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Estate cretese

La piscina era deserta a quell’ora del mattino. I raggi del sole si riflettevano sull’acqua appena mossa da una brezza leggera, creando piacevoli giochi di luce. Un materassino solitario, dimenticato dalla sera prima, galleggiava pigramente vicino alla scaletta.
Diana sistemò il telo da bagno tra un ombrellone e un lettino, lontano dal bar e dalla pista da ballo. Alle dieci iniziava la lezione di tango argentino, alle undici quella di acqua-gym. A mezzogiorno ci sarebbe stato l’happy hour con gli animatori. L’unico momento per godersi in santa pace quel paradiso era tra le otto e le nove e mezza del mattino. Si sedette, distendendo le lunghe gambe abbronzate verso l’acqua. Attraverso la spugna del telo la pavimentazione in cotto, arroventata dal sole, le scaldava le natiche provocandole un piacevole prurito. Diana ripensò al calore del corpo di Antonio, come lo aveva sentito la sera prima, mentre la possedeva da dietro, dolcemente, entrando e uscendo da lei, protraendo il piacere all’infinito. Il desiderio di toccarsi la sorprese, come un piccolo cuore pulsante sotto la stoffa dello slip e Diana si guardò attorno, alla ricerca di occhi indiscreti. Nessuno, almeno per il momento. Antonio era ancora a letto e ci sarebbe rimasto almeno fino alle nove, sempre che non si accorgesse prima della sua assenza. In quel caso si sarebbe alzato e l’avrebbe cercata. Nella sala della colazione, prima di tutto, conoscendo la sua golosità; in palestra, poi, sapendo quanto ci tenesse alla forma fisica. Trovarla ai bordi della piscina lo avrebbe sorpreso, perché durante il giorno non ci stava quasi mai. Il bisogno di solitudine era forse l’unico lato del proprio carattere che Diana aveva cercato di tenergli nascosto, per paura di apparirgli distante e seriosa. Antonio era un uomo solare, sicuro di sé, fantasioso, forse un po’ superficiale. Diana era cosciente del fatto che ad unirli non era l’affinità di carattere, ma una passione che non sembrava voler tramontare. Si erano conosciuti in un locale di Bologna, la notte del quindici di febbraio di due anni prima, in occasione di una festa per singles. Il sospetto che alle feste per singles potessero partecipare anche uomini sposati non aveva nemmeno sfiorato l’ingenua Diana, allora ventenne, che si era abbandonata alla corte di quel bell’uomo di quarant’anni come una ragazzina alle prime armi. Scoprire la verità, dopo il loro primo appuntamento, l’aveva ferita più di quanto avesse ammesso, ma ormai il fuoco era stato acceso e cercare di spegnerlo sarebbe stato come soffiarci sopra. Antonio aveva deluso il suo lato romantico, era vero; ma lo stesso non si poteva dire per i suoi desideri di donna. Dal loro primo amplesso, Diana aveva capito di aver trovato l’uomo che ogni donna vorrebbe incontrare: tenero e passionale, audace ma non volgare, esperto conoscitore delle più inconfessate fantasie femminili e impaziente di realizzarle. Quante volte poteva aver tradito la moglie, un uomo dalle voglie così prorompenti? Per strano che fosse, Diana non provava gelosia per le sue precedenti avventure, ma, al contrario, ne veniva stuzzicata come da un piatto di sconosciute prelibatezze delle quali avesse avuto per ora soltanto un assaggio. Chiunque avesse amato prima di lei, ora quell’uomo era suo e nulla al mondo l’avrebbe fatta ritornare sui suoi passi.
Un gattino dal pelo tigrato camminava sul bordo della piscina, andandole incontro. Senza degnarla di uno sguardo, scavalcò le sue gambe distese e proseguì lungo il bordo, flessuosa parentesi di grazia felina.
Diana lo seguì con lo sguardo, quindi si distese a pancia in giù. Il calore del sole mattutino le carezzava la schiena, diffondendosi lungo tutto il suo corpo. Il monte di Venere premeva contro il pavimento, tiepido e duro, mentre il clitoride le si andava inturgidendo come un piccolo fallo. Diana iniziò a sfregarsi contro la spugna del telo, muovendo il bacino avanti e indietro, le dita strette sul granito della piscina, le labbra dischiuse come in attesa di un bacio. Se qualcuno fosse arrivato in quel momento, non avrebbe avuto dubbi su ciò che stava facendo. Il pensiero la eccitò. Si immaginò circondata da uomini, tutti quelli che aveva conosciuto a cena la sera prima, giovani, meno giovani, alcuni decisamente vecchi; tutti la guardavano mentre si procurava piacere, i loro membri eretti, i loro sguardi fissi sulle sue cosce divaricate. Si stava bagnando. Il sesso di Antonio non avrebbe incontrato alcuna resistenza, se l’avesse penetrata in quel momento. Immaginò di sentirlo, mentre le apriva le piccole labbra; lo sentì soffermarsi in quella posizione, senza andare più a fondo, sapendo quanto quel gioco la eccitasse. Avrebbe voluto succhiarglielo quel glande setoso e sensibile, sentirlo contemporaneamente sulla lingua e nel sesso, come fossero stati due uomini; due, ma entrambi estensioni di Antonio. Le capitava spesso di usare quella fantasia per eccitarsi. Immaginare di essere posseduta da un solo uomo non la portava quasi mai all’orgasmo, quasi che l’assenza di un corpo reale sopra di lei, dentro di lei, rendesse necessaria una maggiore intensità emotiva. E in quei momenti, mentre il piacere le scuoteva le membra e le liberava la mente da pensieri e timori, era come se sotto di lei si aprisse un abisso, un mare profondo e inesplorato, nel quale la sua sensualità non conosceva limiti e dove la sua femminilità poteva esprimersi in pieno. Ogni volta, dopo l’orgasmo, Diana si ritraeva spaventata da quel mondo fantastico, combattuta tra il desiderio di tornarvi e l’imbarazzo per ciò che la sua immaginazione aveva saputo produrre. Non era un problema di sessuofobia il suo, ma di autocontrollo. Diana temeva che, se avesse dato libero sfogo alla bestia in calore che sentiva agitarsi dentro di sé, la sua vita ne sarebbe uscita sconvolta, ogni punto di riferimento sarebbe andato perduto. Perfino Antonio, forse, sarebbe giunto a disprezzarla.
Senza accorgersene, Diana aveva cominciato a gemere. Dall’interno delle sue cosce, goccioline di sudore scivolavano sulla spugna, provocandole un delizioso solletico. Si sentiva aperta come una bocca affamata, immaginava le sue piccole labbra bagnate e dischiuse, inturgidite dal desiderio quasi doloroso di essere sfregate, leccate, succhiate. Si fece scivolare una mano sotto il ventre, fino a raggiungere il clitoride gonfio. Mandò un gridolino, ormai incurante di essere udita, e si penetrò con due dita, immergendole a fondo nella carne madida. Con una scarica violentissima, l’orgasmo la investì, facendole inarcare la schiena e spalancare gli occhi.
