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Serata in pizzeria

Stavo prendendo un caffè alla macchina distributrice aziendale, ormai uno dei pochi posti in cui era tollerata la sigaretta. Avevo inserito le monete e attendevo che la macchina completasse il suo ciclo, quando arrivò lei. Le chiesi cosa desiderasse ed optò per un caffè macchiato. Non appena possibile, inserii le monete, schiacciai il pulsante, reggendo con l’altra mano il mio bicchiere di carta bollente. Trasse una sigaretta, gliela accesi e ringraziò. Accesi anch’io una sigaretta. Fin tanto che bevevamo e fumavamo, parlavamo degli ultimi pettegolezzi sui colleghi, stando bene attenti qualora venisse qualcuno, per evitare che arrivasse l’interessato o l’interessata al pettegolezzo del momento. Arrivò anche la sua collega di stanza, già con la sigaretta pronta in mano e l’accesi anche a lei. Sulla macchinetta del caffè c’era un avviso per una cena fra colleghi il venerdì. Notai che si scambiarono uno sguardo, poi l’amica mi chiese se pensassi di andarci.
Farfugliai un pretesto poco credibile, ma lei disse che sarebbe stato bello se avessi cambiato idea. Non ci misero molto a farmi cambiare idea, così concordammo che sarei passato a prenderle.
Il venerdì sera passai prima da lei, che si fece trovare pronta. Mi raggiunse velocemente in macchina, informandomi che aveva lasciato la figlia al marito, che, per quella sera, era stato costretto a rientrare prima del solito. Comunque, disse, che tra un po’ sarebbero stati a letto entrambi, padre e figlia, magari a vedere una cassetta di cartoni. Ci dirigemmo a casa dell’amica. Lungo la strada, mi disse che non avevano assicurato ai colleghi la loro presenza e che, se volevo, si poteva andare anche da qualche altra parte. Dicendomi questo, posò per un attimo una mano sulla mia coscia, con fare noncurante, come sopra pensiero. Portava una gonna di maglia, plissettata, e una camicetta di lana d’angora, abbottonata sul davanti. Disse anche che quella sera l’amica aveva mandato le figlie dalla nonna e che sarebbe stata a casa da sola. Fino all’uscita dalla scuola del sabato, precisò. Arrivammo a casa dell’amica, suonammo. Ci chiese di salire, sarebbe stata pronta in un baleno. Almeno così disse al citofono. Salimmo. Lei mi precedeva per le scale. Non potevo non apprezzare come si muoveva, le sue chiappe sembravano spingere all’indietro, con un movimento alternato ad ogni gradino. Al pianerottolo, suonò di nuovo. La porta di aprì appena, l’amica fece capolino dietro la porta e ci fece entrare. Aveva ancora addosso una vestaglia corta e trasparente, che lasciava intuire come indossasse un intimo coordinato nero, forse di pizzo. Si scusò, assicurando che avrebbe fatto presto. Tra l’altro eravamo già in parte in ritardo per la pizza, almeno considerando quale era il luogo di riunione per poi andare in pizzeria tutti assieme. Ci fece accomodare sul divano, chiedendo se volessimo bere qualcosa ed invitando lei a servirsi, dicendole che sapeva dove trovare quanto serviva. Sparì. Lei chiese a me se volessi bere qualcosa, così accettai per cortesia. Lei prese una bottiglia dal mobile bar, tre bicchieri, li posò sul tavolinetto. Versò in tutti e tre i bicchieri, chinandosi e lasciando intravedere le rotondità dei suoi seni. Ebbi l’impressione che avesse slacciato uno o due bottoni della camicetta, ma non ne fui del tutto sicuro. Poteva trattarsi solo dell’effetto del suo inchino verso di me. Sedette sul divano accanto a me a gambe parallele, ma le aprì quasi subito calando l’ampia gonna nel mezzo. Si poggiò sullo schienale e bevve un primo sorso. L’amica ci raggiunse. Indossava un vestito di lana corto ed abbondantemente scollato, con una scollatura a barchetta, aderentissimo. Aderentissimo al punto che lasciava intuire i bordi della biancheria intima che le segnavano il corpo. Le sue forme tonde ed abbondanti risultavano in modo provocante. I seni, naturalmente grandi e sodi, erano ancora più evidenti. Si chinò per prendere il proprio bicchiere e notai la sua scollatura e il solco tra i seni. Sedette davanti a noi, accavallando le gambe. Non potei evitare di cogliere il nero degli slip sul biancore della gambe in questo movimento, compiuto con lentezza. Bevve un sorso. “… Allora, che si fa? … ” chiese, come se avesse dimenticato il programma della serata.
