trovare il modo di comunicare con la giovane donna per cui aveva preparato il talismano che stava attivando la notte che fu arrestata. Beatrice era venuta in possesso di quell’oggetto e lei doveva assolutamente spiegarle molte cose al riguardo.
Era presa dai suoi pensieri e non sentì la serratura della porta che veniva aperta.
Entrarono due armati che le intimarono di seguirli. Uno davanti e l’altro dietro la scortarono al piano superiore in una camera buia dove troneggiava un crocefisso di dimensioni importanti. Dietro ad un tavolo massiccio stavano seduti alcuni religiosi con l’abito dei domenicani ed uno vestito in modo sontuoso e vistoso, certamente il vescovo.
L’inquisitore che era al centro si alzò in piedi e la invitò nuovamente a sconfessare il suo credo blasfemo. Le ricordò che era accusata di demonolatria, in quanto era stata sorpresa a rendere culto a dei demoni, chiamati con il nome di antiche e false divinità ma sempre demoni erano. Le ricordò anche che la pratica inquisitoriale sancita dal Directorium inquisitorum prevedeva in questo caso il trattamento riservato agli eretici. Quindi se non confessava il suo crimine e si pentiva sarebbe stata lasciata alle attenzioni del braccio secolare.
La donna non cedette alle minacce, anche perché non si vedeva colpevole di niente. Resistette alle lusinghe e alle minacce sino a quando, spazientito, il domenicano:

– Basta, donna, tu sfidi la nostra intelligenza e la nostra pazienza. – l’aggredì verbalmente – Signor De Roussan metta a verbale che l’eretica è stata affidata al braccio secolare per la prima sezione di tortura.
Lei vigilerà sullo svolgimento, pronto a verbalizzare ogni sua parola … e ricordi: ecclesia abhorret a sanguine.
Non una goccia di sangue deve uscire dal corpo di quella donna! – detto questo si avviò verso l’uscita seguito dagli altri giudici.
– Si Magister ricorderò, sarà mia cura vigilare. – lo rincorse con la voce il notaio.

Il riferimento al sangue e al corpo della donna generò delle sensazioni contrastanti nel giovane. L’attrazione che provava per lei iniziava a ledere il suo controllo, la reazione che aveva avuto alle sue attenzioni nella cella l’avevano all’inizio impaurito ma ora desiderava ripetere quell’esperienza. Gli era capitato raramente di avere tra le braccia una donna consenziente e vogliosa quanto lui.
Ordinò all’addetto di iniziare con i classici tratti di corda. Si sistemò comodamente sulla poltrona prima occupata dall’inquisitore, da lì poteva avere un’ottima visione della donna illuminata da un raggio di sole che, grazie ad una accurata disposizione delle pesanti tende, la colpiva in pieno.
L’aguzzino si portò dietro alla donna dimostrando chiaramente il suo disagio, non gli era mai capitato di sottoporre ai tratti di corda una donna così bella e dallo sguardo terribilmente innocente come il suo. Prese le sue mani, unendole prima di legarle ma fu interrotto dal richiamo del notaio:

– Non dietro, mastro Michael, ma davanti. Legatele le mani sul davanti! – ordinò il giovane.

Chiaramente sollevato dall’ordine il torturatore si affrettò ad ubbidire. Il supplizio consisteva nel sollevare il sospetto con la corda legata alle mani, se venivano legate dietro la schiena la cosa era molto dolorosa e portava, di norma, alla lussazione delle clavicole; mentre se venivano legate davanti al corpo il dolore era decisamente inferiore.
Sollevò la donna a pochi centimetri da terra tenendola in quella posizione.
De Roussan si alzò e aggirò il tavolo, si portò di fronte alla donna osservandola, con rinnovato coraggio, in quella posizione. La tunica, che oramai aveva perso il suo candore, non riusciva a mascherare la tonicità del suo corpo. Sospesa per le braccia metteva in mostra il suo splendido seno, la curva armoniosa dei fianchi e le gambe slanciate e sottili. Volendo si può dire che non rappresentava l’ideale femminile in voga ai suoi tempi, troppo magra e fianchi troppo stretti. Non sembrava una buona generatrice di bambini e il suo corpo asciutto ricordava più quello di un guerriero che quello di una donna; ma il suo fascino e l’armonia delle curve del corpo la rendevano attraente agli occhi del giovane notaio, al quale ricordava le donne egiziane che aveva conosciuto nella cosmopolita Roma.

