Rilasciarono le prede, 10 ragazze intorno ai vent’anni a piedi nudi, vestite di soli veli colorati.
Si dispersero vocianti nel fitto del bosco.
Il tramonto estivo lasciava il posto ad una tiepida sera, mentre tesi aspettavamo di cominciare la caccia.
Un mese e mezzo di astinenza sessuale controllata e di continui stimoli per renderci più aggressivi, o ‘allupatì come diceva la Signora.
Ci svegliavamo nudi, legati al letto e la Signora ci faceva visita con le ragazze, le faceva spogliare, coricare sopra di noi, sfregandoci il seno sul viso, toccandoci senza permetterci mai l’orgasmo.
La Signora, per ultima, controllava il nostro cazzo con dita sottili, laccate di rosso; lo accarezzava con cura, valutandone la durezza.
Il cibo era sempre sovrabbondante e molto calorico cose che il lavoro in palestra potesse sempre essere intensissimo.
E poi a correre, a mattina e a sera, per ore, nudi, sotto lo sguardo della Signora.
Veniva anche nella stanza delle docce e ci guardava interessata lavarci e attendere il turno per il massaggio.
Cominciammo in sette, ma dopo un mese eravamo rimasti in quattro.
Ma ora cominciava la caccia, la nostra ricompensa.
Ci guardammo, nudi e muscolosi nella luce serale, sorridendoci.
Dietro di noi la Signora guardava il suo orologio, in groppa al suo candido cavallo.
“Via”, bisbigliò, poi lo ripeté gridando: “Via”.
Per un attimo la fissammo increduli, poi iniziammo a correre.
Scelsi un sentierino dove avevo visto infilarsi la rossa, che quasi odiavo per come mi aveva enormemente provocato nei giorni precedenti con i suoi seni pallidi e le lentiggini sulle spalle. Vestiva tutta di giallo cose pensai mi sarebbe stato più facile vederla e prenderla. In più stava sempre con l’amica mulatta, che oggi vestiva di verde, che mi deliziava per il culetto rotondo e sporgente, ed ero sicuro che le avrei trovate insieme.
Arrivato ad una piccola radura vidi un velo giallo in terra, mi fermai e guardai intorno, proseguendo poi per il folto del bosco.
Ecco, un altro velo giallo. Pensai che l’avrei trovata seminuda e mi dovetti trattenere dal gridare per la gioia.
Sentii un suono e le vidi correre in direzioni opposte, una in giallo e l’altra in verde, mi avevano visto.
Puntai sulla gialla, correva come una gazzella.
La seguii su un sentiero d’erba ma quando mi sente ad un passo scattò rapida, tagliando dentro i cespugli.
Continuai sul sentiero, correndo come un pazzo, avevo visto un prato oltre il bosco e vi arrivai proprio mentre la rossa, dandomi le spalle, cercava di liberarsi dalla macchia di cespugli.
Le fui addosso senza che mi sentisse arrivare, emise un grido soffocato e rotolammo nell’erba.
Mi sedetti sopra di lei, strappandole i veli, le bloccai le braccia con le ginocchia e le sfilai i due braccialetti di spugna.
Dovetti correre via perché mi stava diventando duro ma feci in tempo a vederla sorridere.
La nera era scappata chissà dove.
Tornai a razzo sul sentiero puntando la macchia dove l’avevo vista sparire.
Un velo verde mi confermò l’avvenuto passaggio cose mi addentrai silente ra gli alberi.
La luce era ancora sufficiente ma calava sensibilmente.
Mi raccolsi in un angolo ad ascoltare.
Un fruscio, scattai verso il sentiero, tagliando la strada alla ragazza vestita di rosso, una biondina con un grande seno.
La placcai, le strappai il velo dal petto ansimante e vi immersi il viso, solo un istante, poi le presi i braccialetti.
Nella radura, vidi un albero solitario, un antico noce.
Mi scorticai le gambe ma raggiunsi la cima. Da le avevo una visuale ampia del grande prato e di una parte del bosco. Vidi un cacciatore entrare nel prato e poi allontanarsi furtivo.
