Fuggire da Malnate

L’aria calda saliva dall’asfalto, lasciando senza respiro Marcello che barcollava cercando di raggiungere la sua auto. Era ubriaco. Un’altra volta. Da qualche mese era sempre la stessa storia. Appoggiandosi al muro e trascinando le gambe arrivò fino alla sua Uno e perse qualche secondo a trovare la serratura. Sedette ed aspettò che la testa finisse di girare nel vortice dell’alcool, ma niente da fare, quella sera sembrava non voler smettere. Aveva vomitato già due volte, nel cesso del locale e appena uscito dalla porta, ma il suo stomaco chiedeva ancora pietà. Era solo venerdì e mancava ancora tutto il week-end, un lungo sabato e una domenica ancora peggiore. In settimana riusciva a controllarsi un poco di più, il lavoro gli teneva occupate le ore centrali della giornata e non poteva certo girare per i bar, ma alla sera e durante i fine settimana non aveva freni. Iniziava a bere il venerdì sera e senza rendersene conto si svegliava il lunedì mattina, sentendosi come uno straccio col pensiero di cominciare un’altra settimana che lo faceva stare ancora peggio. Viveva da solo, i suoi genitori erano morti tre anni prima, lui ormai ne aveva ventisette e aveva preso in affitto un monolocale, niente di speciale; anzi, quasi una topaia, ma a lui bastava. Rimaneva a casa solo per dormire, poi i bar della zona gli facevano da casa.
Riuscì a mettere in moto l’auto e partì salendo sul marciapiede; non gli era mai successo un incidente nonostante tutte le sere fosse al volante completamente ubriaco. Il suo angelo custode faceva gli straordinari, sembrava. Si mise sulla strada principale e percorse i tre chilometri che separavano il centro di Malnate dal suo appartamento vicino alla zona industriale. Era nato e cresciuto lì, ad uno sputo dalla Svizzera e quasi sul lago. I paesaggi che riempivano i suoi ricordi di bambino raffiguravano tutti il lago, una visione malinconica e triste, tutto sempre immerso nella nebbia e nel grigiore delle poche ciminiere che fumavano, dando il pane ai padri di famiglia.
Era appena uscito dal Blues&Rock, ma aveva ancora voglia di bere, a casa era rimasta una bottiglia di vino, forse, ma non volle correre il rischio di rimanere a secco; girò la macchina e, mentre il suo stomaco continuava a ribellarsi, cercò un altro bar aperto. Lo trovò poco dopo, lasciò la macchina praticamente in mezzo alla strada ed entrò barcollando.
– Dammi una vodka – ordinò al barista albino.
– Ok, ma mi sembra che tu abbia già fatto il pieno stasera. – disse l’uomo avendolo visto entrare barcollando.
Era abituato ad essere riconosciuto dai baristi, era una specie di celebrità, dava il suo stipendio in pasto a loro e alla sua padrona di casa, la maledetta vecchia che a fine mese bussava puntualmente alla sua porta.
– Fatti gli affari tuoi, non sei mio padre! – rispose in malo modo con la voce impastata.
Il barista capì che non era la serata buona per attaccare discorso, e dopo aver versato la vodka, si diresse verso un tavolino a prendere un’ordinazione.
Marcello guardò l’orologio: erano appena le undici, e lui era già ubriaco fradicio, stava peggiorando. Sentiva il bisogno di bere, ma si rendeva conto che ogni giorno stava sempre peggio, i sintomi peggioravano, stitichezza, inappetenza e nausea perenne gli segnalavano che aveva superato il limite da molto tempo, ma non aveva mai trovato il modo di smettere, non ancora almeno. Per lui bere era necessario come per gli altri era necessario respirare. Poteva resistere in apnea per due giorni, magari, ma al terzo si sarebbe riempito più di prima, così da compensare il sacrificio con una serata da delirio. Ogni tanto dei tremori lo scuotevano fino a farlo credere di morire, i muscoli non obbedivano più ai comandi del suo cervello, e a volte, a fine serata, faticava persino a centrare la bocca con il bicchiere. Erano i sintomi dell’astinenza dall’alcol che certi giorni si manifestava appena qualche ora dopo aver smesso di bere. Quello era il momento peggiore, se vicino a lui c’erano dei gruppi di ragazzi, questi iniziavano ad insultarlo ed a sfotterlo, senza che lui avesse la forza di ribellarsi. Le coppiette, poi, appena lo vedevano entrare nel bar, pagavano di corsa e scappavano chissà dove. Dava scandalo, e tutti a Malnate lo conoscevano, purtroppo. Anche sul lavoro i colleghi si stupivano di come riuscisse a mantenere il posto nonostante le sue condizioni, ma lui aveva la pelle dura. Lo dimostrava spesso, quando, per esempio, veniva malmenato da qualche energumeno che si incazzava per qualche occhiata in più alla sua ragazza. Ma cos’altro avrebbe potuto fare, Marcello non aveva nessuno da guardare, se non la sua immagine riflessa sempre peggio nello specchio dietro al bancone, così parecchie sere le passava guardando le ragazze degli altri che affollavano i locali dove nessuno sembrava accorgersi di lui.
Non poteva mollare il lavoro, anche se avrebbe voluto, altrimenti si sarebbe ritrovato alcolizzato e disoccupato, senza una lira per soddisfare i suoi vizi. Non avrebbe potuto più bere, e questa era l’unica cosa che gli importava.
