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La schiavitù di Patrizia

La temperatura nella mansarda era altissima. Il sole agostano impietoso entrava dagli abbaini incendiando gli oggetti con la sua luce fortissima. Appena le fu tolta le benda che le aveva impedito di vedere il resto della casa, Patrizia dovette stringere gli occhi per non rimanere accecata e il respiro le mancava, non capiva se per il caldo o l’eccitazione, se di eccitazione si poteva parlare. O forse era paura. Di sicuro il cuore le batteva forte nel petto e nelle tempie e se avesse avuto la possibilità di fuggire, forse, probabilmente, chissà quasi certamente sarebbe fuggita via, lontano da quella stanza assolata e dai suoi ospiti. Ma possibilità di fuga non ce n’erano e in fondo… quel gioco piaceva anche a lei.
Carlo e Andrea, i suoi ospiti, amici da tempo fra loro e anche con lei. “Sì, non mi devo preoccupare”, pensò ricordandosi dei due ragazzi coi quali aveva studiato tanti pomeriggi in biblioteca. Con Carlo c’era sempre stato feeling. Avevano anche iniziato una breve relazione clandestina, anni prima, ma poi le cose andarono diversamente e lui sposò Anna, la sua fidanzata di sempre.
La loro amicizia segreta si era saldata negli ultimi anni, nonostante la lontananza, a dimostrazione che sotto sotto entrambi covavano una grande passione. Come fosse entrato Andrea in tutto questo nemmeno lei se lo spiegava, ma Carlo aveva una straordinaria capacità di condurla per mano a compiere le scelte che lui desiderava, facendogliele apparire come naturali, come cose sempre desiderate da lei.
“Presentati al nostro cospetto” la voce di Carlo, forte e decisa, la risvegliò dal torpore.
“Mi chiamo Patrizia, Patrizia M. “, rispose con tono flebile.
“Patrizia M. dichiara la tua età al nostro cospetto”.
“Ho 28 anni”, era tutta una commedia, continuava a farsi forza con questo pensiero. Anche la ridicola richiesta del nome e dell’età, erano 15 anni che si conoscevano, avevano fatto insieme tutto il liceo e parecchi esami dell’università… Ma le domande continuavano.
“Patrizia M. sei disposta a proseguire questo cammino che ti porterà ad essere la nostra schiava? “. Il sì che le uscì dalle labbra fu un concentrato di emozioni che quasi la fece cadere per terra. Rispose sì senza nemmeno accorgersene, ancora una vota soggiogata da quell’uomo non brutto ma sicuramente non bello, terribilmente affascinante e complicato. La voce le tremava più ancora delle gambe, quando ripetè “Sì lo voglio”. “Sei consapevole del contratto che stai per firmare? ” “Lo sono” rispose Patrizia chinandosi sul foglio e firmando dove le veniva indicato. Quel contratto altro non erano che due pagine scritte fitte in cui lei dichiarava la sua volontà di soddisfarli entrambi come Padroni in qualsiasi loro desiderio, voglia o capriccio. Sapeva che non aveva legalmente nessun valore, avrebbe potuto ribellarsi in ogni momento ma quella firma le sembrò per certi aspetti la sua condanna ma, al tempo stesso, anche una cosa meravigliosa.
Gli occhi ormai si erano abituati a tutta quella luce ed ora, vedendo chiaro intorno a sé prese coraggio e si domandò in fondo quanto la suggestione pesasse nei suoi pensieri. Si trovavano nella mansarda dell’appartamento del mare di Andrea. Una mansarda ancora al grezzo, senza pavimento solo con la gettata del cemento grigio e ruvido. Sulle pareti bianche non c’era nulla se non una specie di croce a grandezza naturale, rivestita in pelle nera con dei legacci su ogni braccio. Non ci voleva un esperto del sadomaso per capire a cosa potesse servire. Patrizia deglutì a quella vista. Completavano per così dire l’arredamento di quello stanzone un trespolo, sì uno di quei cavalli da ginnastica come si vede in qualunque palestra, una specie di tavolaccio (si trattava in realtà di un grande asse appoggiato su due cavalletti) su cui era ancora appoggiato il “contratto”, due sedie e un baule di legno, chiuso, misterioso.