Un uomo, in piedi sul bordo opposto della vasca, la guardava godere e sorrideva. Diana gridò e in quel grido piacere e vergogna si fusero trasformandolo in un verso selvaggio. Chiuse gli occhi, abbandonandosi sul telo ruvido, il volto nascosto tra le braccia. Quando era arrivato quell’uomo? Le sue fantasie le avevano fatto perdere la nozione del tempo, potevano essere passati dieci minuti come un’ora. Non sapeva che fare. Con il viso nascosto e gli occhi chiusi, si sentiva come lo struzzo che immerge la testa nella sabbia per sfuggire al pericolo. Quell’uomo era lì, lo volesse vedere o no.
Diana sbirciò appena sopra il braccio, dietro la cortina di capelli biondi che le velavano il viso. L’uomo non c’era più. Svanito. Possibile che si fosse immaginata tutto? Un residuo delle sue fantasie esibizionistiche poteva essersi materializzato per un attimo, durante il suo orgasmo, per poi dileguarsi nel nulla assieme agli altri fantasmi? Improbabile, non impossibile…

Erano partiti da Bologna il mattino precedente, in tempo per godersi qualche ora di spiaggia dopo aver sistemato i bagagli. Era stato Antonio a scegliere Creta come luogo dove trascorrere la loro prima vacanza insieme. Chissà quando si sarebbe presentata un’altra occasione come quella, con sua moglie assente per una settimana – il medico le aveva consigliato certe cure termali per la cervicale – e il figlio all’estero per una vacanza studio. Conosceva Creta per esserci già stato un paio di volte, una con sua moglie, l’altra con amici (ma Diana sospettava che gli “amici” fossero uno solo e di sesso femminile). I greci, diceva lui, erano gente simpatica e la loro cucina sarebbe stata ottima anche per lei, che non amava la carne e viveva di insalate. Diana non si era fatta pregare, benché al mare preferisse le città europee e trovasse alquanto discutibile l’igiene dei figli di Zeus. La prossima volta, se ve ne fosse stata una, avrebbe scelto lei dove andare: Parigi, Londra o, più semplicemente, Venezia, meta ideale per una fuga d’amore. Antonio era così convenzionale, a volte, così lontano dalla sensibilità romantica di lei e dal suo bisogno di solitudine. L’idea che un villaggio vacanze in una superaffollata isola greca potesse essere banale non lo aveva nemmeno sfiorato. I suoi amici ci andavano, le amiche di sua moglie pure e così i suoi colleghi. Diana guardava con tenerezza ed un pizzico di rassegnazione al semplice mondo del suo bel quarantenne.
La loro stanza era situata al primo piano di uno dei tanti bungalow che costituivano gli alloggi del Phaedra Beach Village. Dal terrazzo potevano vedere la piscina e, poco più lontano, la spiaggia privata dell’albergo. Tutto attorno, palme e alberi di ulivo creavano un’atmosfera tipicamente mediterranea. Non male, tutto sommato.
Durante la cena, a Diana non era sfuggita la circospezione con cui lui si era guardato attorno, nell’evidente timore di essere riconosciuto da qualcuno. Il suo lavoro di funzionario di banca lo poneva in contatto con centinaia di persone ogni giorno e non era del tutto improbabile che qualcuno di sua conoscenza si trovasse a Creta proprio quella settimana.
“Puoi sempre dire che sono tua figlia”, aveva scherzato Diana, incontrando lo sguardo preoccupato di lui.
“Come no, semplicissimo… “, aveva commentato lui, cominciando a rilassarsi. “Una figlia birichina”, aveva aggiunto, facendo scivolare una mano sotto il tavolo per sfiorarle la coscia. “E molto sexy”.
Quella sera, Diana aveva scelto un abitino a sottoveste bianco al quale aveva abbinato, per ricreare i colori tipici del paesaggio locale, una collana ed un bracciale di turchese. Non portava reggiseno e, fatta eccezione per un minuscolo perizoma in tinta coi gioielli, l’abito bianco era l’unico indumento che indossava. Ai piedi indossava impalpabili sandali dal tacco alto, i cui lacci erano così sottili da farla apparire come se fosse scalza e camminasse in punta di piedi. Antonio aveva sbiriciato sotto il tavolo per accertarsi che alla caviglia portasse il braccialetto d’oro che le aveva regalato all’inizio della loro relazione (“Perché non dimentichi mai che sei mia”, aveva scritto sul biglietto) e allora Diana aveva sporto il piedino facendo scintillare il gioiello sotto le luce della sala.
“Ho voglia di scoparti”, le aveva sussurrato.
“Siamo qui per questo”. E così dicendo, Diana aveva avvicinato le labbra alle sue, sfiorandolo senza baciarlo. Avevano concluso la cena in fretta, accontentandosi di un’insalata greca e di un tortino agli spinaci e ricotta, il tutto accompagnato da qualche bicchiere di vino rosso.
Dopo venti minuti, erano a letto: Antonio supino e Diana a cavalcioni sopra di lui, che maneggiava il suo fallo completamente eretto, sfregandoselo tra le gambe come un giocattolo erotico. Le piaceva eccitarlo in quel modo, abbandonandosi ai sensi davanti a lui come una professionista del sesso. Sentirsi un po’ puttana l’aiutava a raggiungere l’eccitazione necessaria per farsi penetrare; a volte, prima ancora di accoglierlo dentro di sè, la sua vagina si bagnava così tanto da lasciar cadere piccole gocce odorose sull’ingine di lui, una cosa che lo faceva letteralmente impazzire.
“Leccami, sporcacciona”, le aveva ordinato quella sera. “Lecca il tuo nettare e dimmi che sapore ha”. Diana aveva obbedito, ma dopo, anziché descrivergli il sapore del suo sesso, si era distesa sopra di lui e lo aveva baciato, carezzandogli il palato con la lingua, mentre il sesso di lui le scivolava dentro, aprendola tutta, fino in fondo. L’aveva fatta venire così, stringendosela contro il petto, con le labbra incollate alle sue e le piccole mani di lei avvinghiate alle sue spalle; affondava la sua verga dentro di lei con colpi secchi e decisi, stimolandole il clitoride con i muscoli tesi dell’inguine, mentre dalla sua bocca uscivano parole forti e incitamenti osceni, come piaceva ad entrambi. Diana era venuta, con un lungo gemito, quasi un pianto, per poi accasciarsi sfinita sopra di lui. Era stato allora che l’aveva fatta girare e l’aveva penetrata di nuovo. Lei lo aveva accolto, pronta e disponibile, inarcando la schiena perché lui le stringesse i seni e giocasse con i suoi capezzoli, rosei e duri come piccoli coralli. Le pareti interne del suo sesso erano ancora scosse dai fremiti dell’ orgasmo appena avuto e lo sfregamento di quel membro insaziabile che le frugava dentro amplificava e prolungava il suo godimento, come se non dovesse avere mai fine. Poco prima di riempirla, Antonio l’aveva afferrata per i fianchi, affondandole le dita nella carne fino a farle quasi male, mentre con i pollici le divaricava le natiche , per godersi lo spettacolo del suo sfintere esposto e palpitante.
“Dì che lo vuoi nel culo! “, la incitava. “Dimmi quanto ti piace prenderlo in… “. Era venuto prima che lei potesse accontentarlo, eccitato dalle sue stesse parole e dalle reazioni di lei, che mugolava vogliosa e compiacente, dimenandosi sotto di lui.