– La metta giù. Piano, non lasci scendere la sue braccia. La lasci solo appoggiare i piedi. – ordinò all’uomo che stava trattenendo la corda, poi rivolto più a lei che a lui aggiunse: – Non vogliamo che soffra troppo! … una donna così bella!

Girò intorno a lei ispezionandola a fondo, poi si recò verso l’aguzzino e gli strappo la corda dalle mani; la legò ad un anello infisso nel muro in modo che lei non potesse abbassare le braccia poi indicò, silenziosamente, l’uscita all’uomo.
Quando fu solo tornò ad occuparsi di lei.
Si portò alle sue spalle chinandosi per riuscire ad osservarla da sotto la tunica.

– Sei una donna molto bella, sarebbe un vero peccato deturpare il tuo corpo con delle dolorose torture.
Se collabori saprò essere gentile con te e ti eviterò di soffrire, potrai mantenere intatta la tua bellezza e chissà magari riuscirò a farti liberare.
Sai io ti credo, non sei un’eretica … tantomeno una maga!

Zoara non disse una parola in risposta, sentiva il suo sguardo che la stava spogliando, lo sentiva indugiare sulle natiche e gli piaceva. Paradossalmente essere legata in quella stanza buia, in completa balia di quel piccolo maniaco sessuale le procurava un crescente senso d’eccitazione.
Tentò, con successo, di riprendere il controllo. Non poteva permettersi di perderlo in quella situazione.
Sentì la mano di lui che seguiva la curva dei fianchi scendendo verso le natiche e soffermarsi su di esse. Spinse in fuori il sedere per consentirgli di godere della sua rotondità.

– Vedo che capisci, sei molto intelligente … collabora e non te ne pentirai. – le sussurrò in un orecchio lui.

Sicuro d’averla in suo potere gli si portò davanti, con la mani la esplorò lentamente in ogni parte del corpo. Lei chiuse gli occhi e lo lasciò fare. Lui intese la quella reazione come sintomo di paura nei suoi confronti e si eccitò, la sentiva in suo pieno potere.
Si allontanò da lei dirigendosi verso l’unica porta, sbarrandola; era tardi ma non voleva correre il rischio di essere disturbato o peggio scoperto dall’inquisitore, il quale non avrebbe esitato un istante a rinchiuderlo nelle segrete.
Prese uno stiletto e tornò da lei.
La sfidò con lo sguardo mostrandogli minaccioso l’arma. Fece scorrere la lama sulle curve del suo seno, dei fianchi e sul pube. Giocò a lungo in quel modo poi infilò la lama nella scollatura della tunica e, con un colpo secco, la tagliò sino in fondo scoprendo le sue nudità. Rifinì con cura il suo lavoro lasciandola completamente nuda.
Infilata l’arma nella cintura ritornò a palparla, questa volta sulla pelle. Zoara non riuscì a contenere l’eccitazione e si lasciò sfuggire un lieve sospiro mentre chiudeva gli occhi per assaporare meglio le sensazioni della corda che le legava le mani, il leggero dolore che gli procuravano le braccia trattenute in alto e le mani ruvide dell’uomo che la esploravano.
Come prima lui fraintese, lesse in quel sospiro la rassegnazione e negli occhi chiusi il tentativo di sfuggire alla realtà, la volontà di non vedere quello che lui gli stava facendo. Alla stessa maniera valutò il suo gemito quando gli infilò un dito nella vagina, spingendolo più in fondo che poteva; ma si sbagliava: lei stava godendo di quelle attenzioni così come si godette il freddo contatto dello stiletto sui suoi capezzoli.
Lui faceva scorrere la lama di piatto sul corpo della donna seguendone la curve, premendogli i capezzoli e arruffandogli i peli del pube.
Stufo di quel gioco ruotò la lama di taglio, graffiandogli la pelle. Lei riaprì gli occhi a quel nuovo ed intenso stimolo. Gli piaceva e gli si dilatarono le pupille, lui che la stava osservando continuò e vedere la paura e si eccitò ulteriormente. Seguì il bordo del seno poi si divertì a far scorrere il taglio della lama leggero sui capezzoli ormai turgidi.
Zoara era quasi al limite dell’autocontrollo, godeva dei quelle sensazioni e sperava che lui si decidesse a iniziare qualcosa di più serio.
Inebriato dalla sensazione di potere su di lei, il giovane fece scorrere la lama verso il bacino. Mentre scendeva premeva sempre di più e iniziava a disegnare sul suo corpo una serie di sottili tracce arrossate.