I due uomini erano seduti al tavolo e la squadravano con forza, dalla testa ai piedi, scambiandosi occhiate strane, che la turbavano. Lei si sentiva come una studentessa poco preparata davanti alla commissione d’esame. “Avanti, ” le disse Andrea, forse sforzandosi di apparire gentile, “spogliati completamente”. Patrizia ubbidì slacciandosi la camicietta poi sfilò la gonna, lentamente tolse le calze autoreggenti che Carlo le aveva regalato la sera prima, infine reggiseno e mutandine. Rimase completamente nuda. Provava mille sensazioni. Non era certo la prima volta che si spogliava davanti a un uomo, ma davanti a due… beh sì, era diverso. Fingendo coraggio che in quel momento non aveva si mise ritta, con le mani dietro la schiena come a dire sono qui, sono nuda, eccomi. Si alzarono in piedi tutti e due e presero a girarle intorno, sempre squadrandola, senza fiatare. Poi Carlo si allontanò e dopo aver rovistato nel baule la fece sedere sul tavolo e le porse crema depilatoria e un rasoio. Lei li guardò, ancora non capiva, si era depilata interamente la sera prima. Quasi interamente. “Credi che vogliamo una schiava così pelosa? ” disse Carlo allungando una mano e strappandogli dal pube una manciata di peli. Un brivido di dolore le percorse la schiena ma capì che si doveva depilare tutta, anche in mezzo alle gambe. Non le fu semplicissimo perché i due ragazzi la fissavano li giù mentre si passava col rasoio assumendo posizioni piuttosto imbarazzanti. Credette più volte di aver finito ma non erano mai soddisfatti. Dopo più di mezz’ora si ritrovò con la figa completamente rasata come non aveva più avuto dall’età di dieci anni e la cosa peggiore fu che tutto questo l’aveva eccitata e i suoi aguzzini (ma erano proprio aguzzini? Non ne era affatto convinta) se ne erano inevitabilmente già accorti.
“Guarda guarda questa troia”, disse Carlo rivolto all’amico “infilale un po’ un dito nella passera, secondo me la troverai allagata di umori”. L’altro non aveva bisogno di farselo ripetere e la rovistò con finta dolcezza. “Bagnata fradicia” fu il suo responso. Uno schiaffo in pieno viso la colse di sorpresa. “Ora rispondi stronzetta. Sei stata autorizzata ad eccitarti? ” “No Carlo, scusami” e un altro ceffone la colpì “Padrone, devi chiamarmi Padrone, non hai il diritto a rivolgerti a me con confidenza, chiaro? ” mentre le diceva questo le urlava a pochi centimetri dal viso penetrandola con uno sguardo duro che lei non riusciva a sostenere. Abbassò gli occhi chiedendo umilmente perdono. “Sarai punita”. Patrizia venne condotta alla croce e legata a gambe divaricate e braccia aperte, pancia contro il muro, schiena e sedere alla mercè delle fruste che i Padroni andavano cercando nel baule.
“Questa dovrebbe andare bene, per cominciare” lì sentì dire la poveretta, e subito un colpo ai glutei la fece tremare. “Senti troia cosa ti succede a comportarti male? ” la sfottè uno dei due e subito la colpì ancora. “Questo è un gatto a nove code, cara, tanto perché tu lo sappia” disse Carlo. “Vedrai che imparerà a distinguerli, uno a uno” gli fece eco Andrea con tono ironico “paddle, bastoni, fruste, tutto distinguerà al primo colpo” e giù un’altra mazzata sul culo della ragazza. Seguirono altri colpi forse una decina, nelle gambe e nella schiena. Carlo le si fece di fianco e tirandola per i capelli le chiese se stava bene. Patrizia, pur con i goccioloni agli occhi rispose con un filo di voce “sì Padrone” e come premio si trovo la lingua di Carlo nella sua bocca. Slimonarono così per qualche attimo, intanto Andrea la massaggiava con qualcosa di freddo, sembrava ghiaccio e questo le diede un po’ di sollievo alle parti colpite.
Come fu slegata ricevette ancora qualche piccola dose di dolcezza, fatta di complimenti e carezze tuttavia i due perversi amici le ricordarono i patti: “Tu sei la nostra schiava e noi ti stiamo addestrando. Ci devi riconoscenza per tutto questo e farai tutto ciò che noi desideriamo”. Patrizia non ebbe nemmeno il tempo di annuire col capo che le si fecero intorno e, facendola accucciare a quattro zampe si trovo con un guinzaglio di pelle nera al collo.
