Di Mirko non si seppe nulla. Le nostre navi erano divenute bersaglio quasi indifeso per gli Inglesi. La nave di Dario fu affondata. Lui fu ritenuto essere tra i salvati dal nemico. Prigioniero. Ero li da oltre un anno quando giunse il trasferimento ad altra sede. Molto lontana. Una località abbastanza al riparo dalle incursioni nemiche. Le mie nozze erano imminenti. Mia moglie avrebbe potuto vivere con me nella nuova sede. Il distacco fu atroce. Gli ultimi giorni li vivemmo come in trance. Ela piangeva di fronte a tutti. Non dormiva più. Faceva l’amore follemente, accanitamente, disperatamente. Restava avvinghiata a me per ore. Katya mi guardò sorridendo mestamente, quella sera. “Grazie per quello che mi hai dato. Resterà per sempre con me. ” Amò con l’ardore d’una adolescente, la sapiente dolcezza d’una sposa, l’insuperabile voluttà della sua maturità. Mi baciò freneticamente. Le sue labbra vellutate si posarono sulla ‘folgore ardentè del suo dio, come diceva, si dischiusero per picchiettarlo col saettare della sua lingua infuocata, suggerlo golosamente, cospargerlo del nettare della sua saliva. “Giorgio, voglio donarti una cosa che non è stata e non sarà mai di nessun altro. ” Si mise carponi. “Entra in me, Giorgio. ” Mi avvicinai a lei, eccitatissimo, con una imponente erezione. Prese il glande violaceo, lo cosparse di saliva, lo guidò tra la sue meravigliose natiche che spinse lentamente ma decisamente verso di me. Sentii dilatarsi adagio la sconosciuta deliziosa apertura che m’invitava a penetrare. Scivolai in lei, a poco a poco, travolto da una inimmaginabile voluttà. Una sensazione indescrivibile. Si muoveva stupendamente. Volse la testa verso di me. “Carezzami. ” Prese la mia mano e la condusse tra le sue gambe. In lei si scatenò una tempesta che mi travolse, come cavalloni che assalivano il molo proteso nel mare della felicità. Mi avvinghiai con l’altra mano a una mammella, la impastai freneticamente, strizzai il capezzolo. Raggiungemmo le più alte inesplorate cime del godimento, sempre più convulsamente. Crollò di colpo, sul letto, braccia e gambe spalancate, io non uscii completamente da lei. “L’unico regalo che posso farti, Giorgio, ma lo ricorderò per tutta la vita. è stato fantastico. ” è trascorso tanto tempo, da allora. Anni. Ma i ricordi sono sempre vivi, attuali e incancellabili. Il paese di Katia e Ela era caduto nelle mani dei cosiddetti ribelli, pochi giorni dopo la mia partenza. Un colpo di mano. Erano state commesse infinite atrocità. Le foibe erano state riempite di corpi, alcuni ancora vivi. Avevano dato la caccia a chi aveva ‘collaboratò con gli Italiani. Bastava non essere stati apertamente ostili a loro per essere materialmente bollati a fuoco con una ‘ì, izdajica, traditore. La guerra guerreggiata era terminata, ma ero ancora in servizio per ‘particolari esigenze dello Statò. Ero intento a leggere una relazione quando il piantone mi portò una busta. “è stata recapitata a mano. Un uomo in bicicletta l’ha consegnata al militare di guardia ed è subito andato via. Un uomo di mezza età, vestito molto modestamente. Non si è voluto fermare. Pareva avere molta fretta. ” Una grossa busta, di quelle arancione che s’usano per inviare domande o trasmettere documenti. L’aprii. Dentro c’era un’altra busta, più piccola, bianca, indirizzata, con una grafia chiara ed elegante, al Tenente Giorgio Santin, al mio vecchio Comando, lasciato da tempo, accompagnata da un foglio di quaderno scritto a matita. “Egregio Signor Tenente, molto tempo fa ho avuto l’incarico di farle pervenire quanto allegato, ma solo in questi giorni sono riuscito ad entrare in Italia e, grazie agli amici, ho potuto rintracciarla. Non so cosa contenga la busta. Mi è stata data chiusa, con la raccomandazione di distruggerla senza leggerne il contenuto in caso che non fossi riuscito a fargliela avere. La signora che le invia la lettera mi ha anche raccomandato di assicurarle che sta bene. Ma questa sarebbe una bugia, e io non dico bugie. Mi perdoni se non firmo, ma sono ricercato dalla polizia che ora opera nel mio paese, dai rossi, ovviamente, che hanno informatori dappertutto. Addio. ” Aprii la busta bianca, senza romperla. Alcuni foglietti riempiti con una scrittura piccola e chiara. Una data vecchissima. Senza località. “Giorgio, amore mio, Da quanto tempo avrei voluto scriverti, dopo essere stata portata qui, ma come inviarti una lettera? Sai anche tu come si sono svolti gli eventi al mio paese e sono certa che non hai mai ricevuto le notizie che ho spedito subito dopo la tua partenza, perché mi è stato detto che tutta la posta è stata sequestrata e distrutta. Affido la presente a un amico, sperando che possa giungerti. è trascorso tanto tempo da quando mi hai lasciata e ti amo sempre. Più che mai. Sono accadute tante cose. La nostra casa è stata distrutta, dei ragazzi non so nulla. Io sono stata obbligata a cambiare residenza, e vivo qui, da una lontana parente, poverissima. Meglio che non ti dica dove. è un trascinarsi giorno per giorno, aiutandomi con il poco denaro che riesco a raggranellare con mille espedienti. Le suore mi fanno fare qualche ora d’insegnamento. Ma quello che più mi aiuta è che, mentre lavoro, pensano loro, le suore, ai bambini. Si, amore mio, ai tre bambini. «Cà de Dò», testimone di quanto ti abbia amato, e le cui mura ancora risuonano dei miei appassionati sospiri, ha voluto che il mio amore non svanisse nel nulla. Poco dopo la tua partenza, mi sono accorta d’aspettare un figlio. Tuo, tesoro mio. Ero pazza di gioia, avrei voluto gridarlo a tutto il mondo. Ma dovevo tenere per me questo segreto. Presto, però, la mia condizione sarebbe stata evidente, così decisi di confidarmi con la mamma. Mamma -le dissi, mentre era intenta a cucinare- sono incinta, di Giorgio. Seguitò senza neppure voltarsi, e rispose, calma: Anch’io. E nella sua voce c’era una profonda dolce, commossa felicità. Il suo volto era radioso. Ci abbracciammo, ridendo e piangendo nel contempo.
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