Il cellulare vibra… Un numero che non ho in rubrica, preceduto dal prefisso internazionale +44… Non rispondo, magari è una trappola tesa da qualche call center truffaldino. Una manciata di minuti e arriva un whatsapp dallo stesso numero sconosciuto: «Sono Zorad. Sono a Londra. Can I call you?». Ok, gli rispondo. Il telefonino neppure arriva a squillare, che già ho avviato la conversazione. «Cosa vuoi?», gli chiedo burbero? E lui mi risponde in un italiano tutto sommato molto migliorato rispetto a circa quindici anni fa, quando c’eravamo conosciuti a Londra: «Ciao, sto bene anch’io», mi dice con tono sarcastico.
Gli richiedo cosa voglia da me e chi gli abbia dato il mio numero (anche se so bene che l’unica a poter averglielo dato è Elisabetta). «Our slut», mi dice lui. La nostra troia chi?, replico. «Dai, che lo sai… Betty». Sa che ho saputo di ciò che le era accaduto a Praga e a Londra stando tra le sue grinfie: «Credimi», mi dice, «non aspettava altro nella vita che essere addestrata a fare la puttana professionista». Le rispondo arrabbiato che Lisa era una ragazza semplice, appena laureata, in cerca del proprio futuro, che lui aveva ingannata e ricattata. «No, era già una troia fino al midollo. Abituata a far soldi con i maschi. E ti aveva fatto cornuto tante volte molto prima di incontrare me».
M’incazzo sul serio e gli dico che sono pronto a partire per Londra per andare a rompergli il culo. «Non ti scaldare», mi dice lui calmo: «Fatti raccontare degli addio al celibato, quando studiava all’università. Una volta si portò anche mia sorella Meliza: aveva diciott’anni appena compiuti quando era arrivata a Roma per studiare e Betty la convinse a farle compagnia in un festino. Le scoparono entrambe per una notte intera in un casolare di Tor Bella Monaca». Cazzo! Il dubbio comincia a scavarmi dentro come un tarlo. E lui continua: «Te la ricordi Meliza?».
No, gli dico, tentando di dissimulare il ricordo che ho di quella troietta albanese. «Certo, no…», replica lui con tono feroce: «T’ho detto che è mia sorella e mi ha raccontato che ti è piaciuto scopartela nel culo, nella sua stanza al pensionato universitario di San Lorenzo… Pensavi che non lo confidasse a Betty? E pensi che Betty non sia venuta a Praga anche con l’intenzione di restituirti le corna con un ospitale “amico” della sua “amica”? Avevo suggerito a Meliza di convincere la tua ragazza a venire in vacanza a Praga, promettendole di accompagnarla e invece mollandola alla vigilia della partenza. Così c’avrei pensato io a prendermi la vendetta su Betty e su di te. Poi io ho gestito la cosa diversamente: era troppo bona e troppo brava per non guadagnarci un sacco di soldi… Ma lei lo aveva nel sangue! Venti clienti a notte, a farsi sbattere e a bere sborra.
E poi qui a Londra ha continuato: di mattina la commessa nel sexy shop e di pomeriggio la puttana nel retrobottega: una grandissima maiala!». Rimango scosso, muto. Gli porgo le mie scuse per la sorella, che comunque era stata consenziente al rapporto con me… E mi informo su di lei: Meliza ora abita a Roma, ha una sua vita, è sposata con un italiano, ha una figlia, dirige uno studio odontoiatrico tutto suo.
D’altra parte gli chiedo perché mi stia raccontando tutto questo, dato che ormai non ho più contatto con Elisabetta. «Io la chiamo Betty», sottolinea lui: «Suona meglio, è meno aristocratico ed è il nome perfetto per la regina delle mie puttane». Ride, mentre io cerco di capire perché mi abbia telefonato. Poi lui stesso mi spiega: «So che Betty ti ha invitato ad Amburgo, ma tu non sei andato… Hai fatto bene: è andata a incontrare tre miei clienti tedeschi molto ricchi con la voglia di farsi una milf italiana.
L’avresti distolta dal lavoro. In questo momento lei è lì, in qualche albergo, al totale servizio di quei porci. Puoi immaginare cosa le stanno facendo in questi giorni…». Ma perché Lisa continua a sottostare ai tuoi ordini, gli chiedo. Fa una pausa e poi mi risponde: «Perché mi ha chiesto un prestito e me lo restituisce così, con le sue prestazioni». E io cosa c’entro, gli chiedo ancora. E mi spiega: «Il debito di Betty è grande: mi deve ancora altri trentamila euro.
Ho pensato che tu potresti aiutarla a estinguerlo in fretta». Non regalo i miei soldi, men che meno ai papponi e alle puttane, gli rispondo. E lui: «Non voglio dire questo… Voglio dire che potresti procurargli tu stesso, in Italia, dei clienti…». Procurarle, preciso io: «Si dice “procurarle”». «Yes, ok», riprende lui: «Non m’importa come si dice. M’importa che Betty mi salda il debito al più presto: anche io ho ora i miei problemi».
