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Teatro Odeon

Sto frequentando l’ultimo anno del liceo, ho compiuti 18 anni due mesi fa, sono perciò in perfetta media scolare, oggi avrei dovuto avere lezione anche di pomeriggio ma il prof s’è ammalato e le lezioni non si terranno
sono ovviamente contento ma non so cosa fare fino alle sette di stasera quando partirà la corriera per riportarmi al paese.
Conto le poche lire che ho in tasca, posso permettermi di andare al cinema, al teatro Odeon, dove proiettano un film hard, faccio il biglietto per i palchetti del loggione risparmiando qualche soldo, entro, e siccome da mezz’ora mi porto dietro la necessità di farmi una pisciata, mi dirigo subito verso i gabinetti.
Un signore di spalle e a gambe larghe sta facendo la pipì in uno degli orinatoi e il “gracchiare” della porta lo fa voltare, lo conosco di vista, lo vedo spesso sulla mia stessa corriera… si rigira, ha l’uccello fuor dalla patta, pendoloni, scappellato, che fa saltellare con le due dita che gli tiene sotto mettendolo “in vetrina” per i miei occhi in transito… mi chiudo in fretta nell’unico cesso che c’è evitando gli orinatoi dove non riuscirei a far pipì con quel signore che fa ballar l’uccello sotto i miei occhi che non lo guardano ma “lo vedono”.
La cosa mi ha colpito e turbato molto scatenando un temporale nel mio cervello, una tempesta nel mio petto e un tornado non so bene “dove” e “perché”.
Quell’uccello così bene e sfacciatamente esibito, “coso” di cui vergognarsi e da tenere nascosto alla vista di chiunque secondo me, diciottenne timidone e ancora non scafato come converrebbe, perché quel signore, che mi era sempre sembrato tanto educato, me lo ha messo “sotto il naso”? , perché non se ne vergogna? .
Faccio la pipì con difficoltà, esco tremebondo… “il signore” è ancora lì, ma adesso spalle ai cessi e fronte a me che continua a far ballonzolare l’uccello ora molto più lungo, grosso e duro di prima…
Guardo dritto davanti a me, ma i miei occhi “lo” vedono benissimo e mi rimane fotografato dentro, dove imperversa un tornado.
Lo sguardo e l’uccello del signore seguono il mio passare, il mio uscire dai gabinetti come il fiore del girasole segue il sole.
Crollo affranto sulla panchina imbottita di velluto rosso e liso di un palchetto del loggione vuoto e m’appoggio alla balaustra, “non vedo” il film in proiezione malgrado sia porno e mi “tiri” parecchio, finisce il primo tempo, si accendono le luci, guardo in giro, i palchetti sono quasi tutti vuoti mentre gente in più siede invece in platea, i miei occhi cercano di toglierselo dalla retina, il mio cervello cerca un sollievo ad una certa angoscia… vedo “il signore” affacciato ad un palchetto un po’ più in là e mi tranquillizzo, ma il suo sguardo “cerca”… cerca affannosamente… me? e annaspo in uno strano turbamento.
Le luci si spengono, il brusio s’acquieta, la proiezione riprende.
“La coda” del mio occhio lo percepisce già seduto all’inizio della panchina, è arrivato silenzioso come un fantasma, fingo di non accorgermi di lui, guardo troppo intensamente lo schermo sul quale non vedo proiettato niente, non sento i dialoghi, sono immobile come una giovane preda indifendibile, l’unico modo forse per cercar di sfuggire alle attenzioni del predatore, non muovo un solo muscolo mentre i miei occhi si fanno strabici per poter guardare sia lo schermo che “in quella direzione”.
“Lui” è fuori dalla patta aperta tra gambe divaricate, sussulta e penzola sempre meno verso il basso, si fa sempre più lungo, grosso, duro, alto e… vicino ed io sono paralizzato… il signore scivola sul velluto rosso e liso della panca sempre più verso di me, impercettibilmente, lentamente, costantemente.