Si erano addormentati, l’uno nella braccia dell’altra, cullati dal ritmo di una musica latina, forse un mambo che qualcuno stava suonando sulla spiaggia.

“Tesoro, stasera avremo compagnia”, esordì Antonio, entrando in camera.
Diana era in piedi, davanti all’armadio aperto, incerta su che cosa indossare per cena. Il perizoma di pizzo bianco risaltava sulla pelle ambrata, incorniciando le natiche sode e perdendosi tra di esse.
“Non dirmi che hai già rimorchiato qualcuna! “, reagì lei. Non era gelosa, ma l’idea di una qualsiasi interferenza nella loro intimità la infastidiva. Per mesi, dopo quella vacanza, sarebbero stati costretti a vedersi di nascosto, una volta o due a settimana; le sembrava insopportabile sprecare anche solo un’ora di quel tempo prezioso in compagnia di noiosi sconosciuti.
“Gelosa”, la rimproverò lui, allungandole una sculacciata e baciandola sul collo. “è un uomo, se ti può interessare. Ed è anche piuttosto attraente”.
“E tu come lo conosci? “, volle sapere lei.
“Era in palestra. A quanto pare, la palestra del villaggio è frequentata soltanto da italiani”. La strinse a sè, facendo aderire al suo petto la schiena di lei, mentre il suo sesso andava già indurendosi contro le sue natiche. Diana sentì i suoi muscoli sfiorarle la pelle, i pettorali ben definiti premerle contro le spalle. Le braccia di lui la cingevano con forza, trasmettendole il vigore di quel corpo maschio ed esigente. “è venuto da solo”, continuò. “da Milano. è avvocato civilista, in crisi con la moglie, in cerca di svago”. Diana lo ascoltava a malapena, cullata dal suo corpo e dal tono caldo della sua voce. ” Sembra simpatico”, concluse lui.
“Per questo lo hai invitato a cena? Perché ti è sembrato simpatico? “, lo stuzzicò lei.
“Anche”, disse lui, “ma non solo. Sono convinto che anche tu lo troverai… simpatico”.
Diana sì girò, incontrando il suo sguardo. C’era una luce maliziosa nei suoi occhi grigio verdi e per un attimo Diana provò disagio. Un’idea attraversò la sua mente e subitò svanì: immagini fugaci si segrete fantasie si erano mescolate per un istante al ricordo di quel mattino, dell’uomo che l’aveva guardata toccarsi e godere per poi andarsene in silenzio. E se la persona che Antonio aveva conosciuto in palestra fosse stato proprio quell’uomo? Diana cercò una risposta sul volto del suo amante, ma vi trovò solo sincero divertimento. Sentì qualcosa di duro premerle contro l’inguine; fece scivolare una mano lungo il ventre di lui, fino a sfiorargli l’asta eretta, protesa contro la stoffa dei boxer.
“L’allenamento non ti ha stancato”, disse.
Lui si lasciò spogliare, estasiato dai gesti esperti di lei, che a poco a poco scopriva il suo sesso arrogante e s’inginocchiava, golosa, per prenderglielo in bocca. Diana fece scorrere la lingua sull’asta, lentamente, come per saggiarne la consistenza, mentre con le mani gli accarezzava le natiche contratte, invitandolo a rilassarsi. Usò le labbra per scoprirgli interamente il glande, lo succhiò dolcemente e poi prese a masturbarlo, senza fretta, leccando via di tanto in tanto le gocce di sperma che andavano formandosi sotto i suoi occhi. “Ingorda”, mormorò lui, eccitato da quella vista. Le prese la testa tra le mani, attirandola a sè e le spinse il grosso membro fino in gola. “Succhia, amore”, la incitava. “Così, brava, così… “. Diana si stava eccitando; sentiva le piccole labbra inturgidirsi e schiudersi, mentre la sua bocca succhiava, avanti e indietro, come una vagina aperta, guidata dalle mani di lui, affondate nei suoi capelli. Immaginò di vedere la propria fica mentre veniva penetrata da un secondo membro, ancora più grosso di quello che teneva in bocca; la vide dilatarsi, accogliere quella verga esigente dentro il suo corpo, muoversi in sintonia con essa verso un godimento bestiale. Era lui che la stava scopando, l’uomo della piscina. Diana si abbandonò a quella fantasia, curiosa di sapere dove l’avrebbe portata. Antonio stava per venire, lo sentiva; tra pochi istanti le avrebbe riempito la bocca di fiotti densi e salati, incitandola ad ingoiare, come piaceva a lui. E lei avrebbe ingoiato, seppure con un lieve senso di nausea, felice di compiacere il suo uomo. Prese a titillarsi il clitoride, mentre il membro di lui le pulsava sulla lingua, le sfregava le labbra, le colpiva il palato. I suoi gemiti strozzati stuzzicarono Antonio, che venne subito, riempiendole la bocca. “Bevi! “, lo sentì rantolare. Diana bevve, docile, continuando a menarsi il clitoride con il dito medio. Godette dopo un istante.
“Tu sei pericolosa”, la rimproverò lui, lasciandosi cadere sul letto alle sue spalle. “Mi farai uscire di testa”.
Diana gli rivolse uno sguardo languido, intorpidito. Lentamente si alzò, asciugandosi la bocca con il dorso della mano. Si chinò su di lui per baciarlo. “Ti amo”, gli disse. “Da morire”.
Davanti allo specchio del bagno, Diana contemplò il proprio corpo nudo, longilineo e morbido. Si sfiorò i capezzoli fino a farli inturgidire, allargò un poco le cosce, si accarezzo il pelo biondo scuro del pube. Era bella: se fosse stata un uomo avrebbe voluto scoparsi. Quel pensiero la fece sorridere, ma un altro, subito dopo, la turbò. Era riuscita a godere immaginando di essere posseduta da due uomini, proprio come quel mattino, mentre si toccava ai bordi della piscina. Quella che inizialmente le era sembrata una semplice fantasia, stava diventando un pensiero fisso, un desiderio reale. Antonio, forse, lo aveva capito e il gesto di invitare quell’uomo a cena con loro non era altro che il primo passo verso un rapporto a tre. Quella prospettiva la turbava, la eccitava, la confondeva. Vedendola concedersi ad un altro uomo, Antonio avrebbe potuto perdere interesse per lei, considerarla alla stregua di una puttana qualunque, usarla ancora per poco e poi lasciarla. Qualunque cosa avessero deciso di fare, non poteva essere fatta alla leggera. Il loro amore era troppo importante per finire a causa di un semplice gioco erotico.
“Antonio”, fece per dire, uscendo dal bagno. Ma il respiro pesante di lui le fece capire che si era addormentato. In silenzio, Diana prese dall’armadio un abito rosso, leggero, dal corpetto aderente legato dietro il collo e dalla gonna semitrasparente. Lo distese sul letto e si sdraiò nuda accanto al suo uomo.

Lui li stava aspettando nella hall, sfogliando distrattamente alcune brochure esposte vicino al banco. Era alto, fisico atletico, capelli neri tagliati corti. Quando li vide entrare, si fece loro incontro, disinvolto e cordiale, come se li avesse accolti in casa propria.
“Piacere, Davide”, si presentò a Diana, porgendole la mano.
