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Ilaria – La nipote

Arrivò a scuola, uno dei primi giorni di giugno, la nipote della preside. Una ragazza di ventiquattro anni, di carnagione chiarissima, un viso bello e sorridente, capelli neri tagliati molto corti, labbra tumide e rossissime tra cui s’incastonava una perfetta fila di denti bianchissimi, occhi neri e brillanti con ciglia lunghissime dello stesso colore, guance rosse, un bel naso sfilato. Alta più o meno un metro e settantacinque, aveva un collo bianco, lungo e sottile, seno abbondante, sodo al punto da potersi permettere, con tutta evidenza, di non portare reggiseno, vita alta e stretta, fianchi ampi, un culo alto, rotondo e prominente che sembrava fatto solo per attirare sguardi e desideri, gambe lunghe e tornite, con i muscoli che si tendevano ad ogni passo; caviglie sottili e piedi dalla linea perfetta. Era vestita con un abitino di seta a fiori, molto corto ed ampiamente scollato che aderiva come una pelle alle sue forme, calzava dei sandali neri dal tacco molto alto e sottile: due cinturini, uno appena sopra le dita dei piedi ed uno alle caviglie ne facevano risaltare ancor più la perfetta nudità, la lacca rossa alle unghie sottolineava la fine di quel corpo statuario.
Naturalmente il suo ingresso a scuola non passò inosservato: era l’intervallo, eravamo tutti fuori delle classi, i ragazzini di terza, con le guance improvvisamente paonazze, giravano come impazziti senza toglierle gli occhi di dosso e scambiandosi cenni più o meno osceni e mezze parole, le ragazze ora lanciavano sguardi ammirati ed invidiosi a lei, ora occhiate di gelosia o compatimento ai loro compagni. Lo stesso, più o meno, accadeva tra gli adulti, professori e bidelli si erano ammutoliti ed inalberavano sorrisi ebeti mentre professoresse e bidelle ostentavano espressioni di scherno per i colleghi maschi e d’ostentata indifferenza per lei.
Il cambiamento sonoro dell’ambiente dovette suonare strano alle orecchie del segretario che uscì per vedere cosa fosse successo e quasi andò a sbattere contro quell’apparizione. Si controllò a perfezione, peraltro. La donna gli chiese della presidenza e lui le fece strada, le aprì la porta e la seguì per uscirne quasi subito. Mi vide, mi si avvicinò e con tono canzonatorio mi sussurrò:
“Hai capito che nipotina ci nascondeva la preside, ti piace? ”
“Si! è Bella, molto bella! ”
“Si! Davvero una gran figa! ”
Si allontanò tranquillo, mentre la campana segnalava la fine dell’intervallo; con molta fatica riuscimmo a rimandare tutti in classe e a riprendere l’attività, almeno nei limiti in cui lo permise l’eccitazione che si era impossessata un po’ di tutti.
All’ultima ora una bidella venne a dirmi che, finita la lezione, dovevo andare dalla preside, Suonò la campanella, aspettai che tutti gli studenti fossero usciti poi, lentamente, così da dar modo anche agli ultimi colleghi di andarsene, andai in presidenza. Il segretario era già lì, seduto in una delle due poltrone davanti alla scrivania, la preside, dietro la scrivania, era a seno scoperto, aveva i capezzoli durissimi ed un’espressione affranta in viso. Il segretario mi fece cenno di scoprirmi le tette anch’io, aprii la camicetta ed abbassai le coppe del reggiseno, poi indicò l’altra poltrona, mi sedetti.
“La preside ci teneva nascosta una nipotina così bella, non pensi anche tu che meriti una punizione? ” mi chiese.
Guardai lui poi la preside e, a bassa voce, risposi.
“Si! Credo anch’io. ”
“Bene! Allora, cara, spogliati e a quattro zampe sulla scrivania; tu chiudi a chiave la porta. ”
La preside si alzò lentamente, si tolse la camicia, il reggiseno e la gonna, girò intorno alla scrivania, alzò un ginocchio allargando le cosce in un modo che le riuscì di volgarità perfetta e d’enorme erotismo al contempo e si tirò sulla scrivania; si sistemò a quattro zampe, con le ginocchia ed i piedi ben distanziati, la schiena inarcata ed il culo spinto in fuori con le belle chiappe dischiuse così da mettere perfettamente in mostra il buco del culo e la figa rasata, incrociò le braccia davanti a se e ci poggiò su la testa aprendosi ancora di più. Era bella e provocante, tanto più con quella sua aria da vergine pronta al martirio, ma, a differenza di altre volte, si capiva che un dolore vero la tormentava, il timore per la nipote.