La gola mi si è chiusa ed il mio cervello rigurgita in un lampo tutti i pericoli e le raccomandazioni con i quali lo hanno riempito fin da bambino.
Una specie di paura mi tiene inchiodato, immobile, preda fiutata, “condannata”.
La sua mano si posa sulla mia coscia, striscia lieve verso la mia borsa, verso il mio pisello, me lo accarezza da sopra i calzoni e quello scemo che ho lì sotto invece di nascondersi si erge impettito e “il signore” – con delicatezza piumata, quasi senza toccarmi – m’apre la patta, insinua le dita in lei, poi nella fessura degli slip, mi cattura l’uccello duro, me lo tira fuori, me lo “unge” con la mano insalivata, me lo scappella e mena “educatamente”, lievemente … una sega divina che mi fa tremare, molto, troppo più bella e gustosa di quelle che mi faccio io, sempre una al giorno, spesso due, a volte tre… mi fa godere troppo, vorrei urlare, ma sono al cinema, tra la gente… mamma che piacere muto!
Sono tesissimo, eccitatissimo, ho muscoli, cuore, nervi, mente, e voce, tutti i sensi immobilizzati dal terrore del peccato… un tremore incontrollabile da gusto troppo violento, sfrenato mi percorre in lungo ed in largo, mi percuote, mi fa rabbrividire… sento che sto per venire ma non voglio che accada per non peccare ancor di più, com’è bravo, come me la fa bene, altroché le seghe quotidiane che mi faccio io stimolato dalla fantasia, o dalle foto dei giornali porno, o dal film che sono venuto a vedere apposta, o da qualche troietta quando capita, e vorrei non finisse più… là sotto di me dentro le palle gonfie si sta accumulando il seme che vorrebbe schizzar fuori dal mio uccello mai stato tanto duro e così ben menato, e comincio a dimenticare il peccato…
La sua mano libera guida la mia docile fino sul suo uccello… oooh com’è grosso, lungo, duro, “unto”… lo fascio con la mia mano a sua volta fasciata dalla sua, com’è bello lasciarla guidare, farla scivolare lungo “tanto” cazzo, che piacere di possesso mi dà il fargli una sega! , la mia mano gode lungo e attorno al pisellone, il mio uccello si gode la gran sega ed è Piacere folle, Gusto pazzo, e il peccato non è più, sono avvolto in un “qualcosa” dove non ci sono confini, realtà, volontà.
I miei pantaloni e slip sono ammucchiati sull’assito del palchetto, attorno ai miei piedi, sono trapassato da scariche di corrente ad altissimo voltaggio, sono incastrato fra le sue cosce, dita “unte” mi spalancano le culatte, mi palpano e mi ungono “il buco del”, “gli” fanno un ditalino, noooo ! , questo è un peccato mortale… “ruba” il suo uccello alla mia mano, lo fa scivolare fra i miei panetti di “burro fuso”, la sua cappella cerca, trova si poggia alla, spinge sulla, entra facilmente e piacevolmente nell’asola del mio culo, sìììì, è tutto quanto nel mio culo! , e quasi stritolo la balaustra alla quale sono avvinghiato “alla pecorina”, un mantello d’oro come il gusto che provo, nero come il peccato che temo, mi avvolge stretto o mi fascia lieve dalla testa imbalsamata nel Piacere fino alle unghie e ritorno.
Vorrei gridare la mia beatitudine, la mia gioia, il mio grazie a tale e tanto “miracolo”, l’orgasmo che mi sconquassa “davanti” fa sparare dalla bocca del mio pisello violenti schizzi di sborra che si infrangono contro la balaustra, quello che mi sconvolge il “didietro” posseduto dal pisello del signore enormizza il mio Gusto totale… sììì… come sarebbe bello poter ululare, perché è bello godere “così”! … “così” come? , con l’uccello del signore che sta venendo, godendo nel mio… e avvampo di disgus… non sono io… no, non è mio il culo che gode tanto, “io e lui” non dobbiamo, non possiamo “essere così”, godere così violentemente e peccare mortalmente… mammamiaaaa che gustoooo…
In Paradiso non alberga il peccato.
