Racconto di primavera

Un vecchio zainetto con il suo nome sopra e il mattino che spunta in un giorno d’aprile. Ecco quello che resta, di tutta la storia.
Ho incontrato Laura al liceo, si era in classe insieme. Mi è piaciuta da subito. Mi piacevano gli occhi, le labbra carnose, i capelli scuri. E il suo odore. Un odore deciso, denso, inconfondibile, che non ti dava tregua e ti costringeva a guardarla con occhi diversi rispetto alle altre compagne. Non che fosse l’unica, no. In classe eravamo ventuno, e solo sei maschi, se si esclude Andrea, che ancora non aveva scelto, (chissà se l’ha più fatto… ) da che parte stare.
Così c’era Barbara, la bellona ingenua (o almeno pareva lo fosse), con le tette grosse e il culetto all’infuori. E c’era Alessandra, l’ “intellettuale” occhialini rotondi e labbra sottili.
Ma Laura viaggiava su un altro pianeta. E te ne accorgevi quando ci parlavi. Ti guardava fisso negli occhi, e quando muoveva le mani e la sua sigaretta riuscivo a convincermi che il mondo girasse davvero, e che tutte le cose avessero un fine preciso. Ma dai tredici ai sedici non c’è stata storia.
Non che non parlassimo, o che non pensassi alle donne.
Tutt’altro. In realtà, come la maggior parte degli adolescenti, mi ammazzavo di seghe, pensando alla profa di scienze e alle sue cosce sode, alla madre di Carlo, il mio “amico del cuore”, che un giorno mi venne ad aprire la porta in camicia da notte e sotto quasi nuda, e anche a Lei, come è ovvio.
Solo che tra il pensiero e l’azione c’era la mia innocenza.
Può sembrare strano, ma per quanti sforzi facessi non credevo davvero che certe cosette potevi anche farle, oltre solo a pensarle.
Io avevo i miei dischi di musica metal, il chiodo, guardare le nuvole fuori al balcone quando il tempo è bello. Non c’erano i telefonini, e il massimo che potevi fare era andare a bere una “biere du Demon” il sabato sera nel pub, vicino alla Villa. E fumare, al sicuro, le tue “Chesterfield lights”.
E in fondo ci viaggiavi bene.
Poi è arrivata la gita. La gita a Firenze, in prima liceo.
E li mi sono accorto di com’era realmente. è successo la seconda sera, mentre eravamo tutti semi-ubriachi a cantare e suonare in camera di Dani.
Io strimpellavo “Knockin on heaven’s door”, che “funziona”, che è facile e di grande effetto comunque la fai, a canaglia o a maestro. Ad un certo punto ho “sentito” i suoi occhi, in modo diverso dal solito.
Ho provato a far finta di niente. Ma le altre due volte che ho guardato Laura ho “sentito” di nuovo.
E comunque anche Carlo, che pure era intento a operare su una di quinta ginnasio, ha notato la cosa. Perché poco più tardi, in camera nostra, mentre parlavamo di tutt’altre storie, mi ha detto soltanto : “a proposito, Miki, guarda che ci sta”. Ed io ci speravo.
Pur avendo paura.
Il giorno seguente, come è naturale, si era degli zombi, e ci si reggeva a vicenda per stare all’impiedi. Ovviamente la prof. di italiano, che si era goduta le sue sei o sette ore di sonno era invece in gran forma, ed aveva voglia di esplorare per bene i
“suoi” dannatissimi Uffizi.
Per un poco l’abbiamo seguita. Poi ci siamo arresi, un pochino più in là della “Venere” botticelliana.
Ed è stato allora che lei, che se era per me neanche alla maturità, si è venuta a sedere vicino. E ha iniziato a parlarmi col corpo, sedendosi in braccio e dicendo “sto stanca”.
Una cosa un po’ soft, ovviamente, e gli Uffizi non sono un bordello, ma già le carezzine “innocenti”, i bacini e le affettuosità mi facevano male. Al cuore. Al cervello, ovviamente.
Perché le sue gambe, esaltate da quei jeans chiari, il culetto sodo che premeva e cercava il sistema migliore per farsi sentire e sentire a sua volta, le sue labbra umide mentre sorrideva, ogni cosa, ogni cosa di lei, anche solo il modo di sbattere le ciglia annunciavano sesso. E tempeste e battaglie furiose. Vortici profondi e gorghi inesauribili. In cui non sapevo se scendere. Da cui non riuscivo a comprendere se sarei risalito…
