Avevano noleggiato un fuoristrada per meglio addentrarsi nelle strade più impervie, tra colline e foreste lussureggianti ove due millenni prima fioriva la civiltà Maya; Giancarlo e Mirna non sono sposati ma è come lo fossero, vivono da quasi cinque anni assieme e sono appassionati di viaggi, preferiscono organizzarseli da soli, li studiano nei minimi dettagli, c’è sempre qualche piccolo rischio connesso ma se la sono sempre cavata.
Giancarlo ha quasi trent’anni mentre Mirna ne ha da poco compiuto ventisei, biondina dal fisico poco appariscente, è il classico tipo che diventa una insospettabile peperina quando la si fa eccitare; aveva dovuto mettere in campo le migliori arti seduttive per convincere Gian a portare con loro in Messico sua cugina Lorenza, una ragazza dai capelli castani e gli occhi scuri, entro i quali si possono leggere le intense meraviglie che il suo corpo ancora acerbo è in grado di offrire.
Lorenza è affascinata dalle civiltà sorte nell’America centrale, ha letto molto di riti esoterici e sacrificali che colà si svolgevano, non appena le è giunta voce della preparazione di questo viaggio è riuscita a strappare la promessa ai genitori che se Mirna avesse accettato l’avrebbero lasciata andare con loro, era il regalo per la promozione appena ottenuta, da quel momento ha subissato la cugina con telefonate ed incontri, diventandone quasi la sua ombra.
Te l’ho detto Lorenza, non è per me, ma Gian non ne vuole proprio sapere di portarti con noi, è una responsabilità troppo grande che non si vuole assumere, ho cercato di insistere ma è proprio irremovibile, questa volta non condivido la sua scelta così drastica ma la accetto serenamente e credo che anche tu dovresti fartene una ragione.
A casa di Mirna, sedute in cucina davanti ad un paio di tazzine di caffè, ella pensa che questa non possa che essere l’ultima discussione sull’argomento ma la cugina la gela con delle parole inaspettate: credo che non hai insistito a sufficienza, ma soprattutto che non devi aver scelto i momenti giusti per cercare di convincerlo, dovevi farlo a letto magari nel bel mezzo di un pompino!
Mirna è presa alla sprovvista, è lei che arrossisce anziché la cugina, un travaso di emozione le fa tremare la voce: ……..ma, ma che cosa ti salta in mente……..che ne sai tu di queste cose…….
Lorenza è un fiume in piena, ha ormai rotto gli argini e le sue parole esondano: ma dai, per chi mi hai preso, non sono mica più una bambina, fra poco compio diciotto anni, so bene come si convincono quelli dell’altro sesso, non è certo la prima volta che faccio dei pompini pur di raggiungere certi risultati.
Mirna ha il volto infiammato, bisbiglia qualcosa con la saliva tra le labbra senza che la cugina possa percepire il significato, Lorenza approfitta dell’evidente imbarazzo: se è perché ritenete che possa esservi d’impiccio quando vi verrà voglia di stare in intimità, questo pensiero non vi deve nemmeno sfiorare, posso tranquillamente dormire da un’altra parte, se invece potrò stare con voi non mi tirerò di certo indietro, credo che al tuo Gian non spiacerebbe vedermi all’opera……
Ma……ma, sei impazzita……..non ti facevo così spregiudicata……..
Ma in che mondo vivi Mirna, non vorrai farmi credere che non ti sei mai masturbata, da sola o con qualche tua amica, che non hai mai giocato ai dottori, che non hai mai succhiato l’uccello di qualcuno che non sia Gian o leccato la fichetta di una tua coetanea?
Ora il volto di Mirna ha lo stesso colore del sole in uno di quei tramonti africani dell’arida savana che attende la stagione delle piogge, ha un groppo in gola, quei discorsi l’hanno sconvolta, sta per scoppiare in un pianto isterico, liberatorio, per non dire catartico; si alza di scatto in piedi, con una mano incollata alla bocca per frenare il tumulto che la scuote, corre via, si infila in camera da letto e qui vi si butta con il volto affondato nel cuscino, cercando di trovare quella calma interiore che potrà permetterle di affrontare la situazione.
Lorenza giunge silenziosa, al pari di un felino che segue la preda nascondendosi tra l’erba alta prima di sferrare l’attacco finale, è molto abile, in quel momento il suo unico obbiettivo è raggiungere lo scopo prefisso, si siede sul letto e le carezza i capelli: scusami Mirna non volevo offenderti, perdonami aggiunge con voce melliflua che pare provenga dalle labbra di una persona casta e pura.
La mano si immerge nei capelli, li avvolge tra le dita, carezza il collo liscio che si tende come una corda di violino trasmettendo un’incessante teoria di brividi, che al pari di note melodiose si disperdono nell’aria rarefatta della camera da letto: scusami, scusami, mai avrei creduto di turbarti così tanto……….
Sembra una filastrocca che pare non debba aver mai fine, come quella che una mamma ripete insistentemente alla propria bambina fintanto che non percepisce che ha raggiunto il mondo dei sogni, Lorenza inizia un racconto che prosegue ininterrottamente, sempre con lo stesso tono, mentre la mano scivola leggera sulla schiena dentro l’apertura del vestito sgualcito, la pelle viene solo sfiorata durante l’implacabile discesa: la rada peluria è come se volesse tendersi verso il palmo per meglio assaporare l’esasperante piacere che quel tocco sa donare.
……..ti ricordi di Manlio quel mio compagno di classe che hai visto qualche volta assieme a me, mi ha sempre fatto il filo ed è sempre stato geloso soprattutto quando vedeva che facevo la smorfiosa con qualcuno di più grande, sapevo che aveva l’abitudine di seguirmi quando mi avviavo con qualche ragazzo lungo il canale……….
……ad uno ho fatto un pompino ben sapendo che lui ci stava spiando da dietro un cespuglio distante qualche metro, l’avevo visto bene con l’uccello in mano che si stava facendo una sega, un attimo prima di abbassarmi a prendere in bocca il pisello del mio amico…….alcuni giorni dopo me lo sono fatta confessare da lui stesso……..
……Manlio moriva dalla voglia di farmi ripetere l’esperienza con lui ma non aveva il coraggio di affrontare il toro per le corna, era sempre in difficoltà, finchè un giorno ho accettato di andare a studiare a casa sua, là ho preso io l’iniziativa, a modo mio……..
……ho fatto scivolare la mano sui pantaloni, l’ho strizzato da sopra la stoffa sentendolo gonfiarsi prepotentemente, è diventato rosso come un peperone ed ha cominciato a soffiare come una locomotiva quando gliel’ho preso in mano infilandomi dentro la patta…………..
……ti piacerebbe che te lo prendessi in bocca vero, sei uno sporcaccione lo so, ti piace tanto farti le seghe mentre mi spii, ma se vuoi sentire le mie labbra che te lo insalivano devi contraccambiare……
…….sì, sì, dimmi cosa debbo fare mormorò Manlio ormai vicino all’orgasmo……….
……voglio che coinvolgiamo nei nostri giochi anche tua sorella Anna……….
…..non riuscì a rispondermi perché una frazione di secondo dopo gli spruzzi di sperma imbrattavano la mia mano ed i suoi pantaloni……..
