Manette da schiava

Sono a Londra, una dei tanti viaggi studio estivi pagati dai miei. Questa mattina non sono andata al college per la solita lezione di inglese, non ne avevo voglia: ho deciso di fare shopping, esplorando i tanti negozietti del bazar di Portobello Road. Sono vestita con un lungo abito nero a tubino, sopra i miei soliti anfibi alti; il vestito è stretto e delizioso, ma lo spacco laterale della gonna forse è troppo appariscente per una mattinata di compere. Addentrandomi per le strette vie del bazar, sono attirata dalla vetrina di un piccolo negozio di antiquariato orientale, nel quale non sono mai stata prima. Decido di entrare. Mentre curioso fra i tanti oggetti, noto un paio di bracciali di ferro finemente ornati: all’interno sono rivestiti di spesso e logoro velluto nero, ma ciò che mi colpisce di essi è il fatto che siano legati l’uno all’altro da una catena di metallo brunito. Mi colpisce anche il proprietario del negozio, un uomo barbuto dalla carnagione scura, basso ma muscoloso. Deve avere sui quarant’anni, forse arabo, sicuramente straniero. Lo trovo molto attraente. “I notice Madam is admiring the slave menacles, ” mi dice. “Manette da schiava? “, gli chiedo, ma naturalmente avevo già capito di cosa si trattava. Era per questo che non riuscivo a spostare lo sguardo da essi. Il proprietario sembra invece non riuscire a spostare lo sguardo da me, e dallo spacco della mia gonna. Forse è un modo di vestire lontano dalle sue usanze. “Perché sono così ornati? “, gli chiedo ancora cercando di fare conversazione, ma in realtà sentendomi sempre di più in imbarazzo. “Perché no? ” risponde lui. “Io vengo dall’Iran, e nel mio paese gli uomini dei tempi antichi traevano piacere dall’abbellire con gioielli le loro schiave meravigliose. Forse la giovane signora vorrebbe provarseli addosso”, dice lui, e senza aspettare la mia risposta fa scattare le manette sui miei polsi. Rimango senza fiato per la sorpresa, sentendo il metallo stretto mordermi i polsi e le mani dell’uomo ancora poggiate sulle mie. “Sono bellissime… davvero… “, riesco a dire, “ma adesso me le tolga, per favore”. “Ma certo”, risponde lui, e cerca la chiave nelle sue tasche. “è qui da qualche parte, ” mi dice mentre cerca sul bancone accanto alla porta di ingresso. Nel frattempo mi sento eccitata, anche se cerco di non farglielo capire. “La chiave deve essere nel retro del negozio. Venga con me”, mi dice mentre fa scattare la serratura dell’ingresso principale. Così lo seguo. Una volta entrati nel retro della bottega, le sue maniere cambiano all’improvviso. Mi spinge contro al muro e, afferrandomi i capelli corti con una mano, mi bacia sulla bocca con rudezza. Io cerco di oppormi, di sottrarmi, ma il bacio mi toglie energie e sento le ginocchia cedere. Lui capisce la mia sottomissione, e mi spinge giù su una pila di tappeti orientali. “La mia bellissima schiava europea”, strilla dunque, mentre mi solleva la gonna sino ai fianchi. Cerca di abbassarmi le mutandine, ma io scalciando lo spingo via. Rimango ferma lì, però: ho ancora nella bocca il sapore pungente della sua saliva. “Cerchi di resistermi, schiava? ” sogghigna. “Ti insegnerò una lezione, allora. “Prendendomi per la catena delle manette mi trascina indietro verso la parete della stanza, fa passare la catena in un gancio appeso al soffitto e mi tira le braccia sulla testa, sollevandomi in piedi con un movimento brusco. Mi sento esposta in suo completo potere, ora. Slaccia le spalline del vestito lungo, che scorre sul mio corpo fino alle caviglie; rimango così in anfibi, mutandine e reggiseno. Sembra compiaciuto della mia umiliazione, ma ancora non osa toccarmi. Perline di sudore corrono giù lungo la spina dorsale. Credo di avere i brividi. “Allarga le gambe” mi dice secco. Non lo faccio. “Allargale o assaggerai le lingue della mia frusta. ” Osservo la stanza intorno a me e vedo molti oggetti strani, arcuati, fra