Gli dico di andare affanculo: il ruffiano in subappalto per lui io non lo faccio. Ma Zorad insiste: «Pensaci bene: puoi prenderti la soddisfazione di trattarla come la troia che è, scopandotela come vuoi e facendola scopare da chi vuoi». E tu pensi che lei è tipo d’accettare una cosa del genere, gli chiedo. «Fidati», mi risponde, «bastano due schiaffi e vedi come diventa obbediente! E poi glielo ordino io: dico a Betty che ti raggiunga e che si metta a disposizione dei tuoi clienti: lei vuole “aiuto”, da sola non riesce a selezionare i clienti giusti, quelli che pagano bene e non lasciano lividi».
La proposta di Zorad comincia ad allettarmi. Ma non perché mi piaccia fare da pappone a una squillo. Semmai dovrei escogitare il modo di uscirmene subito, approfittando innanzitutto dell’occasione di prendermi la rivincita su quella porca di una bugiarda. All’improvviso Zorad mi suggerisce un’idea niente male: «Organizza alcune gangbang: se ogni cliente paga cinquecento euro, potresti farne tre, con venti elementi ciascuna: Betty può affrontarli…, non l’ha mai fatto sinora, ma converrebbe anche a lei, per sbrigarsi a saldarmi il debito». Ok, dico infine: so come fare!
Chiudo con Zorad e telefono a un vecchio amico, che gestisce un bel night a Roma, mia città natale. Gli racconto per sommi capi la storia, anche se non gli svelo il tipo di rapporto che mi aveva legato a Lisa. Può mettermi a disposizione, amichevolmente, il suo club, ma solo per una volta, tre sarebbero troppe. «Perché non le fai fare una maxi gangbang?», mi dice a un tratto: «Sessanta cazzoni, tutti a scopare la troia di cui ti vuoi vendicare…». Rifletto su e mi balena in mente un’idea: sessanta cazzoni per Lisa e per Meliza. Così mi sarei davvero vendicato di tutti, anche di Zorad.
Mi restava da contattare Lisa e di scoprire dove avrei potuto rintracciare la sorella di Zorad, la dottoressa Meliza. Dissi al mio amico di organizzare nel frattempo una specie di riffa: si sarebbe tirato a sorte chi avrebbe cominciato a scopare le due troie. Sessanta paganti tutti in una volta significava trentamila euro sull’unghia di Zorad. Ma sarebbero stati guadagnati anche con la collaborazione della sua cara sorellina…
A Lisa illustrai la proposta, di cui le aveva accennato pure Zorad. Un’orgia con sessanta uomini la impauriva. Le dissi che un amico le avrebbe trovato una ragazza per aiutarla… Alla fine lei si convinse, ovviamente senza sapere dove, quando e con chi avrebbe dovuto “lavorare”. Io cominciai a cercare in internet gli studi di igiene dentale a Roma. Ne trovai uno intestato alla dott.ssa Meliza P.
Presi l’aereo da Olbia su Roma e andai a trovarla. Anche io avevo qualcosa che potevo usare per “convincerla” a partecipare alla gangbang. Nella chiavetta che nel 2011 Lisa mi aveva dato a Londra, con le foto che le avevo scattato a Bristol, c’era anche una cartellina con foto in cui compariva proprio Meliza, giovanissima, in abbigliamento intimo molto hot, alle prese con tre o quattro maschi che la martellavano per bene.
Evidentemente quella cartellina era rimasta in memoria, nella chiavetta usb, inavvertitamente. E Lisa mi aveva dato le sue foto, ma pure – senza volerlo e senza accorgersene – quelle della sua amica albanese. Ora le avevo trasposte su un’altra chiavetta ed ero pronto a darla a Meliza. La sua sorpresa nel vedermi fu grandissima. Ma capì subito che non andavo da lei per farmi curare i denti. Semmai per ricattarla.
Meliza guardò le foto sul suo pc da tavolo. Le intimai di non dire nulla a suo fratello stavolta, altrimenti quelle foto sarebbero arrivate al marito. Le ritirai la chiavetta e le chiesi il suo cellulare personale: mi sarei fatto risentire per spiegarle cosa volevo facesse per me. Lei mi disse che era pronta a fare quel che doveva anche lì, nel suo studio, a patto che le lasciassi la chiavetta e troncassimo lì il ricatto.
Si inginocchiò davanti e cominciò a massaggiarmi la patta con le mani e con le guance. Una bella femmina trentenne, biondina, capelli a caschetto, con le zinne dure come quando aveva vent’anni e il culo esaltato dal camice celeste che indossava. La lasciai fare… Estrasse il cazzo dal mio pantalone e cominciò a leccarlo e a succhiarlo. Le chiesi se sapesse il lavoro che faceva suo fratello Zorad. Assentì mugolando, con la bocca intasata di carne.