Mirna ascolta in silenzio, sembra quasi abbia smesso di respirare tanto è appiattita sul letto, pare abbia paura di interrompere quella cantilena che si accompagna con la carezza della mano; ora il palmo si è soffermato per un tempo interminabile sul fondo schiena a giocherellare con l’elastico delle mutandine, sollevandolo diverse volte per far scorrere fugacemente all’interno le dita, prima di ritrarsi come se fosse stata scottata.
E’ un giuoco snervante che ha incredibilmente alzato il tasso di libidine ben palpabile nella stanza da letto, è come se Lorenza stesse sturando un’ampolla ricolma di infusi magici, che si insinuano nel corpo attraverso le narici, e che sanno infondere una carica sessuale misteriosa che riesce a traghettarti verso l’aere.
La mano di Lorenza ha abbandonato il fondo schiena posandosi sulla calda pelle delle cosce, da qui intende dirigersi là dove la linfa nasce spontanea, da questa parte del percorso trova ben pochi ostacoli, il palmo ed il dorso vengono stretti in un abbraccio serrato, quasi volessero ostruire la strada che conduce verso il giardino delle delizie, intuendo che il suo raggiungimento non avrebbe più lasciato spazi a ripensamenti.
Ancora una volta Lorenza esaspera la cugina con una serie di falsi attacchi verso il cuore centrale dell’umida difesa che si sta sciogliendo, percorre con le dita l’orlo del minuscolo indumento: ha fin troppo chiara la sensazione che il pube si sia sollevato, ed anche le cosce si sono allentate e lentamente dischiuse lanciando il segnale che è possibile avanzare senza impedimenti di sorte.
Lorenza si limita a vellicare il pelo da sopra il triangolino macchiato da incontenibili riflussi vaginali, evitando di affondare là dove la sua carezza è attesa con trepidazione, riprendendo il suo racconto.
…….Anna ha vent’anni ed ha quindi un paio d’anni di più di me e di suo fratello, mi ha impressionato sin dal primo momento che l’ho vista, ha uno sguardo devoto e pio, intriso di puritanesimo, la vedevo in chiesa in prima fila con lo sguardo contrito, la sentivo pregare sottovoce; lei così bella, alta e magra, sempre fasciata da vestiti che la coprono fino alle caviglie, lei che rifiuta il mare d’estate per non scoprirsi, che ha la pelle candida come la luna, lei è stata l’unica donna che è riuscita a farmi masturbare in solitudine, al pensiero di poter un giorno scoprire ogni remoto angolo del suo corpo…….
…….ho seguito Manlio al bagno, mi diverte il suo imbarazzo mentre lo aiuto a pulirsi, ha finto di non aver capito il mio accenno a sua sorella ma gli insistenti sfregamenti delle mie dita sul suo piolo che si era solo parzialmente ritratto, ne gonfiano nuovamente la punta violacea facendolo annaspare…..
…….rinnovo la richiesta e lui riesce solo a biascicare che Anna è una ragazza molto pudica, ha poche relazioni anche verbali con il fratello ed ancor meno con estranei………
…..so io come scioglierla, la tenteremo, ci faremo spiare……..
….. un pomeriggio che la sapevamo in casa nella camera accanto a studiare, fu facile per me fingere di divincolarmi da un tentativo di Manlio di volermi possedere, avevo alzato il tono della voce quel tanto che basta perché fossi sentita dall’altra parte del muro, avevamo lasciato la porta socchiusa ed io ero semisdraiata sul letto con la gonna sollevata………
…….Manlio cercava di insinuarsi con le dita oltre il bordo degli slip mentre io facevo la parte di quella che vuole resistere…….come la vidi far capolino sulla porta migliorai la mia sceneggiata….dai smettila, cos’hai oggi, sei così focoso, non ti sarai mica messo in testa cose strane…..
……..di tanto in tanto guardavo il volto allampanato di Anna che osservava la scena con gli occhi fuori dalle orbite, avuta chiara la sensazione che non si sarebbe intromessa proseguii allungando una mano sulla patta……..sporcaccione, senti che grosso……dai calmati un attimo se no finisce che tua sorella ci sente……..la vidi strabuzzare quando, dopo averglielo tirato fuori, lo presi in bocca e cominciai a succhiarglielo…….
Lorenza adesso avverte chiaramente le contrazioni della vagina di Mirna, smette di stuzzicarla e scosta il lembo del triangolino, le dita si intingono di rugiada e la penetrano allungandosi all’interno di quel nascondiglio muschioso: la cugina freme, è rapita da quelle stimolanti carezze che la fanno viaggiare in un mondo estatico, senza confini, di cui non conosceva l’esistenza, si abbandona, stringe i pugni sulle lenzuola, è la fine di un piacere narcotizzante quello che resta dopo l’orgasmo.
Continua a sfregarla con dolcezza quasi a voler spegnere lentamente il riverbero che ancora ristagna all’interno: adesso capisci meglio quello che intendevo dirti poco fa in cucina…….
Mirna è come se avesse un momento di appannamento, poi mantenendo il viso schiacciato sul cuscino, fa cenno di sì con la testa.
Quando Lorenza la costringe a girarsi ha lo stesso sguardo di una bambina impaurita, trema come si trovasse in un ambiente gelido, si lascia sfilare il vestito, poi è la volta del reggiseno che consente di mettere in luce due splendide corolle rosate, larghe e tese: le dita si soffermano a stringere quei pioli appuntiti che diventano duri ed irti come promontori.
Vuoi che ti racconti cosa ho fatto con Anna le sussurra Lorenza mentre aggancia l’elastico degli slip per denudarla completamente: è felice di raccogliere il suo assenso da un battito delle palpebre ma ancor più di vederla arcuarsi per agevolare lo sfilare del minuscolo indumento.
Lorenza le spalanca le cosce prima di accalappiare la clitoride facendo sì che la protuberanza si affacci turgida fuori delle grandi labbra, riprende a toccarla e la vede socchiudere gli occhi, ricomincia a raccontare.
…….Manlio non ci ha messo molto a sborrarmi in bocca……mi piace trattenere sulla lingua e sul palato quel prezioso liquido vischioso dal sapore agrodolce……..quando mi sono ritratta Anna era ancora lì ferma estaticamente….sembrava che si fosse estraniata, che la sua mente vagasse nello spazio a cavalcioni di una nuvola…….non si spostò di un millimetro nemmeno quando mi diressi verso di lei…
…..era come intontita, avvolta in un lungo camicione blu cobalto che ne risaltava il pallido colorito della pelle………la raggiunsi e mi sollevai sulle punte per baciarla in bocca……feci tracimare sulle sue labbra e poi sulla lingua il liquido seminale del fratello………ella lo trattenne degustandolo senza particolare enfasi……..non dava alcun segnale di potersi scuotere da quello stato di torpore che pareva l’avesse estraniata dalla realtà………
…..la presi per mano conducendola in camera sua mentre Manlio, con l’uccello ballonzolante di fuori, ci guardava stranito non avendo nemmeno lui intuito quale potesse essere la reazione della sorella……
……..restò immobile in silenzio lasciandosi sfilare il camicione che avevo sbottonato sul didietro, solo la sottoveste si sovrapponeva al tocco delle mie mani sulla sua epidermide………le spalline scivolarono lungo le braccia liberando quel corpo immacolato………non portava reggiseno……….l’ho voltata verso di me per ammirare le due appuntite aureole ambrate che adornavano i piccoli seni……….l’ho spinta dolcemente verso il letto facendola sedere di traverso con la schiena appoggiata alla parete…….