“Uccellone” pulsa, riposa, “riprende fiato”, diventa morbido… il mio culo, spaventato dalle misure che di colpo ricorda è certo di non essere così largo da abbracciarne la circonferenza, di non essere così profondo da contenerne tutta la lunghezza, di non essere tanto morbido da carezzarne la durezza e si azzarda a provar di fuggire dal peccato, “ma chissà quanto dolore dovrà patire” penso angosciato mentre lo sfilo cauto, apprensivo, dalle palle fino alla cappella… che piacere! … piacere? , ma allora? e il mio “buco del” diventa curioso, coraggioso e allora “torna indietro” scivolando attorno e lungo di esso fino alla borsa… “curiosità vai avanti”, “coraggio, torna indietro”… “avanti-indietro adagio”, “al passo”, “di corsa”, un gioco folle, spasmodico, un gusto sempre più intenso, poi totale, il signore seduto sul velluto liso della panca guida “a mano” i miei fianchi e insegna al mio culo a scivolare sù e giù lungo il suo pistone e “lui”, quel birichino, “si prende delle confidenze” e… “lo sfida”.
Ma il signore non sopporta “l’affronto”, mi rimette alla pecorina, mi aggrappo alla balaustra, attanaglia i miei fianchi con mani decise, mi incula, mi incula, mi incula… “viene”, schizza e ribadisce nel mio culo – con maestose uccellate – tiepidi, lubrificanti malloppi di sborra e gode tanto, ma non godrà mai quanto me… sono immerso in un’estasi totale! , i titoli di coda del film corrono sullo schermo… film? … che film? …

Nel mio solitario, muto, lento camminare verso la fermata dell’autobus provo a parlare con me stesso, a farmi domande, a darmi delle risposte, ad assolvermi, a condannarmi, ma non ce la faccio.
Colpe, meriti, virtù, vizi, dubbi, certezze, paura, coraggio… verità, bugie, il peccato, la vergogna, il piacere, il desiderio di rifarlo subito e mai più si spintonano creando una confusione inestricabile, impossibile da governare.
Solo lui, il mio culo, non si lascia coinvolgere e trascinare nella bagarre, nuota ancora in un mare di gusto “spolverizzato” da un bruciorino quasi dolce, appena accennato… dubbi sornioni e lievi lo fan palpitare, gli fan chiedere dei perché, a se stesso, ma anche a me… io a me stesso, ma anche a “lui”.
Perché un pisello così grande era entrato tanto facilmente dentro di “lui” pur essendo vergine? , perché era stato così facile, “piumato” il ferreo e sfrenato correre avanti-indrè “dentro di lui” dell’uccellone del signore? , ed io perché avevo goduto così tanto a farmi inculare? , perché a tal proposito mi avevano raccontate tante bugie, mi avevano inculcate tante paure? , perché “il signore” aveva voluto incularmi, godere e venire nel mio culo quando avevo sentito dire in corriera che ha per moglie una gran bella gnocca? … possibile che il mio culo sia più… bello e desiderabile di una bella figa?
Il mio culo ed io non ci rispondemmo ma ci rilassammo felici, lui di custodire dentro di se il “miele” lubrificante del signore, io con la certezza che il mio culetto è “una cosa” grande, importante, primaria proprio perché con lui ho goduto “troppo”, e quando si prova tanto e tal piacere “non si può che essere nel giusto”, nella verità… e mi pare di avercelo ancora dentro, lo sento reale, cammino, stringo e rilasso gli sfinteri… e godo, e non ho più dentro di me il tetro, doloroso senso della vergogna, del peccato e del rimorso.
Ma eccomi alla fermata della corriera, sono le sette meno venti e c’è già gente in attesa che si fa sempre più numerosa.
“Il signore” arriva dieci minuti dopo, parla coi suoi conoscenti, io con i miei compagni “non hai avuto lezione? , che culo! “, ecco, appunto, ma arriva il bus che viene preso d’assalto.
