“E da quando mi conosci? ” “Hiljada godina. Da mille anni. Dobbiamo alzarci. La mamma potrebbe rientrare da un momento all’altro. In questi ultimi giorni è molto strana, nervosa. ” Indossai la vestaglia e restai seduto sul letto. Lei uscì dalla camera, rientrando poco dopo, sempre nuda. Dovevo farle un certo discorso, ma prima dovevo domandarle qualcosa. “Sei splendida, meravigliosa. Ti sono grato. Non proverò mai, nella vita, la felicità che sai donarmi tu. Ma, tesoro, scusami, non credi che sia imprudente trascurare la benché minima precauzione. Non so se riesco a farmi comprendere. ” M’interruppe. “Opreznost! Precauzione! Come potremmo, Giorgio, separarci proprio quando il nostro dono reciproco giunge a fondersi, o come potrei permettere che una qualsiasi barriera, per quanto tenue, si frapponga tra noi, m’impedisca di sentirti come desidero e come voglio. Che senso avrebbe, che amore sarebbe? Io allatto, e una donna che allatta non concepisce, almeno così si dice da noi. Sarebbe meraviglioso, però, se sbocciasse in me il tuo seme. E non m’interessa del domani, della gente. ” Non sapevo cosa rispondere. “Ela sei incantevole. Pensavo che si potrebbe, qualche volta, uscire insieme, andare al cinema, in casa d’amici a ballare. Insomma fare una vita che ci porti fuori da… ” “Sei stanco di me? Ti ho deluso? ” “Sai bene che non è questo. Ma, vedere gente, insieme s’intende, vivere anche nella società, cogli altri, andare al cinema, in campagna, un breve viaggio, sempre insieme, sarebbe bellissimo. ” “Si, sarebbe bello. Dobbiamo pensarci bene. Mi piace l’idea di andare a spasso con te, al cinema, a ballare, a far visite. Andare, insieme, a trovare Lenka. Se non ci fosse la gente… ” Presi le mie cose e mi avviai nella mia camera. 5 Pomeriggio libero. Dopo la mensa rientrai. Sembrava che non ci fosse nessuno. Tutto silenzio. Andai in cucina per prendere un bicchiere d’acqua. Entrò Mario, per la stessa ragione. Mi disse che la madre riposava e che Stano aveva accompagnato Ela e il bambino dal pediatra. Una visita di controllo all’ospedale del Capoluogo. Cinquanta chilometri di lentissimo treno. Erano partiti poco prima del pranzo e sarebbero stati di ritorno per la cena. Ela non mi aveva detto nulla. Mario spiegò che la cartolina d’invito era giunta solo quella mattina, con notevole ritardo, e non era il caso di saltare il turno. Mi salutò perché stava per uscire. Mi spogliai e andai a rinfrescarmi. Rimasi in vestaglia e mutandine e uscii sul balcone. Una giornata particolarmente calda. Non solita in questo periodo. Anche la vestaglia era pesante. Andai verso l’angolo del balcone. La finestra del ripostiglio era spalancata, per cambiare l’aria al locale. Poco oltre, i vetri della camera di Katia erano appena accostati, gli scuri aperti. Mi venne spontaneo guardare dentro. Di fronte, l’ampio letto d’ottone lucido. Sul lenzuolo candido, Katia. Bocconi, le braccia in alto, sotto il cuscino, il viso rivolto verso la porta, le gambe leggermente divaricate, i capelli sparsi sul letto e sulla schiena. Era tutto quello che indossava. Restai a guardarla incantato. Non il candore niveo di Ela, ma una pelle dorata, dipinta dal sole. Le linee dei fianchi salivano dolcemente a modellare natiche statuarie, tonde, sode. Il volto non era sereno, si scorgeva una lunga ruga sulla fronte. Spinsi piano le ante del balcone, che s’aprirono senza rumore. Mi avvicinai al letto, dalla parte dov’era lei. Il respiro era lento, profondo. Quel corpo così bello, anche se non più giovanissimo, emanava un fascino indescrivibile, un’attrazione seducente, irresistibile. Volevo toccarle i capelli, carezzare le natiche. Lo feci. Delicatamente, con le dita che sfioravano appena. Insinuai la mano tra le gambe, col palmo in alto, nella scura lanugine che saliva verso il pube. Esplorai piano. Ebbe solo un lieve sobbalzo. Non sembrava accorgersi di me. Divenni più audace. La mano saliva carezzando, scendeva, tornava a salire con incalzante insistenza. Le dita percorrevano il solco tiepido, frugando dalla piccola protuberanza che s’ergeva sempre più prepotente, in alto, alla sensibile contrazione del perineo. Di nuovo un sobbalzo. Poi, il lento ondeggiare del bacino accolse, assecondò, guidò la carezza. La testa sul cuscino, le labbra appena dischiuse. Sotto le palpebre si scorgeva il muoversi degli occhi. Le mani, erano aggrappate al cuscino, come a salvarsi da un precipizio.
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