i quali alcune fruste di cuoio rosso intrecciato. Ubbidisco all’ordine. Prende due bracciali di cuoio diversi da quelli di prima in metallo: li allaccia direttamente sopra gli anfibi, fissando le mie caviglie alle estremità di un bastone di legno di circa 80 cm. A causa del precario equilibrio sono costretta a fare forza sui polsi serrati sopra la mia testa per non cadere in avanti, e il dolore diventa una sorta di ronzio che si propaga dalle braccia alle gambe divaricate a forza. Se avessi avuto i tacchi alti a quest’ora le spalle si sarebbero lussate. Lui mi si para davanti e si avvicina fino a quando i nostri due corpi non sono a contatto; solo allora capisco che in una mano tiene un rasoio dal manico di madreperla. L’altra mi scivola dietro la schiena, stimolandomi dolcemente dalle spalle alle natiche con lenti movimenti che mio malgrado trovo piacevoli. Ogni tanto la mano si ferma su una delle natiche, per stringerla con vigore e prolungatamente, e questo interrompe bruscamente il flusso di dolcezza che le carezze mi generano dentro. Ma come la presa si allenta ed il contatto si fa nuovamente dolce sento da capo il mio corpo riscoprire rapidamente le sensazioni piacevoli fino a quando, d’un colpo, mi fa sentire sulla pancia il freddo della lama, e il contrasto con le carezze di prima quasi mi strappa un urlo dalla bocca. Ora la lama del rasoio mi sta passando fra i seni, sotto il reggipetto: addenta il tessuto di cotone e lo taglia in mezzo alle coppe, facendo penzolare il reggiseno dalle spalline come un aracnide squartato sui miei seni nudi. Si avventa con la bocca su di essi, li pizzica fra i denti, muove la lingua a mulinello intorno ai capezzoli che via via diventano più duri e turgidi, più sensibili; poi, d’un tratto li morde con forza! Strillo di dolore, e cerco di allontanarlo, ma sono paralizzata in tensione, e per poco non mi strappo le braccia. “Piccola puttana”, sogghigna lui. Questa volta fa passare il rasoio sotto le mutandine, ai lati del monte di venere, tagliandole via prima da un lato e poi dall’altro. Sobbalzo mentre un dito mi sfiora lungo la fessura; lui sembra meravigliato del fatto che io mi depili i bordi del pube, cosa che faccio soprattutto in estate. Le sue donne non lo fanno, credo di capire dalla sua reazione. Si allontana da me e poggia sul tavolo il rasoio con cui ha tagliato la mia biancheria; subito mi sento rilassata, nonostante il dolore alle braccia e ai seni, ma capisco dopo di sbagliare perché lo vedo prendere dal cassetto una scatolina di legno. Torna da me tenendola in mano: “Vedi? ” mi dice mostrandomi il disegno sulla scatola. è raffigurata una donna orientale stile kamasutra mentre trae piacere dalla penetrazione di un serpente nella propria vagina; apre la scatola e al suo interno vedo due palline metalliche, di circa 3 cm di diametro, collegate da una cordicella. Appoggiarle alle labbra ormai morbide della mia vagina e spingerle facilmente dentro è un unico movimento che io accolgo con un sobbalzo; resta fuori un tratto di cordicella. Quei corpi estranei dentro di me, che premono contro le pareti vaginali, diventano improvvisamente più pesanti, tanto da sentire le piccole labbra dischiudersi come se volessero farle uscire. “Ho attaccato un tratto di catena alla cordicella – dice l’iraniano – Fai bene attenzione che non ti scappi fuori niente… “Così, ancora allibita, contraggo i muscoli del pube, nel tentativo di contrastare l’azione della forza di gravità, ma mi rendo subito conto che quell’irrigidimento mi stimola il clitoride, accrescendo l’agitazione di cui mi sento preda. Se solo potessi stringere le cosce… ma il movimento delle gambe è bloccato in divaricazione… Lui, mentre cerco di tenere le sfere metalliche all’interno della vagina, mi fa ruotare sul gancio, e prende a schiaffeggiarmi le natiche nude; prima colpisce piano, poi sempre più forte fino a scuotermi tutta dalle