Lei rispose che, a questo punto, doveva lasciarla finire il bicchiere, poi si sarebbe andati, tanto sapeva dove andavano i colleghi e, quindi, non ci si doveva preoccupare del ritardo. E, aggiunse, anche se non ci andassimo, nessuno l’avrebbe notato. “… e poi … questa è la nostra serata, no? … ” L’amica annuì e cambiò posizione alle gambe, mettendomi nuovamente nella condizione di notare il nero degli slip. Ma non teneva le gambe strette, solo leggermente divaricate, così che potevo vedere il colore della loro pelle abbastanza in profondità e la cosa mi allettava. Lei bevve un altro sorso e, con la coda dell’occhio, vidi che si slacciava un bottone della camicetta, cosa a cui non badai. Senza che me l’aspettassi, mi passò un braccio sulla spalla ed accostò la sua testa verso di me. Girando la testa potevo vederle le rotondità dei seni di traverso dall’alto in basso, notando, ancora una volta, che non erano grandi come quelli dell’amica, ma pur sempre particolarmente appetibili. “Fa caldo, … qui da te … ” disse. L’amica si alzò ed abbassò la persiana alla finestra, protendendosi in avanti e quasi esibendo il culo nella mia direzione. Il vestito corto lasciava vedere le gambe per un buon tratto. Solo un altro po’ e avrei potuto vedere la base delle chiappe. Tornò verso di noi, ma non sedette dov’era prima, ma si mise di fianco a me. “Si, questa sera fa abbastanza caldo … Vuoi toglierti la giacca? ” chiese a me. Si alzò, accese lo stereo e tornò a sedersi al mio fianco. Sentii che con una mano entrava sotto la mia giacca, quasi ad invitarmi a toglierla. Girai il mio viso verso l’amica, vidi la sua bocca protesa, vidi i suoi seni grandi che emergevano dall’ampia scollatura. Mi venne spontaneo baciarla, ma non lo feci. Lei posò una mano sulla mia coscia, prima ferma, poi salì. Mi girai verso di lei. In quel momento stava slacciando un altro bottone della camicetta. Notai che aveva un reggiseno candido. Mi lasciai andare baciandola sulla nuca, tra i capelli. Si scostò, volgendosi verso di me, dopo avere tolto il braccio dalla mia spalla. Si pone sull’angolo del divano: “… Che ne dici se non andiamo … in pizzeria. Tanto sono sempre i soliti discorsi noiosi … Possiamo stare qui, parlare, bere, ascoltare della musica … ” L’amica intervenne: “Si, Ok. Qui staremo tranquilli e passeremo una bella serata! ” Non reagii. Lei, dalla posizione in cui era, trasse una gamba mettendosela sotto l’altra, sul divano. Risistemò la gonna. Poi fece in modo da far scivolare il tessuto lungo le gambe, scoprendo un ginocchio. L’amica lavorava con la mano sotto la mia giacca, toccando il tessuto della camicia, finchè non sentì il mio capezzolo. Lo massaggiava e lo provocava con l’unghia. La mano dell’amica scese fino a giungere alla cintura dei pantaloni, infilò alcune dita, poi si ritrasse, lungo la cintura, fino alla fibbia. Vi ci si poggiò sopra, indugiando. “Vi offro un gelato! “, disse e si alzò, facendo in modo da sfilarmi la cintura oltre la fibbia. Mi passò davanti, muovendo le chiappe alternandosi nei movimenti. Vidi che lei le toccava la mano: ” Aspetta, … arrivo subito … con il gelato … “, l’avvertì l’amica. Lei la lasciò scivolare via. Il suo sguardo era come annebbiato. Ritrasse la gamba ripiegata e la protese
in avanti, quasi per farla ammirare in tutta la sua bellezza. Alzò ancora un po’ il tessuto della gonna, poi piegò la sua gamba verso il mio ginocchio. Sentivo il suo piede posato sul ginocchio.