è stracarico come sempre, di impiegati, di operai, di studenti.
Siamo fitti come le sardine noi che siamo rimasti in piedi, la corriera parte, il controllore si fa largo a suon di gomitate e di spintoni presi e dati.
Nella ressa “qualcosa” si muove dietro di me, contro il mio “lui”, è… “l’altro”.
Il mio “lui” gli… “sorride”, “l’altro” se lo struscia carezzante.
Oggi m’ha fatto dimenticare gli anatemi del prete (gay).
Gli “avvisi di pericolo” e le raccomandazioni dei miei.
Le dotte elucubrazioni socio-morali degli educatori.
I sussurri scandalizzati delle beghine e dei baciapile.
I lazzi di quelli che voglion nascondere la verità.
Le barzellette, gli scandali, l’infamia propagandata da tutti quelli che non hanno il coraggio di traghettare e godere “sull’altra sponda”.
“Grazie o uccello del signore! ” di aver fatto provare al mio culetto un Piacere talmente intenso e grande da sembrarmi ancora impossibile, da darmi la certezza della sua meravigliosa unicità!
Il prete, i miei, gli educatori, gli amici etero (che ignoranti! ), i pudibondi, tutti mi hanno riempita la zucca di balle!
Una fermata dopo l’altra e la corriera arriva al mio paese.
Ferma, scendo senza avere il coraggio di volgermi indietro, verso il signore, “colpevole” di aver aperta in me “la Via del Piacere” che secondo insegnamenti e raccomandazioni avrebbe dovuto restare chiusa per sempre, meritevole di avermela “inaugurata ed aperta al traffico”, fatta scoprire “troppo” goduriosa.
Saluto gli amici che si stan sparpagliando in direzione delle loro abitazioni, è ormai buio, sono finalmente solo e traggo un lungo sospirone di sollievo perché mi sento protetto e perciò libero di poter gioire apertamente del mio segreto, di fischiettare allegramente, di compatire i miei amici “che non sanno quanto è bello”! , di stringere ed allentare ritmicamente gli sfinteri attorno al “sogno di cazzo” che mi pare di avere ancora nel culo, culo che adesso “so di avere, che sento vivo”, servo felice del mio e dell’altrui piacere e sono orgoglioso che sia stato cercato, voluto, palpeggiato, leccato, “scopato”, goduto e fatto godere… “lui” palpita ancora di gioia, io continuo a “giocare” con gli sfinteri e “lui” addirittura rigode!
L’importanza del mio membro che credevo unico datore di piacere sta già scemando mentre sale quella del mio “didietro” che fino ad oggi non mi ero nemmen accorto di avere, del quale “non sapevo niente”, “una cosa” senza alcun valore, forse addirittura da schifarmene.
Ceno “tra le nuvole”, fingo di fare i compiti, vado a letto, provo a farmi la solita sega, ma non sa di niente, le dita della mia mano libera vagolano fra le mie chiappe, palpeggiano curiose l’asola che già sogna di “abbottonare” il cazzo del signore… una falange… un dito entra in lui, sostituisce ben altra… “cosa”, mima una inculata e la mia sega migliora un po’, ma godo troppo poco.
Devo alzarmi e accendere la luce, mettermi di sguincio di fronte allo specchio, alla pecorina a rimirarmi e carezzarmi culo e “buco del”, a pavoneggiarmi del mio culo: sì, ho un bel culo, più bello della bella figa della bella moglie del signore!

Giovedì pomeriggio ore 15, mi sto dirigendo verso la scuola, provo un violento tuffo al cuore perché i miei occhi sono fissi in quelli del signore.
Un attimo eterno.
Si volge e si incammina, lo seguo trasognato in una direzione che non è quella della scuola.