…….solo allora vedendola accasciata quasi esanime ho iniziato a soffiarle addosso qualche parola mentre la carezzavo con entrambe le mani, che si spostarono dal viso ai seni, per catturarne le coppe nei palmi e strusciarne i capezzoli, i quali si ersero intimoriti………poi staccai una mano che discese sinuosa a solcare la morbida pelle……sentii il ventre che si contraeva quasi volesse accelerare i tempi per farmi raggiungere il traguardo……..
……quando arrivai allo scrigno attraverso i mutandoni da educanda che le fasciavano il ventre la trovai allagata, le dita rischiarono di impantanarsi in quel lago melmoso, le cosce si erano aperte adagio, adagio, come un cancello carraio mosso da un motore rotante di antica foggia…….sei una porcona anche tu come il tuo fratellino…….vorresti che te la leccassi questa tua bella passera piena di sugo……..
…….con una voce gutturale che sembrava provenire dall’oltretomba ella cominciò a mormorare la stessa identica frase per una decina di volte, sempre più flebilmente fintanto che le si è spenta tra le labbra: oh no, no, è peccato………
…….i miei occhi rimasero abbagliati dalla visione di quella incredibile foresta nera incastonata dentro la scia luminosa del suo corpo, candido come una via lattea,…..le dita faticano a districarsi tra quel cespuglio oscuro come il fondale dell’oceano, riescono però a dischiudere quella impertinente fessura cremisi, le cui pareti sono morbide al pari dei petali di una rosa……..
……il contatto della mia lingua la fa esplodere in un profluvio di parole inaspettate: sì, sì…… sono una troia…….una sporcacciona…..una cagna in calore…….mi piace, mi piace da morire……..; ……sono sorpresa dalle contrazioni dell’utero mentre la frugo con lingua spingendola sempre più a fondo…..l’orgasmo che ne segue le dilata i lineamenti del viso sfigurandola………
Lorenza accompagna questo racconto continuando a sfregare la passera di Mirna, stringendo tra le dita lo spesso clitoride, raspandolo con passaggi prima delicati e sfuggenti, poi sempre più ficcanti; Mirna dopo un assordante orgasmo subisce il fascino della cugina, si piega sul letto come una contorsionista per infilare la mano sotto il suo vestito, fruga fra le sue mutandine fino a raggiungere la fessura rasata e liscia come una palla da biliardo.
Resta qualche istante sorpresa da quella scoperta, poi è Lorenza che riprende il filo conduttore, sale sul letto, la scavalca con le ginocchia ponendosi sopra la testa, è un segnale forte e chiaro, Mirna finisce di scostare le mutandine con i denti e poi allunga la lingua: è il suo primo rapporto saffico ma non le servono apprendistati, strappa alla cugina un orgasmo che sembra non aver più fine.
E’ un’alba magica e misteriosa quella che li sta accompagnando con il fuoristrada verso Monte Alban, antico sito cerimoniale nel quale più di un millennio prima confluivano migliaia di persone per assistere alle apparizioni del grande sacerdote, che attraverso una ragnatela di cunicoli sotterranei compariva al pari di una divinità.
A differenza del tempo andato ora quei luoghi sono desertici, quasi spettrali, pur se immersi nel verde collinare, il sole non si è ancora levato dal sonno della notte anche se le prime luci rischiarano l’ambiente che riesce ad incutere un tutt’uno di suggestione e soggezione.
Mirna è rannicchiata sul sedile anteriore a fianco di Gian che guida a passo d’uomo, come se avesse timore di disturbare la sacralità di quei luoghi; Lorenza invece è seduta nel mezzo del sedile posteriore, indossa un paio di pantaloncini corti, incrocia lo sguardo di Giancarlo riflesso sullo specchietto retrovisore, lo ricambia con un’espressione maliziosa, fa scivolare la mano destra sulle proprie cosce, si carezza risalendo verso l’inguine, supera il tessuto leggero e le dita scompaiono: chiude gli occhi e si masturba lentamente.
Gian osserva con lo sguardo incollato allo specchietto il movimento leggero della mano, affascinato dalla estemporanea prestazione di quella impertinente ragazzina, non è la prima volta che riesce a fargli rizzare l’uccello, in quel momento però avrebbe voglia di tirarselo fuori e spararsi una sega per emulare quella straziante forma di autoerotismo.
Mirna aveva seguito il consiglio della cugina, era riuscita a strappare il consenso di portarla con loro, una sera a letto, nel buio della stanza erano iniziati i preliminari, era scesa con lingua dalla bocca al petto, giù oltre la cassa toracica alla ricerca dell’asta pulsante, che si era già sollevata librandosi nell’aria.
La lingua ammorbidì il glande già inumidito da alcune perline di eccitazione, tracciò dei geroglifici salivali per raggiungere lo scroto e stuzzicò la pelle molle con leggere punture dei denti; l’amante era intorpidito dal piacere per quelle delicate carezze linguistiche quando Mirna cominciò a borbottare: Lorenza è tornata alla carica, mi ha detto che sarebbe disposta a tutto pur di venire con noi, credo che dovremo accontentarla, non so se esserne gelosa, ho sentito dire da alcuni coetanei che sa essere alquanto birichina.
Man mano che infiorava i discorsi senza nulla riferire di quanto successo tra loro, Mirna sentiva il cazzo esprimere con violente pulsioni i messaggi del cervello, che rintracciava nei bulbi reconditi il lato peccaminoso che alberga in ognuno di noi; poco dopo, mentre si faceva fottere a gambe spalancate, esorcizzò i pensieri di Gian mormorando: porco, porco, avverto che stai già navigando in un torbido viaggio, che ha le forme acerbe della mia cuginetta.
Da quel giorno i preparativi proseguirono per tre persone, Lorenza ripagò la cugina con altri incontri nei quali la giovane era la maestra e la più grande l’allieva, fu proprio la ragazza appena entrata nella maggiore età a decidere quali fossero i comportamenti da tenere con Gian, rinviando al viaggio la possibilità di metterlo al corrente della loro relazione saffica.
Mirna era sempre più soggiogata dalle sfacciate intraprendenze della cugina, ne subiva la travolgente carica sessuale che tracimava dai comportamenti e dai racconti, le piaceva farsi narrare di Anna, della sua predisposizione a farsi sottomettere, intuiva che un filo sottile le legava pur se non si erano mai viste, di certo Lorenza era riuscita a carpire dentro i suoi occhi di un azzurro intenso come una fonte d’acqua pura, gli elementi strutturali del suo carattere così fragile e remissivo.
Giancarlo guarda trattenendo il respiro la consumazione del piacere nel volto di Lorenza, è soggiogato da quella manifestazione erotica mentre la mente viaggia nell’ambito di un solo ricordo, come il binario di una littorina, instancabilmente diritto verso la meta: è il lungo viaggio notturno, in aereo, per raggiungere la terra messicana.