Poi vidi la ragazza vestita di bianco.
Attraversava il prato di gran carriera, era la più giovane del gruppo e portava i lunghi capelli raccolti in due trecce, si diceva fosse vergine ed era molto ambita.
Arrivata sotto l’albero esitò, poi si fermò a riprendere fiato.
Le piombai addosso, afferrandola ai fianchi, si divincolò e lottammo ma riuscii a bloccarla col mio peso, viso a terra, gemente.
Le tirai le braccia dietro la schiena e le sfilai i braccialetti.
Scappai veloce, perché mi era diventato duro.
Mi rotolai nell’erba, poi mi raccolsi per concentrarmi.
Mi ci volle un po’ ad eliminare l’erezione, poi ripartii.
Ormai l’oscurità era calata del tutto e all’interno del bosco era difficilissimo vederci.
Aspettavo ormai il corno che avrebbe annunciato la fine della caccia.
Ma la nera mi ronzava ancora in testa.
Mi misi a correre come un pazzo, senza meta, saltando fossi e cespugli.
Finché la vidi, accucciata dietro un albero frondoso.
Mi fermai.
Vidi passare un cacciatore a pochi metri da lei, aveva il cazzo duro e sembrava impazzito.
Scivolai più vicino che riuscii, silenziosamente.
Quando il cacciatore fu abbastanza lontano la vidi girarsi, ci guardammo, venti metri tra me e lei. Scattò come una molla.
Le ero quasi addosso ma cambiò rapida direzione, sfuggendo.
Volevo placcarla ma se avessi mancato il tuffo non l’avrei più presa, perché era davvero velocissima.
Continuai a starle dietro, a qualche metro, per non farmi disorientare dalle insistite finte.
Arrivammo ad un grande prato, e decisi di rischiare, era sufficiente sbilanciarla e poi rialzarsi prima di lei.
Mi lanciai proprio mentre cambiava direzione, riuscendo soltanto a sfiorarle un calcagno.
Ma bastò, perché -sbilanciata- fece ancora due passi e poi rotolò a terra.
Mi ero gir rialzato e le balzai addosso, mi respinse scalciando.
Si accovacciò per rialzarsi, la presi per un fianco sbilanciandola, scalciò a vuoto due volte, la presi per il collo, da dietro, ma lei sgomitò, colpendomi al petto, riuscii a chiuderla, con un braccio dietro il collo e l’altro sotto le ginocchia e la schiacciai cose finche cominciò a gemere.
Le puntai un ginocchio sul petto, in mezzo ai seni, e le tolsi i braccialetti.
La guardai, nella penombra, ansimare esausta.
Mi sentii il cazzo eretto tirare, glielo avvicinai al viso, coricandomi accanto a lei.
Le carezzai dolcemente la testa, e lei accolse la punta del mio cazzo tra le ricche labbra.
Rimanemmo cose a lungo, estenuati, immobili.
Fino a che il suono del corno ci avverte che la caccia era finita.
Come Vincitore fui applaudito e riverito.
Fu la Signora a lavarmi e massaggiarmi, le mie prede mi aiutarono a vestirmi.
Nella grande sala mi fecero sedere sul trono, a capo della grande tavola, e fu la Signora a servirmi personalmente.
E poiché ero il Vincitore tutto mi era concesso, nulla mi era proibito.
Le chiesi di mettere un piede sulla mia sedia.
La Signora guardò gli invitati sorpresa mentre sollevavo la gonna del vestito, mostrando a tutti le gambe avvolte nelle calze nere e poi, piu su, le giarrettiere e le mutandine.
La obbligai ad inginocchiarsi sulla sedia, dando la schiena agli invitati, le sollevai la gonna sopra la testa e abbassai le mutandine.
Gli invitati ammirarono quel candido culo, incorniciato dal nero tessuto dell’abito. Mi abbassai i pantaloni e mostrai a tutti il mio cazzo ingrossato e turgido, poi presi il burro e lo spalmai generosamente sul roseo contorno del buco del culo della Signora. La inculai così, in assoluto silenzio. FINE
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