– Potrei spingere solo un po’ di più e infilerei la lama nel tuo bellissimo ventre … ma penso di divertirmi di più ad infilarci altro! – gli confidò con la voce rotta dall’eccitazione.

Dopo avergli confessato le sue fantasie premette la lama contro il basso ventre, al limite della resistenza della pelle, mentre con l’altra mano violava la sua vagina.
Quella penetrazione, il dolore della lama premuta contro e la reale sensazione di pericolo in quanto non conosceva le sue intenzioni, fecero godere Zoara. Rantolò e iniziò una serie di movimenti incontrollati del pube. Questo la portò a spingere verso la lama e a ferirsi lievemente.
Il netto dolore e la vista del suo sangue la fecero quasi venire. Quel sangue invece sconvolse lui. Per quanto lieve e minima la ferita aveva violato il principale veto imposto dalla chiesa sulle torture.
Il giovane notaio si affretto a scusarsi, posò lo stiletto e slegò la corda lasciando scendere le braccia della donna.
Lei si accucciò sulle ginocchia e aspettò che lui gli si avvicinasse. Con la testa bassa e lo sguardo in direzione del pavimento, pareva sottomessa e timorosa dei possibili sviluppi; in realtà si stava godendo gli ultimi rimasugli della forte eccitazione che aveva raggiunto. Inspirava a fondo gonfiando il seno e rilasciava lentamente il respiro mentre lui gli si faceva sempre più vicino.
Il giovane si fermò a pochi passi da lei. La osservò nei dettagli del suo bellissimo corpo, si tranquillizzò notando che la ferita non stillava più sangue e tornò ad eccitarsi grazie alla presunta sottomissione di lei. Riacquistata la sua spavalderia prese il suo viso da sotto il mento e lo sollevò sino ad incrociarne lo sguardo.
Lei non poté fare a meno di notare il rigonfiamento eloquente nella zona genitale dell’uomo e si sentì attratta dal membro che veniva disegnato dal tessuto aderente dei calzoni. Alzò le mani ancora legate nella sua direzione con l’intento di farsele slegare, ma lui si rifiutò. Allora lei sorrise e le appoggiò sul legaccio che tratteneva i calzoni. Con mille difficoltà iniziò a liberarli studiando al contempo la sua espressione che andava mutando dalla sicura spavalderia allo stupore. Come riuscì ad estrarne il membro lo brandì portandoselo davanti alle labbra e iniziò a leccalo dolcemente. Sentiva la sua erezione crescere sempre di più in consistenza e lo ingoiò, aspirando forte mentre con la lingua giocava sulla cappella. Continuò sino a sentirlo rantolare di piacere ed a percepire il sapore dei suoi umori lubrificanti. Allontanò la bocca da lui e, sfidandone lo sguardo prepotente, reclinò la schiena all’indietro, quasi sino a terra; appoggiata sulle ginocchia con la gambe aperte offriva in questo modo il suo ventre ai desideri del giovane.
A lui girò forte la testa mentre apprezzava con gli occhi e con la mente quel corpo offertogli in maniera così spudorata, le mani legate gli davano inoltre la sensazione di avere il controllo totale di lei. Si sfilò i calzoni e s’inginocchiò pronto ad infilarsi nella sua vagina ma lei si rialzò con un colpo di reni formidabile, appoggiando le mani sul busto lo spinse giù salendogli a cavallo. Prese il membro mentre si sistemava bene su di lui e se lo appoggiò contro la vagina; lo accolse dentro di sé senza difficoltà, scendendo piano sino a farsi penetrare completamente e iniziò a muoversi ansimando con un’espressione decisa sul volto.
Il giovane De Roussan si ritrovò all’improvviso a passare da una posizione di dominio sulla donna a una in completa balia dei suoi desideri, sentì la sua sicurezza cedere al pari della sua eccitazione.
Lei invece sentì quel membro, prima possente e minaccioso, sgonfiarsi dentro di lei. Non si preoccupò di questo, se lo aspettava e ci contava. Restò in quella posizione contraendo solo i muscoli del pube e gli disse:

– Rilassati, lasciati andare … scoprirai che fare l’amore con una donna che lo desidera è molto più appagante che possederla con la forza … coraggio, non pensare e ascolta solo quello che sale dal tuo inguine!

Confortata dall’espressione stupita ma intelligente di lui continuò a muoversi lenta e sensuale.
Poco alla volta sentì il suo membro tornare duro e piacevole, allora si concesse dei movimenti sempre più decisi e mirati al raggiungimento del piacere.
Nella mente di Zoara si miscelavano fra di loro una quantità di pensieri e sensazioni. Sentiva ancora la lama dello stiletto che graffiava la sua pelle, il dolore alle braccia legate in alto e la sensazione di paura provata quando ancora non aveva imparato a conoscere quello che ora stava sotto di lei.
Si eccitò ancora di più!
Le mani ancora legate non le permettevano i movimenti che voleva quindi si lasciò andare, senza tentare nulla di particolare, nessun movimento più intenso di quelli che riusciva a mettere in atto ma ascoltando con attenzione quello che saliva dal suo ventre.
Venne con un forte gemito, si appoggiò con le mani unite al busto del giovane e lo cavalcò più forte che poteva sino alla fine del suo piacere.
Lui, oltre che ottimamente dotato era anche molto resistente, forse grazie alla persa eccitazione poi ritrovata che lo aveva fatto ripartire dall’inizio, riuscì a mantenere il membro rigido dentro di lei senza venire.
Soddisfatta e distrutta, Zoara, si accasciò sopra di lui. Solo i suoi leggeri colpi di tosse emessi per richiamare la sua attenzione la ridestarono. Si staccò da lui, gemendo mentre lo sentiva uscire, scivolò indietro portando il viso sopra il pene con l’intenzione di svuotargli i testicoli con la bocca ma era troppo scomoda. Decise di sdraiarsi sulla fredda pietra del pavimento, lo invito a salire a cavallo del suo seno e gli ingoiò il pene stesa sotto di lui. Lo leccò e lo succhiò fino a farlo venire, offrì il viso ai getti di sperma che uscivano impetuosi generando in lui più godimento con quel gesto che con l’orgasmo che gli aveva procurato.
Sentiva che oramai il giovane era in suo potere, una volta provato il piacere di giacere con una donna come lei non avrebbe più avuto la forza di negargli niente. Non solo; il fatto che lei era stata in grado di resistere alle sue pressioni, godendo delle sue torture, gli aveva dimostrato la sua forza. Abilmente spinse il giovane ad aiutarla nel contattare Beatrice, non gli chiese di aiutarla nel processo, sapeva che in qualche modo ne sarebbe uscita bene; ma doveva comunicare con quella ragazza.