Protese il busto verso di me, baciandomi, cercando volutamente le mie labbra, infilò la sua lingua tra i denti alla ricerca della mia. Ricambiai, lasciandomi andare verso di lei. Sentivo che l’amica stava trafficando in cucina. Tornò, ma senza il gelato. Si avvicinò a me da dietro il divano, incurante del bacio che stavo scambiando con lei, prese i baveri della giacca e me li portò all’indietro, per sfilarmela. Lasciai fare, muovendomi per facilitarle l’operazione. Con la giacca ancora mezza addosso, sentii che stava scendendo lungo la mia schiena con ma mano, in un massaggio cauto. Quando lei riprese fiato, l’amica con un gesto sotto le ascelle mi fece cenno di alzarmi. La mia cintura si trovava all’altezza del viso di lei, che l’afferrò velocemente, slacciandola. Posò una mano sulla stoffa dei pantaloni. “…. uhmmmm, ….. ” mormorò. “Venite di là a mangiare il gelato”. Si alzò anche lei, passandomi davanti e facendomi strada. Nel mentre che si dirigeva verso la cucina, vidi che si abbassava la cerniera laterale della gonna. La presi per i fianchi, camminando. Si fermò solo per un momento, quasi per aspettarmi, così che mi appoggiai sulle sue chiappe, facendole sentire il cazzo duro. Spinse il culo all’indietro, quasi a sentirlo meglio. Con una mano entrai, da sotto della sua camicetta, a contatto della pelle del ventre. In cucina, sedette sulla prima sedia, sganciò la chiusura della gonna, evidentemente voleva non doverci pensare dopo. L’amica le porse il gelato, poi lo porse a me: “Tu … però stai in piedi …. “, disse spingendomi con le spalle al frigorifero. Non prese il gelato per sè, ma si inginocchiò davanti a me e, senza altro dire, prese la mia zip e l’abbassò con decisione. Poi fu la volta del bottone superiore, quindi allargò davanti a sè i miei pantaloni, lasciandomi così. Si girò verso il tavolo e prese il suo gelato, ne mangiò un cucchiaino guardandomi diritto negli occhi.