Diana, leggermente imbarazzata, si lasciò avvolgere dal calore di quella mano grande, forte, da uomo d’affari. Per un attimo incontrò il suo sguardo, abbastanza per notare come l’azzurro degli occhi risaltasse sulla pelle abbronzata, creando un contrasto intrigante. Non vi era dubbio che quello fosse l’uomo della piscina; eppure, nulla nel suo atteggiamento avrebbe fatto supporre che tra loro fosse accaduto qualcosa. Tutto in lui, dalla energica stretta di mano alla piega decisa della labbra carnose, comunicava determinazione.
“Sono Diana, felice di conoscerti”, disse, cercando di apparire disinvolta.
Antonio aveva prenotato in un ristorantino tipico, con vista sul mare, a pochi chilometri da Hersonissos. Il viaggio lo fecero sulla Golf che avevano preso a noleggio all’aeroporto, una macchinetta semiscassata, in perfetta sintonia con lo spirito greco. Dal sedile posteriore, nell’oscurità dell’abitacolo, Diana osservava i due uomini conversare come vecchi amici. Non seguiva i loro discorsi, ma ne studiava i gesti, le intonazioni della voce. Una tacita complicità sembrava unirli, come se tra loro fosse stato detto molto più di quanto lei osasse supporre. Era difficile dire chi dei due avesse preso l’iniziativa di quell’avventura insolita, arduo immaginare la conversazione che doveva essersi svolta tra loro, quel pomeriggio, nella palestra deserta. Diana cominciava a sentirsi esclusa da quel rapporto così tipicamente virile, si sentiva come un giocattolo in attesa di essere provato, una bambola gonfiabile che i due uomini erano impazienti di usare.
“Si soffoca qui dietro”, si lamentò, al solo scopo di farsi sentire.
“Siamo arrivati, amore”, le rispose Antonio, allungando una mano sul sedile posteriore per sfiorarle un ginocchio. Davide si girò e le sorrise. Diana arrossì.
Il loro tavolo era situato su una grande terrazza, affacciata sulla spiaggia. Una leggera brezza veniva dal mare, portando con se un profumo salmastro. Al centro della tavola una candela accesa creava un’atmosfera romantica, intima, l’ideale per sciogliere la tensione che ancora si avvertiva tra loro.
Bastarono pochi bicchieri di vino, perché anche Diana si sentisse più a suo agio e la conversazione scivolasse sul personale.
“Invidio le coppie come la vostra”, disse Davide, riempiendo di nuovo i loro bicchieri. “Tra me e Vittoria non è mai stato così”. Parlava della moglie, con la quale il sesso era finito da tempo. “Non c’è mai stata tra noi quella complicità che unisce una coppia nella ricerca di nuove forme di piacere, spingendole ad esplorare i territori delle reciproche fantasie. A Vittoria il sesso non è mai piaciuto”. Alzò lo sguardo su Antonio e poi, come rassicurato dal consenso di questo, si rivolse a Diana.
“Tu ami il sesso, Diana? “, domandò, guardandola negli occhi.
Diana resse il suo sguardo azzurro, cercando di nascondere l’imbarazzo. Con la coda dell’occhio vide che anche Antonio la guardava, attendendo da lei una risposta.
“Non potrei vivere senza”, rispose. Era vero.
Antonio le carezzo una coscia da sotto il tavolo, piegandosi in avanti, in modo che anche Davide vedesse ciò che stava facendo. “Per questo mi piaci”, le disse.
“Antonio pensa che tu meriti molto più di quanto lui ti abbia dato finora”, osservò Davide, senza toglierle gli occhi di dosso. “Pensa che i tuoi desideri vadano oltre un normale rapporto di coppia”.
Diana rivolse ad Antonio uno sguardo interrogativo.
“Non avere paura amore”, la rassicurò il suo amante. “Di lui ti puoi fidare”.
“Il tuo corpo esprime una sensualità cui è difficile resistere, Diana”, continuò Davide. “Tu stessa fatichi a controllarla”. Era chiaro a cosa stesse pensando, alludendo al suo scarso controllo e Diana si sentì come nuda davanti a quell’uomo, senza più difese.
“Sì”, ammise. “Mi sento eccitata anche ora, seduta a questo tavolo, di fronte a voi”. La brezza proveniente dal mare le mosse i lunghi capelli biondi, nascondendole per un attimo il viso.
Una mano si posò sulla sua coscia sinistra, la mano grande e calda di Davide. Antonio continuava a carezzarle il ginocchio destro, guardandola con tenerezza, commosso ed eccitato dalla sua docilità.
“Non stasera, però”, li avvertì Diana dopo qualche istante di silenzio. “Io e Antonio dobbiamo parlare”.
Lui la scrutò, come se non capisse. “Di cosa dobbiamo parlare, tesoro? “, le chiese.
“Di noi. Non voglio che tutto questo finisca con l’allontanarci”.
Antonio lanciò un’occhiata al suo ospite, temendo che le parole di Diana lo avessero offeso.
“E perché dovrebbe? “, insisté.
“Non è facile da spiegare. Non in presenza di … ”
“Estranei? “, finì per lei Davide.
Diana non disse nulla. La mano di lui continuava a carezzarle la coscia, risalendo lentamente fino a sfiorarle l’orlo del perizoma. Antonio non vedeva la sua mano, ma negli occhi di Diana leggeva il piacere che l’altro uomo le stava dando. Sentì il proprio sesso indurirsi e desiderò possederla lì, su quel tavolo, mentre Davide la masturbava. Prese una mano di Diana e la guidò fino al rigonfiamento che gli tendeva i pantaloni, imponendole un ritmo lento e costante.
In quel momento, una giovane cameriera dalle trecce nere portò i secondi di pesce. Davide ritirò la mano, con lentezza studiata, affinché alla giovane non potesse sfuggire ciò che stavano facendo. Diana la vide arrossire e per un attimo ne fu sedotta. Antonio guardava la sua amante, leggendo nei suoi pensieri, mentre Davide teneva gli occhi puntati sulla ragazza, che ormai non sapeva più dove guardare.
Quando se ne fu andata, Davide scoppiò a ridere e Antonio si rivolse a Diana.
“La vuoi? “, le domandò.
“Sciocco”, si schermì lei, realmente turbata. “Dobbiamo averla sconvolta”.
Nei minuti successivi si dedicarono alla cena, rimandando a più tardi il gioco interrotto. Diana era ancora convinta di non voler cedere, non quella sera, ma ogni volta che alzava lo sguardo dal piatto incontrava gli occhi di Davide, che la divoravano come fosse stata lei stessa una pietanza appetitosa. Quell’uomo era capace di trasmetterle una sensualità selvaggia, violenta, quasi dolorosa. Cosa avrebbe provato Antonio guardandola mentre si faceva scopare da un uomo come quello? Gli sarebbe apparsa come una femmina in calore, nulla di più e avrebbe smesso di amarla. Diana mangiava in silenzio, riflettendo sulla sua situazione, combattuta tra il desiderio di quel gioco e la paura di perdere colui che amava.
“Salutiamoci qui per stasera”, decise Davide, cogliendo tutti di sorpresa.
Diana fu colta da una fitta di delusione a quelle parole, mentre Antonio sembrava solo seccato.