Dopo il forte temporale della notte, Carlo e Cristina, non speravano nel magnifico cielo azzurro ritratto nella finestra della loro camera d’albergo. Decisero di approfittarne e di procurarsi due canoe per ridiscendere il fiume. Sbrigate le poche formalità e fissato il luogo dell’appuntamento dove sarebbero stati recuperati si avviarono con calma sulle acque limpide. Il paesaggio era stupendo e non invogliava a correre.
Dopo poche ore, quando il Sole d’Agosto incominciava a farsi sentire, si concessero il primo di una lunga serie di bagni della giornata. Nell’occasione studiarono meglio l’itinerario, decisero di fermarsi per il pranzo in qualche insenatura nei pressi dell’abitato di Ganges, situato oltre la metà del percorso, dove il fiume si allargava all’improvviso e il suo letto formato da grandi lastroni di roccia crea delle piscine naturali dove l’acqua si scalda facilmente al Sole.
Ormeggiarono o meglio tirarono in secca le canoe in una piccola insenatura del tutto invisibile dalla strada che correva ad una ventina di metri sopra di loro. L’intimità del luogo e l’amenità del paesaggio li convinsero a provare l’ebbrezza di un bagno completamente nudi. Volevano sentirsi parte integrante di quella natura così bella.
Si spogliò per prima Cristina e subito si tuffò da un trampolino naturale, Carlo la seguì con un tuffo goffo che generò l’ilarità di lei. Nuotarono e giocarono sino a quando le loro carezze si fecero un po’ troppo particolari. Si avviarono quindi verso la riva dove Carlo bloccò Cristina per i piedi, trattenendola in acqua per metà. Risalì il suo corpo fino alla bocca e la baciò.
Cristina notò la magnifica erezione che le premeva sul ventre e senza tanti complimenti sguisciò via da sotto di lui e corse verso le imbarcazioni. Stese a terra un asciugamano, nel mezzo delle due canoe e vi si sdraiò sopra ridendo, quando lui la raggiunse gocciolante lei raccolse le gambe e le aprì, oscenamente invitante.
Carlo s’inginocchiò nel mezzo e si lasciò cadere su di lei, abbracciandola come poteva e baciandola teneramente. Cristina era molto contenta di quelle effusioni, sintomo evidente che lui stava iniziando a rilassarsi veramente e a godersi le ferie. Mentre si lasciava accarezzare i fianchi e le natiche muoveva il pube, invitante ed esplicita, così come espliciti erano i suoi baci sulla bocca di Carlo. Poco alla volta cercava di scivolare più in alto in modo da portare la vagina alla giusta altezza del suo pene. Lui capì le sue manovre e un po’ per gioco, un po’ per malizia la seguiva vanificando i suoi tentativi.

– Non c’è la fai più … vero? – gli domandò lui malizioso.
– Dai, non fare lo stronzo … prendimi … ora!
– Ho voglia di giocare ancora un po’ con te, solo che se continui a scivolarmi via …. Idea!