Il segretario prese un frustino da un armadio e me lo porse dicendo:
“Duecento! Deve essere una punizione severa. Picchia! ”
Mi spostai a fianco alla scrivania, alzai il braccio e cominciai a colpire, quasi subito il segretario pretese che colpissi con più forza, io ubbidii, lei prese a piangere sommessamente prima e a dirotto poi con singhiozzi e lamenti che avrebbero intenerito chiunque ma non il segretario che non smetteva di guardarmi per costringermi a tenere ritmo ed intensità dei colpi. Al settantesimo colpo aveva il culo rossissimo, traversato da segni più marcati che certo si sarebbero trasformati in lividi. Cominciò ad agitarsi, a spostarsi sulla scrivania nel tentativo di sottrarsi ai colpi. Quando si accostava troppo al bordo il segretario era pronto a pizzicarle le tette e lei si rimetteva in mezzo. Al centocinquantesimo cercò di scendere, comunque, la faccia stravolta, incapace di resistere ancora; il segretario la guardò dritto negli occhi, le diede una sberla in pieno viso, forte, secca; per un attimo ci fermammo tutti, loro che si fissavano negli occhi con sguardi feroci, io che fissavo loro; poi lei cedette, chinò il capo, inarcò la schiena sporgendo il culo, si rimise in mezzo alla scrivania, allargò le cosce girò il capo verso di me lanciandomi uno sguardo di sfida e di invito: ripresi a colpire con ancora più forza, nessuna remora bloccava più il mio braccio, urlò ininterrottamente fino al duecentesimo colpo e godette: tremava, scuoteva il capo, piangeva.
Il segretario venne dietro di me, mi infilò il cazzo tra le cosce, mi prese i fianchi mi disse di stringere e si masturbò così muovendomi il cazzo tra le cosce; guardavamo la preside, il viso disfatto, bagnato dalle lacrime, che si lasciava andare come un animale sfiancato, il cazzo tra le cosce mi sfregava la figa, eccitata anch’io sentii l’orgasmo montarmi velocissimo ed esplodere, godetti su quel cazzo. Godette anche lui bagnandomi le cosce col suo sperma: senza sfilarlo mi fece spostare davanti al viso della preside. Lei capì, piegò le braccia abbassando il tronco ed il capo, poggiò la testa su di me e leccò, leccò a lungo, energicamente, pulì completamente le mie cosce ed il suo cazzo tra di loro; le carezzavo la testa, passavo le dita tra i suoi capelli.
Poco dopo, ricomposti, eravamo seduti uno di fronte all’altro; il segretario lasciò che il silenzio facesse rimontare la tensione, poi disse:
“Tua nipote dovrà diventare come voi! ”
La preside lanciò un urlo strozzato, più profondo e doloroso di quelli che poco prima aveva cacciato sotto i colpi di frusta. Le mancava il fiato, guardava il segretario con occhi sbarrati. Lui continuò
“Dovete servirmela su un piatto d’argento! Dovete renderla schiava e cedermela, non voglio sapere come, voglio trovarmela pronta e obbediente il prima possibile, dovete metterla in condizione di non poter disubbidire. ”
La preside lo interruppe:
” No! Questo non puoi farlo! Farò qualunque cosa! Chiedimi qualunque altra cosa ma non questo! Potrai farmi o farmi fare di tutto ma lascia fuori mia nipote, è solo una ragazza! ”
Mentre parlava sentivo una nota strana, come se non dicesse sul serio, sembrava che la richiesta del segretario non le fosse sgradita come voleva far credere. Il segretario la guardò con un sorriso di scherno e le rispose.