sculacciate. Tenere le sfere dentro è difficilissimo, urlo e piango sotto i suoi colpi, implorando che smetta. Lui allora, proprio quando penso di non poterne prendere di più, termina e ricomincia a sfiorarmi il corpo in modo delizioso, con antica saggezza; affonda le dita nelle ascelle, sotto i seni, alla base della spina dorsale e sulle natiche che ha appena sculacciato, e queste carezze inattese mi inviano una scarica violenta ed eccitante che dal punto stimolato si propaga istantaneamente al cervello ed alla zona pubica, strappandomi gemiti istintivi… La tensione sulle braccia si sta facendo pesante, e lo sforzo per evitare di far cadere a terra le palline mi procura un tremolio incontrollato delle gambe. “Mi gira la testa – mormoro – ti prego… ” e mi sento quasi mancare, mentre il peso della catena trascina le due sfere fuori dalla vagina, ora umida ed infuocata. Lui si fa subito vicino, mi sorregge ed in un momento sfila via la catena delle manette dal gancio appeso al soffitto, liberandomi le braccia. Il dolore ai polsi è una lama tagliente che mi riporta in me. Mi adagia sollecitamente sulla pila di tappeti orientali li vicino, le caviglie ancora divaricate dal bastone di legno… “Hai imparato la lezione? ” mi dice. “Si, ti prego, toglimi i bracciali… farò tutto quello che vuoi.. ” Il tessuto morbido dei tappeti è un massaggio delicato e continuo per la pelle dolorante dei glutei, mi muovo così sul tappeto lanoso strusciando sulla schiena come la femmina di un animale in calore. Cerco di rilassare le braccia doloranti, approfittando dell’attimo di tregua. “Ora mi appartieni. Ma non sei ancora pronta per accogliermi. “Mi guarda con avidità mentre si toglie di dosso i vestiti, rivelando tutta la muscolatura minuta e agile che avevo intuito prima; sgrano gli occhi davanti al pene scuro e tozzo che sporge eretto su di me. Lui ne sembra compiaciuto. Dal cassetto di prima prende altre cose: vedo una catenella dorata e un oggetto di legno, forse il manico di un attrezzo. Capisco che non è ancora finita e mi preparo al peggio. Si stende accanto a me e con una mano mi sfiora la bocca. Dopo una breve esitazione dischiudo le labbra e comincio a baciare dapprima le nocche, poi i polpastrelli e poi, vedendo che la mano rimane ancora a contatto con la bocca, comincio a succhiare con cura e devozione le dita, una per una, partendo dal mignolo… “Brava, rilassati, qui coricata, e stendi le braccia verso l’alto”, mi incita lui mentre con l’altra mano lega insieme la catena delle manette ad una simile che spunta fuori da sotto il cumulo di tappeti, in modo da tenermi le braccia distese e lontane dal resto del corpo. “No… ti prego… basta… ” mugolo io, ma lui subito mi azzittisce con un gesto della mano che ho baciato. “Adesso andiamo più in profondità” ribatte lui, ed impugnando un fallo di legno arcuato lungo una ventina di centimetri comincia a stimolare la zona genitale che so essere infiammata dal trattamento di prima; aumento immediatamente il ritmo del respiro per l’ansia e l’eccitazione. Dopo aver brevemente giocherellato nella zona del clitoride, sento il vibratore affondare decisamente fra le labbra della vagina, che sembra non attendere altro. Il corpo si inarca, cercando di usare al massimo la poca libertà di movimento che la posizione mi consente, ed i muscoli si irrigidiscono in uno spasmo di piacere. “Non ti è permesso godere contro la volontà del tuo padrone, schiava – mi redarguisce seccamente lui – anzi ora basta con le cose piacevoli… ” e così dicendo mi applica in rapida successione due pinzette di plastica dura sui due capezzoli turgidi. “aah… fa male” riesco a dire, ma lui per tutta risposta spinge il fallo di legno tutto dentro fino alla base, ed io spalanco gli occhi mentre mi contorco sotto gli spasmi di un orgasmo intenso e doloroso. “Non dovevi farlo, piccola schiava. Ora sarai punita per questo. ” ed immediatamente sostituisce