Sono seduto sul velluto rosso e liso del panchetto di un palco del loggione del teatro Odeon, accanto al signore, che mi palpeggia pistola e culo, io carezzo il suo membro e sono già quasi in Paradiso, ma eccomi fra le sue cosce, abbrancato alla balaustra, alla pecorina, il suo alito tiepido fruscia fra le mie culatte spalancate, la punta umida della sua lingua vagheggia sulla mia asola ungendola con la saliva, facendomela morir di voglia, ma io non devo volerlo perché dopo la prima volta – giorno e notte dopo giorno e notte – mi sono ripromesso e giurato che non lo avrei più fatto, che sarei tornato “sulla sponda giusta”… ma intanto mi lavavo, profumavo, carezzavo e tentavo con il medio, mi ammiravo allo specchio “culo e buco del”, mi facevo seghe sempre più fallimentari e facevo finta di non sognare di farmi inculare dal pisellone del signore… che mi sta improntando la cappella nel culo, piantando l’uccello nel culo e un subitaneo, languido piacere si irradia da “lui” fino all’ultima delle mie cellule… i suoi peli frusciano fra le mie culatte, la sua borsa pigia contro la mia, mi incula, mi fa godere troppo! , gode troppo! , sborra… sborro… il “sogno” che ho dentro di me smette di incularmi e farmi godere solo mezz’ora prima che parta la corriera… purtroppo!

La settimana dopo: nella penombra variabile causata dalla proiezione del film mi abbasso sulla patta del signore a curiosare misure, fattezze e durezza del suo erto pisellone, una sua mano carezza il mio tondo, sodo e morbido culo nudo, il mio incantato “buco del”, l’altra si poggia sul mio capo e lo preme verso il basso… il mio volto ubbidiente cala fra le sue cosce, contro la vitrea, rosea, vellutata cappella con la quale “spennella” le mie labbra… bussa tentatrice su di loro che si aprono a lei titubanti, ma di già golose.
La mia bocca, impacciata, la accoglie, è grossa, dolce, morbida, ma la mia bocca di maschio “non sa cosa fare”, come la mia lingua, sì, perché solo le bocche e lingue delle femmine sanno cosa e come fare con i membri dei maschi… il signore “scopa” delicatamente la mia bocca, scivola brevemente e lievemente fra le mie labbra, nella mia saliva, mi “istruisce alla voce” sussurrandomi cosa fare con labbra, lingua, denti, come “pomparlo” fino al palato… mi piace così tanto che imparo subito… godo sempre di più, gode, viene, sborra, placa le mia sete con il deliziante sapore del “peccato orale”!
Il “Signore” mi farà in seguito avvoltolare nei e godere di tutti i peccati che possono essere commessi da un adulto e da un ragazzo su una panca ricoperta di velluto rosso e liso di un palco di terz’ordine del teatro Odeon: un pomeriggio a settimana, per un intero anno scolastico?

A scuola. Orazio, “il ripetente”, un ragazzo strano, un matto che nessuno prende sul serio: genitori, amici, compagni di scuola o insegnanti che siano, è stato compagno di banco (partendo dal primo) di tutti, è finito all’ultimo e solo.
Oggi compito in classe di matematica.
Il professore mi coglie (non lo avevo mai fatto! ) a copiare da un compagno e mi caccia all’ultimo posto, vicino allo svogliato Orazio che ha già consegnato il foglio in bianco, a lui non glie ne frega niente di niente.
Ha la patta spalancata dalla quale emergono borsa ed uccello che sta bellamente palpeggiandosi, guardo sorpreso “la scena”, ma invece di reagire con sdegno e di denunciare il fattaccio facendo la spia come avrei fatto “prima” e come lui si aspetta, gli sorrido comprensivo.
Il mio inatteso comportamento lo stordisce, mi guarda incredulo, ma io lo incito addirittura a continuare facendogli l’occhiolino e un cenno d’intesa, prende coraggio, rende sempre più evidente la sega che sta facendosi mettendo in mostra una grande capacità “manuale”.
Ma si interrompe e lascia il suo bel cazzo giovane e duro lì, così e solo ancora pieno di voglia e di seme da sputare, poi mi aiuta a fare il compito dandomi i giusti suggerimenti (questa poi! … e da un “somaro” di vent’anni come lui”).