Lei si alzò, lasciandosi scivolare alle caviglie la gonna. Con un gesto noncurante se ne liberò, lasciandola sul pavimento. Aveva degli slip bianchi, di pizzo, che lasciavano vedere il nero della peluria fitta del pube. Nel frattempo, aveva slacciato tutti i bottoni della camicetta, che ricadeva ai lati, lasciando vedere del tutto il reggiseno. Venne verso di me, con il gelato in mano, mettendosi di fianco all’amica. Passò a lei il gelato, e, prendendo i pantaloni, me li abbassò, lasciandoli a metà coscia. Poi mi sollevò la camicia e cominciò a sbottonarla partendo dal basso. Giunta alla cravatta la sfilò e finì la sua operazione. Mi tolse la camicia. Con la mano passò ai miei slip, ne toccò la stoffa, sentì il cazzo duro, lo massaggiò. Lentamente, lentamente, con decisione. Quindi, infilò la mano dentro, lo prese, lo portò all’esterno. Mi trovavo con il cazzo svettante in avanti. Vidi che l’amica si stava sfilando dalla testa il vestito di lana, rimanendo solo con la biancheria intima nera. Lei allungò una mano all’indietro e l’amica le passò il gelato. Ne prese un cucchiaino e lo mise sulla punta della cappella. L’amica si inginocchiò davanti a me e cercò di ripulirmi del gelato con la bocca, iniziando un pompino. Lei si tolse la camicetta. L’amica smise non appena finito il gelato che lei aveva posato sulla punto del mio cazzo, cioè subito. Si alzò e mi prese per una mano, guidandomi. Avevo difficoltà a camminare con i pantaloni sulle cosce, lei lo colse subito e mi invitò a toglierli. Mi condussero nella camera da letto, dove era accesa una luce diffusa. L’amica si gettò sul letto per prima, sfilandosi subito dopo il perizoma nero e, poi, il reggiseno. Lei completò la mia spoliazione, si mise diritta davanti a me e si tolse il reggiseno. Mi prese una mano guidandomi a toglierle gli slip. Con un cenno mi invitò a prendere posto sul letto. L’amica mi accolse a cosce aperte, esibendomi la fica nera dei folti peli. Cominciai a leccarla, con gusto ed eccitazione. Lei mi raggiunse da dietro, afferrò il cazzo con la mano, la mosse lungo l’asta, poi se lo diresse verso la bocca e sentii che le sue labbra si chiudevano attorno. Sentivo la sua lingua muoversi. Non durò moltissimo. Assunsero una posizione di triangolo, con io che leccavo la fica all’amica, lei che leccava il mio cazzo e l’amica che leccava la fica a lei. Poi lei chiese di cambiare posizione, sempre con la figura del triangolo. La udii mormorare: “… adesso lo voglio … scopami …. “.
Così l’accontentai. Fin chè la scopavo, l’amica le offriva la fica da leccare, ponendosi a cavalcioni sopra il suo viso. Poi, l’amica passò a me, prendendo a leccarmi i coglioni, portando la sua lingua lungo il solco del mio culo, tornando ai coglioni. Reagivo, spingendo a fondo il cazzo nella fica, ritraendolo quanto bastava, rispingendo dentro, in profondità. Cercavo di baciarla, di spostarmi con la lingua sul collo, di raggiungere i suoi seni. Il cazzo mi uscì dalla fica. L’amica colse l’occasione per prenderlo in bocca, succhiava con gusto. Lei si scuoteva tutta.
L’amica lasciò la presa. Passò una mano sul cazzo, dalla punta, lungo l’asta, giù fino ai coglioni. “… lo voglio anch’io … ” sussurrò. Scese dal letto, si mise alla pecorina poggiando le braccia sul letto. Mi misi dietro di lei, presi il cazzo e lo diressi verso la sua fica.
Intanto, lei si era messa a cosce aperte davanti all’amica, in modo che questa gliela potesse leccare. Il mio cazzo entrò senza difficoltà nella fica dell’amica. Mi muovevo, dapprima piano, poi sempre più velocemente. Sentivo la fica stringersi attorno al cazzo. Mi veniva voglia di incularla. Decisi di farlo ed estrassi il cazzo dalla fica spostandolo verso l’ano. La sentii resistere, poi si rilassò portando il culo a spingere all’indietro. Intanto continuava a leccare la fica di lei. L’ano resisteva, ma cedette quasi subito. Si lasciò andare in un breve urlo soffocato, mormorato tra i peli e le grandi labbra di lei. I movimenti del suo culo accompagnavano le mie spinte, fino a chè non si svincolò, distendendosi in avanti sopra di lei, cominciando a leccarle i seni. Mi distesi sul letto, con la lingua sulla schiena dell’amica. Mi piaceva leccare la schiena, insalivare la colonna vertebrale, sentire come vibrava. Lei si trasse da sotto, raggiungendomi ed assumendo la posizione del sessantanove, così che cominciai a leccarle la fica, tutta bagnata, reattiva, pronta. Continuò fino a che non riuscì a farmi sborrare, ingoiando lo
sperma, scuotendosi tutta sotto la mia lingua. Finii così nella sua bocca, con la mia bocca sulla sua fica, sentendola agitarsi convulsamente sotto le toccate della mia lingua. Ci distendemmo, respirando in relax. Ero venuto a trovarmi in mezzo alle due, ai loro corpi. Inizia a carezzarli, dolcemente. Mi ricambiarono e la mano di lei mi solleticava un capezzolo, premeva dolcemente sul mio petto, mentre quella dell’amica mi lisciava il ventre, infilava un dito nel mio ombelico, premeva leggermente e ruotava. Poi passava a pettinarmi i peli del pube, giù fino ai coglioni, salendo quindi al cazzo, in condizioni da non meritare neppure questo nome, tanto era floscio e molle. La baciai su di una spalla. Si girò verso di me e sorrise: aveva ancora gli occhi velati.