Finì la sua vodka, buttò tre monete da un euro sul bancone ed uscì più barcollante di prima. Salì in macchina e partì subito per non addormentarsi. Scansò le altre auto parcheggiate ma finì contro un cassonetto dell’immondizia. Niente di grave, pensò, e si diresse verso casa, pregustando la bottiglia di vino.
Sulla strada di casa, solo al volante, pensava immerso nei fumi dell’alcol alla sua vita. Quando passava l’effetto era normale per lui ritrovarsi depresso ed in preda a mille manie, ma quando ancora la vodka gli girava in circolo come ora, non era mai successo. Ma quella sera, evidentemente, il suo cervello non si era fatto addomesticare dall’alcol. Si ricordò di essere solo, solo come un cane nel deserto. Non aveva mai avuto una donna, solo puttane. Cinquantamila ed il piacere era fatto, non aveva mai chiesto di meglio. Non voleva certo un legame: non sarebbe mai riuscito a mantenerlo, faceva fatica a convivere con sé stesso, figuriamoci con una donna. Ma la solitudine è un male infame, ti prede proprio quando di rendi conto di essere arrivato sul fondo. Le pastiglie di disulfiram che il dottore gli aveva prescritto una sera, quando si ritrovò in preda ai tremori da astinenza, non facevano più effetto, sintomo che la sua dipendenza dall’alcol era molto più mentale che fisica. I tremori erano rimasti ed i soldi per quelle maledette pastiglie rubavano risorse all’alcol, così decise di interrompere l’inutile cura e gettarsi a capofitto nei suoi vizi.
Guidava lentamente, tenendo sott’occhio la linea bianca al centro della strada, quando sotto la luce di un lampione vide una ragazza battere il marciapiede. Accostò lentamente per guardarla meglio.
Era splendida, bionda, con due grandi occhi marroni, sembrava un angelo. Cosa ci faceva lì una ragazza come lei? Sarà la solita albanese costretta a prostituirsi, pensò abbassando il finestrino.
– Ciao bella, quanto? – la bocca impastata tradì il tasso alcolico.
La ragazza non rispose subito, lo guardò qualche istante, si chinò verso di lui sorridendogli:
– Trenta euro, se ce la fai. Mi sembra che tu sia già nel tuo mondo. –
La voce. Quella voce gli scosse la mente. L’erezione che stava risvegliando il suo cazzo si arrestò, ed il sorriso di quella ragazza sembrò aprirgli le porte del paradiso. Era splendida, pareva quasi dolce. Marcello si sciolse e rimase a guardarla senza proferire parola.
– Beh, cos’hai? Sei troppo ubriaco per rispondere? – il sorriso non cessò per un istante.
Il viso di Marcello assunse un’espressione ebete, quella ragazza non poteva essere reale. Alla fine un’auto dietro di lui tuonò col clacson facendolo trasalire.
– Trenta euro hai detto? Va bene sali. – riuscì a dire, più per stare con lei, piuttosto che per un reale desiderio di sesso.
La ragazza montò in auto riempiendo l’abitacolo del suo dolce profumo e le sue gambe si rivelarono in tutta la loro bellezza. Era vestita come tutte le prostitute, minigonna, calze e tette quasi scoperte, ma c’era qualcosa che la faceva apparire diversa, un’aria strana la circondava e Marcello non riuscì a mettere in moto l’auto, si ritrovò nuovamente perso nei suoi occhi.
– Devi essere proprio fuori. Dai, metti la prima e parti. Su. – Lo invitò la ragazza per nulla scocciata delle attenzioni.
Poteva avere vent’anni come trenta, un’età indefinibile. Il tipo di vita che conduceva, normalmente rovinava i corpi e le menti, anche se lei sembrava una dolce collegiale in gita. Nessuno avrebbe potuto credere che fosse una puttana se non l’avesse vista così vestita sotto un lampione.
Marcello ingranò la marcia e partì.
– Dove andiamo? – chiese
– Se vuoi ho una stanza, altrimenti in quel parcheggio laggiù. Ma la stanza ti costerà dieci euro in più. – espose la ragazza.
– No, veramente io abito qui vicino. Se puoi… vorrei farlo lì. – domandò sperando in un si. Aveva voglia di stare con lei in un posto normale, non in uno squallido parcheggio oppure in una stanza ad ore.
– Normalmente no. Ma di te mi posso fidare. E poi sei talmente ubriaco che sarà meglio stare a casa tua. Così almeno dopo non dovrai più guidare. – si preoccupava come una sorella e Marcello non riusciva a toglierle gli occhi di dosso.
– Grazie – riuscì a rispondere – ma come ti chiami? Sei italiana vero? – chiese Marcello porgendole tre banconote da dieci euro.
– Mi chiamo Lisa. Sono italiana. Strano, vero? – rispose accendendosi una sigaretta.
– Qui ci sono solo albanesi di solito, da dove vieni? – l’effetto dell’alcol stava passando così velocemente che Marcello attribuì il merito al battito frenetico del cuore che Lisa gli provocava.
– Vengo da Tricase, in Puglia. Conosci? –
– No, non ci sono mai stato. – rispose Marcello parcheggiando sotto casa.
– Siamo arrivati – annunciò scendendo dall’auto.