“Mi rendo conto che per la “piccola” non è facile”, spiegò l’uomo, vedendo la reazione del suo ospite. “Una notte di sonno e una mezza giornata in spiaggia l’aiuteranno a capire cosa desidera”. Si rivolgeva indirettamente a Diana, parlando ad Antonio, come se lei non fosse stata presente. Lei lo notò e ne fu ferita, suo malgrado. L’uomo che fino a poco prima le carezzava la coscia e le stuzzicava la pelle attorno al perizoma, prendeva ora le distanze da lei, facendola sentire infantile, non degna di interesse. Era una strategia, si capiva, ma Diana non poté fare a meno di sentirsi una stupida. Desiderava quell’uomo almeno quanto amava Antonio: dover aspettare ancora per un giorno intero le sembrava impossibile.

Il mattino dopo fu svegliata dalla lingua del suo amante che la leccava tra le piccole labbra. Ancora mezzo addormentata, Diana vide i propri capezzoli eretti, le gocce di sudore che scivolavano tra seni e la bionda testa di lui immersa tra le sue gambe. Si abbandono alle sensazioni che scuotevano il suo corpo, come in un sogno erotico e il piacere crebbe dentro di lei. Allungò una mano ad accarezzare i capelli di lui e allora Antonio sollevò la testa, le disse “Buongiorno! ” e poi riprese a leccare, mentre le sue dita giocavano con i capezzoli duri e le solleticavano il ventre. La portava vicina all’orgasmo e poi si fermava, costringendola a toccarsi per non prolungare oltre quella dolcissima tortura; ma quando la mano di lei si posava sul monte di Venere, lui la bloccava, tenendola per il polso, eccitato da quella carne aperta e bagnata che si contraeva sotto i suoi occhi. “Fammi godere! “, implorava Diana, incoraggiando il suo amante a continuare quel gioco. “Non resisto, ti prego… mmmmm! “. I suoi gemiti si sentivano fino in giardino e qualcuno gridò loro qualcosa, una battuta o una protesta, in una lingua che non capirono. Poi Diana venne, bagnando il lenzuolo e le labbra del suo amante, scossa da ondate di piacere che dall’interno del suo sesso facevano fremere tutto il suo corpo. Antonio la baciò, facendole assaporare il sapore del suo stesso sesso, poi la prese e le venne dentro in pochi secondi.
“Davide ti piace, vero? “, le chiese più tardi.
Erano ancora a letto e Diana, appoggiata alla spalla di Antonio, giocherellava con i peli biondi del suo petto.
“Io amo te”, gli rispose.
“Non ti ho chiesto se lo ami, Diana. Ti ho chiesto se ti piace. ”
Lei smise di accarezzarlo e si sollevò per guardarlo negli occhi.
“Vuoi sapere se ci andrei a letto? “, domandò.
“Esatto”, annuì lui.
“Sì, ci andrei a letto. E sono anche sicura che mi piacerebbe. è un uomo più che attraente: ha mani forti, uno sguardo intrigante, un corpo perfetto. Qualcosa mi dice che anche tra le sue gambe vi sia qualcosa di interessante…”. Diana tacque, studiando per un attimo la reazione di Antonio a quella sua confessione.
“Se non fossi qui con te, se fossi libera come l’aria, se cercassi solo una memorabile scopata estiva, allora sì, andrei io stessa nella stanza di Davide e mi farei sbattere fino a domattina”, continuò. “Il problema è che ti amo e non voglio che tu mi veda come una troietta in calore pronta a farsi scopare dal primo che arriva”. Parlava guardandolo negli occhi, quegli occhi grigio verdi che amava sopra ogni cosa e che mai avrebbe voluto vedere colmi di disprezzo per lei.
Antonio la attirò a sé e la baciò teneramente.
“Ma se sono stato io a chiedertelo”, le fece notare, “che male ci sarebbe se tu accettassi? è un gioco tra me e te. Davide farebbe soltanto da tramite per il nostro piacere. ”
“Questo è ciò che pensi ora. Ma come fai a sapere cosa proveresti vedendomi realmente tra le braccia di quell’uomo? ”
Antonio ci pensò su qualche istante.
“è di te stessa che hai paura, non di me”, osservò poi.
“Perché dici così? ”
“Perché si vede. Dovrei essere io ad aver paura di perderti. Quell’uomo ti piace da impazzire, piccola”.
Diana abbassò lo sguardo, confusa.
“è solo sesso”, disse piano. “Ho voglia di fare sesso con lui. Lo desidero dal primo momento che l’ho visto, nella hall, quando ho capito cosa voleva… cosa volevate da me”. Gli accarezzò il petto. “Ma non provo nulla per lui, al di là di questo. Io amo te. ”
“Lo so”, la rassicurò lui.
“Come siete arrivati a parlare di cose simili, se nemmeno vi conoscevate? “, volle sapere Diana. “Ti ha detto di ieri mattina? ”
Antonio sorrise.
“Non ce n’è stato bisogno, tesoro. C’ero anch’io a godermi la scena”.
Diana ebbe un sussulto.
“Cosa? ! “, esclamò ad occhi sgranati. “E non mi hai detto nulla, porco che non sei altro! “. Ridendo, prese a percuoterlo con il suo cuscino, divertita dalla piega imprevista che aveva preso la situazione. Antonio si girò sulla pancia, per proteggersi dai colpi e intanto la implorava di fermarsi.
“Basta, ti prego! “, scherzava. “Se mi uccidi non troverai più un’altro che la sa leccare come me! ”
Diana smise di percuoterlo e lui tornò a girarsi.
“Evviva la modestia”, lo canzonò. “Perché non mi dai un saggio di quello che sai fare…adesso? “. Si sedette a cavalcioni sopra la sua faccia, sbattendogli il sesso aperto ad un centimetro dalla bocca, le mani strette alla testiera del letto. “Lecca”, sussurrò.
Antonio prese a titillarle il clitoride con la punta della lingua, carezzandole le natiche sode e insinuando due dita tra di esse in cerca dello sfintere. La lingua scese a stuzzicare le piccole labbra, si fece strada tra di esse, vibrò e risalì a tormentare il bottone di carne già eretto. Diana gemette, sfregandosi contro di lui. Con un dito Antonio le aprì l’ano e si fermò, sentendolo pulsare, perché si rilassasse.
“Perché non immagini che Davide ti stia inculando? “, le sussurrò. La vide bagnarsi tutta e i suoi capezzoli indurirsi all’istante. “Vedi che ti piace, amore? “, la incoraggiò, insinuandole sempre più a fondo il dito nel culo. Riprese a leccarle il clitoride, su e giù, finché non la sentì venire con un grido soffocato. L’odore del suo orgasmo si diffuse sopra di lui, come il profumo di una pianta esotica. Leccò le gocce di piacere che stillavano da quel fiore dischiuso, strappandole deboli gemiti. Alla fine, sudata e ansante, Diana tornò ad appoggiarsi al suo petto.
“Sei stato tu a proporre il gioco a Davide, allora? “, volle sapere.
“Sì. Vederti mentre ti masturbavi davanti a lui mi ha eccitato”, ammise lui. “Avrei voluto che ti scopasse, lì dov’eri, su quell’asciugamano bagnato del tuo orgasmo”.
Diana non disse nulla.
