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Angelica in città

Al mattino, quando Angelica si risveglia nel prato, è sola distesa tra gli alberi e gli uccelli. Sbatte gli occhi dolcissimi e incerti. Su di lei, prima di lasciarla, si sono fatti delle seghe, come godendo del suo miserevole stato. Si abbottona la veste, lacerata e scollata sul seno.

Sente con orrore al tatto il segno terribile che le è stato impresso per sempre sulla sua spalla. Nelle tasche c’è un sacchetto, pieno di monete tintinnanti, che le hanno lasciato a mò di compenso.

Si alza, cammina sull’erba fresca e pulita con i piedi nudi, raggiunge la strada, per arrivare in una città, libera e in un certo senso felice. Percorre il primo giorno a piedi. Il secondo giorno il sole tramonta quando Angelica è in cammino verso la città, e trascorse per intero anche quell’altra giornata prima che potesse arrivare.

Al castello l’avevano sottoposta a violenze spaventose. In un mese era stata violata, battuta, sodomizzata, umiliata da compiti impuri. Ma se l’avevano trasformata in una puttana fuori, non erano riusciti a farla diventare una puttana dentro di lei. Il suo animo era intatto. Consapevole delle violenze subite, Angelica aspettava un momento migliore per vivere felice e dimenticarle.

Arrivata alla porta della città, Angelica si accodò alla fila di gente che aspettava per entrare. Tutte le persone, con carri e masserizie, per lo più contadini che portavano la roba a vendere in città, passavano per la guardiola della dogana, per un esame della roba e pagare il dazio.

Quando fu il turno di Angelica, una guardia la squadrò dalla testa ai piedi e le chiese bruscamente:

  • Tu che cos’hai?
  • Veramente niente, rispose a disagio.
  • Vieni un po’ dentro…, le disse prendendola con la mano e portandola nella guardiola.

Guardandola fisso negli occhi, le chiede da dove viene, che età ha, se è da sola, perché viene in città.
Così senza mezzi termini le mette le mani addosso spogliandola sul petto e sulle tette, che maneggia per parecchio tempo, strapazzandole un po’, mentre Angelica non osa fiatare sorpresa e spaventata.

-Ti sto perquisendo-, disse il guardiano mentre era arrivato al pube, soddisfatto e convinto a spingersi più in là.

Ma il suo interesse era rivolto ai seni, che riprese tra indice e pollice di ambedue le mani e afferrò saldamente. Strinse così i capezzoli in una morsa di ferro, dalla quale Angelica non poteva ne osava ribellarsi, visto che quando portava le mani ai seni per scostare quelle del guardiano, questi stringeva più saldamente i capezzoli, provocandole più dolore.

Così cominciò un doloroso interrogatorio, mentre il guardiano le teneva i seni così stretti.

-Da dove vieni?

-Da… Parigi… ahi!

-E cosa fai tutta sola, qui? Non sai che è pericoloso girare da sole… per le ragazze carine come te…

-Cerco… lavoro… ahi! AHI!

-Me lo stai facendo diventare duro. Ti farò pagare un dazio speciale.

Intanto era entrato il capo dei guardiani, un uomo alto e corpulento di cinquant’anni.

-Imbecille, vai alla porta!

Il guardiano si alzò e senza aggiungere nulla uscì dalla casa dei guardiani. Angelica portò le mani ai seni, arrossati e doloranti, per coprirli e proteggerli.

-Aspetta, tu, puttanella-, disse invece il capo guardiano, sbottonandosi i calzoni, chiudendo la porta, squadrandola da capo a piedi.

Allora le appoggia le mani sulle spalle e la fa inginocchiare, e così la sottopone ad una rapida fellatio. A Angelica, che aveva tentato a un certo punto di sottrarsi, non resta che obbedire.

-Non ho tempo per cose più serie-, disse tenendola per la nuca, mentre le spingeva il membro in bocca.
In un minuto si libera sulla sua faccia con una violenta sborrata e si riabbottona.

-Passa altre volte, avrai qualche moneta.

Angelica si asciuga alla meglio e corre via, senza dire nulla, correndo nelle strade della città sconosciuta, piangendo, per allontanarsi il più possibile da quegli uomini orribili, e pensava sconvolta alla perversità degli uomini, che sembra pensino solo a quello e sono sempre pronti ad approfittarsi di una ragazza ingenua e sola.

Correndo all’impazzata, Angelica va a sbattere contro un signore che le taglia improvvisamente la strada da un’altra laterale, così massiccio e corpulento che si sposta appena, mentre Angelica si ritrova per terra.

-Perdonatemi, signore… -, dice Angelica ancora a terra.

L’uomo, dall’aria severa, la guarda per terra, disfatta, impaurita e le si avvicina, prendendola per un ciuffo di capelli.