– Ti piacerebbe fargli una carezza come quando eravamo bambini e giocavamo al dottore scambiandoci uccellini e seghe cercando di godere di più e sognando che fosse la mano di una femmina o addirittura una figa? … prendilo in mano… dai… – mi sussurra appena.
Sono paralizzato, prende con la sua la mia mano, la posa sul suo duro pisello, glie lo stringo forte-forte… e il mio culo “mi costringe” a fargli un accenno di sega, poi ritiro la mano vergognoso, come se il cazzo del mio compagno scottasse d’inferno, scombussolato “dal fattaccio”, consegno il compito, ma manca ancora mezz’ora alla fine del tempo concesso.
– Voi due che non avete niente da fare, fuori! , sennò finisce che disturbate gli altri! – ci ordina l’insegnante.
Dopo tre minuti siamo nel luogo più classicamente frequentato dagli studenti che non sono nelle rispettive aule: nei cessi.
Mi ha messa una mano protettiva sulla spalla, lo seguo docile dentro un d’essi che chiude a chiave, abbassa pantaloni e mutande, poi i miei, gli prendo il pisello in mano, glie lo scappello, gli faccio una sega, estrae il mio, mi fa una sega, il suo uccello diventa sempre più lungo, grosso e duro, il mio resta “a mezza via” mi guarda perplesso, la sua mano abbandona il mio insulso cazzetto e si posa sul mio culo, cerca e trova il mio “buco del”, mi ri-guarda titubante, me lo palpeggia, vezzeggia, “sditalina”, faccio cadere a terra pantaloni e slip, mi piego e appoggio alla tazza, guida il suo uccello “dove” lo voglio, me lo pianta nel “dove” con dolcezza infinita, mi incula… ma “solo per cinque minuti” meravigliosi, ammalianti, gustosi, ed ecco che viene, gode, sborra nel mio culo e il nuovo, sublime Piacere che mi avvolge e sconvolge sa di immenso!
Vocazione, riconoscenza, estasi, complicità, amicizia, gratitudine, gran gusto da atto sessuale, sono dentro di me, li leggo stampati nei suoi occhi sgranati, sul suo volto arrossato, sudato, stravolto, nel suo ansimare, li celebriamo dentro noi stessi.
La sua e la mia lingua, due manguste che scattano, s’allacciano coinvolgendo strettamente quattro labbra, due bocche e nasce un bacio d’amore… “amore” nel cesso di un liceo…
Cinque minuti, tutta la mia vita.
Tutti i decenni, gli anni, i mesi, i giorni, le ore, i minuti di prima, di adesso e che verranno sono e saranno solo una parentesi insignificante.
Oggi ho tagliato un traguardo, vinta una tappa decisiva nella gara verso la conoscenza del piacere carnale, sessuale, perché “non è solo” carnale, sessuale, “ma anche”.
“I fatti” precedenti – pur essendo ancora così vicini nel tempo date le mie giovani esperienze – sono tutti dimenticati.
I racconti erotici bisbigliati in segreto dagli amici più grandi, le fantasie, i sogni, le susseguenti seghe… spiare i grandi l’occhio poggiato al complice buco della serratura e seghe… i maldestri tentativi con le acerbe, ombrose, stronze coetanee e seghe… i giornaletti ed i film porno e seghe.
Poi, l’incontro fortuito e fortunato con l’uccello ballonzolante del signore, la discreta complicità di un palco garchonniere del teatro Odeon testimone del mio subitaneo, enorme Piacere goduto “in quel posto” già dal primo avanti-indrè di un cazzo proprio “dove” non avrei mai dovuto lasciarlo entrare, “l’assaggio di un sapore nuovo” che mi ha ubriacato di dolcezza pazza da subito…
Storia di un paio d’ore di tutti i giovedì pomeriggio, del signore e mia, e di “quel piacere” ormai non più rinunciabile perché per me unico vero, ma che per essere totale ha bisogno di Orazio.