“Va bene stasera? “, le chiese.
“Va bene”
“Promettimi solo una cosa”, disse lui, sollevandole il mento affinché lo guardasse.
“Cosa? ”
“Non innamorarti di lui”.

Quella sera, prima di cena, Antonio le fece trovare sul letto alcuni capi di lingerie in pizzo nero. Il reggiseno a balconcino, una terza abbondante, le sosteneva i seni senza comprimerli, coprendo appena i capezzoli, che rischiavano di saltar fuori ad ogni movimento. Non c’erano mutandine, né un perizoma, ma soltanto un reggicalze e due velatissime calze nere.
Sdraiato sul letto, Antonio la guardò vestirsi, compiaciuto dell’effetto provocante che quegli indumenti producevano sul corpo della sua donna. La fermò, quando la vide infilarsi l’abito e le chiese di mettersi le scarpe, un paio di eleganti scarpette nere dal tacco a spillo, che mettevano in risalto le sue caviglie sottili e le gambe ben fatte. Diana lo accontentò e per qualche minuto girò per la stanza in quella tenuta, lasciando che lui si beasse della vista del suo culo e del suo sesso esposti senza alcun pudore in mezzo al pizzo del reggicalze, come frutti da cogliere. Lui se lo sentì venire duro, ma s’impose di resistere.
“Vestiti”, le disse. “Mi ecciti troppo”.
Diana obbedì, compiaciuta di vederlo così arrapato. Infilò l’abitino nero a sottoveste e diede un ultimo ritocco al trucco. Avrebbero cenato al villaggio, sul terrazzo affacciato sulla piscina e Davide sarebbe stato con loro.
Quando raggiunsero il loro tavolo, lui era là ad attenderli, elegantissimo nella camicia nera dalle maniche rimboccate e pantaloni sportivi anch’essi neri. Appena si sedettero versò loro da bere, prima a Diana, poi ad Antonio, quasi fosse un cerimoniale d’iniziazione. Poi i suoi occhi si posarono su Diana, percorrendo scrupolosamente il suo corpo, dai seni alle caviglie, mentre un’espressione soddisfatta andava dipingendosi sul suo volto.
“Sei bellissima”, le disse. Quindi si rivolse ad Antonio per sapere se il vino gli piaceva.
Per una buona mezz’ora i due uomini parlarono del più e del meno, di sport e di auto, di lavoro e di precedenti vacanze, mentre Diana li ascoltava, intervenendo solo ogni tanto. Come la sera prima, si sentiva un po’ esclusa da quella loro complicità; ma, allo stesso tempo, percepiva che anche quello faceva parte del gioco. Mentre parlavano, osservava le loro mani, cercando di immaginarle sul proprio corpo, tutte e quattro insieme, che la carezzavano, la stuzzicavano, la aprivano. Si vedeva tra quei due corpi, maschi ed esigenti, che le premevano la carne, davanti e dietro, mentre le loro labbra le baciavano il collo e le succhiavano i lobi delle orecchie come fossero grossi clitoridi; avrebbe sentito i loro ansiti sopra di sé, attorno a sé, avrebbe respirato i loro odori, il sudore dell’uno e dell’altro le avrebbe bagnato la pelle… Antonio la stava guardando, come in attesa e allora Diana capì di aver perso il filo del discorso.
I due uomini si guardarono, divertiti, poi Antonio posò una mano sopra quella di lei e le disse:
“Finisci il dessert, poi aspettaci di sopra”
Davide le carezzò la coscia, da sotto il tavolo.
“Sei un uomo fortunato, caro Antonio”, osservò, senza smettere di guardarla. “Hai una donna bella e… calda”. La sua mano raggiunse il reggicalze e si insinuò tra le cosce. Sentì che Diana non portava mutandine. “E anche un po’ puttana”, aggiunse, in un sussurro che solo lei poté udire.
Diana si alzò, lasciando a metà il suo dolce al cocco. Era troppo eccitata per aver voglia di mangiare, voleva solo godere e al più presto, tra le braccia di quell’uomo sconosciuto e sensuale, che sembrava leggerle dentro la mente, penetrandola con gli occhi al solo scopo di farle pregustare un’altra e più profonda penetrazione.
“Non fate tardi”, si raccomandò, lanciando ad entrambi uno sguardo eloquente. Poi se ne andò.

Distesa sul letto, nella semioscurità della stanza, Diana aspettava. Sentiva alcune voci provenire dal giardino, qualcuno suonava una chitarra. Aveva accostato le imposte che davano sul balcone, senza chiuderle del tutto, affinché la luce della luna entrasse ad illuminare i loro corpi avvinghiati. Era come perdere di nuovo la verginità. Sentiva che, dopo quella notte, non sarebbe più stata la stessa donna di prima; nuovi orizzonti di piacere avrebbero stuzzicato le sue fantasie e lei non si sarebbe più accontentata dei sogni. Antonio rischiava molto esponendola a quel modo, forse molto più di lei.
Sentì dei passi salire la scala esterna e un attimo dopo la porta si aprì. La figura di Antonio si stagliò contro la luce notturna, lo vide entrare e avvicinarsi al letto.
“Non fare nulla, amore”. La voce di lui era appena un sussurro. “Chiudi gli occhi e abbandonati alle tue sensazioni”. La baciò sulla bocca, sfiorandole il palato con la lingua e cominciò a carezzarle i seni attraverso il pizzo trasparente, finché i capezzoli non uscirono, turgidi, per incontrare le sue labbra affamate. “Brava…”, mormorava. “Brava, così, lasciati andare…”. Diana sentiva la stoffa della sua camicia sulla pelle, la fibbia della sua cintura contro l’inguine, le labbra umide che le succhiavano i capezzoli e le mordicchiavano il collo. Le mani esperte di lui la carezzarono a lungo, senza spogliarla del tutto, scoprendo parti di lei che baciava e stuzzicava, per poi coprirle di nuovo, tenendola in sospeso. Le sollevò la corta gonna fino alla vita, esponendo il suo sesso; poi le fece allargare le cosce e le diede qualche colpetto di lingua al clitoride. Diana cominciò a gemere, contorcendosi lentamente. Allora la porta si aprì di nuovo e Davide entrò.
“Così, brava…”, le diceva il suo uomo, ma attraverso gli occhi semichiusi Diana vide l’altro avvicinarsi e si irrigidì. La sensualità di lui la colpì con violenza, come qualcosa di brutale.
Senza spogliarsi, Davide si era abbassato la cerniera dei pantaloni e ora il suo grosso fallo eretto le sfiorava la faccia, invitandola a succhiare. Diana fece per prenderlo in bocca, ma lui si spostò.
“Ragazzina ingorda”, la rimproverò.
Quella voce calma e profonda stuzzicò i sensi della ragazza, aumentando la sua eccitazione.
“Ho voglia di succhiartelo”, disse. Ansimava, protesa verso quel membro imponente che la sfidava.
Lo sentiva sfiorarle la pelle e poi ritrarsi, ne percepiva l’odore muschiato, aggressivo e più volte tentò di leccarlo senza riuscirvi.