Seduto nel mezzo in una fila laterale di tre posti, con Lorenza a destra e Mirna a sinistra, si erano avvolti con le coperte nel tentativo di usufruire di qualche ora di sonno; Lorenza aveva sollevato il bracciolo di separazione del sedile appoggiando la testa sulla spalla di Gian, raggomitolandosi di fianco per ottenere una posizione più comoda, per quanto ciò sia possibile nell’angusto spazio della classe economica.
Gian ascolta nel dormiveglia il respiro regolare di Mirna che sicuramente è da poco entrata nel mondo dei sogni, quando avverte la mano di Lorenza che pare scivolare sopra la patta, sembrano movimenti casuali, quasi impercettibili, quelli che seguono ma che hanno la capacità di rimestargli l’uccello.
Quella struggente azione dura lunghissimi minuti e lo fa esasperare al punto che il cazzo diventa gonfio e duro dentro i boxer; pare che Lorenza nel sonno voglia sistemarsi meglio, la testa scende lungo il petto di Gian fino a fermarsi sopra la patta, ora lui avverte chiaramente le labbra della ragazza che agganciano l’uccello, mordendolo e succhiandolo sopra il tessuto dei pantaloni estivi.
Avrebbe voglia di prendere l’iniziativa ma gli manca il coraggio di farlo, si adegua alla peccaminosa fantasia di quella libidinosa ninfetta, che mette in campo tutte le arti magiche del sesso orale pur senza estrarre dai pantaloni il piolo ardente, la bocca segue l’asta turgida tra le pieghe dei pantaloni, la lingua la rincorre avanti ed indietro mentre le labbra la baciano morbidamente.
E’ un fiume in piena quello che dilaga all’improvviso, i pantaloni si inzuppano tracimando gli spruzzi instancabili di sperma, Lorenza agita la lingua sopra quella leccornia che resta coperta dall’involucro, poi si ritrae spostandosi dall’altro lato come per cambiare posizione nel sonno.
Lorenza lo distoglie da questo ricordo che gli sovviene in continuazione, quasi con petulanza, mormorando: fermati per favore, mi scappa la pipì!
Ella scende si addentra per un paio di metri sul manto erboso ma non fa nulla per nascondersi, attraverso i raggi appena abbozzati di un’alba nascente Gian la guarda mentre si abbassa i pantaloncini fino alle caviglie, in uno con le minuscole mutandine, le arterie del collo si ingrossano al pari dell’uccello già paurosamente in tiro, nel vedere per la prima volta la fichetta lucida ed implume.
Lorenza ha movenze da attrice consumata, si sfiora la fessura, si accuccia con le gambe dischiuse lasciando ampia vista del suo inestimabile tesoro, prima di lasciar defluire la pioggia dorata imbocca il dito usato per toccarsi la passerina, lo succhia con significato inequivocabile; Mirna si era sollevata nel sentire il fuoristrada arrestarsi, accostandosi al suo uomo, anche lei resta rapita dai gesti della cugina e dal cazzo sfoderato che Gian ha sfoderato dai pantaloni, che pare persino plumbeo per la forzata costrizione dentro i pantaloni.
Mirna non ha il tempo di gustare il resto della scena, può invece assaporare la calda sborra che in pochi attimi le riempie la bocca, dopo le prime infornate di quel tizzone ardente, che era ormai giunto vicinissimo al fine corsa.
La giovane ben intuisce l’epilogo tra i due fidanzati, dal colore del loro volto e dall’affrettata sistemazione per coprire il randello che ancora spinge la leggera stoffa dei pantaloni; sono arrivati all’ingresso del centro cerimoniale, Gian si appresta ad acquistare i biglietti mentre le due cugine si avviano tenendosi per mano, sono le prime ad entrare nell’ampio prato erboso che somiglia ad un campo di calcio.
Raggiungono le gradinate là dove il gran sacerdote officiava davanti alle moltitudini che si arrampicavano fin sopra il pianoro, i primi raggi del sole nascente trasmette loro un senso di tepore, che anticipa il caldo soffocante delle ore diurne, si sentono magicamente unite quando si siedono sui gradoni più bassi, Gian si sta avvicinando da lontano e loro possono unire le bocche in un bacio che trasmette il sapore dello sperma appena ingerito da Mirna.
Quella fusione di lingue, che Giancarlo può percepire solo nell’attimo finale del distacco, diventa il suggello di una complicità silenziosa, che ha il potere di unirli indissolubilmente per tutto il viaggio, è un legame che non necessita di spiegazioni, resta muto ma palpabile in ogni gesto, provocatorio e sensuale, libero ed ieratico, profondamente inserito nella sacralità dei luoghi visitati.
La gioiosa pace che trasuda da quel sito lussureggiante, illumina i corpi dei tre viaggiatori al pari del sole che si avvia svelto verso il suo apogeo, non solo di visita culturale si tratta ma anche di sussurrati bisbigli che infondono nell’animo di ognuno la ricerca di purificazione, attraverso implicite voglie di trasgredire che si colgono nella lucentezza dei loro occhi.
Nel lungo percorso che li deve condurre verso la posada ove pernotteranno Gian non vuole il cambio alla guida da parte di Mirna, che può distendersi sul sedile posteriore in cerca di un po’ di riposo; il tramonto avvicina il momento dell’oscurità, nel frattempo Lorenza, che confabula con Gian, può cogliere nelle timorose frammentate occhiate verso le sue cosce nude, la bramosia che gli altera il tono della voce.
Mirna sta dormendo bisbiglia la cugina spostandosi verso il conducente, in modo che possa cogliere la sfumatura del suo sguardo, dovresti rallentare un po’ altrimenti si sveglia; le mani di Gian già nervose sul volante segnalano una maggior frenesia quando ne sposta una per scalare le marce riducendo la velocità, che diventa fremito convulso quando Lorenza gliela carezza sopra la cloche.
Un silenzio sepolcrale permea l’interno dell’abitacolo quando se la sposta sul proprio stomaco, è lei che si solleva la maglietta mostrando il pancino, poi aggancia l’elastico dei pantaloncini e delle mutandine per liberare il passaggio verso la sua fonte di piacere.
Lorenza lascia che le dita compiano il loro dovere rovistandola, si allunga sul sedile, chiude gli occhi e si lascia trasportare verso spazi infiniti; Gian continua a solleticarla fintanto che coglie le ultime spasmodiche contrazioni, lei non le da il tempo di ritirare la mano bloccandolo a mezz’aria, si infila le dita unte di umori nella bocca e gli succhia le falangi.
Ormai il buio nasconde quasi interamente i lineamenti dei loro volti quando Lorenza allunga la mano toccandogli l’uccello che sa di trovare duro dentro i pantaloni, non è solo la strada accidentata che fa sobbalzare Gian sul sedile ma la bocca della ragazza che raggiunto il glande appena estratto dai boxer; fortunatamente non c’è traffico quando è costretto a socchiudere gli occhi per lo straripante piacere che quella morbida bocca trasmette ad ogni affondo, vorrebbe lasciarla incollata al suo cazzo all’infinito, ma la gioia esplode trabocchevole e gli svuota i coglioni.
La giovane trattiene nel palato gran parte della sborra, con voce gorgogliata lo invita ad accostare, sale dietro e sveglia Mirna, la abbraccia e la bacia trasferendo nella sua bocca il seme appena estratto dal pene del fidanzato, Gian può solo ascoltare intontito le bisbigliate amorevolezze, il fruscio degli indumenti scoperti ed i sospiri languidi che gli fanno compagnia fino a destinazione.