L’amica fece passare la mano sotto il mio corpo, toccandomi le chiappe, lisciandole, tentando con le estremità di raggiungere il solco del culo. Mi girai lentamente quasi su di un fianco, per permetterle di muoversi meglio. Quando ci riuscì sposto la sua mano in mezzo alle mie cosce, arrivando ai coglioni da dietro e da questi al cazzo. Data la sua inconsistenza, lo trasse all’indietro, in mezzo alle mie cosce, continuando a toccarlo gentilmente. Intanto, mi baciava sulla schiena, anzi la stava insalivando tutta, mentre massaggiavo i seni di lei e la baciavo, nuovamente, sulle spalle, lungo il braccio, all’interno del braccio fin verso l’ascella. Sentivo i grandi seni dell’amica premere sulla mia schiena, i capezzoli duri a contatto della mia pelle.
Rimanemmo così per molto, toccandoci, palpandoci, provocandoci sensazioni piacevoli. Lei si svincolò dal mio abbraccio e si spostò, passando sopra al mio corpo e mettendosi alle spalle dell’amica. Pose le sue gambe sul collo e la testa all’altezza del culo dell’amica. Con le mani divaricò lentamente le chiappe per poter giungere a leccarle l’ano. Leccava e con le mani le pasturgnava la fica, scivolando con le dita lungo la fessura. Quando ebbe la sensazione che la fica dell’amica fosse pronta, sotto quel massaggio, infilò un dito nella fica, lo rigirò dentro, si mosse come se il dito fosse un piccolo cazzo. Poi infilò due dita, facendo la stessa operazione, poi tre, continuando nei suoi movimenti fino a chè l’amica non fu scossa da una serie di fremiti e si lasciò andare a rilasciare una quantità abbondante di liquidi per poi rilassarsi. Restammo un po’ fermi, vicini, stretti. L’amica propose una doccia, che facemmo assieme, stretti nel box, insaponandoci a vicenda. L’amica me lo prese con le mani e mi fece una sega, così in piedi, nel box della doccia, sotto il getto dell’acqua. Fu quasi violenta, decisa, sembrava volesse farmi male. Intanto, insaponavo abbondantemente la fica di lei, anche se il sapone era solo il pretesto per masturbarla. Quando sentii la sborra risalirmi lungo il cazzo, non smisi di masturbarle la fica, anzi, ad ogni colpo di sborra insistevo e lo ripetevo con la mano sulla sua fica. Venne poco dopo, scuotendosi tutta. Ci risciacquammo, ci asciugammo e rivestimmo e l’accompagnai a casa. Lungo la strada non parlò, mi accorsi unicamente che si passava la lingua sulle labbra, sembrava pensierosa, ma i suoi occhi raccontavano che i pensieri che la occupavano erano piacevoli. Scese senza parole, augurando solo la buona notte. Era stata proprio una bella serata in … pizzeria. FINE

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