Antonio sollevò la testa e la vide mentre spasimava davanti a quel fallo in piena erezione. Per un attimo provò gelosia per quell’uomo dalla virilità prorompente che con tanta facilità seduceva la sua donna. Solo due ore prima, Diana gli aveva succhiato il sesso con la devozione di una schiava ed ora quelle stesse labbra si protendevano vogliose verso il fallo di un estraneo. Porca, pensò. Sei proprio una porca. Si rendeva conto della natura contraddittoria dei suo desideri; dopotutto era stato lui a proporre quel gioco e nemmeno i giustificati timori di Diana avevano potuto fermarlo. La natura sensuale di lei non poteva resistere di fronte a quegli stimoli cui lui stesso l’aveva esposta; non aveva il diritto di disprezzarla soltanto perché era stata al gioco.
Diana vide il suo uomo fissarla e lesse la gelosia nei suoi occhi.
“Vieni”, gli sussurrò, tendendogli una mano. Allora Antonio cominciò a spogliarsi, ai piedi del letto, scoprendo l’asta eretta che puntava dritto verso di lei. Quando le fu sopra e le loro labbra si incontrarono, Diana si strinse a lui, affondandogli la lingua in bocca, mentre tutto il suo corpo si apriva per accoglierlo. Antonio la penetrò con forza, mordendole un capezzolo, mentre la schiena di lei si inarcava per il piacere e il dolore. Il membro di Davide continuava a carezzarle la faccia, ritraendosi non appena lei cercava di prenderlo in bocca, per poi tornare a colpirla, più forte, come un grosso dito arrogante.
“Dimmi che sei mia”, grugnì Antonio, affondando in lei la verga gonfia.
“Amore…”, gemeva Diana. “sono tua…tua! “.
Antonio uscì da lei e si sostituì a Davide, mentre questo si spogliava. Diana si sentì vuota senza quel fallo arrogante che le riempiva il corpo e così prese a toccarsi, titillandosi il clitoride con il dito medio, gli occhi socchiusi per la libidine.
“Smetti di toccarti”, la fermò Davide. “Lascia fare a noi…” . Era nudo, adesso, e il suo corpo muscoloso la sovrastava; il fallo superbo simile ad una spada si ergeva davanti a lei con l’autorità di un comando. Diana chiuse gli occhi, preparandosi ad accogliere la verga dell’uomo, ma lui non fece nulla. A mezzo centimetro dalla sua bocca, la verga di Antonio attendeva impaziente. Diana aprì la bocca e lui entrò. Con le dita della mano destra piegate a formare un anello, la ragazza cominciò a masturbarlo, mentre la pelle setosa del glande le solleticava le labbra, avanti e indietro, avanti e indietro. In quel momento, la bocca di Davide si posò, socchiusa, sulle sue grandi labbra e iniziò a baciarle con infinita dolcezza, succhiandole come frutti maturi; la sua lingua si insinuò tra di esse, si soffermò sul clitoride, scese tra le piccole labbra. Ora Diana sentiva quella lingua curiosa infilarsi dentro di lei come un piccolo fallo e dibattersi come un serpentello rimasto prigioniero. Ondate di calore le scuotevano le membra, e lei gemeva, con il sesso del suo uomo in bocca, mentre Davide la incitava come una bestia in calore. “Vieni, dolcezza… godimi in bocca. Godi che poi ti faccio sentire il cazzo! “. Antonio notò che Diana si eccitava a quelle parole, che le piaceva sentirsi un po’ troia e volle vedere dove sarebbe arrivata.
“Che uccello vuoi, amore? Il mio o il suo? “, la incitò.
“Tutti e due…mfff”, mugolò lei, prima che Antonio le ricacciasse il membro in bocca soffocando le sue parole.
“E dove li vuoi i nostri uccelli? “, insistette. “Dimmi dove li vuoi! ”
“In bocca… ahhhh…e nel…”. Riprese a succhiare, ma Antonio si ritrasse.
“Alzati”, le disse, prendendola per le braccia.
Intorpidita dal piacere, Diana si lasciò sollevare, abbandonandosi contro il corpo del suo uomo. Alle sue spalle, Davide le carezzava le natiche, la schiena, le cosce. Sentì il membro di lui divaricarle le natiche e per un attimo ebbe paura. “Non ancora”, la rassicurò lui. Lentamente, la sua asta la penetrò in vagina, costringendola ad aprirsi più di quanto non avesse mai fatto e Diana accolse con gratitudine quella carne calda che la riempiva. Si appoggiava al petto di Antonio, mentre le mani dell’altro le stringevano saldamente i fianchi, per penetrarla più a fondo. Le dita di Antonio scivolarono a stuzzicarle i capezzoli, il ventre, il clitoride, facendola godere. Poi, quando i movimenti di Davide cominciarono a farsi più veloci, Diana si sentì spingere verso il basso dalle mani del suo uomo e in un attimo si ritrovò con la sua verga in bocca.
“Fammi sborrare, amore”, ansimava Antonio. Nelle mani stringeva ciocche dei capelli di lei, strattonandola per imporle il ritmo che lo eccitava di più, ora più lento, ora più veloce. Diana si lasciava guidare, mentre nella sua fica la verga di Davide faceva esplodere un altro orgasmo, come un fuoco d’artificio. I lamenti della ragazza eccitavano i due uomini, risvegliando i loro istinti più selvaggi, liberandoli da ogni freno. Antonio le venne in bocca, mentre Davide riuscì a controllarsi e a non riempirla subito. Diana gliene fu grata, perché quel cazzo duro le piaceva e lo voleva sentire ancora, lo voleva prendere in bocca e poi di nuovo in fica e poi… Girandosi, incontrò lo sguardo dell’uomo fisso su di lei nell’oscurità e sentì di amarlo. Non nello stesso modo in cui amava Antonio, ma come un animale ama la mano che lo nutre. Si inginocchiò davanti a lui e gli prese l’asta in bocca, cominciando a succhiare avidamente. La mano di Davide guidava i movimenti della sua testa, fermandola quando stava per venire e attirandola a sé quando voleva che riprendesse. Alle sue spalle, Antonio si stava eccitando di nuovo alla vista del culo di lei e dei movimenti della sua testa, che andava avanti e indietro spompinando uno sconosciuto. Ebbe voglia di sculacciarla, ma si trattenne. Le mise invece un dito tra le natiche e lo affondò dentro di lei, beandosi delle contrazioni rapide del suo stretto sfintere. Diana emise un suono strozzato, quando si sentì penetrare, ma continuò a succhiare il membro che teneva in bocca, con foga, immaginando che fosse quello stesso membro ad averla sfondata e non un semplice dito. Antonio le masturbò l’ano con movimenti rotatori, scavando sempre più a fondo, incoraggiato dai mugolii soffocati di lei che preannunciavano un orgasmo. In quel momento Davide le esplose in faccia, ricoprendole il volto e i seni del suo denso seme e allora Diana venne, con un lamento gutturale, sentendo l’orgasmo partirle dall’ano e raggiungerle il clitoride, in un esplosione di voluttà.
Antonio la fece sdraiare sul letto, mentre Davide, seduto poco più in là, si riprendeva dall’orgasmo appena avuto.
“Brava”, le sussurrò, baciandola sulle labbra. Diana lasciò che le mani di lui ricominciassero a percorrerla, stringendole i seni e carezzandole il sesso. Ancora. Volevano farla godere ancora.