Mangiano a lume di candela quella sera, nell’intimità della posada de la mission che li ospita all’interno di mura secolari, innalzate dopo la conquista dell’impero Azteco, Lorenza coglie negli occhi della cugina una inquieta voglia di trasgressione accentuata anche dall’agua caliente che hanno servito a fine pasto.
Mirna si sente osservata, l’ansia le scuote il petto ed i seni ballano freneticamente entro la camicetta leggera, facendo risaltare le corolle appiattite sul tessuto, si alza di scatto dicendo: sono stanca, ho voglia di andare a letto, è stata una giornata faticosa……
Hanno riservato uno stanzone composto da un letto matrimoniale ed uno singolo di angolo, avevano già deciso che quella prima sera le cugine avrebbero dormito assieme: tutti si dissero molto stanchi dandosi la buona notte.
Nel buio timidamente filtrato dai raggi della luna che si incuneano tra gli antichi oscuri dei balconi, Lorenza non perde tempo in preamboli, la mano scivola leggera tra le cosce della cugina, si addentra nel suo nido facendola afflosciare nei meandri del piacere.
E’ un vortice quello che si avvita nel corpo di Mirna, il suo respiro diviene agitato, fa fatica a controllarsi, ansima mordendosi le labbra senza riuscire a soffocare i gemiti del crescente piacere che le germoglia dentro, teme che i suoi sospiri giungano fin troppo eloquenti al fidanzato ma l’insaziabile frenesia che precede l’orgasmo non le consente di porre in essere alcuna azione diversiva, si lascia sopraffare dalla gioia incommensurabile che la proietta verso l’oblio.
Giancarlo ha ascoltato fino all’ultimo bisbiglio con il cuore in gola, con lo stesso stato d’animo di quando ragazzino origliava di nascosto le effusioni dei genitori, adesso come allora cercando di focalizzare con le pupille dilatate i movimenti che accompagnano i gesti d’amore; il respiro ansioso di Mirna sta scemando quando Lorenza accende la tenue luce del comodino rischiarando appena l’ampio stanzone.
Mirna è sollecita nel coprire con le lenzuola il suo corpo lascivamente scomposto sul letto, guarda con occhi interrogativi la cugina facendo cenno con lo sguardo verso il fidanzato; Lorenza le risponde con un dito sulle labbra per farla stare in silenzio, si sposta verso il letto d’angolo ove giace Gian, lo chiama con voce sussurrata ma lui finge di dormire.
Sì, sì, sta dormendo mormora all’indirizzo di Mirna, che se ne sta ferma sul letto da dove ha scarsa visuale; Lorenza allunga la mano agguantando il pene che svetta sotto le lenzuola, lo avviluppa nel palmo strappando un lungo sospiro a Gian, è certa che è ancora sveglio e che sarà spettatore attento delle successive esibizioni.
Dall’altro lato dello stanzone Lorenza estrae dal proprio zainetto un vibratore prima di dirigersi verso il letto ove la cugina la osserva allarmata, mormorando: oh no, è troppo pericoloso, rischiamo di farlo svegliare davvero!
Risparmia il fiato porcona, non penserai mica che mi accontenti di così poco, togliti tutto, su scopriti, lo sai che mi piace chiavarti mentre mi lecchi, se fai la brava ti racconto qualcos’altro di Anna e suo fratello!
Mirna ha lo sguardo allucinato, le parole della cugina riescono sempre ad iniettarle nuove scosse di libidine, prima di accovacciarsi di traverso il letto sorretta dai gomiti e dalle ginocchia, con il culo per aria e le gambe impudicamente spalancate, implora la cugina di spegnere almeno la luce del comodino, ma lei non le da retta, vuole che Gian possa gustare anche visivamente la loro trasgressione.
Lorenza si mette di fianco alla cugina, guarda verso Gian notando il leggero movimento del lenzuolo ove la mano sta cercando di lenire le arroganti pulsioni dell’asta svettante, infilza la vulva con il vibratore prima di accenderlo, alimenta l’autonomo stuzzichio che l’arnese produce con sostenute penetrazioni che impone con la propria mano; Mirna torna a singhiozzare dal piacere, si dimena, le chiede di smettere ma il tono della voce bisbigliata evidenzia il contrario: l’estrazione di quell’oggetto di piacere riempie la stanza con lo stesso rumore di un rutto, Gian intanto, con gli occhi semichiusi, guarda rapito il vibratore che viene spinto morbidamente nel culo della fidanzata.
Appoggiata con la schiena sulla testiera Lorenza si fa prima succhiare le tettine gonfie dalla cugina, poi le spinge la testa giù, dentro le gambe dischiuse, sta per iniziare a raccontare e guarda con soddisfazione verso il letto di Gian, la cui mano adesso ha scostato le lenzuola per meglio proseguire nella frenetica masturbazione che lo accompagna verso l’attimo liberatorio.
………Anna era diventata una splendida amante, docile e remissiva, sebbene non fossero pochi gli attimi di titubanza che le leggevo negli occhi ogni qual volta pretendevo da lei qualcosa di nuovo…..le avevo insegnato a fare la mia assistente durante le visite a cui sottoponevo Manlio, disteso nudo sul letto come un paziente vero, che aveva un un’unica stupenda malattia: il cazzo sempre teso, sembrava proprio affetto da priapismo……..
……vede, le dicevo toccando il pisello duro, è qui che non riesce a guarire…..lo senta anche lei…..Anna aveva sempre un rigetto emozionale quando lo avvolgeva nel palmo, che si trasformò in convulsione nel momento in cui volli che provasse a curarlo con la bocca……..mi piaceva vedere le sue labbra insicure carezzare fino a nascondere interamente il piolo svettante………mi piaceva scoprirla da dietro e trovarla con le cosce imbrattate di umori……..avevo iniziato a sfondarla con una banana ma mi piaceva di più con il vibratore dopo che l’avevo fatto comprare da suo fratello….
……quando decisi di sottoporre lei a visita facendomi assistere dal fratello, intuii la sua muta rassegnazione dagli sguardi che ben preconizzavano la mia pretesa a che si arrivasse ad un rapporto incestuoso bandendo ogni remora………Manlio ci aveva preso sempre più gusto………mentre io mi riempivo la bocca del dolce sapore della sorella, addentando e succhiando ogni anfratto del suo illibato corpo, a lui piaceva fotterla in bocca trattenendole la testa tra le mani………..
……..ho deciso di toglierti l’ingombrante fardello della verginità che ancora trattieni in te, le dissi un pomeriggio mentre in salotto mi serviva il caffe…….sarà Manlio a deflorarti qui adesso mentre mi spazzoli la passera con la lingua, su spogliati che prima ti masturbo così ti ecciti sporcacciona…..Anna era molto preoccupata e riuscì a dirmelo…….ho paura Lorenza, lui non riesce mai a trattenersi……magari mi lascia in cinta……..
…..ero troppo condizionata dalla frenetica voglia di essere io l’artefice di quella scelta decisiva, non fiutai minimamente i pericoli connessi, fortunatamente tutto filò liscio prima che prendessimo opportune precauzioni, anzi quel giorno visto che continuava a frignare, la feci distendere sulle mie ginocchia e la sculacciai come si fa con un bambina cattiva……..