-Vieni.

Allora la fa alzare e la costringe a camminare avanti a lui, tenendola per i capelli e piegandole un braccio dolorosamente dietro la schiena.

-Cosa volete farmi, signore? Lasciatemi… Dove intendete portarmi?

-Voglio darti una lezione. Voglio insegnarti a camminare bene per strada.

Un uomo per strada li vide e gli gridò:

-Ehi, vecchio! Lasciala stare! Non ti stanchi mai?

L’uomo proseguì senza dare conto dell’invito.

Incurante delle suppliche e delle preghiere di Angelica arrivarono sul greto di un torrente, dove non c’erano case, ma solo un ceppo di albero. L’uomo le legò i polsi dietro la schiena e la piegò sul ceppo. Quindi le alzò la gonna della veste e la sottana e le rivoltò sulla schiena, lasciandole il culo nudo. Più sotto la sua dolce fica spuntava scoperta e indifesa.

Trascorsero alcuni secondi, nei quali Angelica si chiese terrorizzata che cosa le avrebbe fatto questo nuovo individuo crudele che l’aveva condotta lì.

Infine l’uomo si tolse la cinghia dei calzoni e cominciò a batterla, colpendola con quella, proprio sulla parte che aveva scoperto. Angelica lanciò degli strilli altissimi e nessuno venne ad aiutarla.

-Così imparerai ad essere rispettosa e a non infastidire le persone più importanti di te-, aggiunse il corpulento signore a ogni colpo che le dava.

Ogni colpo lasciava una striscia sulla sua pelle bianchissima e i suoi fianchi era presto rossi di fuoco, mentre nei punti dove due strisce si incrociavano alcune tracce di sangue cominciavano a comparire.

All’improvviso, all’ennesima violenta cinghiata, Angelica non vide più nulla per il dolore e svenne.

Quando si risvegliò era ancora sul greto del fiume, per terra, con un dolore lacerante che proveniva dai fianchi, nudi e coperti di strisce. Per terra intorno c’erano il suo fermaglio dei capelli e la sottana. Vide che era circondata da dei bambini malvestiti, che ridevano sbeffeggiandola.

Angelica guardò verso il cielo -ormai era fatta sera- e scoppiò in lacrime.

Quella sera, sull’angolo della strada, avvenne l’incontro di Angelica con il borghese, che con un pizzicotto sulla guancia, con simpatia, sorridendole in modo rassicurante, le offrì di farle da domestica.

Il signore allora le chiede come si chiama, quanti anni ha, e dopo che Angelica gli ha risposto, se viene da fuori, che cosa fa in città.

Così Angelica si ritrova a passeggiare sulla strada affianco al borghese, che si rivela interessato a lei, e così le chiede sulle sue vicende, e si viene a sapere della condizione di Angelica in quella città, sola e sperduta e alla ricerca di un posto dove andare. Angelica evita di raccontare le avventure terribili capitatele presso la casa dove era stata fino quasi ad allora, parlando generalmente della “crudeltà” dei precedenti padroni, che si era trovata a servire.

-Posso offrirti io un lavoro-, dice il signore, spiegandole che aveva proprio bisogno di una servetta per la casa dove sta con la moglie.

Angelica entusiasta, senza chiedere altro, accetta.
Allora, mentre sta andando alla casa del suo nuovo padrone si fruga fra le tasche e scopre una cosa terribile: è stata derubata! Per fortuna ha trovato un lavoro con cui sostentarsi.

Ma già due giorni dopo il comportamento del suo nuovo padrone era cambiato.

Il padrone sembrava molto interessato alle sue disavventure prima di venire in città, e volle che Angelica le raccontasse tutto nei particolari. Le chiedeva con interesse i particolari sulla verga dei vecchi padroni e sulle sue incombenze giornaliere, nonché sul fatto che era assolutamente vergine prima di andare al castello.

Ad Angelica raccontare tutto quello causava molto imbarazzo e vergogna, per il fatto di descrivere cose così impure e che lei cercava di dimenticare.

Finchè un giorno, appena una settimana dopo, il padrone non cercò di prenderla per la testa e di farsi succhiare il cazzo che cercava di liberare dai calzoni.

Angelica, sconvolta, si divincolò e fuggì nella sua cameretta, per poi ritornare il giorno dopo, per prendere congedo.

-Oh signore! Voi mi costringete ad andar via… io, mi sento offesa… -, disse alla fine Angelica quasi piangendo con afflizione.

Allora un ceffone la raggiunse immediatamente sul volto, facendola girare da una parte all’altra.

-Sono io che ti mando via, PUTTANA-, rispose senza complimenti il suo datore.

-… e ti mando in un posto dove avrai molto di pensare: in prigione!

