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Scoprirsi schiava

è marzo, oggi piove e non avrei nessuna voglia di viaggiare in auto per lavoro, sarebbe molto meglio starsene in ufficio, invece mi ritrovo a percorrere molti chilometri passando da un cliente all’altro per riparare i loro personal computer.
Mi fermo a pranzare in un ristorante e l’umore è ormai sotto la suola delle scarpe, sono stufo di sentire commenti lagnosi di altrettanto lagnose e insulse segretarie.
E così sorseggiando il caffè e fumandomi una sigaretta, trovo un attimo di relax, estraniandomi dalla realtà e ripensando alla mia ultima schiava, a come l’avevo addestrata, come l’avevo cambiata, a tutte le pratiche a cui l’avevo sottoposta e all’ottimo risultato ottenuto, prima di disfarmene per noia.
Accidenti sono ormai quasi tre mesi che non ho una schiava e il mio istinto di Master comincia a pretenderne una.
La cameriera mi porta il conto e il brusco ritorno alla realtà mi irrita, anche perché mi accorgo di essere molto sovraeccitato per tutti i ricordi che ho richiamato nella mia mente.
Mi fumo un’altra sigaretta per calmarmi, pago e ritorno in auto per andare dall’ennesimo cliente.
Ma i ricordi, l’astinenza del mio io e l’eccitazione non è passata, continuo a ricordare e a progettare l’addestramento della prossima schiava, spingendomi sino a confini estremi e passando da un sogghigno di sadico piacere ad una risata per l’impraticabilità delle mie fantasie.
Mi dico che chissà quanto tempo passerà per trovare un’altra schiava e mi disilludo ripiantando i piedi per terra cercando di sopire il mio istinto.
Finalmente sto arrivando dall’ultimo cliente, non vedo l’ora di finire giornata e tornarmene a casa.
Parcheggio e cerco il campanello, ah eccolo. Si tratta di un piccolo ufficio di contabilità, sono le 17: 00 e spero che non mi risponda nessuno, in genere a quell’ora dovrebbero aver già smesso di lavorare. Le mie speranze sono ben presto rese vane, da una voce al citofono che rispondendo apre il portone e mi invita a salire.
Salgo le scale con la mia valigetta di attrezzi, già convinto di trovare l’ennesima segretaria stacanovista in vena di stupide domande sul perché il computer non funzioni più.
Arrivo alla porta dell’ufficio e mi ritrovo davanti una donna sui 28 anni, mora, non bellissima in viso ma particolare. Fisicamente è molto attraente, forse anche grazie al vestito che termina con una minigonna. La fisso un attimo e dopo i soliti saluti di rito comincio a lavorare sul computer.
Lei è dietro di me, osserva il mio operato senza proferire parola, sino a che con un tono gentile mi chiede se gradisco un caffè. Mi giro verso di lei annuendo. Arriva con un piccolo vassoio, alcune bustine di zucchero e un bicchierino di plastica tipico delle macchinette. Bevo il caffè sorseggiandolo e prendendomi una pausa dal lavoro. Questo fa si che cominci una conversazione.
Mi racconta tra le altre cose di essere rimasta sola in ufficio per portare avanti dei lavori arretrati e di avere una certa paura ad ogni minimo scricchiolio. Sorrido e ironicamente le spiego che la mia presenza l’avrebbe tranquillizzata. Lei annuendo, quasi mi ringraziò per la mia presenza elogiandomi con parole del tipo
“meno male che è qua lei” facendomi capire che per lei ero una persona di fiducia, anche se non mi aveva mai visto prima, ma solo per il fatto di provenire da una ditta per ripararle il computer, piuttosto curioso pensai.
Fu in quel momento che il mio istinto di Master tornò prepotentemente ad annebbiarmi il pensiero.
Mi voltai di scatto verso il computer riprendendo il lavoro per sopire nuovamente le mie pulsioni, ma un commento ironico mi scappo dalla bocca,
“e chi lo ha mai detto che io sia una sicurezza? “. A quelle parole, la ragazza mi domandò il perché di quella mia affermazione.
Disubbidii alla mia ben radicata riservatezza, oramai in balia di tutte le mie vere pulsioni, facendo crollare la maschera e mostrando il mio vero io in tutto il suo splendore.
Le chiesi se sapesse cosa fosse un Master. Lei non capiva cosa fosse o cosa volesse dire, così lo spiegai a grandi linee. Lei dapprima rimase catturata dalla lezioncina, poi scoppiò in un ironico sorriso dicendomi che questo mondo, queste pulsioni da me descritte non potevano esistere e mi fece capire che aveva interpretato come uno scherzo una presa in giro.
Mi alzai, le presi i capelli che portava raccolti a coda di cavallo stringendoli il giusto da provocarle un po’ di dolore, tirai indietro la testa e le misi l’altra mano sul cuore, sfiorando il seno.
Le sussurrai all’orecchio,
“ti batte forte il cuore, come mai? Paura o eccitazione? “, lasciai la presa e feci un passo indietro fissandola negli occhi. Osservai il suo stupore e la sua paura, ma stavolta io con fare ironico e rassicurante, quasi avessi voluto scherzare, le confermai che quel mondo, quelle pulsioni che ignorava esistevano realmente. Si riprese immediatamente e con fare molto timido, forse spaventato, mi tempestò di domande riguardanti i Master, le schiave, il sadomaso.
Risposi a qualche domanda poi mi spazientii e bruscamente le ripresi i capelli tirando nuovamente la testa all’indietro. La spinsi qualche metro più in la su una scrivania e le sussurrai che sarebbe stata la mia schiava per un po’. La baciai entrandole in bocca con la lingua e sentendo la sua che mi cercava, alzai la gonna e sentii un clitoride caldo e umido, già pronto. Sorrisi e le dissi
“vedi sei una troia in calore anche tu” mi distaccai e le ordinai di spogliarsi. Lei lo fece arrossendo tra un timido sorriso e qualche espressione imbarazzata e preoccupata. La feci voltare e piegare sulla scrivania, con le mani aprii le sue grandi labbra, penetrandola con un dito che la fece sobbalzare e gemere di piacere.
Le ordinai di masturbarsi penetrandosi con due dita, obbedì. Presi un righello da un’altra scrivania e comincia a percuoterle le natiche con tutta la forza che avevo, facendole ben presto arrossare vistosamente. I colpi erano seguiti da gemiti di dolore ma anche di piacere, sino a che non venne con un gemito più forte degli altri. Si rialzò, si girò verso di me e senza attendere che fosse completamente girata la spinsi in ginocchio di fronte al mio pene vigoroso e pulsante.
Le ordinai bruscamente di succhiarlo, imboccandoglielo. Quando raggiunsi l’orgasmo e il primo schizzo di sperma le arrivò in gola, ebbe uno scatto per retrarsi, ma presa per i capelli le spinsi le labbra sino alla radice del mio pene, facendole ingurgitare tutto il mio piacere.
Mi ricomposi con distacco ma con soddisfazione, presi la mia valigetta di attrezzi e mi incamminai verso la porta per andarmene. Lei mi fermò dicendomi di aver avuto l’orgasmo più grande della sua vita, che si sentiva porca e che questo le piaceva un sacco.
Me ne andai dicendole
“ora che hai scoperto la tua natura di schiava, segui la strada che preferisci…. “. FINE

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