…..quando la mano scivolò in mezzo alle cosce la trovai grondante……..le tenni la testa schiacciata sul mio pube, la sua lingua saettava entro le mie intimità come stai facendo tu in questo momento, ero stravolta dal piacere nel vedere Manlio che si apprestava a deflorarla…….come Anna prevedeva bastarono poche stoccate per farlo eiaculare e ritrarre in leggero ritardo……..
……negli ultimi incontri preferisco vederla sodomizzata, mi piace sentire la sua bocca che sbatte sulla mia fichetta ogni qual volta Manlio affonda nel suo bel culo, è una situazione esasperata e struggente allo stesso tempo, la proverò anche con te e Gian prima della fine del viaggio……
Lorenza sente ormai i prodromi dell’orgasmo, le sue parole hanno fatto incrementare la soffocante azione di Mirna, con la coda dell’occhio ha già visto Gian spruzzare per aria, in rapida successione, imperiosi schizzi di sperma che sono planati sulle lenzuola e sul suo petto, si abbandona lascivamente e lascia che il tempestoso profluvio inondi la lingua e la gola della cugina.
Nel Chiapas attraverso foreste abitate dagli ultimi Lacandoni, pochi superstiti di un popolo autoctono che ancor oggi vive nel rispetto della natura, e che limita la caccia alle strette esigenze di sopravvivenza, ci addentriamo nei verdi boschi ove di tanto in tanto se ne incontra qualcuno, che con rudimentali archi di arcaica provenienza, a volte tramandati di padre in figlio, si avventurano in cerca di cibo mutuando le tecniche venatorie dei loro antenati.
A Palenque le antiche pietre riproducono, a distanza di secoli, la straordinaria civiltà Maya, la storia di un popolo retto da una teocrazia, ove i regnanti e la casta sacerdotale avevano raggiunto inimmaginabili conoscenze astronomiche, che venivano conservate gelosamente da quei pochi eletti a cui il popolo riconosceva doti divine.
I bassorilievi dimostrano gli inequivocabili effetti dell’incesto, a cui i governanti erano costretti per necessità, al fine di evitare che l’inestimabile tesoro di conoscenze fosse divulgato al popolo, che se da un lato permetteva di individuare i tempi migliori della semina e del raccolto, strumento essenziale per la prosperità dei sudditi, dall’altro costrinse la ristretta cerchia dei depositari della scienza, a procreare esclusivamente tra consanguigni, minando così le capacità intellettive di molti giovani aristocratici.
Hanno ancora gli occhi colmi della misticità dei luoghi visitati quando si dirigono verso agua azul, tormentato corso d’acqua dai colori trasparenti che attraversa i boschi, in un continuo di sbalzi e cascate che ti avvicinano al piacere dell’immenso.
Gian non riesce a togliersi dalla mente la scena della notte precedente, in cui le si sono rivelate alcune tendenze sessuali della donna con cui vive da diversi anni, imprevedibili ed inaspettate, rese ancor più trasgressive per l’ambito di consanguineità in cui sono sorte, e per la tracotante, a tratti quasi dispotica autorevolezza, con la quale Lorenza è riuscita ad imporle, coinvolgendo anche lui in una sorta di attrazione fatale.
La guarda specchiarsi in un’ansa riflettendo quel corpo per certi versi acerbo e provocatoriamente minuto, entro il quale si cela una determinazione che ha forgiato precocemente il suo carattere dominante, la vede togliersi le scarpe da ginnastica ed invitare Mirna a fare altrettanto, prima di prenderla per mano e condurla all’interno dell’acqua limpida di quel luogo incantato.
Raggiungono uno spuntone di roccia, ove Mirna viene fatta appoggiare di schiena, sotto gli occhi attoniti del fidanzato che le guarda dalla riva, Lorenza le sfila le mutandine e le appoggia a pelo d’acqua perché s’involino lentamente dietro la corrente che lì giunge con limitata spinta di risacca; Gian può vedere sotto la gonna, riflesse dall’acqua, le cosce ed il pube ambrato di Mirna, ed anche la mano della cugina che la carezza fino a raggiungere la clitoride.
Sono effusioni sature di erotismo, Mirna si allunga sullo sperone e socchiude gli occhi travolta dall’abbagliante riflesso del sole e dall’incontenibile piacere, che si accompagna a strazianti morsi dei morbidi capezzoli che Lorenza ha scoperto da sotto la camicetta: la gioia si dipinge tra le pieghe del volto contratto, ove si stanno appropinquando gli spasmodici brividi dell’orgasmo.
Lorenza ritorna fiera verso la riva, pare che i suoi piedi non affondino nell’acqua, i suoi occhi sprizzano una luce accecante, si rivolge a Gian: spogliati ed entra anche tu, vieni a rinfrescarti su dai!
L’erezione insiste fulgida davanti a Gian che nulla può per celarla, si lascia portare imbambolato verso lo sperone ove Mirna è rimasta poggiata lascivamente, con i palmi delle mani piene d’acqua Lorenza intinge il glande teso, che malgrado quel freddo impatto non tende a quietarsi, proseguendo infinite volte questa dolce tortura, bagnando e carezzando il pene e lo scroto.
Lo fa distendere a pelo d’acqua e con un cenno fa avvicinare Mirna che si inginocchia sul basso fondale di pietra, Gian guarda per qualche attimo la bocca della fidanzata che inghiotte il cazzo ristorandolo in un tutt’uno di acqua azzurra e saliva, la visione si dilegua come un lampo, è la fichetta glabra di Lorenza quella che fa capolino abbassandosi sul suo viso, infila la lingua dentro con la stessa foga con cui un naufrago si aggrappa ad una zattera.
La quiete di quel posto incantato non viene intaccata dagli struggenti movimenti delle lingue, che si addentrano in breve verso l’ultimo anelito che conduce nel giardino delle delizie.
Il giorno dopo tocca a Chichen Itza, ove la sfavillante piramide a gradoni si innalza nel mezzo di questo sito cerimoniale, sopra il Palazzo delle mille colonne si erge imperituro lo stupendo Chac Mool, ove si svolgevano i riti sacrificale in cui, ai prigionieri sventrati, veniva strappato il cuore per accaparrarsi la benevolenza degli dei.
Lungo il prato erboso del juego della pelota le pietre scolpite aiutano a leggere la consumazione tragica di questo giuoco antico, in cui la squadra vincente donava la testa del proprio capitano per ingraziarsi gli dei: da qui si giunge al cenote, l’immenso pozzo con l’acqua verde rame, in fondo al quale giacciono invece le ossa delle vergini sacrificate.
Un’afa torrida accompagna la visita in questi luoghi avvolti da un fascino antico ed inquietante, malgrado che il cielo ceruleo si sia da poco annuvolato, adombrando appena il sole a picco che in queste latitudini ti annega di sudore gli indumenti; si sentono parte integrante di un mondo che un brano di Jannacci definisce la faccia triste dell’America, i pensieri li rendono taciturni, come se fossero in meditazione, quasi non si accorgono di essere osservati a distanza da Zocal, un trentenne indigeno, alto e fiero, che è vestito con gilet e pantaloni dai colori sgargianti.