Per molto tempo i due uomini la carezzarono, nell’oscurità della stanza. Diana si abbandonò al piacere che quelle mani le davano, carezzandoli a sua volta, prendendo i loro falli nelle mani e masturbandoli dolcemente. Li sentiva crescere sotto i palmi, mentre ammirava i propri capezzoli che si indurivano sotto le dita dei suoi amanti, che giocavano con il suo corpo e la facevano fremere. Davide le infilò due dita nella vagina e le fece vibrare. “Godi…”, le mormorò, guardandola negli occhi. Il respiro di Diana accelerò e il suo corpo si tese per la goduria. Antonio continuò a giocare con i suoi seni, strizzandoli e succhiandoli, fino a farle male. I membri dei due uomini erano quasi pronti per possederla di nuovo e Diana pregustava quel momento con impazienza.
Poi Davide si alzò ed estrasse qualcosa dalla tasca dei pantaloni che aveva abbandonato su una sedia. Diana non riuscì a vedere cosa fosse, ma sentì il rumore di un tappo che veniva svitato e poco dopo le dita dell’uomo cominciarono a spalmarle un unguento tiepido tra le natiche, sfregandole dolcemente l’ano per aiutarlo a rilassarsi. Antonio la guardava compiaciuto socchiudere gli occhi per il piacere che quel massaggio le procurava. La baciò a lungo, respirando i suoi ansiti e sussurrandole parole d’amore.
“è pronta”, disse Davide dopo parecchi minuti. “Adesso, piccola, ti facciamo vedere il paradiso”.
Antonio la fece salire sopra di sé e la penetrò; per un po’ la guardò muoversi su e giù per raggiungere la massima eccitazione, le labbra dischiuse, la lingua protesa a leccare falli immaginari. Quindi, ad un cenno di Davide, la attirò a sé. Diana si trovò semisdraiata sul suo uomo, le gambe spalancate, il sedere esposto a qualunque gioco avessero deciso di fare. Sentì un dito penetrarla, poi due. Le ruotavano dentro allargandole l’ano, mentre un’altra mano non smetteva di stuzzicarle il clitoride. Era Antonio? Il suo fallo era ancora dentro di lei, duro come un palo, ma le sue mani, libere, vagavano abili sul suo corpo, stuzzicando, titillando, penetrando. Era come se decine di piccoli membri virili volessero farsi strada dentro di lei, aprendola, esplorandola. Sussultò quando Davide le insinuò un terzo dito nel culo, ma poi il piacere la sopraffece e dalla sua gola uscì un rantolo di goduria.
Provò un lieve bruciore quando sentì le tre dita dell’uomo ritrarsi e per reazione contrasse lo sfintere provocandosi un’ondata di inatteso piacere. Sudava e le gocce del suo sudore bagnavano il petto di Antonio. Il glande di Davide le sfiorò l’ano, iniziando ad aprirlo.
“Rilassati, amore”, le diceva Antonio. Diana si lamentava, ma allo stesso tempo dimenava i fianchi per facilitare la penetrazione. Si sentiva una porca e come una porca grugniva. Nessuno mai l’aveva sodomizzata, ma Antonio la faceva spesso godere stimolandole l’ano con un dito. Le piaceva da morire e l’orgasmo che provava era diverso dai soliti, più intenso e prolungato, più carnale, quasi bestiale. Quando godeva con il clitoride si sentiva donna, ma quando godeva col culo si sentiva porca e perdeva completamente il controllo di sé. Davide la stava allargando, piano, attento a non farle male. Lo sentiva ansimare alle sue spalle, con il glande stretto nel suo orifizio vergine e sussurrarle incitamenti osceni, mentre la sua verga le affondava nella carne. Diana piagnucolava per il bruciore, godendo allo stesso tempo del membro di Antonio che la scopava da sotto, mentre una sensazione più intensa cominciava a crescere tra i suoi due orifizi. Si sentiva piena, farcita di membri duri ed esigenti che la possedevano con furia animalesca, strofinandosi dentro di lei incuranti dei suoi lamenti. Come una marea, l’orgasmo anale la travolse e Diana gridò, emettendo suoni gutturali che poco avevano di umano, mentre un secondo orgasmo la scuoteva dall’interno della sua vagina sommandosi al primo, come il più dolce dei supplizi.
Davide la riempì e così Antonio, entrambi incapaci di resistere di fronte a quel godimento multiplo. Diana si sentì inondare dal loro sperma denso e caldo, mentre i loro grugniti di piacere si mescolavano ai suoi in un violento concerto di lussuria.

Diana si svegliò dopo molte ore, carezzata da un raggio di sole che filtrava tra le imposte socchiuse. Antonio dormiva ancora, sdraiato a pancia in giù sul letto sfatto. Diana ammirò ancora una volta il suo corpo vigoroso, la schiena possente, le natiche muscolose da stallone. I ricordi della notte appena trascorsa cominciarono a rifluire nella sua mente, come le immagini di un sogno, un lungo, confuso, orgiastico sogno dove lei era stata al centro di piaceri indescrivibili. Si chinò a dare un bacio al suo uomo, sfiorando la pelle della sua schiena con la leggerezza di un petalo e continuò a baciarlo ed accarezzarlo finché lui non si svegliò.
“è accaduto davvero? “, le chiese, guardandosi attorno. Davide se n’era andato e qualcosa diceva loro che non l’avrebbero più visto. Un foglietto di carta era posato sulla sedia dove, la sera prima, aveva gettato i suoi abiti. è stato un vero piacere. D. , aveva scritto. Diana tornò verso il letto, tenendo quel foglietto tra le dita e si strinse al suo uomo. Tra le natiche avvertiva un leggero bruciore, prezzo inevitabile di quella sua seconda deflorazione.
“Sì, amore mio. è accaduto davvero. ”
Restarono in silenzio, paghi del calore dei loro corpi. Non avevano più forze per fare sesso, ma sapevano che prima di sera il desiderio sarebbe tornato e allora i loro corpi si sarebbero uniti di nuovo, ancora e ancora.
“Sara tutto diverso ora”, disse Diana, quasi parlando a se stessa.
“Cosa vuoi dire? “, sbottò lui. “Che non ti basterà più farlo con me? “. Si era sollevato su un gomito per guardare in faccia la sua donna. Diana non scherzava, era evidente.
Lei gli sorrise, un sorriso carico di sensualità e scosse la testa.
“Io ti amo, Antonio e ti voglio ora più di prima. Ma questa notte ho capito che il piacere ha confini molto più vasti di quanto siamo abituati a pensare e ho deciso di esplorarli tutti. Vuoi accompagnarmi in questo viaggio? “. La sua domanda possedeva la purezza e l’ingenuità di una dichiarazione d’amore.
“Lo voglio”, disse lui.
Diana si abbandono contò il suo petto e chiuse gli occhi.
“Sai quella ragazza che ci ha servito al tavolo due sere fa… quella che ha visto cosa mi stava facendo Davide…”, disse dopo un po’.
“Sì, tesoro. Ho visto come la guardavi…”
“E se andassimo a cenare in quel ristorante stasera? Il pesce era buono… e la vista sul mare…”
Non riuscì a finire, perché Antonio le aveva chiuso la bocca con un bacio. FINE

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