le due pinzette che mi stringono i capezzoli con altre due di metallo, più piccole, lisce, e collegate fra loro dalla catenella dorata che avevo scorto subito prima. “Eccola, prendila fra i denti – esorta lui, sollevandomi la testa fino a quando non riesco ad afferrare con la bocca la catenella – e tieni bene in tensione”. La posizione non è piacevole. Le braccia distese cominciano a farmi male sul serio, la testa sollevata dal tappeto diventa pesante, ed sento i capezzoli gemere sotto la trazione cui sono sottoposti dal semplice meccanismo. “… nnn ce l fccio… “: dopo poco un suono quasi inarticolato esce dalla mia bocca, ma a lui non sembra importare mentre estrae con un movimento brusco il fallo di legno dal mio sesso. è diventato più scuro, forse a causa del mio miele. “Va bene, tira catenella che hai fra i denti fino a quando non si stacca, cosi potrai appoggiare la testa giù e rilassarti” mi risponde tranquillo mentre libera le mie caviglie dai bracciali di cuoio che le imprigionavano all’asta fra le gambe. Ho le gambe libere, ma non credo alle mie orecchie. Il dolore ai capezzoli diventa tuttavia sempre più intenso, la tensione al collo insopportabile, e così decido di ubbidire. Tiro, dapprima lentamente e poi con maggiore energia, e la catenella dopo un po’ strappa via le pinzette dai capezzoli, straziandoli con un dolore che non avevo mai sentito prima. Mi contorco più volte sul letto, reagendo al dolore, e in quel mentre l’iraniano appoggia la punta del grosso glande contro la fessura arrossata di sangue della vagina; mi prende le gambe da sotto le ginocchia e se le poggia sulle spalle. Aspetta qualche secondo che io mi calmi, poi mi penetra fino in fondo con un colpo di reni. è tutto così inatteso, tanto che sento sciogliermi intorno alla sua asta calda e vitale, mentre questa ritmicamente mi pompa con forza ed energica velocità. Vengo quasi immediatamente, dimenticando il dolore al seno. Lui se ne accorge, ma questa volta mi sorride da sopra; quindi dà inizio ad una serie di colpi lenti e poderosi, assestati con una cadenza regolare. Si appoggia da sopra al mio corpo, poi mi bacia profondamente sulla bocca: apro le labbra al desiderio di sentire la sua lingua scavarmi dentro, e lui non tarda a farlo. Mi accorgo che sta sincronizzando i colpi del suo cazzo nella vagina con quelli della lingua all’interno della mia bocca. è come se mi stesse scopando da entrambe le parti, e questo mi fa raggiungere altre ondate di piacere che credevo irraggiungibili. Vorrei abbracciarlo, ma i miei polsi sono ancora incatenati al pavimento, così muovo le braccia inutilmente. Lui deve averlo capito, perché accelera i colpi sino a quando sono colta da un’esplosione accecante, che mi sconvolge dalle estremità alla radice dei capelli, come la sensazione di liberare energia da ogni parte del corpo: dai polpastrelli, dai capezzoli, dalle orecchie; un flusso lungo e costante che termina dopo lasciandomi completamente esausta. Rimango così, inerte, mentre lui finisce fuori la serie impressionante dei colpi, scaricandosi in lunghi e densi getti di sperma che mi colpiscono mollemente sui seni, sul viso e persino fra i capelli. Dopo, con rapidi movimenti si riveste, nascondendo la protuberanza ancora piuttosto evidente nell’ampio cavallo dei pantaloni di fattura araba. Sgancia la catena delle manette da quella sotto i tappeti, e mi fa alzare. Accanto al fallo bagnato di me, c’è una chiave arabescata: con quella mi libera i polsi, segnati di rosso dai bracciali di schiava. Non aspetta che io mi rivesta e torna in negozio. Quando sono pronta lo raggiungo lì. Ci sono altri due clienti, un uomo e una donna. Non sembrano avermi visto. Mi avvicino alla porta di ingresso e sento dirgli: “30 pounds please, Madam”. Noto che i bracciali sono tornati al loro posto originale, accanto alla vetrina. Poi lo pago. FINE

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