Lisa non parlò più fino a che fu entrata in casa, si limitò a guardare lo squallore di quel palazzo, di quelle scale sporche e dell’arredamento di quel buco.
– Scusa il disordine, ma non ho mai tempo di sistemare. –
– Certo, immagino. Sarai troppo occupato a bere – nonostante la frase non fosse certo felice, l’espressione di Lisa emanava sempre una dolcezza infinita e Marcello sentiva di provare qualcosa di profondo, qualcosa che non aveva mai provato prima.
– Posso usare il bagno? – chiese Lisa
– Certo, vuoi del vino? Ce ne dovrebbe essere ancora. –
– Va, bene. Se non te lo vuoi scolare tutto tu. –
La ragazza si diresse in bagno, guardandosi intorno notò l’impressionante collezione di bottiglie vuote sparse ovunque ed un sorriso le schiuse le labbra.
Marcello versò il poco vino rimasto in due bicchieri puliti, aspettando con impazienza l’amica che si spogliava nel bagno. Si vergognò immensamente della casa, era sporca e piena di rifiuti, le bottiglie vuote, poi, erano il segno indelebile del suo vizio. Non c’era niente nell’appartamento che potesse sembrare accogliente e lui, per un motivo ancora sconosciuto, avrebbe voluto fare una buona impressione. La sobrietà avanzava, e la depressione si faceva strada nel suo cervello bruciato, non vedeva l’ora di vederla apparire dalla porta del bagno, e nell’attesa si sedette sul letto impazientemente.
Dopo alcuni secondi la porta del bagno si aprì e Lisa si mostrò controluce. Indossava solamente un reggiseno e un paio di mutandine logore. Marcello si sentì mancare, era bellissima, molto più di tutte quelle sgualdrine che osservava dai banconi dei bar. Lei si avvicinò lentamente, ondeggiando sui tacchi alti mentre Marcello, quasi impaurito da tanta bellezza, si scostò facendole posto al bordo del letto. Lisa non si sedette vicino a lui, ma si inginocchiò slacciandogli i pantaloni. Marcello la lasciò fare guardando la sua chioma bionda muoversi piano sul suo cazzo non ancora duro. Dopo alcuni istanti, preso da una tristezza indicibile le sollevò con forza la testa, interrompendo il pompino.
– Cosa c’è? Non ti va che te lo prendo in bocca? – chiese la ragazza.
– No, non è questo. Volevo guardarti in faccia. – confessò.
Lisa sorrise riempiendo di malinconia il cuore di Marcello, che mollò la presa lasciandola continuare.
Non resistette molto, la sbronza era passata e il suo cazzo era pronto a venire. Lisa si accorse per tempo e fece schizzare lo sperma tra i pantaloni e la camicia di Marcello imbrattandolo completamente.
Marcello rimase senza parole e si riversò sul letto, Lisa tornò in bagno a sciacquarsi la bocca e a rivestirsi. Quando tornò da Marcello lo trovò addormentato. Contenta di aver risolto tutto solo con un pompino, si baciò la mano e la passò sul viso del ragazzo dormiente, uscendo poi da quella topaia.
Marcello si svegliò dopo due ore di sonno disturbato. Impiegò qualche secondo a realizzare quello che era successo, e ripensando a Lisa oramai lontana si spogliò e si infilò sotto alle coperte. Una lacrima uscì dai suoi occhi prima che il sonno l’avesse ripreso definitivamente.
Si svegliò che già il sole era alto. Sollevò il capo dal cuscino e guardò l’orologio. Cazzo, già le undici. Era sabato e non aveva appuntamenti, l’imprecazione era dovuta al fatto che si ricordò di avere il frigorifero vuoto. Alzandosi lentamente sentì delle fitte lancinanti alla testa. L’alcol stava tornando indietro per fargli capire quanto era stupido. Ma il dolore fu coperto in un istante quando il ricordo di Lisa gli si presentò davanti. Il suo viso dolce era lì ad augurargli buon giorno, mentre lui si sfregava la testa dal male. Ripensando a lei rimase in silenzio e fermo per qualche minuto. Si ricordò di aver pianto a lungo durante la notte, dai suoi occhi gonfi poteva capire che il sonno era stato molto agitato. Non ricordava il sogno ma avrebbe giurato che si trattava di Lisa. L’aveva sognata sicuramente.
Si decise ad alzarsi, prese i quattro stracci che stavano a terra e li indossò quasi a casaccio, poi preparò il caffè e fece colazione. Quando fu sulla soglia di casa per andare al supermercato si rese conto di non aver pensato a nient’altro che a Lisa da quando si era svegliato.
Strano, il suo cervello non era abituato a fissarsi su di una persona o su una cosa, probabilmente quella ragazza gli era entrata nel sangue più di quanto avesse immaginato.
Arrivò al supermercato strapieno di gente. Tutti spingevano e facevano a gara a chi spendeva di più. Marcello prese il suo carrello, la testa gli scoppiava, avrebbe pagato oro per farli stare tutti zitti, ma conosceva fin troppo bene la gente per sperare in un simile miracolo. Sapeva benissimo che il sabato è la giornata delle compere, l’unica occasione che la gente ha per sentirsi migliore, per spendere quei quattro soldi sudati durante la settimana per qualche ridicolo vestito o per un paio di scarpe nere, elevandosi così ad un gradino più alto della loro folle scala sociale.