Carlo vide la corda che legava la prua delle canoe, in quel momento libera poiché erano in secca, la prese e, con un movimento secco e violento, costrinse Cristina ad alzare le braccia; quindi le legò insieme con un nodo tanto stretto da procurarle una fitta di dolore. Per essere sicuro che non potesse muoverle assicurò l’altro capo della corda al tronco di un’acacia lì vicino. Nel compiere questa manovra salì a cavallo del suo busto con il membro eretto dall’eccitazione che stava provando nel legarla. Si chinò in avanti per far fare il giro del tronco alla fune avvicinando pericolosamente il pene alla sua bocca. Lei lo ingoiò, dischiudendo le labbra mentre lui spingeva in avanti, lasciandosi penetrare la gola; poi lo succhiò forte leccandolo al contempo.
Carlo non se lo aspettava e d’istinto si ritrasse da lei, poi invaso dalla piacevole sensazione che la bocca di lei sapeva dargli spinse in avanti. Trovò la cosa tanto piacevole da continuare quel movimento mentre terminava di legarla.
Con la mente offuscata dal piacere scattò all’indietro, portandosi nuovamente in mezzo alle gambe di Cristina, in ginocchio. La osservava come muoveva languidamente il pube, come incavava il ventre mentre spingeva in alto la folta peluria; dal suo sguardo intuiva che era per nulla preoccupata di essere stata privata della sua libertà. Era decisamente invitante. Troppo invitante, tanto che nella mente di Carlo iniziava a formarsi l’idea che lei si comportasse in quel modo per sfidarlo, per dimostrargli che anche se legata era sempre più forte lei ed era lei a dominare comunque il gioco.
Sentì montare il desiderio di fargli capire chi era ad avere il comando in quella situazione, che lui era in grado di resistere ai suoi inviti e soprattutto: che il regista era lui.
Quel senso di prevaricazione che provava in quell’istante lo stava eccitando, guardava il suo membro eretto e lo immaginava strumento di punizione per quella donna che osava sfidarlo con il languore di un corpo praticamente perfetto, almeno ai suoi occhi.
Spostò lo sguardo dal seno di lei all’interno della canoa alla sua destra, dove trovava posto il contenitore stagno dei viveri; lo prese. Al suo interno tra le varie cose c’erano quattro lattine di birra gelate, ne prese una e l’appoggiò con studiata lentezza tra le gambe di Cristina, poi impugnò il coltello a serramanico che lì era riposto e lo appoggiò sul ventre di lei. Cercò tra le sue cose e trovò il cilindro stagno che conteneva il suo orologio e i pochi soldi che si erano portati dietro, lo guardo con un sorriso: aveva le dimensioni giuste, forse un po’ più grande del suo pene ma era perfetto.
Prese il coltello dal ventre di lei e lo sostituì con la lattina gelata. Subito lei contrasse i muscoli a quel contatto lanciando un gridolino di stupore e piacere. Carlo fece rotolare la lattina sul corpo di lei salendo verso il seno, la fece risalire la curva della mammella sinistra e indugiò sul capezzolo sempre più turgido.
Cristina aveva gli occhi chiusi, rapita dalle forti sensazioni che stava provando. Una situazione come quella non l’aveva ma i nemmeno sognata: legata ad un tronco, all’aperto con la possibilità di essere spiata da qualcuno, il suo uomo che giocava con i suoi sensi in un modo magistrale. Doveva concentrarsi per non venire subito tanto era forte la sua eccitazione.
Carlo giudicò che la temperatura della lattina era oramai ottimale, lui non amava le bevande troppo fredde, l’aprì spruzzando Cristina e la tracannò in un sorso.
L’immancabile sonora fuoriuscita di gas intestinale lo lasciò molto soddisfatto.
A stomaco vuoto l’alcool entrò subito in circolo. Forse per questo trovò il coraggio di estrarre la lama del coltello, fissarla con l’apposita sicura, e avvicinare il metallo al ventre della sua donna.
Il contatto con quell’oggetto appuntito e freddo procurò dei forti brividi a Cristina che assaporò fino in fondo sempre con gli occhi chiusi. Le piaceva quella sensazione di leggero dolore.
Carlo fece scorre la lama molto affilata impugnandola come un rasoio. Si spostò di lato a lei, prese il coltello con la sinistra e con l’altra mano appoggio il contenitore cilindrico alla vagina di lei, con calma lo insinuò tra le labbra puntando il buchino, quando fu sicuro della direzione iniziò a spingerglielo dentro, poco alla volta ma inesorabile nella sua marcia verso l’interno. Quando giudicò di averne infilato una buona misura lo lasciò dove si trovava e tornò ad occuparsi della lama del coltello.
Cristina non aveva più fiato per ansimare, il pezzo duro e indeformabile dentro il suo ventre gli limitava notevolmente i movimenti ma le piaceva da impazzire. Il tocco ruvido della lama sulla pelle sensibile del seno le fece contrarre alcuni muscoli del bacino accrescendo in quel modo la sensibilità attorno all’oggetto che la penetrava, rantolò di piacere stimolando la fantasia di Carlo.
Lui aveva una strana sensazione addosso, sentiva di avere già vissuto quella scena ma era sicuro di non aver mai fatto niente del genere. La sensazione durò solo un brevissimo istante, poi sparì com’era venuta.
Strofinò la lama sui capezzoli, leggera mentre una mano scendeva scorrendo il corpo di lei verso il pube. Afferrò il surrogato fallico e iniziò a muoverlo dentro il corpo di lei. Manovrava il contenitore e stuzzicava i capezzoli. Continuò in quel modo sino a quando lei urlò di piacere.
Cristina inarcò il corpo e tirò forte le corde che la legavano, contrasse ripetutamente il ventre nel tentativo di incrementare la sensibilità al piacere.
Carlo abbandonò il coltello, estrasse da lei il contenitore cilindrico e in poche abili mosse la penetrò. Si mosse rapido su di lei seguendo il ritmo che gli dettava, continuò a muoversi anche quando Cristina rilassò, esausta, tutti i muscoli.
Ormai era troppo dilatata per riuscire a sentire qualcosa, Carlo uscì da lei e rapidamente avvicinò il pene alla sua bocca. Spinse di reni anche lì, confortato dalle abili mosse della lingua iniziò a percepire l’avvicinarsi dell’orgasmo. Gli venne dentro la gola tanto spingeva forte in quel momento.
Cristina riuscì ad ingoiare tutto senza rischiare il soffocamento, mentre lui si ritraeva esausto lei lo seguì con la bocca fin dove le corde lo consentivano.
Lui si alzò in piedi, guardò lei e poi si guardò in giro. Cercava qualcuno. Voleva offrire quella donna, legata in quel modo ad uno sconosciuto che, magari, si ritrovava a passare da quelle parti. Voleva vederla in balia delle fantasie di un altro uomo, sentiva il bisogno di guardarla mentre godeva con il membro di uno sconosciuto, voleva vederla ricoperta del seme di uno, due … non importa quanti uomini mentre legata ed inerme non poteva evitare i loro spruzzi. A quei pensieri sentì il turgore tornare, guardò in basso e vide il suo pene nuovamente pronto. Lo prese in mano e iniziò a menarlo, in piedi sopra di lei. Fissava il ventre di Cristina e lo vedeva gonfio del pene di un altro uomo, lo immaginava entrare e uscire da quella vagina ancora dilatata, vedeva la sua bocca piena dello sperma di uno sconosciuto e venne. Gocciolò il poco seme ancora rimasto dopo il precedente orgasmo sul corpo di Cristina sotto di lui.
Mentre il piacere passava la sua mente tornò lucida. Guardò lei legata e subito non riuscì a capire cosa era successo, poi ricordò.
Ricordò tutto, quello che era successo, quello che aveva sognato e provato.
Si vergognò, si stupì, si sconvolse; poi vide il viso soddisfatto e lo sguardo grato e appagato della sua donna e si sentì un po’ meglio.
La liberò e quindi la coccolò a lungo. Mangiarono e si riposarono. Si era fatto troppo tardi per continuare la discesa del fiume, chiamarono il noleggiatore e presero appuntamento poco oltre per il recupero: nel punto in cui il fiume sfiora la strada per le grotte delle Demoiselles e in cui si scarica il torrente che corre al loro interno.