-Ma…

-Niente ma, puttana: hai cercato di derubare questa casa che ti ha ospitato…

Allora entrano improvvisamente con un colpo di scena due guardie, che in un attimo prendono Angelica e la fanno inginocchiare, con un braccio dolorosamente piegato dietro la schiena.

-Frugate nella stanza di questa delinquente.

E infatti, sotto il pagliericcio della stanzetta di Angelica esce una pietra di notevole valore, di proprietà del padrone, che certo però Angelica non aveva mai preso o toccato.

-Non sono stata io! -, strillava Angelica inutilmente.

-Non vi fate ingannare dalle lacrimucce-, dice il padrone a una delle guardie, mettendogli alcune monete d’argento sonante nella mano.

-Non vi preoccupate-, disse l’altro intascando le monete e torcendo più violentemente il braccio di Angelica, che stringe gli occhi per il dolore: -non siamo tipi da commuoverci per le lacrimucce di una sgualdrina…

Così la buttano con violenza nella carrozza delle guardie. Angelica quasi perde i sensi per la botta violenta contro la parete della carrozza.

Durante il viaggio nella carrozza i due sgherri le torcevano i capezzoli dolorosamente con le dita, indice e pollice, e la prendevano a schiaffi. Angelica piangeva.

L’ultimo tratto fu a piedi. Un passante, vedendola incatenata ai polsi, anche se piangente, seguire le guardie come una criminale, le sputa addosso in segno di disprezzo. La saliva le schizza sulle guance.

Angelica pensava che non c’era nessun limite all’ingiustizia e alla crudeltà degli uomini, ma che sicuramente il magistrato l’avrebbe fatta scarcerare, riconoscendola innocente.

La prigione era un grande edificio di legno all’interno della città, dall’aspetto vecchio e fatiscente.

Alla guardiola scrissero sul registro il nome e la provenienza, mettendovi vicino “ladra presa”. Una delle guardie fece aggiungere “puttana”. Quindi i due sgherri la condussero nel piano interrato, dopo averle tolto le catene ai polsi e alle caviglie e lasciandole il collare al collo.

Il seminterrato era un corridoio molto lungo di terra battuta, dove la luce era molto fioca, perché non c’erano finestre ma solo qualche torcia. Appena scese le scale il tanfo di umidità e urina investì la investì con disgusto. A metà del corridoio c’erano altri due guardiani che giocavano con le carte.

Uno dei due alzò una lampada sul viso di Angelica, osservandola attentamente:
-Che ha fatto?
-è una ladra.
-Dall’aspetto sembra una aristocratica.
-Vuol dire che cambierà atteggiamento.

Tutti e quattro gli uomini risero e Angelica e i due guardiani proseguirono.

Alla fine del corridoio, sorpassate altre porte, si fermarono di fronte ad una e la aprirono, con molti giri di chiave. Il tanfo che c’era all’interno era maggiore di quello del corridoio. Dentro c’era una sola finestra, molto piccola, dalla quale proveniva pochissima luce dal cortile della prigione.

Il pavimento era di paglia e le pareti umide. La stanza era larga cinque metri e lunga dieci. All’interno c’erano dieci o quindici persone, tutti uomini, tutti delinquenti comuni in attesa di giudizio, che la guardavano con curiosità e desiderio.

-Questi sono i tuoi compagni di cella, principessa-, disse uno dei due guardiani rivolto ad Angelica.

-Datele il benvenuto da gentiluomini, voi! -, disse l’altro ridendo rivolto alla teppa.

Così la porta si richiuse massicciamente dietro di lei ed Angelica si ritrovò sola, circondata da quegli uomini sporchi e feroci.
Angelica trascorse tra quelle mura quattro giorni che le fecero perdere la cognizione del tempo. E’ inutile dire che conobbe completamente ogni cosa che le si poteva fare da parte degli uomini nella cella.

La presero prima per anzianità e poi a turno un numero infinite di volte. Si sorteggiarono il culo, che andò a un robusto delinquente che la sodomizzò a bruciapelo.

La montarono per tutta la notte a piacimento, alternandosi. La riempirono di schiaffi e pugni perchè dicevano che non succhiava il cazzo con impegno e tardava ad aprire le cosce.

La incularono infinite volte, per il semplice gusto di strapparle i gemiti che presa da quella parte era costretta a lasciare. Le vennero a turno nella bocca. La bendavano, le sborravano in bocca e la interrogavano su chi era stato, che doveva riconoscere dalla sborra.

La mattina del quinto giorno, due getti caldi investirono all’improvviso il viso di fanciulla addormentata sul pagliericcio della cella, svegliandola. Di fronte a lei, i due guardiani sorridenti a gambe larghe con i membri in mano le pisciavano semplicemente addosso.