Oltretutto io sapevo che Laura, l’anno precedente, aveva passato una storia terribile con uno di terza liceo, che l’aveva “ammaestrata”, come si suol dire, e l’aveva mollata proprio dopo il diploma.
Per la verità lei non ne aveva mai fatto parola, ma era una cosa sulla bocca di tutti per via dello “stronzo”, che andava dicendo cose irripetibili. ( del tipo che sì, che Laura ci andava di bocca e ingoiava e lo prendeva dietro, tanto per intenderci… )
Ovviamente per me questa cosa era tanto eccitante quanto terrificante. Era tutto vero ? Sarei stato all’altezza ?
Comunque, al di là dei miei dubbi, dopo quella mattina ci lasciammo un po’ stare. Forse lei comprese le mie perplessità, o semplicemente non ci fu occasione.
Perché al ristorante rimase con le altre compagne, mentre al pomeriggio lei andò a visitare il giardino di Boboli, io rimasi a dormire.
Fortunatamente, fu sera di nuovo. Come in ogni buona gita che si rispetti, si decise di andare in discoteca. Io non volli andare, lei si, ed allora pensai di essermela giocata. Stavo già per cantare vittoria per il mio fallimento, per non dovermi
mettere alla prova con chi mi spaventava, quando la rividi. Erano passate da poco le tre, e loro erano appena tornati. Io stavo al bar dell’albergo. Lei venne e così, senza dire niente, prese un po’ del mio whisky. Sorrisi. Sapevo che non sarebbe stato facile averla di nuovo. Le chiesi se si fosse divertita, e lei disse “così… “, senz’aggiungere altro. Continuava a guardarmi. Ad un certo punto, le chiesi che cosa facessero per quella notte. Lei rispose “niente”. E mi guardava ancora. Mi chiese : “ti va di venire a suonare un pochino ? “, e io dissi di sì. Il cuore mi batteva forte. Salimmo in camera mia per prendere la chitarra. Non c’era nessuno. Decisi di cedere. Ci baciammo, e fu un bacio vero, di quelli che senti e che restano dentro fino a quanto vivi. Ci baciammo di nuovo. Avrei voluto spegnere la luce, ma non ci fu il tempo. Dopo qualche istante avevo già chiuso la porta, appeso il “do not disturb” d’intesa con gli altri ragazzi nella remota ipotesi che qualcuno di noi fosse riuscito a centrare l’obiettivo, ed ero sul letto con lei. Proprio sopra di lei. E le mani e la bocca viaggiavano soli. Ricordo l’odore. Ricordo la gioia nel toglierle le scarpe, nell’entrare con passi veloci nella sua intimità e nel mondo dei grandi. Ricordo la
voglia di sentirmi libero, la mia bocca assetata in mezzo alle sue gambe, la mia lingua ardente in mezzo alle sue natiche. Ecco, Lauretta, lo vedi, non ho più paura, anche se c’è già stato chi ti ha “battezzato”, come dice Carlo, anche se l’hai già preso, non mi frega niente. Mi piaci, mi piaci. E io muoio per te.
Questa è la verità. Ti prego, non perdermi mai, fa che sia tutto vero per te, come lo è ora per me. Ti prego, Lauretta…
Alle sette e dieci, mentre lei dormiva, io guardavo l’alba. è stata la più bella che potessi vedere.
Io e Laura ci siamo lasciati qualche mese fa. è stata una decisione comune, dopo tredici anni non c’era più nulla da dirsi.
Eppure l’altra sera mi ha chiamato. Chissà…
Che dite, se affitto una camera e la invito a Firenze? FINE

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La letteratura erotica ha sempre il suo fascino perché siamo noi a immaginare e a vivere, seduti su una comoda poltrona o a letto, le esperienze e le storie raccontate qui, Vivi le tue fantasie nei miei racconti, i miei personaggi sono i tuoi compagni d'avventura erotica. Buona lettura.

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