Il processo si stava risolvendo come lei aveva previsto. Interrogata dai dottori della fede, Zoara, era risultata perfettamente ortodossa, la sua fede non aveva sbavature di sorta, anzi i dotti si stupirono non poco nel trovare una donna laica così edotta negli articoli di fede. Restava il fatto che lei aveva pregato e offerto doni a quelli che la chiesa riteneva aspetti del demonio.
Zoara se la cavò, con gran disappunto dell’inquisitore, affermando la sua totale buona fede e l’ignoranza sul fatto che il Picatrix fosse ritenuto un libro empio. Si lasciò convincere dei suoi errori e li abiurò. Oltre al libro empio aveva anche letto, con profitto, il Directorium inquisitorum e sapeva come comportarsi di fronte al tribunale. A giorni era prevista la sentenza, a detta del giovane notaio era sarebbe stata condannata ad un breve periodo di pubblica penitenza: avrebbe, con tutta probabilità, dovuto indossare l’abito dei penitenti e assistere a tutte le funzioni religiose più importanti in modo da essere vista dai fedeli.
Niente di così grave come sembrava all’inizio. Grazie alla sua intelligenza Zoara aveva capito quando non era più il caso di insistere con la tesi iniziale. Ora rimaneva il problema del talismano ancora in mano a Beatrice.

– Fra poco uscirò da qui, sarò una penitente ma il tribunale non menzionerà la mia colpa, non pretenderà una abiura pubblica.
Che progetti hai tu? – chiese la donna al giovane De Roussan.
– L’inquisizione mi ha confermato qui ad Albì, sono soddisfatti del mio lavoro e pare che ci sia in giro ancora qualche focolaio di eresia albigese … ci sarà molto lavoro!
Il magister tornerà a Carcassonne, nella sua sede, questi focolai non sono così importanti da richiedere la sua presenza qui. – rispose con noncuranza lui.
– Bene! Lo sai che quando non tenti di essere diverso da quello che sei e lasci che la tua dolcezza e sensibilità escano fuori non sei tanto male?