Passando velocemente da una corsia all’altra arrivò in pochi minuti davanti alla cassa. La gente lo guardava in un modo troppo strano e Marcello si rese conto subito del motivo. Abbassò lo sguardo nel suo carrello e vide quattro bottiglie di vodka, due di vino rosso, una di scotch ed un pacco di pasta. Comprensibile, pensò, che lo sguardo stupito delle persone fosse fisso su di lui. La sua lista della spesa era differente dalla loro, e la gente non accetta certo questo tipo di differenze. Non curante dello spettacolo che stava offrendo, decise di fissare un punto davanti a sé così da non dover cadere in uno scambio di occhiatacce. Incrociò lo sguardo con quello della cassiera che batteva prezzi come una macchina. Gli venne un colpo. Il suo viso si trasformò in quello di Lisa e tutta la gente intorno sparì in un instante. Con la sua voce calda la ragazza gli chiese di avvicinarsi, e lui si mosse per andarle incontro. Ma subito fu risvegliato dal borbottio del signore davanti a lui a cui aveva schiacciato un piede con il carrello. Chiese scusa e tornando a guardare la cassiere capì che era stata tutta un’allucinazione. Lisa non c’era e chissà dove si trovava ora. E soprattutto, con chi era? Che diamine, è una puttana! realizzò; starà col suo pappone o con le altre puttane. Dove vuoi che stia, Marcello. Parlava a sé stesso, ma si rese conto di averlo fatto ad alta voce, vedendo le facce sempre più scandalizzate degli altri clienti che si allontanavano lentamente da lui.
Alla fine riuscì a pagare e a caricare la spesa tintinnante sulla sua Uno, dirigendosi poi verso casa. Tornato nel suo buco, non riusciva a stare fermo, avrebbe voluto andare a cercare Lisa, sapeva benissimo che non l’avrebbe mai trovata, ma ne sentiva il bisogno. Si stupì del suo stato d’animo, non era mai stato così ansioso, neanche durate le sue tentate disintossicazioni. Era l’amore per una prostituta a ridurlo così e lui lo sapeva bene. Chi l’avrebbe mai detto? Innamorarsi di una puttana, cose da pazzi.
Non oppose nessuna resistenza ai suoi bisogni e aprì subito una delle bottiglie di vodka appena comprate. Ne bevve qualche bicchiere mentre scarabocchiò qualcosa su un foglio di carta che si trovò in mano, era qualcosa su Lisa, forse una poesia, forse una dichiarazione, neanche lui si rendeva conto di cosa stava scrivendo, preso oramai dall’alcol pomeridiano che lo stava mettendo lentamente al tappeto. Appena finì di scrivere su quel pezzo di carta sporca, si sdraiò nuovamente a letto assopendosi con tanto di scarpe e bicchiere nella mano.
Il sogno fu molto più chiaro del precedente, rivide la testa all’altezza del suo inguine e sentì la lingua che leccava avidamente il suo cazzo rigido, le accarezzava i capelli mentre lei continuava a succhiare e a leccare avidamente. Non venne, ma la fece alzare e la prese tra le sue braccia sorridendo. Si scambiarono un bacio appassionato e dolce. Nulla li avrebbe disturbati, non c’era una tariffa da pagare, non c’era un orologio da guardare. Marcello scoppiò ancora a piangere, di un pianto disperato. La solitudine era sparita avendo Lisa tra le sue braccia, il passato non faceva più male, anche i ricordi svanivano tra le loro labbra. Era il paradiso. Marcello avrebbe voluto morire in quel momento. Solo così avrebbe immortalato quella sensazione di pace e di felicità.
Si svegliò dopo un tempo indefinibile, ancora con il viso umido. Ricordò il sogno, istante per istante ed una malinconia folle lo prese. Non aveva voglia di fare nulla. Guardò l’ora. Le sette meno un quarto. Era ora di cena. Non aveva fame ma si ricordò di non aver mangiato nulla dal giorno precedente, così decise di cucinarsi un piatto di pasta.
Dopo qualche minuto si ritrovò seduto da solo a tavola con il piatto di pasta scondita davanti a lui. Mangiò controvoglia, l’appetito era stata la prima cosa che l’alcol gli aveva tolto, non si ricordava neanche quando era stata l’ultima volta che aveva mangiato con gusto. Forse millenni prima, ora non importava. Solamente il ricordo di Lisa importava, solo lei riusciva a farlo stare in piedi.
Pasteggiò con la vodka che rimaneva nella bottiglia, e prima che se ne potesse rendere conto, era di nuovo ubriaco. Normale, pensò mentre i sensi si offuscavano leggermente. Decise che quella sera stessa sarebbe tornato da Lisa, le avrebbe parlato, sentiva il bisogno di stare con lei.
Lavò il piatto e la pentola dondolando sulle gambe malferme, rischiando di rompere qualche cosa, ma era abituato a quella condizione, anzi forse era la sua condizione normale, oramai.