“Tu sei così troia che fai lo stesso qualunque cosa ti chieda e non più per obbligo ma per il tuo innato puttanesimo, perché non puoi più farne a meno, perché prostituirti ti eccita, ti eccita provare dolore, ti eccita essere avvilita e svergognata. E adesso dovrai ridurre in schiavitù tua nipote e persino questo ti eccita, puttana! ”
Ci fu un attimo di silenzio poi la preside
“Come potremo fare? ”
“Questi sono tutti cazzi tuoi e di quest’altra zoccola, io non voglio saperne niente, anzi, adesso vi lascio da sole così potete parlarne. Vedete di non perdere tempo, io non sono uno paziente e voi siete comunque in mio potere, non vorrei dovervene dare qualche esempio concreto. ”
Il segretario uscì e la preside ed io rimanemmo a guardarci negli occhi in silenzio. Aspettavo che fosse lei a parlare, ma pian piano mi resi conto che non lo avrebbe fatto; il silenzio divenne insostenibile e così le proposi:
“Usciamo a cena insieme, poi vedremo. ”
Lei si riscosse, annuì:
“Domani sera? ”
Feci cenno di si, lei prese il cellulare e compose un numero:
“Ciao cara, sono la zia. Ti va di uscire a cena domani sera con me ed un’amica? ”
Parlarono un po’, lei mi descrisse come un’amica cara e molto carina. Terminata la telefonata le chiesi come si chiamasse e che tipo fosse la nipote. Lei rispose:
“Si chiama Tiziana, noi l’abbiamo sempre chiamata Titti. L’hai vista, è qui da poco, ha ventun anni, è iscritta a psicologia; mia cugina mi ha chiesto di trovarle un appartamento e di tenerla d’occhio. Aveva un fidanzato, ma si sono lasciati prima che lei iniziasse l’università; non ho mai ben capito, ma pare c’entrasse una sua amica che lei vedeva troppo spesso, si mormorava si trattasse di qualcosa di più di una semplice amicizia, chissà, forse ha già avuto davvero esperienze lesbiche. Da quando è qui si veste sempre in modo molto provocante, a casa vestiva in modo più discreto. è simpatica e non disdegna le battute pesanti. Non so molto altro di lei. ”
“Secondo me l’unica è vedere domani sera che succede e sperare di trovare una strada, conosco un ristorante discreto e molto piacevole, telefono io per prenotare un tavolo. ”
La sera dopo mi vestii al mio meglio: vestitino rosso, elasticizzato, allacciato dietro il collo, che lasciava scoperta la schiena e le anche e mi aderiva perfettamente al seno mettendone in risalto la forma e la sodezza, arrivava appena sotto l’inguine ed al pelo delle natiche, un perizoma di raso nero, minuscolo, con un cordino che, ad ogni passo, scivolava, solleticandomi gradevolmente lo sfintere, sandali rossi a tacco altissimo con due semplici strisce di cuoio molto sottili, uno sopra le dita ed uno alla caviglia, orecchini con delle perle grosse come nocciole ed un bracciale d’oro a fascia. Mi truccai con la massima cura e completai il mio abbigliamento con uno spolverino di seta dello stesso rosso del vestito. A scanso d’equivoci infilai in borsa una piccolissima telecamera digitale in grado di fare fotografie e brevi filmati anche con pochissima luce.
Presi la macchina ed andai a casa della preside. Titti era già lì ed era splendida, un vero animale da letto, appena la vidi desiderai che quella sua bella testa mi s’infilasse tra le cosce, che quelle labbra grandi e morbide baciassero le grandi labbra della mia figa, che quella lingua, che spuntava, rossa, tra due file di denti candidi, andasse a stuzzicarmi la clitoride. A momenti venni solo guardandola. Aveva una canottierina minima, gialla, con due spalline sottilissime ed una fascia di stoffa che le copriva a malapena il seno, grande, bello, dai capezzoli puntuti, lasciandole scoperto il ventre perfettamente piatto ed un ombelico che sprofondava nella pelle come se non avesse fine; una minigonna nera di seta copriva appena il necessario all’altezza della passera e sottolineava l’inizio del paio di gambe più lunghe e perfettamente dritte e tornite che avessi mai visto. Ai piedi indossava dei sandali altissimi, a zeppa, con lacci che le salivano lungo le gambe, allacciati a schiava.
La preside ci presentò ed il sorriso che mi rivolse mi fece colare un fiume tra le cosce. Le strinsi la mano, l’attirai a me e le baciai le guance. Non si sottrasse, anzi fece aderire il suo seno al mio provocandomi fitte di piacere ma restandone turbata anche lei al punto che, quando, dopo secondi che parvero minuti, ci staccammo l’una dall’altra, continuò a guardarmi negli occhi come a rivolgermi una muta domanda.