Ma oggi è stata tutt’altra Storia, breve, di cinque soli minuti, inattesa, una sorpresa assoluta, ma hanno goduto anche il mio cuore, il mio cervello, i miei occhi, i miei sogni… ha goduto totalmente il mio corpo, “diventato tutto e solo culo” fatto dall’uccello divino di Orazio, fasciato dalle avvolgenti braccia, palpeggiato dalle calde mani, dilettato dai sussurranti inni al piacere cantati dalla bocca di Orazio, pur se non ha retto il paragone che ho fatto con la bravura, l’esperienza, le misure, la durezza, la ferrea resistenza, la scaltra “sapienza” del grande uccello del signore.
“Oggi” in realtà è un dì trascorso da un sacco di tempo e posso raccontare il seguito, ricordare le tappe successive, l’evoluzione degli accadimenti.
Rientrati in classe Orazio non ha più fiatato e alla fine delle lezioni non mi ha neanche salutato, sgomentandomi, scomparendo.
Il giorno dopo è venuto a scuola ordinato, con i libri, i compiti fatti e pure bene, è stato uno studente modello.
Professori e compagni son quasi ammattiti.
Tutti ci aspettavamo che fosse la sua ennesima bravata di un giorno e invece restò (miracolo) studente modello, e per sempre!
Io intanto ero sempre più innamorato e angosciato.
Orazio non mi parlava, non mi guardava più.
Nove giorni dopo me lo sono trovato accanto, sul marciapiedi, cento metri dopo l’uscita dalla scuola.
Senza guardarmi, balbettando, mi ha sussurrato: – I miei lavorano tutti e due anche di pomeriggio… sono sempre solo… verresti a… a studiare da me? –
Non ho avuta la forza di rispondergli mentre avrei voluto urlare a lui ed a tutti, a squarciagola: “Sììì! “, gli ho solo fatto un cenno di assenso con il capo ed ero gia stanco morto.
Era di giovedì e per la prima volta “marinai” la panca garchonniere ricoperta di raso rosso e liso di un palco dell’Odeon.
Studiammo e ci scambiammo carezze e baci, studiammo e mi inculò… mi inculò e godemmo, tanto… al bagno gli lavai, asciugai e sbaciucchiai l’uccello, mi lavò, asciugò e sbaciucchiò “il buco del” che lui battezzò “la tua bella figa” e il pisello che lui definì “il tuo grilletto”, nel suo letto gli feci un bel pompino beandomene pazzamente, mi leccò “figa e grilletto” e mentre mi veniva in gola dolcificandomela col miele (da sotto in su) le mie lacrime di gioia piovevano su ed irrigavano le sue palle mentre goccioloni di mio latte colando dalla… “bocca del mio grilletto” gli irrigavano le mani.
Facemmo bis di tutto, godemmo tanto, godemmo sempre, di-vi-na-men-te!

Abbiamo presa la maturità, ci siamo iscritti all’Università e ci siamo laureati regolarmente.
Lavoriamo: io in un ufficio privato, lui in uno pubblico.
In casa, di giorno, ci dividiamo compiti e doveri: come tutti.
Fuori ci divertiamo a passeggiare, a fare shopping, in discoteca, a teatro, al bar, in gita, in ferie, allo stadio: come tutti.
Qualche volta lo “tradisco” con una femmina, così, tanto per provare un ritorno verso “sponde” che non mi sono più consone, ma lui mi perdona subito e sempre perché – dice – “ti sei concessa una semplice… lesbicata”, talaltra è lui che mi “tradisce” con una figa delle solite, ma se vuol godere veramente corre subito da me ed io lo perdono volentieri: come capita a e fan tutte.
Di notte, a letto, accomuniamo organi sessuali e piacere: come tutti… e godiamo come nessuno!
E sono e saranno anni colmi di Piacere sessuale, d’Amor platonico, di Felicità vera, TOTALE.

Caio Sempronio, amico intimo di Babele. FINE

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