Sedemmo accanto al tavolo. Mamma prese le mie mani, e le tenne tra le sue mentre parlava. Sapevo di attendere un bambino fin da quando Giorgio era ancora qui. Inizialmente avevo pensato che fossero le prime avvisaglie della menopausa, ma l’ostetrica mi disse che ero gravida, di almeno tre mesi. Avrei voluto comunicarlo a Giorgio, avrei voluto fargli conoscere quale grande dono mi aveva fatto, cosa ciò significasse per me, alla mia età. Ero tornata giovane. Ma ho preferito tacere. Questo bambino è mio. Stava accadendo quello che neppure la fantasia avrebbe immaginato. Eravamo state rivali, e lo sapevamo. Avevamo vissuto un compromesso che farebbe rabbrividire anche i non moralisti. E adesso proseguivamo sulla stessa strada, sentendoci, addirittura, più vicine che mai perché entrambi aspettavamo un figlio dallo stesso uomo. Capii, però, che quello che ci univa, in effetti, era lo stesso amore, infinito, che, ognuno a modo suo, aveva avuto per te e ancora ci legava a te. Anche per me, mamma, è stata una sorpresa. Ero convinta che finché allattavo non avrei concepito. Ma sono infinitamente felice di essermi ingannata. Avremo un figlio di Giorgio, mamma. Prima tu, e io accudirò a questo mio fratellino. Poi io, e tu accudirai a questo tuo nuovo nipotino. Parlavamo solo di te, Giorgio, ognuna un po’ gelosa dei ricordi dell’altra. Ma il destino aveva scritto un domani drammatico. Quando mamma mise al mondo la sua creatura io ero vicina a lei. Un parto lungo ed estremamente laborioso. Soffrì molto, ma non emise un lamento. Qualcosa di innaturale. Sforzi sovrumani affrontati con incredibile serenità. Era uno splendido bambino. L’ostetrica lo mostrò a mamma e le fece i complimenti. Sottolineò sorridendo che il bimbo ci teneva moltissimo ad evidenziare la sua mascolinità, che metteva in bella mostra. Mamma era affranta, ma bellissima. Lo guardò felice. Mosse appena le labbra per dire debolmente: Ciao, Giorgio, che dio ti benedica. Il suo sguardo rimase fisso sul bimbo. Il suo cuore non resisté oltre a quella felicità. Lo abbiamo battezzato come lei lo aveva chiamato: Giorgio. Gli uffici anagrafici hanno cambiato Santin in Santic. Solo la mia povera parente e le suore sono riuscite a non farmi cadere nella più profonda delle depressioni. Dopo due mesi è nato anche il nostro bimbo. Il nostro, amore mio. Anche lui con quel… particolare che aveva fatto sorridere l’ostetrica. I due fratellini, che sono anche zio e nipote, sono due splendidi, vispi e intelligenti bambini e crescono benissimo, a vista d’occhio. Il nostro bambino si chiama Bogdar, dono di Dio, Bogdar Santic. E quando li chiamo entrambi, Giorgio… Bogdar… , posso gridare al mondo la mia felicità repressa, invocandoti, con la speranza che non mi abbandonerà mai, quella di averti ancora. E nessuno comprende il mio segreto, Giorgio… Bogdar… ! Giorgio, dono di Dio! Mi manchi, tesoro. Ti prego, vieni a prendermi, tienimi con te, come una volta, anche se dovrà essere una sola volta. Che Dio ti benedica, Giorgio, e mi consenta di sentirti di nuovo realmente, mio, come adesso ti sento nel ricordo. Sono la tua Ela. ” * * * Durante i lunghi anni trascorsi ho riletto più volte questi appunti. Anche oggi. Li ho lasciati così, senza modifica, senza commenti. Come li avevo scritti allora. Non ho tralasciato nulla, non ho dimenticato nulla. Dopo anni e anni di vana ricerca, nonostante il prezioso interessamento delle autorità locali, dopo gli inutili viaggi nel paese dove la «Cà de Dò» non esiste più, e che avevo trovato ancor più grigio e povero di allora, mi capita spesso di sorprendermi assorto a pensare a un passato che mi domando se tutto questo sia realmente accaduto o sia solo frutto della fantasia. Torno a leggere, allora, la lunga lettera di Ela. La realtà è lì. Lo svolgersi rapido d’un film che di quando in quando sosta su un fotogramma per poi dissolversi lentamente in un altro. Ela e il suo appassionato ardore: bellissima valchiria lanciata al galoppo, il seno nudo, i biondi capelli al vento. Il volto del piccolo Roberto con fattezze note e nel contempo sconosciute, forse quelle di Giorgio o di Bogdar. La morbida, scultorea nudità dorata di Katia irrigidita nella fredda immobilità marmorea d’una statua. Ho fatto una fotocopia della lettera di Ela. è sempre nel cassetto della mia scrivania. L’originale, chiusa, é nell’album dei ricordi. Non so se mia moglie, i miei figli, l’abbiano mai letta. Comunque, non ne hanno mai parlato. * * * Catela, la mia prima bambina, è già mamma. Da qualche anno. Ieri è venuta a trovarmi. Come per caso ha preso sulla scrivania un cartoncino che m’è giunto giorni addietro. “è dell’Associazione Italia-Croazia, vero papà? ” Assentii con la testa. “Ti invitano a un incontro sugli scambi tra i due Paesi. Ci sarà anche l’addetto commerciale croato, il dottor Bodgar Santic. ” Era alle mie spalle, mi abbracciò stretto. “Ci andrai, vero, papà?”
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