Facendo forza su me stessa riuscii a sottrarmi al suo sguardo e mi rivolsi alla preside cominciando a far battute e a ridere con lei degli argomenti più futili. Anche lei era particolarmente figa, le sue gambe gareggiavano in bellezza con quelle della nipote, il vestito ampio e leggero che indossava chiedeva soltanto di essere sollevato per scoprire quelle bellissime forme che lasciava intuire.
“Certo che voi due stasera farete qualche danno in giro, conciate così! ”
dissi, mentre ci preparavamo a muoverci.
“Perché tu! Ti sei vista in uno specchio, non so come faremo ad evitare che tutti guardino solo te. ”
Rispose immediatamente Titti, con un tono che sembrava tradire una sua effettiva ammirazione per me.
Fui io a guardarla stavolta e lei per un po’ resse lo sguardo e poi abbassò gli occhi. Non mi sembrava possibile eppure erano molti i segnali del suo interesse nei miei confronti: il modo in cui mi guardava, il tono che usava con me, persino il modo in cui rideva alle mie battute. La serata sembrava ben avviata.
Prima del ristorante passammo a bere un aperitivo in un bar piuttosto frequentato. Feci servire tre coktail molto alcolici che contribuirono ad elevare il livello d’eccitamento ed a sciogliere le ultime tracce di timidezza tra di noi. Ogni tanto usciva una battuta su questo o quello degli avventori che fissava una di noi, mentre aspettavamo un secondo giro, le battute si trasformarono in una piccola gara a quale di noi attirasse di più le occhiate degli altri avventori.
Osservavo Titti e la naturalezza, e la malizia, al contempo, con cui si mostrava nel tentativo di vincere la gara; mi venne da pensare che per quanto belle donne e fighe fossimo la preside ed io non potevamo certo reggere il confronto con la statuaria bellezza di Titti. Già solo la forma che assumeva il suo culo appoggiato allo sgabello del bar era talmente perfetta da costituire un richiamo irresistibile per tutti i presenti. Finimmo il secondo aperitivo proclamandola vincitrice della gara: era già piuttosto alticcia, mentre la preside ed io eravamo riuscite a mantenerci perfettamente lucide anche se un po’ su di giri.
Ci spostammo al ristorante ed entrammo nella saletta che ci avevano riservato attraverso una porta di legno massiccio simile ad altre poste lungo un corridoio: era perfetta: aria condizionata, luci soffuse, delle candele che davano all’ambiente il necessario tocco di calore; quasi al centro della stanza c’era il tavolo tondo, perfettamente apparecchiato con tutte le posate ed i bicchieri necessari per una cena ricca e varia e con una tovaglia che scendeva fino a terra. Ad una delle pareti laterali, di un gradevolissimo tono di rosa, era accostato un gran divano, stile impero, in raso bordeaux.
Titti rimase evidentemente impressionata dalla piacevolezza dell’ambiente e si guardava intorno, estasiata, mentre noi andavamo a piazzarci al tavolo in modo da lasciare lei con le spalle alla porta.
Ci sedemmo e subito arrivò il cameriere, un bel moro sui trent’anni alto e muscoloso, portando dei bicchieri di spumante e degli stuzzichini: raccolse le ordinazioni senza risparmiarsi occhiate assassine alle nostre generose scollature; la cosa non sfuggì a Titti che, senza parere, spinse ben in fuori il seno.
La cena scorse via allegramente gustando ottimi cibi e bevendo vini eccellenti, soprattutto Titti, noi stavamo attente a non perdere del tutto il controllo della situazione. La conversazione a tre si trasformò ben presto in un dialogo a due tra me e Titti, con la preside che lasciava fare, apparentemente compiaciuta. Ben presto le battute divennero più spinte e le mani cominciarono a sfiorarsi; dopo ogni ingresso del cameriere i commenti diventavano più audaci finché non dissi a Titti di essere un po’ più generosa nel mostrarsi a quel poveretto premiando l’assiduità nel servizio ed il desiderio per Titti che traspariva chiaramente dai suoi occhi.