Zocal si avvicina loro, ha la pelle olivastra ed i lineamenti marcati del popolo Maya, sebbene lo distingua il portamento e la statura, come pure il colore degli occhi di un blu cobalto, che sono incastonati su di un viso lungo e smunto, ed anche la capigliatura biondo opaco che scende fino alle spalle.
Parla uno spagnolo fluente, diverso da quello dei Maya che ancor oggi soffrono della presenza dei figli dei conquistadores, è un mezzosangue di stirpe elitaria, lo si capisce da come si rivolge e dalla profondità dello sguardo che ti penetra dentro le ossa, Gian e le due cugine ascoltano la voce quasi surreale che sgorga dalle sue labbra: in questi luoghi sacri non avreste mai potuto metter piede al tempo dei miei avi, se non legati con le mani dietro la schiena, per essere immolati al pari di tutti i prigionieri che qua venivano dirottati.
Ora i tempi sono cambiati ma noi sappiamo mantenere vivido il ricordo delle nostre tradizioni, i riti non sono più sacrificali ma le nostre giovani vergini debbono ancora offrire la loro iniziazione sotto un manto di stelle, per ingraziare la dea della prosperità, che dall’alto della sua magnificenza osserva attentamente prima di concedere i suoi doni.
Questa è la notte prescelta e voi siete ammessi nel ristretto ambito di questa solenne cerimonia, non dovete ringraziarmi per l’onore dell’invito ma nemmeno potete sottrarvi, gli strali divini potrebbero inseguirvi per il resto dei vostri giorni, vi aspetto quindi nella radura al calar della sera!
Zocal non lascia loro il tempo di rispondere, anche se lo spessore delle sue affermazioni li aveva lasciati intontiti ed afoni; osservano il suo incedere spedito verso un cavallo sauro legato ad un tronco, lui lo cavalca a pelo e si dilegua al galoppo verso la boscaglia, inseguito dagli occhi spauriti dei tre viaggiatori.
Fermano il fuoristrada là dove era stato loro indicato il luogo dell’incontro notturno, nessuno dei tre ha il coraggio di parlare, aspettano in silenzio il rumore degli zoccoli che si avvicina, l’ansia scuote i loro petti quando vengono fatti scendere: Lorenza viene issata da Zocal davanti a sé, i due fidanzati salgono invece su un cavallo al seguito che l’indigeno tiene legato al suo, si avviano al passo, in una marcia silente verso la collina che si intravede oltre la radura, sotto il chiarore delle stelle.
Al contrario del giorno la notte porta con sé una leggera brezza che rinfresca l’ambiente, inducendo gli escursionisti a coprirsi con un maglioncino leggero, per l’indigeno di nobili origini invece quello è un momento di refrigerio, la giacca variopinta è aperta sul davanti e Lorenza può sentire il contatto del suo petto villoso, che le infonde una certa calma interiore.
Con la mano sinistra Zocal tiene le redini e con la destra avvolge lo stomaco di Lorenza stringendola a sé per non farla cadere, il lento cadenzare del cavallo, specialmente quando affrontano la salita, la fa rinculare sul pene attizzato, il cui turgore si è di gran lunga accentuato durante il percorso.
E’ un insieme di emozioni che si unisce al ruvido sfregamento della fichetta sul dorso dell’animale, Zocal ne coglie l’ansimar attraverso il respiro spezzettato di Lorenza, molla le redini e solleva la ragazza, è molto abile nel districarsi, dietro i due fidanzati non si accorgono di nulla, l’asta tesa punta l’umida fessura che lui ha liberato dal morbido abbraccio delle mutandine strattonandole di lato, poi è la giovane che decide il suo destino.
Si impala su quel pezzo di carne rovente seguendo il ritmo del passo cadenzato del cavallo, lo assorbe dentro di sé assaporando le sue pulsioni spontanee che le scalfiscono le tenere labbra della fichetta, chiude gli occhi e si abbandona al forte abbraccio che la tiene avvinghiata all’indigeno, le cui mani sotto la maglietta hanno avviluppato i capezzoli appuntiti, elevando al parossismo il piacere con una stretta mordace e sensuale.
Lascia che la sborra si propaghi come un fiume in piena restando incollata al cazzo che scarica i suoi ultimi getti spontanei, il liquido denso rifluisce verso l’esterno increspando la peluria dello scroto e le cosce vellutate della ragazza, alcuni bagliori accompagnano l’ultimo procedere verso la meta: è un piccolo centro cerimoniale diroccato, rischiarato dalle sfavillanti fiamme di quattro grandi pire poste agli angoli di un prato rettangolare, al centro del quale è stato costruito un letto di fogliame sorretto da una struttura lignea.
Pare che oltre a loro non vi sia anima viva, ma l’arrivo del capo è il segnale per un gruppo di musici, le cui sagome erano nascoste nella penombra ad alcuni metri di distanza dietro i fuochi; le loro note stridule e cantilenanti salgono al cielo come fossero spinte dal vento, portano nell’aere qualcosa di magico e di sinistro al tempo stesso, difficile da spiegare e da comprendere per chi non sia nativo di questi luoghi.
Dilatando le pupille si possono vedere, ancor più lontani dei musici, su tre lati del tappeto rettangolare, un centinaio di spettatori mayas, piccoli uomini tarchiati e vestiti nei loro costumi tradizionali; ad alcuna donna è concesso assistere alla cerimonia, se non alle vergini che sono parte integrante di questo rito ancestrale, che ha mantenuto gran parte delle ataviche simbologie.
Zocal si siede sopra il gradone più elevato di una piramide fatiscente, i tre frastornati ospiti siedono appena sotto i suoi piedi, consci di partecipare ad un evento vietato a persone del vecchio continente, restano in silenzio uno accanto all’altro, stretti in un simbolico abbraccio che li rincuora; dietro ad un fuoco appare all’improvviso un vecchio sacerdote con la pelle rugosa, che riflette nei lineamenti le ingiurie della sua età avanzata, indossa un vistoso copricapo e due guanti a forma di serpente che lo avvolgono fino agli avambracci.
I musici interrompono le loro note lasciando spazio alle ieratiche parole del grande sacerdote, che in una lingua incomprensibile innalza le sue orazioni verso il cielo, concludendo il sermone rivolto verso Zocal, a cui sono demandati i poteri divini sulla terra.
Una nenia accompagna l’ingresso di sei giovani vergini, che sfilano una dietro l’altra, a capo chino, vestite con una tunica bianca di tessuto leggero, le conduce un guerriero che sfoggia le proprie armi ed è ornato di piume, ha il viso pitturato di nero, egli impersonifica il male ed è coperto dal solo perizoma, davanti al quale si erge uno sproporzionato simbolo fallico, in legno colorato, grosso e nodoso, lungo oltre venti centimetri.
Vengono fatte sfilare sul prato erboso dal grande sacerdote, che le segue ripetendo ad alta voce sempre la stessa di invocazione di benevolenza rivolta alla dea della prosperità, si può leggere nel volto delle giovani vergini l’angosciosa preoccupazione che muove i loro piccoli seni entro la tunica, quando di dispongono a ventaglio sotto la postazione di Zocal.
E’ il vecchio sacerdote che sfila ad ognuna le tuniche, facendole scivolare ai piedi delle vergini, pronunciando altre frasi propiziatorie ma anche sistemando la loro postura eretta con le braccia sopra la testa e le gambe divaricate; egli approfitta di questo cerimoniale per allungare la mano guantata là dove la rada peluria fa capolino, questi gesti hanno il potere di aizzare anche il suo arnese avvizzito, la cui protuberanza è ben visibile sotto la veste sacerdotale.