Appena fu pronto e vestito, uscì di casa per andare a sbattersi in qualche bar. Decise per il Blues&Rock, era l’unico posto abbastanza buio da nascondere i suoi occhi spenti, e Dio sapeva se aveva bisogno di nasconderli, visto che era sabato sera e non aveva niente di meglio da fare che ammazzarsi d’alcol. Si mise in macchina con la testa che sembrava una trottola. Guidava piano e senza accorgersene si scoprì a cercare Lisa sotto al suo lampione, ma lei non si vedeva. Forse era troppo presto, forse era già via con qualche cliente o forse Lisa non esisteva neanche, era stata solamente la visione di un povero ubriaco solo. Arrivò fuori dal locale che si stava riempiendo, parcheggiò l’auto al solito posto ed entrò nella sala piena di fumo. Le luci e i colori erano le cose che lo facevano sentire meglio. Più le luci erano basse e più i colori erano cupi, più lui si sentiva a suo agio; e il Blues&Rock sembrava, oramai, essere la sua seconda casa. I soliti clienti aspettavano le loro birre schiumose ai tavoli, nessuno che aveva coraggio di sedersi al bancone, solo Marcello aveva quel tipo di coraggio, quello che ti fa guardare negli occhi il boia che ti versa da bere un bicchiere dopo l’altro. Iniziò ordinando una vodka, tanto per scaldare l’ambiente. Dopo pochi minuti il locale si era riempito, e la presenza di così tanta gente iniziava a dargli ai nervi. Passò parecchio tempo a squadrare le persone che entravano e si sedevano, era troppo ubriaco per parlare con il barista e troppo sobrio per perdersi completamente nei suoi pensieri. Quando si ricordò di guardare l’ora, si accorse che erano appena scoccate le dieci. Decise di tagliare la corda, pagò il conto di quattro bevute e si alzò sulle gambe malferme. Il barista lo salutò sorridendo come un killer saluterebbe la sua vittima cinque minuti prima dell’esecuzione. Marcello non si curò degli sguardi storti della gente che lo vide uscire barcollando, ma varcò la soglia della notte facendo sbattere la porta, tanto per far capire che lo spettacolo dell’ubriacone era concluso.
Stette qualche minuto ad aspettare un’ispirazione, voleva andare a bere da qualche altra parte, ma non sapeva dove. Aveva le tasche fortunatamente piene di soldi, ma il pensiero di dover ancora passare sotto gli occhi degli altri lo faceva stare male ancor di più dell’alcol che aveva ingerito. Si accorse che l’unico posto dove avrebbe voluto andare era il lampione di Lisa, ma non poteva accettare il fatto di essere innamorato di lei. Era una puttana! E non ci si innamora delle puttane. Decise così di salire in macchina e percorrere una strada a caso. Si diresse verso la zona industriale, se fosse stato troppo ubriaco, pensò, era abbastanza vicino a casa da farsela a piedi, c’era sempre stato un senso di autodifesa nelle sue sbronze, chissà perché, poi. Passò vicino all’insegna “Borotalco Club” e pensò che un posto sarebbe valso un altro, così parcheggiò proprio sotto al cartello luminoso e guardò il locale da fuori. Sembrava un posto troppo esclusivo per lui, ma tanto era ubriaco, cosa gli importava di essere sbattuto fuori? Fece per entrare quando vide un energumeno alla porta che lo squadrava dalla testa ai piedi. Si diede un contegno, rallentò il passo per dondolare di meno e passò sotto lo sguardo strabico del gorilla che accennò un saluto aprendogli la porta. Marcello salutò sottovoce per non tradire la sua lingua impastata e entrò nella hall del club. Sembrava tutto normale: divanetti, luci soffuse, un bancone, un bar insomma. Magari di classe, ma pur sempre un bar. Scelse come al solito di sedersi al bancone, da quel punto di vista si può osservare tutti gli avventori, specialmente le ragazze, pensò notando che il bancone si trovava due gradini sopra al resto del locale. Si sistemò sullo sgabello guardando il barista con gli occhi lucidi.
– Una vodka sette, prego. – ordinò
– Come, scusi? – chiese il barista calvo e con una faccia che sembrava di cera.
– Una vodka sette, vodka e seven up. Non l’hai mai sentita? – chiese spazientito.
– No, signore. Veramente questo accostamento non rientra nelle ordinazioni della casa. Ma si può certamente fare. – rispose l’omuncolo compito.
– Lo spero bene. È un bar, se non servite da bere voi, chi lo deve fare? – il nervosismo saliva guardando le mani tremolanti del barista aprire la bottiglia di Moskovskaya e versarne una dose minima nel bicchiere.
Il barista scrutò Marcello per un secondo e comprese che le sue razioni dovevano essere maggiorate se non voleva una reazione poco ortodossa, così prima di mettere il tappo alla bottiglia ne versò ancora un dito, notando lo sguardo soddisfatto del suo nuovo cliente.
– Signore, ecco a lei – gli passò il bicchiere dopo averci spruzzato un poco di seven up. – È la prima volta che viene? – chiese timoroso.
– Si, cosa ha di particolare questo locale? –
– Le ragazze, signore. – rispose affabile.
– Le ragazze? –
– Si, signore. Le ragazze che tra poco faranno lo spettacolo. –
– Ho capito, il solito spogliarello. – Marcello pensò di aver capito tutto.
– Ma le assicuro che sono veramente brave. – confidò il barista.
– Si, si. Non lo metto in dubbio. – Marcello voleva troncare la discussione, aveva il suo bicchiere da scolare ed i suoi pensieri da ripassare. Lisa su tutti era il suo chiodo fisso. Cosa cazzo gliene fregava di quelle quattro sgualdrine. Lisa era la donna che voleva, le altre non lo interessavano neanche.
