Ci siamo incontrati non per caso, non per volontà. è stata l’occasione. Lei ed io ci conosciamo da sempre come amici, mai come amanti. E neanche in modo aperto avevamo ammesso fra di noi che era quello che volevamo. In treno, tante parole su tutto e niente. Arrivati a Venezia, ci diamo appuntamento in piazza S. Marco per le 16. 00: per allora dovrei avere finito il mio lavoro. La riunione si svolge in clima irreale, quasi come se io fossi lì per caso. Il vaporetto ci mette un’eternità per arrivare in piazza S. Marco. Non ci metto molto per trovarla, in mezzo a giapponesi e colombi. Bella, ma di una bellezza che solo chi ha visto la stessa persona evolversi dall’adolescenza ai 35 anni può comprendere. Facciamo i turisti, anche un po’ complici nello spacciarci come una delle centinaia di coppie che ogni giorno, ogni notte gira per le calli veneziane. Mano nella mano, poi abbracciati, poi appassionatamente baciati per la gioia delle labbra, dei produttori di adrenalina e per le terminazioni nervose delle dita delle mani che carezzano, sotto il giaccone, il suo corpo.
La cena non esiste, andiamo in albergo e, con un certo qual pudore, ci registriamo in stanze diverse. Ci salutiamo, ma è tutto falso. Però la sua porta si chiude, io sudo, è una svolta, mi vengono in mente i versi di una canzonetta del momento che assicura che certe cose con la tua migliore amica non la farai mai. E busso. E attendo. Niente. Ribusso, piano, con delicatezza.
Niente. Penso di stare a fare la figura dello scemo, oppure che è giusto che lei non senta, non apra. Il cigolio mi colpisce come un pugno al piloro. Lei è davanti a me, in accappatoio, sorridente. Si scusa, era sotto la doccia, non mi ha sentito subito. Trovo una scusa banale per entrare, lei non obietta nulla. Quando la porta si chiude alle mie spalle, c’è un attimo di silenzio pesante, e curiosamente sento solo il rumore del vaporetto che gira per il Canal Grande. Ci guardiamo per un attimo, poi lei slaccia la fettuccia che a mò di cintura tiene chiuso l’accappatoio e rimane lì, ferma, nuda.
Bella, da togliere il respiro. Mi guarda con occhi pieni di desiderio, di voglia di sesso, di passare una notte a scopare, di godere. Mi dice “Guarda che non vuol dire che ci sia un dopo” C’è il presente. Venezia ci culla, ci coccola mentre le mie mani l’accarezzano dal viso giù, alle spalle, ai seni piccoli ma con i capezzoli duri e schietti, al ventre, al pube, alla vagina che è bagnata dalla doccia e dal desiderio, alle cosce..
Mentre io la bacio fra i glutei, fermandomi attorno al culetto e scendendo fino all’apertura della vagina, sento che in un sessantanove grandioso lei mi sta massaggiando il mio pene con forza e delicatezza, facendolo sobbalzare per il piacere. Lei si gira e con sguardo ormai senza freni inibitori mi ordina, sì : mi ordina, di stare fermo. è l’inizio di una danza eccezionale, che lei conduce con movimenti dei muscoli che prendono il pene immerso in lei e lo fanno ballare, di goduria.
Non urliamo, non parliamo: è tutto in silenzio perchè è troppo bello sentirci l’uno attaccato all’altro con la forza della gioia di godere.
Il mattino dopo, è morta un’amicizia ma è nata una complicità che ci porteremo dentro in modo indissolubile con Venezia, la nostra alcova. FINE