Dirigevano il getto sul viso, sul collo, sul seno, sul vestito a brandelli. Angelica inutilmente sollevò un braccio per proteggere il viso. Finita la pisciata, i due guardiani riabbottonandosi le comunicarono che stava per cambiare cella.

Avrebbe voluta morire lì, sul pagliericcio, lasciarsi ammazzare, sfondare dai criminali che l’avevano presa in tutti i modi possibili, ma il desiderio di avere giustizia e denunziare a qualcuno tutto quello che le era accaduto fu più forte, e così con uno sforzo sovrumano si mise in piedi e guadagnò l’uscita, accompagnata dai guardiani, divertiti da quell’atteggiamento sostenuto che mostrava.

Girandosi un’ultima volta nell’uscire, Angelica guardò con odio gli uomini che avevano abusato di lei in quei giorni, nella stanza dove aveva lasciato definitivamente l’innocenza che le era rimasta. Essi risposero strizzandole l’occhio, mostrandole la lingua e toccandosi la patta dei calzoni. Angelica si voltò per uscire, fece alcuni passi in avanti e cadde a terra, svenuta, battendo la testa.

Fu deposta in una celletta su un pagliericcio. Dopo alcune ore una secchiata d’acqua gelata la svegliò nuovamente. I guardiani alla porta le comunicarono che il magistrato era disponibile e che doveva essere giudicata per il furto.

Il processo si svolse in una stanza di sopra. Il magistrato la guardò un secondo con noncuranza. Esaminate le prove, ecc. ecc. , sentiti i testimoni, senza farla parlare, chiuse l’istruttoria. Angelica non fu fatta parlare. Trovata ad essere già stata marchiata, non importa da chi, risultò recidiva e si ritenne di condannarla con tutto la severità della legge.

Quasi di peso, Angelica fu riportata di nuovo sul pagliericcio, per la notte.

Il mattino dopo camminava con i piedi nudi al centro di un cortile, riemergendo dall’oscurità con la sua insolita bellezza.

Intorno c’erano delle nobildonne, invitate e allettate ad assistere all’esecuzione di una criminale comune. Angelica indossava il vestitino corto che aveva portato a casa del Borghese, lacero, strappato, che copriva davvero poco del suo corpo. Sul suo corpo si vedevano chiaramente i segni delle violenze che le erano state inflitte durante quei giorni e in tutti i mesi da quando aveva lasciato Parigi. Parigi era un ricordo lontano della sua adolescenza. Ma verso dove camminava?

In fondo al cortile c’era un palo con una corda: era un patibolo. A fianco un boia con il petto scoperto coperto di peli e il capo coperto da un lenzuolo nero. Sotto la corda, annodata, uno sgabello, dove evidentemente vengono fatti salire i condannati.
Mentre camminava le nobildonne la dileggiavano. Angelica proseguì con lo sguardo abbassato, i polsi legati dietro la schiena, pensando che quella sarebbe stata certo la sua ultima sofferenza o umiliazione.

-Così giovani, già delinquenti.

-Ah, ma si dovrebbe prima raddrizzarle per bene, come si fa con queste criminali!

-Adesso espierà i suoi una volta per tutte.

-Così ci sarà una puttana in meno in città. Ce ne sono molte.

Allora Angelica viene fatta salire su uno sgabello da due dei suoi carnefici, e uno le mette il cappio spesso di corda intorno al collo sottile. Chiude gli occhi, aspettando che uno degli uomini le spinga con un calcio lo sgabello, lasciandola appesa e impiccata. Non li avrebbe più aperti su quel mondo crudele. Respira con affanno, il suo petto si solleva e si abbassa. Una voce legge la condanna e il crimine… Quando all’improvviso…

-Angelica!

Una voce la interrompe nei suoi pensieri. Angelica apre gli occhi. E’ sua sorella! Sua sorella Amelia!

-Amelia!

E’ una delle nobildonne! Chiamata ad assistere alla sua esecuzione!

-Fermi! Fermi! Fermate tutto! E’ mia sorella!

E così si chiarisce l’errore. Il capo delle guardie è molto imbarazzato. Si pensa a un errore di persona. Angelica viene slegata e fatta scendere, e in lacrime si getta, sporca, sverginata, ferita, violata, inculata, lacerata, fra le braccia della sorella maggiore, fino a quel giorno non più rivista.

Così ritorna a casa e ricomincia felice una nuova vita.

About Erzulia

Colleziono racconti erotici perché sono sempre stati la mia passione. Il fatto è che non mi basta mai. Non mi bastano le mie esperienze, voglio anche quelle degli altri. Aiuta il sito chattando con le ragazze cliccando QUI. Iscrizione gratuita!

Un commento

  1. Massimiliano

    Andata bene. Ci stava lasciando i peli!

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