– Signore, sono venti euro. Per la consumazione. – il barista si allontanò presentando il conto.
– Cosa? Sei pazzo? ! – rispose Marcello alzando la voce. L’alcol era salito al cervello ed i suoi nervi non erano più governabili.
– Mi scusi, ma il listino è appeso anche alle pareti. Se non vuole pagare sarò costretto a chiamare la sicurezza. – Il minuscolo uomo si faceva sempre più lontano da Marcello, che ora era in piedi e lo guardava con gli occhi iniettati di sangue.
Non aveva mai pace. Si sentiva come un orso in una gabbia. Voleva starsene solamente un po’ tranquillo a bersi il suo cocktail pensando a Lisa e facendo progetti impossibili sul suo futuro prossimo. Ma non c’era niente da fare, c’era sempre qualcuno che doveva rompergli i coglioni. E quando era ubriaco, poi, non c’era veramente pace, avrebbe dovuto starsene chiuso in casa a bere, appena cacciava la testa fuori vedeva la gente che iniziava a impicciarsi degli affari suoi e voleva sempre qualcosa da lui. Era una vita d’inferno, ma ora sentiva dentro di sé la forza per ribellarsi. Avrebbe spaccato la faccia a quel mezzo uomo vestito da pinguino e a tutti i buttafuori che sarebbero arrivati. Si sentiva troppo incazzato per ingoiare ancora merda. Avrebbe dato una lezione a tutti.
Svuotò in un sorso il suo bicchiere e lo scagliò contro il barista. Per fortuna lo mancò di poco e il bicchiere andò a frantumare tre bottiglie che stavano sulle mensole. Il chiasso attirò gli sguardi delle poche persone che si trovavano nel locale. Il barista scappò in cucina, lasciando Marcello solo a guardarsi nello specchio che aveva di fronte a sé, solo con le bottiglie frantumate che gocciolavano a terra. In pochi istanti fu circondato da due bestioni alti due metri con la faccia da bambini idioti. Non si ricordò cosa disse loro, ma ricordò che lo presero di forza e lo portarono in uno sgabuzzino buio, accesero una lampadina appesa al soffitto e si diedero il cambio per pestarlo a dovere. Un pugno dopo l’altro Marcello si rese conto che l’effetto dell’alcol stava passando. I pugni iniziarono a fargli male, soprattutto quando vide il suo sangue gocciolare dal labbro andando a formare una piccola pozzanghera a terra. Vedeva i due gorilla muoversi al rallentatore ed anche il tonfo dei pugni sulla sua faccia o in pancia era strano, l’alcol attutiva ancora i rumori ed i movimenti, ma non sarebbe durato a lungo. Lo sapeva benissimo, aveva esperienze di quel tipo e non si ricordava di una volta soltanto in cui non si era risvegliato al pronto soccorso.
Fortunatamente i due decisero di aver infierito abbastanza, e capendo che Marcello non avrebbe mai più rimesso piede in quel locale, lo presero di forza e lo buttarono in strada.
Svenne per qualche minuto, accasciato sul ciglio della strada, le poche persone che passarono parvero non accorgersi neanche della sua presenza. Così i sensi gli mancarono facendolo tornare in sé solamente dopo circa dieci minuti.
Si riprese sfregandosi gli occhi e tastandosi il labbro sanguinante, si ricordò tutto. Strano, pensò, normalmente le ferite erano gli unici ricordi delle risse a cui aveva partecipato. Ma in quel momento si ricordava tutto, e si ricordava che al club Borotalco non ci avrebbe mai più rimesso piede. Un altro pensiero gli svegliò la memoria. Le bottiglie di vodka lo attendevano al fresco a casa sua, avrebbe bevuto da solo e nessuno lo avrebbe più disturbato.
Si alzò dal selciato non senza qualche difficoltà, ma riuscì trascinando una gamba dolorante per la caduta, a salire in macchina e a prendere la strada di casa.
Anche il ricordo di Lisa era evanescente, come i fumi dell’alcol che stavano portandosi via le frenesie, lasciando il posto al mal di testa, e quasi senza accorgersene si stava avvicinando al lampione dove l’aveva conosciuta.
La figura della ragazza si delineò lentamente agli occhi pesti di Marcello che la notò quasi per caso. Il cuore, però con un sussulto gli fece riconoscere Lisa in un istante. Con la faccia tumefatta accostò verso di lei e abbassò il finestrino. Ma fu lei la prima a parlare:
– Ciao – salutò – Oddio, cosa hai fatto? – si preoccupò poi guardandolo in faccia.
– Niente, non ti preoccupare. Vuoi salire? – chiese sentendo la speranza lottare con il bisogno di solitudine.
– Per fare cosa? Devo rimboccarti le coperte come ieri? – fece Lisa
– No. Ti prego sali. – rispose disperato.
– Beh, dopotutto trenta euro solo per un pompino… – sorrise. E quel sorriso risvegliò i sentimenti che avevano fatto star male Marcello per un giorno intero.
Fu felice vedendola salire e guardandole le gambe ebbe i pensieri confusi, era ebbro più di lei che dell’alcol che aveva bevuto, gli passò le tre banconote e ingranò la prima.