“Ora, con il nostro cagnolino andiamo di sotto”. Non le fu facile scendere le scale a quella maniera e le ginocchia le dolevano parecchio. Tuttavia apprezzò il fatto di non essere più bendata e di poter così vedere il resto dell’appartamento. Scese le scale si trovavano in una bella saletta con un tavolo da pranzo, il divano, la televisione e una credenza. Separata da una porta scorrevole c’era la piccola cucinetta e nella zona notte si trovavano un bagno e due camere da letto. La prima che le mostrarono sempre tenendola al guinzaglio come un cagnolino era la loro dissero e per questo lei non poteva entrare. La osservò dalla soglia. C’era un lettone matrimoniale enorme, di quelli che in America chiamano King Size, un grande guardaroba, due comodini e la televisione con il videoregistratore appoggiati su un tavolino. Era veramente un bell’arredamento. Mentre si guardava ancora intorno, con un tirone al guinzaglio la fecero rotolare. “Questa è la tua stanza” proclamarono e aprendo la porta comparve una stanzetta non grandissima con la finestra sigillata, completamente spoglia e disadorna. Niente, non vi era assolutamente niente ad eccezione di un piccolo catino. Deglutì amaro ma dentro di sé confidava che tutto questo fosse una commedia fatta per soggiogarla. Era sicura che la notte l’avrebbero presa nel lettone, fra loro. Ovvio che pensasse a quali prestazioni sessuali questo le sarebbe costato però… via non le sarebbe affatto dispiaciuto e sapeva fin dall’inizio che prima o poi li avrebbe dovuti soddisfare tutti e due, insieme.
“Ora fili in cucina e ci prepari la cena, quando è pronto ci chiami e ci servi a tavola, senza mai alzarti in piedi” e con un calcio nel culo si liberarono di lei. Mentre cucinava quello che aveva trovato nel frigorifero li sentiva chiacchierare, ridere poi a turno andarono a fare la doccia. La cosa che la lasciava atterrita era la naturalezza dei loro comportamenti, mentre lei non riusciva e soprattutto non doveva aprire bocca. Cominciava ad entrare nell’ottica dei loro pensieri per cui ritenne meglio apparecchiare solo per i due master, e fece bene. Li servi a tavola e li guardò mangiare di gusto. Spazzolarono così bene i loro piatti che per lei non rimase nulla, neanche una foglia di insalata. Per fortuna preparando la cena aveva assaggiato di nascosto qua e là e riusciva a trattenere i morsi della fame. Per sua sfortuna però gli uomini avevano già pensato anche a questo. “Sappiamo che hai mangiato di là, mentre cucinavi” lei arrossì imbarazzata e non potè ribattere, “non eri autorizzata mi sembra” temeva già le conseguenze di questi discorsi. Andrea con tono sereno disse all’amico: “via, non vorrai punirla per questo” il cuore le si aprì a quelle parole, ma come sempre fu un attimo di tregua in un fuoco continuo perché il seguito delle parole di Andrea fu: “Ha mangiato, adesso diamole da bere, avrà sete” e alzatosi in piedi si calò i pantaloni e cominciò a pisciare sulla ragazza ordinandole di bere tutto. “Ah ah ah” Carlo rise di gusto a quella scena e quando l’amico ebbe terminato lo imitò irrorando la bocca e il viso della schiava che ancora una volta subì l’umiliazione. “Stai meglio adesso, cagna? ” le urlarono tirandola per i capelli. Non se la sentiva di rispondere ma Carlo o forse Andrea, non riusciva nemmeno più a distinguerli a causa del bruciore che quella pioggia le causava agli occhi, uno dei due insomma continuava a tirarla così forte per i capelli che ancora una volta si dichiarò soddisfatta.
“Pulisci tutto ora, troia schifosa, non vedi che lerciume che sei. Sparecchia e metti in ordine, che vogliamo divertirci un po’. Hai 8 minuti a partire da adesso” e così dicendo Andrea fece partire il suo cronometro da polso.
Patrizia ristette un attimo stordita, domandandosi se dovesse stare ancora inginocchiata, cosa che non le avrebbe consentito di riordinare la cucina, pulire il pavimento dal piscio dei due e farsi infine una doccia veloce per togliersi quell’orribile sapore di dosso. Poi un sussulto d’orgoglio la fece scattare come una molla. S’alzò in piedi e ripulì tutto velocemente correndo poi al bagno e sistemandosi alla meglio. Quando tornò nella sala i ragazzi non c’erano. L’attendevano sul loro grande letto, completamente nudi ed eccitati guardavano una videocassetta porno, una gang bang. Sembravano più rilassati e questo fece sì che il cuore di Patrizia tirasse un po’ il fiato. Si abbandonò in mezzo a loro. La serata finì come Patrizia ormai non sperava più: i padroni se la scoparono a turno, riempendole la figa dei loro umori, procurandole almeno tre orgasmi consecutivi. Non l’ammisero a dormire nel loro letto, venne rinchiusa nella stanzetta sigillata ma stanca e appagata per quella sera pensò che andasse bene così. Soltanto si chiedeva cosa sarebbe successo domani… FINE

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