Quando Zocal si solleva scendendo lungo i gradoni il sito piomba nel silenzio più assoluto, Lorenza può nitidamente ascoltare il respiro affannoso delle vergini, ha la passerina inzuppata di nuovi umori che si confondono con quelli che il capo maya le ha lasciato dentro, raccoglie la mano di Mirna e se la infila in mezzo le cosce, prima di osservare trepidante il prosieguo, di sottecchi nota che Gian ha una mano in tasca ed i movimenti non lasciano dubbi sul fatto che si sta carezzando l’uccello duro.
Zocal ha sfoderato il proprio uccello prepotentemente teso, non ha un percorso lineare ma segue il suo istinto di capo, sceglie una prima vergine alla quale strizza le piccole corolle appuntite, poi sbatte sul suo pube il batocchio duro, lei sa che deve chinarsi tenendo le mani sulla testa, con la bocca socchiusa deve suggere solo la punta violacea, ammorbidendola con i sughi salivali e con la lingua.
Se si dimostra all’altezza il capo maya la solleva trattenendola per le natiche, la infilza con l’asta turgida strappandole l’imene, quante più sono le stoccate con cui viene deflorata maggiori sono gli auspici di fertilità; Zocal le svergina senza eiaculare, solo due non ottengono il dono definitivo, sono quelle che ora tremano vistosamente ben sapendo che soltanto una di loro verrà ulteriormente scelta, l’altra invece sarà abbandonata al proprio destino.
Zocal le inginocchia a terra, trasferisce il cazzo da una bocca all’altra, avverte il crescente affanno di entrambe attraverso il roteare della lingua insicura sul glande, ripete questo rituale infinite volte prima di assumere la sua decisione; prende per mano la prescelta e la accompagna nel giaciglio al centro del prato, qui lei è felice di offrire il suo dono virginale al dio terreno, che non solo la deflora ma la riempie di sperma.
L’altra vergine resta terrorizzata in disparte, non sa bene cosa l’aspetti ma lo intuisce, il sacerdote le lega le mani dietro la schiena con delle strisce di liana, le piega la testa infilando nella sua dolce bocca il pene che ha estratto da un’appropriata fessura sul davanti della veste, è un pompino in piena regola, nei confronti di questa giovane, che assomiglia alla identificazione del male, nulla è proibito.
Il cazzo sbatte audacemente nella giovane gola togliendole il respiro, il sacerdote le tiene la testa bloccata con le mani guantate dalla serpienta, con gli occhi sbarrati i tre ospiti osservano il lento avvicinarsi da tergo del guerriero, la cui pronunciata bardatura fa sussultare al contatto la vergine, sono attimi di disperazione a cui non può sottrarsi, bloccata com’è dalle robuste mani maschili.
Il simulacro fallico irrompe là dove ristagna l’oggetto del sacrificio, la sborra del sacerdote strozza in gola l’urlo della vergine sfondata dal mostruoso cazzo ligneo che lacera i tessuti facendo sgorgare il sangue: è questo il tributo che si offre oggi alla dea della fertilità, in alternativa all’antico sacrificio umano.
La cerimonia si conclude assieme all’affievolire delle fiamme, in religioso silenzio la comunità maya si disperde scendendo lungo la collina verso i villaggi, nel prato erboso vengono trattenute le prime quattro giovani deflorate dal capo Maya, che invita Gian a scendere ed a sceglierne una per possederla sotto la volta celeste illuminata da un tripudio di stelle.
Gian incautamente segue la ragione della libidine, come un tenero amante solleva tra le braccia una delle giovani e la depone sul giaciglio, si denuda per meglio raccogliere sulla pelle il contatto di quel corpo puro, sono molte le effusioni d’amore che anticipano con le bocche avvinghiate nei punti più sensibili l’amplesso finale.
Mirna e Lorenza hanno gli occhi obnubilati dalle travolgenti trame amorose che si susseguono nel letto di fogliame, pur senza esserne autorizzate si catapultano sulle tre vergini rimaste infreddolite sul prato, le trascinano sopra i gradoni da dove erano appena discese, e le obbligano a soggiacere alle sfrenate voglie lesbiche, ingigantitesi nel corso del cerimoniale.
Sono attimi di interminabile lucida follia che vede le bocche delle vergini districarsi nelle fessure inzuppate delle donne europee, che fanno uso delle mani per insinuarsi negli anfratti più reconditi, poi è un’esplosione di piacere quella che le accompagna verso l’orgasmo.
Gian viene immobilizzato e legato saldamente ai quattro lati del giaciglio, la voce di Zocal giunge imperiosa: ora che ti sei sfogato, al pari delle tue impure compagne, dovrai sottostare anche alla restante parte di un nostro antico rituale, che ti vedrà prigioniero del popolo maya.
Ad un cenno del capo, il guerriero infila l’uccello ammosciato di Gian con un paio di anelli che fa scorrere verso il basso fin quasi in corrispondenza dello scroto: da questo momento mano a mano che l’eccitazione lo farà gonfiare, verrà stretto in una morsa tanto asfissiante quanto dolorosa.
Mentre le quattro giovani torturano con le mani e la lingua ogni centimetro quadrato del corpo di Gian, il cui cazzo si rizza imperioso trafiggendolo con estenuanti fitte di dolore, Mirna è la prima ad essere agguantata dal vecchio sacerdote e dal guerriero, dai preliminari non le è difficile intuire che la sua sorte sarà uguale a quella dell’ultima vergine: mentre finiscono di spogliarla urla chiedendo un aiuto che non può essere ascoltato.
Ti prego risparmiala mormora Lorenza a Zocal che risponde: sono gli dei che determinano il destino di ognuno di noi, dopo di lei potrebbe toccare a te.
Lorenza non demorde: no dai, faremo qualunque cosa, potrai tenerci con te tutta la notte, saremo tue umili schiave, fermalo, non può penetrarla con quel randello in legno!
Mirna pur di non farsi trafiggere da quel pericoloso manufatto, ha accettato di buon grado di leccarne la punta che il guerriero le sta spingendo in bocca mentre il vecchio sacerdote le pompa il culo sotto lo sguardo allucinato del fidanzato.
Il capo maya lascia che la bocca di Lorenza si esprima liberamente lungo l’asta svettante, è un piacere diverso quello che sanno infondere le donne straniere, ordina al guerriero di togliersi la bardatura e Mirna è lieta di raccogliere in bocca il getto di sperma che l’uccello gonfio, appena liberato, le spruzza dentro, nello stesso momento in cui anche il vecchio sacerdote le riempie l’intestino.
Abbarbicate a Zocal, una davanti e l’altra dietro, le due cugine volano al galoppo verso la dimora del capo maya, debbono mantenere la promessa di Lorenza, delizieranno per tutta la notte quel mezzosangue dallo sguardo tenebroso: è un’altra alba magica quella che sta nascendo in quella terra così ricca di contraddizioni, se ne tornano in albergo, sono molte le cose che debbono raccontare al loro compagno di viaggio, ma tanti sono ancora i giorni da trascorrere assieme.
FINE