Salirono le scale che portavano al suo appartamento, Lisa si guardò intorno come se fosse la prima volta:
– Proprio non ce la fai a fare un po’ d’ordine qui dentro? – chiese dolce
– No, è più forte di me. Vuoi da bere? Ho fatto la spesa. Ti va un bicchiere di vodka? –
– Va bene. Vado a prepararmi. – annunciò sculettando verso il bagno.
Marcello si sentì al settimo cielo, le ferite non bruciavano più, aveva il bicchiere pieno tra le mani e la sua Lisa era in bagno a prepararsi per lui. Che fosse una puttana non gliene importava niente, almeno per il momento. Accese lo stereo scassato ed il giro in sol di “Nothing else matters” si diffuse nella stanza.
Lisa aprì la porta e gli si fece incontro. Era vestita come la sera precedente, reggiseno e mutandine, forse proprio le stesse dell’ultimo incontro. Marcello l’accolse sul letto, lei si chinò per prenderglielo in bocca e lui la lasciò fare sorseggiando la sua vodka. Dopo qualche istante guardò la testa muoversi e fu preso da una tenerezza indicibile. La sollevò quasi con forza e la guardò negli occhi.
– Ora cosa c’è? Vuoi che finisca o no? – sbottò quasi brusca guardandolo negli occhi.
– Si, ma non così. – si sentiva tanto forte da volerla possedere interamente.
La fece alzare e l’adagiò mollemente sul letto, si fermò un attimo ad ammirare la sua bellezza, si riempì gli occhi del suo corpo e del suo sorriso atroce. Atroce perché gli faceva capire in un attimo quanto la sua vita fosse disperata. Dopodiché le tolse le scarpe e si distese sopra di lei.
– Cosa mi fai Lisa? Ti ho pensata tutto il tempo. – si era tolto i calzoni e abbassato le mutande ed ora il suo cazzo spingeva verso la fica della ragazza coperta solo dalla stoffa delle mutandine.
– Cosa dici? Io sono una puttana, mi devi solo scopare. Non mi devi pensare. – rispose lei facendosi stranamente scura in viso.
Marcello aveva voglia di parlarle, ma non aveva nessuna intenzione di lasciarla andare senza prima aver fatto l’amore con lei. Decise di confidarle tutto.
– Non so neanche perché, ma il ricordo di te mi ha fatto stare male. – intanto lei si era tolta le mutandine e, divaricate le gambe, era pronta ad accogliere il cazzo di Marcello.
– Non voglio più sentire niente del genere. Mi hai pagata per scopare. Fallo e basta. – il sorriso era sparito e non riusciva più a guardare il ragazzo negli occhi. Una tristezza nera aveva preso entrambi nonostante stessero per fare quello che entrambi avevano aspettato per un giorno intero.
– No, non è questo che voglio. Voglio che tu stia con me. Sento il bisogno di averti. – le parole furono strozzate dal brivido di piacere che prese entrambi quando Marcello la penetrò con il suo pene duro.
– Ho detto di non parlare più. Sono qui per scopare e basta. – a Marcello parve di vedere gli occhi nocciola della ragazza diventare lucidi. Subito lei si passò una mano sulle ciglia così da togliergli qualsiasi dubbio.
Marcello iniziò a stantuffare con forza, provava un piacere misto a dolore ogni colpo che dava alla povera vagina della ragazza, pensarla fare le stesse cose con centinaia di persone diverse per denaro lo fece stare ancora peggio. Sentiva di doverla salvare da quella vita, sapeva di averne la forza, e soprattutto sapeva che solo lei avrebbe potuto fare la stessa cosa per lui. Si sarebbero salvati a vicenda, questo Lisa doveva capirlo.
Lisa fece cenno a Marcello di uscire, lui obbedì e lei si girò di scatto, offrendogli il sedere sodo e bianco. Lui non attese oltre, si menò l’uccello per irrigidirlo maggiormente e si fece strada verso la fica umida. Lisa lo accolse con maggior comodità favorendo la penetrazione ed in quella posizione non aveva l’obbligo di guardarlo in faccia. Ora Marcello sentiva di voler piangere, e sentiva Lisa girata di spalle gemere, non era in grado di percepire se fossero dei gemiti di piacere oppure dei singhiozzi di dolore, ma sapeva quello che doveva fare, le divaricò i glutei con forza e iniziò a penetrarle la fica disperatamente. Senza che lei dicesse nulla, Marcello estrasse il pene dopo poco, era al limite dell’orgasmo e non voleva certo finire così. La fece girare così da averla di nuovo rivolta verso di lui, si sedette allargando le gambe e la fece sedere sopra al suo pene, faccia a faccia. Lei non oppose nessuna resistenza, ma scansava di continuo i suoi tentativi di baciarla. Marcello si sentiva vivo solamente perché la stava scopando, avrebbe dato qualsiasi cosa purché quei momenti non avessero avuto fine.
– È inutile negarlo, Lisa. Mi sono innamorato di te. – bisbigliò tra un colpo e l’altro.
La ragazza si bloccò per un istante, gli accarezzò i capelli e lo guardò finalmente negli occhi.
– Ma come fai a dire una cosa del genere. Non so neanche come ti chiami. –
– Marcello. Se credi che faccia differenza ecco il mio nome: Marcello. Sei contenta ora? –
– No che non sono contenta. Cosa vuoi da me? Sono una puttana e tu un alcolizzato, cosa faremmo insieme? – le lacrime ora divennero palesi ed il pianto fu contagioso per Marcello che iniziò a singhiozzare come un bimbo.