Le chiesi ancora se l’aveva più fatta una gangbang come quella documentata nelle foto, per conto di Zorad o di altri. Scosse la testa. E mi rispose che quella delle foto era stata l’unica della sua vita e che l’aveva fatta con Elisabetta, la mia ragazza di allora. La feci alzare e le ordinai di denudarsi: volevo vedere la mercanzia. Ottima carrozzeria. Bassina, ma buona per dar man forte a Lisa. Avrebbe dovuto depilare l’inguine, lasciando in alto solo un ciuffettino microscopico di peli, tondo come una monetina. «Il centesimo», mi disse lei: «Il centesimo che facevi tenere a Elisabetta». Precisamente, replicai io.
Meliza mi fece notare che avrei dovuto darle la chiavetta e andarmene per sempre via, dato che si stava sottomettendo alle mie voglie. Le feci capire con chiarezza che avremmo dovuto incontrarci un’altra volta, poi le avrei ceduto le foto. La feci reclinare a novanta gradi sulla scrivania e la penetrai in fica, scopandomela con forza. Non avevo intenzione di stare lì a lungo: la presi per i capelli, la costrinsi a inginocchiarsi e le sibilai in faccia di aprire la bocca per ricevere la mia sborra. Le imbiancai la lingua e le richiusi io stesso la bocca: doveva ingoiare tutto! Dopo cinque minuti ero di nuovo per strada.
Passò una settimana. Il mio amico mi telefonò per avvisarmi che aveva raggiunto quota sessanta e che si poteva cominciare… Telefonai a Lisa dandole l’indirizzo, la data e l’orario della gangbang. Telefonai anche a Meliza, ignara di quel che avevo in mente, ma consapevole che avrebbe dovuto pagare caro il riscatto delle sue foto. Le incontrai entrambe all’uscita della metro più vicina al locale. Avevano percorso lo stesso tragitto per raggiungermi, ma senza riconoscersi.
Anche Lisa aveva ormai i capelli corti e stirati. Solo quando si resero conto, all’ultimo momento, di puntare entrambe verso di me, si riconobbero. Federo gli ultimi passi guardandosi con stupore. Avevano entrambe uno zainetto in mano: c’era il loro abbigliamento da “lavoro”. Il mio amico le accolse nel locale e le condusse nei camerini. Da lì uscirono come due splendide zoccole: in tutina a rete e tacco dodici, già pronte all’uso.
Meliza aveva realizzato che avrebbe dovuto aiutare Lisa in una gangbang. Io e il mio amico indossammo un mefisto di calzamaglia nera. Entrammo in una grande sala illuminata come una discoteca e con varie telecamere piazzate su appositi cavalletti per la ripresa di tutto quanto. C’era una pedana girevole al centro e due lettoni disposti in parallelo. Tutt’attorno, schierati, i sessanta uomini, nudi e seduti su una lunga serie di poltroncine e divani disposti in circolo.
Molti di loro avevano una mascherina o degli occhiali da sole. Il mio amico prese per mano Lisa e Meliza e le accompagnò sulla pedana. Le presentò con il loro vero nome e dicendo apertamente la loro età, 38 anni Elisabetta la siciliana e 35 Meliza l’albanese: due mogli annoiate che volevano sollazzarsi un po’ a forza di cazzi. Le invitò a baciarsi e a masturbarsi a vicenda. Le due troie sapevano bene cosa fare…
Dopo qualche minuto il mio amico le condusse fino a me: tutt’e due inginocchiate davanti a me cominciarono a slinguarmi il cazzo. Le guardai negli occhi e comandai loro di dirmi che erano troie. Mi obbedirono prontamente. A Meliza ordinai di dirmelo in albanese: «Unë jam një kurvë». A Lisa di dirmelo in inglese: «I’m a slut» e poi di nuovo col suo accento catanese: «Bbbagascia sono». Gridatelo forte… Loro lo gridarono con un timbro quasi isterico. Gli uomini tutt’attorno si masturbavano.
Misi in contemporanea le mani tra le cosce delle due donne: erano entrambe bagnate. Prendendole per i capelli le feci inginocchiare davanti ai due che erano seduti alla mia sinistra e alla mia destra. A ciascuna di loro sussurrai all’orecchio: «Comincia la festa, datti da fare». A Lisa aggiunsi: «Guadagnati i trentamila euro». A Meliza invece: «Guadagnati la pace in famiglia». Iniziò il primo giro tondo di pompe – per Meliza in senso orario e per Lisa in senso antiorario –, che dapprima le avrebbe distanziate l’una dall’altra per poi finire con il riavvicinarle.
Si prospettavano per loro sei ore di prestazione forzata, che le avrebbero lasciate fradicie di sperma, con le mascelle slogate e sfondate in tutti i loro buchi. Io avrei semplicemente dovuto svuotarmi i coglioni a turno su di loro, intrufolandomi in quelle matasse di carne che via via si andavano addensando attorno al corpo nudo delle due puttane. E avrei poi dovuto solo fare la fatica di inviare il lunghissimo filmato integrale a un certo Zorad, c/o Pornshop in Soho, Londra.
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