“Hai ragione, oltretutto è proprio un bell’uomo! Zia tu non dirai nulla alla mamma di stasera, vero? ”
“Ma no Titti, non ti preoccupare, vorrei tanto essere io al tuo posto con un maschio come quello”
Così, all’arrivo del cameriere che portava i caffè, noi ci alzammo con la scusa di andare in bagno e, mentre uscivamo, vedemmo Titti che, come per caso, faceva scivolare un seno fuori della scollatura. Chiudemmo la porta ed andammo in bagno, per ingannare l’attesa e sfogare l’eccitazione che si era impossessata di noi ci abbracciammo carezzandoci e scambiandoci un lunghissimo bacio con le lingue che si avvinghiavano ed esploravano l’una la bocca dell’altra. Poi scoprii un seno della preside e presi a succhiarglielo, mentre le infilavo una mano sotto la gonna masturbandola velocissimamente e facendola venire quasi subito. Lei si accucciò avanti a me, scostò il perizoma e m’infilò tutta la lingua nella passera prima di cominciare a leccarmi la clitoride come una forsennata. Anch’io ci misi poco a venire e giudicammo che fosse il momento giusto per rientrare.
Nella nostra saletta, come avevamo sperato, la situazione era scappata dal controllo: trovammo Titti col seno e le reni scoperte, accucciata davanti al cameriere seduto sul divano, che spompinava un cazzo di almeno venticinque centimetri.
Sussurrai alla preside di prendere la macchina fotografica e mi avvicinai a Titti per carezzarle la schiena. Il mugolio che emise, mentre si affondava quel bellissimo cazzo in gola mi fece capire che gradiva e l’occhiata che mi scoccò subito dopo me lo confermò.
M’inginocchiai al suo fianco e cominciai a carezzarla tutta: spalle, seno, pancia, fino a far scivolare una mano tra le sue bellissime cosce. Le presi la clitoride tra pollice ed indice e strizzai: lei soofocò l’urlo affondandosi il cazzo in gola e mi guardò poi aprì meglio le cosce in un muto invito. Cominciai a carezzarle la figa, fradicia d’umori, affondai in lei un dito e poi un altro e la lavorai per un po’, finché non la sentii ben aperta, aggiunsi un altro dito e la sentii cedermi e spingere in dietro la figa. Mi alzai, la presi per i capelli, la feci girare verso di me e le tirai la testa tra le mie cosce: la sua lingua si impossessò immediatamente della mia clitoride, leccandola con una delicatezza ed una voluttà che mi stordirono. Feci segno al cameriere che si inginocchiò dietro di lei e le affondò nella figa quello splendido cazzo. La preside intanto aveva preso la macchina fotografica ed aveva iniziato a scattare foto senza farsi notare. Andammo avanti così per un po’ e quando sentii l’orgasmo montare feci segno di nuovo al cameriere che estrasse il cazzo dalla figa di Titti, le aprì le chiappe, le poggiò il glande sullo sfintere e spinse sprofondando in un sol colpo nel suo intestino. Titti affondò ancor di più il viso nel mio pube e morse la clitoride: il dolore scatenò il mio orgasmo, afferrai i suoi capelli tenendola stretta a me, poi mi accasciai a terra. Un attimo dopo anche il cameriere si svuotava dentro Titti che venne godendo con un lungo ululato.
L’attirai a me, stese una di fianco all’altra, seno contro seno, ci abbracciammo chiudendo gli occhi senza sentire nemmeno il cameriere che si rivestiva ed usciva salla stanza.
Fu la preside a richiamarci; ci alzammo in silenzio, ci rivestimmo e tornammo verso casa; lasciata la preside, accompagnai Titti. Ci fermammo sotto casa sua, l’attirai verso di me e le infilai la lingua in bocca in un bacio lunghissimo poi le detti la buonanotte e lei scese sorridente e frastornata.
Il mattino dopo telefonai alla preside per dirle che secondo me non ci sarebbe stato bisogno di utilizzare le foto e che Titti era il più bell’animale da letto che avessi mai conosciuto.
Lei era perplessa, si era resa conto che tra Titti e me era scattato qualcosa ma non riusciva a capire bene, si sentiva esclusa e, in fondo, temeva di venir emarginata. Ma non era questa la mia idea e cercai di tranquillizzarla. Ci lasciammo promettendoci che la prima che avesse sentito Titti avrebbe avvisato l’altra.
Passai la giornata a prendermi cura di me, mio marito era via per lavoro ed io ero sola in casa.
Alle cinque squillò il telefono ed era lei:
“Ciao! ”
“Ciao Titti, come va? ”
Dall’altro capo del filo il silenzio
“Titti? Che c’è? ”
“Mi sono innammorata di te! ”
“Vuoi venire qui? ”
No, non ci sarebbe stato bisogno delle foto. FINE

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