– Non lo so cosa faremo. Ma so cosa dovremmo smettere di fare. Ti prego ascoltami. – il piacere saliva con il tono delle voci e lo stato degli animi.
– E cosa? – chiese la puttana.
– Scappare, andarcene via da questo maledetto posto. Ci rifaremo una vita. Io smetterò di bere, te lo giuro. E tu smetterai di battere, vedrai. – le lacrime scesero fino alla bocca di Marcello che fu sorpreso dal vedere le labbra di Lisa avvicinarsi fino a baciarlo.
Le lingue si intrecciarono per parecchi secondi, durante i quali i corpi attraversarono il limbo della passione sfociando in un orgasmo violento, tipico degli amplessi consumati nei momenti più disperati della vita.
Non ebbero la forza di alzarsi per andare a lavarsi, si distesero entrambi uno accanto all’altra sul letto sudicio di Marcello. Si abbracciarono capendo di non avere altra scelta per cambiare la loro vita. Marcello silenziosamente organizzava la partenza e guardava gli occhi splendidi di Lisa perdersi nel vuoto.
– Ti prego, dimmi a cosa pensi – le chiese voltandosi su un fianco per ammirarla meglio.
– Pensavo a quando ero bambina. A quando sognavo di diventare una principessa. Ed invece eccomi qui. Puttana a ventitré anni. – rispose girandosi verso di lui e accarezzandogli il viso.
– Per me sei una principessa. Chi altri mi potrebbe portare nel mondo dei sogni se non una creatura dei sogni. –
– Smettila. La fai tanto facile, tu. Non credere che sia semplice rifarsi una vita. E poi via da Malnate dove vuoi andare? –
– Pensavo ad una grande città. Solo in mezzo a molta gente potremmo nasconderci i primi tempi per organizzarci meglio, poi si vedrà. – annunciò Marcello fiero di aver pensato a tutto.
– E quando lo vorresti fare? – chiese la ragazza sempre più disposta a seguire il folle piano di quel ragazzo quasi sconosciuto.
– Quando? Subito, al massimo domani mattina. Perché? C’è forse un momento giusto per scappare? – domandò stupito.
– No, ma forse non sono ancora pronta. –
– Allora ti aspetterò, ma sarà come uccidermi ogni minuto di attesa, sappilo. – confidò Marcello supplicandola con lo sguardo.
– Non so – disse la ragazza alzandosi dal letto – domani mattina è forse un po’ troppo presto.
– Allora facciamo lunedì, oppure dimmi tu quando. Io non aspetto che te. – ogni sua parola sembrava oramai una dichiarazione d’amore.
– Domani pomeriggio sono libera. Ti va di uscire? Così, almeno, ci conosceremo meglio. – lo invitò continuando ad accarezzargli la testa dolcemente.
– Certo che mi va. Non chiedo di meglio. – rispose eccitato Marcello.
Lisa raccolse le sue cose e si recò in bagno per rivestirsi. Uscì dopo poco e si avvicinò al suo nuovo amico per salutarlo. Lo baciò sulla bocca, appassionatamente.
– Guarda che il bacio di una puttana vale molto. Tienilo stretto. – gli disse arruffandogli i capelli.
– Non preoccuparti, tengo stretto tutto di te. Ti aspetto per domani, allora. – chiese una conferma quasi non credesse alle sue orecchie.
– Ok, a domani allora. – lo salutò uscendo dall’appartamento lasciandolo nudo ancora disteso sul letto.
Si alzò qualche minuto dopo, ancora pieno del ricordo di lei. Si diresse verso il tavolo e, rimanendo nudo quasi senza accorgersene, si versò un altro bicchiere di vodka. Non ha bevuto la sua, pensò guardando il bicchiere di Lisa ancora pieno. Era felice come un bambino. Una strana forza lo convinceva che Lisa era innamorata almeno quanto lui, e questo bastava a sistemare tutti i problemi che avrebbero incontrato. Insieme avrebbero abbattuto tutte le barriere che la vita gli avrebbe messo contro, insieme avrebbero ricominciare a vivere. Mentre camminava verso il letto, scorse un pezzo di carta sotto ad una sedia, era quello che aveva scritto nel pomeriggio appena tornato dal supermercato. Spiegò il foglio e lo lesse mentalmente, le bottiglie lo guardavano da lontano. Il buio stava scomparendo. Il vento filtrava dalle persiane fischiando ed un lampione illuminava la strada:

Tutto il resto adesso non conta più niente
ora che ti chiedo in ginocchio di rimanere
Siediti qui, vicino. Salva la mia povera mente
stai quanto vuoi, siediti che ti verso da bere

Rischio d’impazzire se ti muovi lentamente
abbasso gli occhi a pregarti disperato di sedere
Il mio vizio lo conosci e dalla mia bocca si sente
Scoparti ora, no. I tuoi occhi soli voglio vedere

Sei una puttana, cosa vuoi che mi importi
io sono alcolizzato, li vedi i miei occhi?
Cos’avrei da rimproverarti, so solo che ti amo

Rivestiti se vuoi, so che i minuti sono corti
sento scoccare gli ultimi dodici rintocchi
e tu scappi in strada, col mio cuore in mano.

Non farmi morire, domani avrò la testa che farà male
Scapperemo insieme: re dei topi e regina delle puttane. FINE

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