Lui arrossì senza rispondere alla velata proposta della donna. La sua fantasia già veleggiava verso i focosi incontri che avrebbe avuto con lei una volta libera. Lontano dagli occhi dell’inquisitore poteva muoversi come meglio credeva, lui non avrebbe approvato una sua relazione con un’eretica confessa.

– Devi farmi un favore … che ti ricambierò come tu sai!
Trova quella ragazza che era con me la notte che mi arrestarono e fatti consegnare assolutamente il talismano che le ho dato.
– Perché me lo chiedi?
– Perché l’opera non era completa, quell’oggetto può diventare pericoloso in mani sbagliate!
– Ma tu hai abiurato il tuo errore! – affermò il giovane con aria smarrita.
– Ho abiurato l’errore che credevano avessi commesso, non ho mai negato il reale potere di quei riti. Come avrai notato nemmeno il tuo magister mi ha chiesto di farlo … lui sa, lui conosce i potere delle formule del Picatrix, per questo lo combatte con tutte le sue forze.
è un uomo molto intelligente … ma poco saggio!
Trova quella donna!
– E se non vorrà consegnarmelo?
– Distruggilo!

Il giovane scoprì che la ragazza, terrorizzata dall’arresto di Zoara, si era data alla fuga nel timore che l’inquisizione si rivolgesse a lei non come una povera vittima delle false promesse della presunta maga ma come ad una complice.
Partì sulle sue tracce, scoprì che si era fermata a Castres da alcuni amici di famiglia quindi aveva proseguito per Béziers. La raggiunse prima di Nimes, a Ganges!
Ci volle del tempo per convincerla, non voleva mollare l’ultimo baluardo a cui si aggrappava la speranza di rivedere presto il suo amato. Poi quando seppe che Zoara era uscita bene dal processo si convinse che era una vera maga e credette alla parole del notaio sulla pericolosità dell’amuleto incompleto e lo consegnò a lui.
De Roussan contemplò l’oggetto. Fatto con una pietra, che pareva quarzo ialino, recava incisa l’immagine di una donna nuda in piedi di fronte ad un fallo eretto di dimensioni enormi, almeno in proporzione a lei, sotto una mano sinistra, stilizzata, reggeva un pettine.
Si rigirò la pietra tra le mani mentre cavalcava sulla via del ritorno, pregustava il suo prossimo incontro con la donna che lo aveva spedito sino lì. Non voleva tornare in città, nel palazzo dell’inquisizione in possesso di quell’oggetto.
In fondo aveva promesso a Zoara di riportarglielo o distruggerlo.
Si trovava sul piccolo monte che sovrasta il paese di Ganges, nei pressi di una voragine da cui i locali lo avevano avvertito di tenersi alla larga. Con un largo gesto della mano, quasi plateale lanciò la pietra dentro quel buco che si apriva nel terreno, poi spronò la cavalcatura e galoppò verso casa.
Quella voragine era l’ingresso delle grotte delle Demoiselles.

n. d. a.
I riti descritti in questo racconto sono abbastanza fedelmente (forse anche troppo! ) tratti dal Ghayat al-hakìm, ovvero ” il fine del saggio” meglio conosciuto come Picatrix. Scritto tra il 1047 e il 1051 nella Spagna moresca e successivamente tradotto dall’arabo all’ispanico per volere di Alfonso X il Saggio nel 1256.
Quello che ho detto sul libro e come lo vedeva l’inquisizione è abbastanza vero. è un testo di cui consiglio la lettura se si ama, come me, quel periodo storico, l’importante è … non credere alle cose che dice!
Soprattutto in merito alle “magie”.
Discorso differente merita il Directorium inquisitorum di Nicolas Eymerich del 1376, vademecum del perfetto inquisitore!
Credeteci! (anche per evitare i “tratti di corda”! ) FINE

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