Dal momento che, per impegni universitari, dovevo recarmi a Napoli, presi il rapido delle 16, 10 e presi posto in uno scompartimento vuoto.
Accanto al finestrino socchiuso, volgendo le spalle alla locomotiva, e dunque al senso di marcia, per evitare che il vento mi giungesse in pieno viso, in quanto, essendo una giornata particolarmente calda, avrei tenuto il finestrino aperto, come avrebbero senz’altro fatto del resto in tutti gli altri scompartimenti.
I pochissimi viaggiatori presenti sul treno, e come certamente avrebbe voluto o quantomeno desiderato la signora che era entrata dopo di me nel mio stesso scompartimento, provocandomi una crisi claustrofobica poiché era una sorta di armadio di ragguardevoli proporzioni, dal volto duro e dalle forme ben poco pronunciate, perdute, confuse, potremmo dire, in quella massa di ossa e carne che decise di posare sul sedile di fronte al mio.
Mostrando, nel sedersi, attraverso una gonna verde di stoffa robusta, delle solide gambe, proporzionate alle sue dimensioni, che cortesemente pose di lato per non costringermi a fare altrettanto, proprio mentre il treno lentamente lasciava la stazione, superando tutti gli altri treni ancora fermi, alcuni operai intenti in faticosi lavori di riparazione delle strada ferrata, altri viaggiatori in attesa e convenuti ammassati sulla banchina, ed acquistando velocità, facendo a volte sobbalzare il libro che stavo leggendo e che pareva incuriosire la mia compagna di viaggio, della quale potevo ora osservare con calma anche i lineamenti del viso, in perfetta sintonia con il corpo, tanto da farla apparire più anziana di quanto in realtà non fosse.
Sebbene, senza dubbio, dovesse contare non meno di quaranta primavere, ovvero il doppio della mia età che doveva apparire evidente dal mio volto ancora imberbe sul quale gli occhi di lei si erano puntati con una certa, apparente malizia, non senza provocarmi un leggero stato di imbarazzo misto a compiacimento, in quanto capitava assai di rado che le mie fattezze attirassero l’attenzione di occhi femminili, e mai l’insistenza, comunque, era giunta in precedenza all’arrogante costanza della brutta passeggera, che non mutò espressione neppure quando timidamente le sorrisi per vincere il turbamento che quello sguardo mi procurava, impedendomi di leggere.
Nonostante facessi enormi sforzi, cercando di non pensare a quella situazione, o di rammentare, senza guardarla, quanto quella donne fosse sgraziata e, per tanto, poco indicata per una, sia pure estemporanea, avventura in treno, benché non potessi rinunciare del tutto a considerare plausibile questa ipotesi, finché, non appena il treno fu entrato in una galleria e l’odore pungente del fumo penetrò attraverso il finestrino.
Prima ancora che gli occhi si abituassero alla flebile luce dello scompartimento, sentii distintamente qualcosa sfiorarmi il polpaccio destro ed appena provai a muovere la gamba, mi trovai incastrato, cosicchè, quando le pupille si furono abituate alla semioscurità, potei vedere la mia caviglia tenuta strettamente fra le massicce caviglie di lei, che si era tolta le scarpe e che iniziò, con un piede nudo, ad accarezzarmi la gamba
Mentre un groppo mi occludeva la gola e trattenevo a stento un singulto, combattuto tra la ferma volontà di far cessare quello strano, perverso gioco, ed il desiderio di lasciarlo giungere al per me misterioso epilogo che la brutta signora doveva invece aver già certo definito, tanto che continuava, sorda ai miei muti turbamenti, o forse eccitata da questi, ad accarezzare il polpaccio, talvolta introducendo il piede sotto i pantaloni, toccando con il piede nudo la pelle nuda sotto il calzino, oppure scivolando sopra i pantaloni fino al ginocchio e alla coscia, senza però oltrepassare un certo limite, giocando con sadismo con la mia indesiderata eccitazione, che crebbe quando, abilmente, con l’altro piede, quello ancora libero, mi tolse la scarpa e sollevò la mia gamba fino a farmi posare il tallone sul suo sedile, proprio al centro fra le sue enormi cosce, dove era il bordo della gonna che, aprendosi, mostrava sempre più carne, assumendo intanto col suo piede una posizione analoga, proprio a pochi centimetri dal mio sesso che stava stritolandosi negli slip, mentre io trattenevo il respiro attendendo che realizzasse il suo malsano progetto ed invece in quel momento il treno rallentò la sua corsa ed entrò in una piccola stazione e lei ritrasse l’arto proteso verso il mio piacere.
Rimise le scarpe, simultaneamente a me che, ancora confuso, facevo altrettanto, non senza difficoltà, riuscendo a calzare il mocassino un attimo prima che un nuovo passeggero facesse il suo ingresso nello scompartimento per sedere nella nostra intimità ed accanto alla brutta signora, guardandola senza espressione, tutti in silenzio, anche quando il treno si mosse nuovamente, senza che poi lei, sorda ai miei muti richiami, mi rivolgesse più un solo sguardo fino all’arrivo. FINE