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L’amico di famiglia

Avevo vent’anni ed ero militare in quel di Firenze.
Arruolato volontario nei carabinieri prestavo servizio in una grossa caserma in centro, a pochi passi da Piazza della Signoria.
Tornavo spesso a casa, in Emilia, durante i fine settimana.
In quel periodo ero sfigatissimo: l’ultima storia risaliva all’estate dell’anno precedente, quando frequentavo una vecchia conoscenza: una ragazza francese di grande disponibilità “affettiva”.
Era l’inizio della primavera.
Sul treno viaggiavo in borghese, con una “mise” abbastanza sciatta: jeans, camicia e giacca a vento.
Con me portavo la pistola d’ordinanza, non certo per fare il gradasso, ma semplicemente per evitare una complicazione.
Altrimenti avrei dovuto consegnarla all’armeria della caserma che riapriva di lunedì alle 9.
Troppo tardi: dovevo infatti montare la guardia alle 6, e una guardia disarmata e come un gallo senza cresta!!
Tenerla in borsa non mi fidavo, e da regolamento era vietato.
Mi accomodai in uno scompartimento che ospitava una famigliola fiorentina.
Giullare quale sono, riuscii a rompere il ghiaccio subito dopo, complice, appunto, la pistola che venne subito notata.
Spiegai che ero un carabiniere ecc.
Adriana, tra i quaranta e i cinquanta, era la madre di Simone, 14 anni e Anna, 17 anni quasi 18.
La conversazione procedeva in modo simpatico e gioviale.
Adriana si stupì, me lo disse qualche mese dopo, come riuscissi ad essere una persona apparentemente semplice e nel contempo colta e interessante.
Un carabiniere anomalo, insomma.
Adriana non era tanto alta, capelli a caschetto, un corpo ancora sodo e ben ritagliato, coperto da una lunga gonna a fiori.
Era rimasta vedova da qualche anno, il marito era un noto fisico toscano morto di tumore fulminate.
Tirava avanti con un lavoretto part-time e i figli studiavano entrambi.
Improvvisamente le notai la forma del culo quando si chinò per raccogliere un libro.
E in quel preciso istante mi balenò nella mente, che forse…..
Ci lasciammo scambiandoci l’indirizzo e la promessa di rivederci a casa loro.
Dopo qualche giorno ero ospite a cena.
Vivevano in un bell’appartamento semi centrale a Firenze.
Anna subito dopo cena usci col fidanzato, rimanemmo in cucina a chiacchierare di scuola, università, disgrazie.
“Deve essere duro vivere senza un compagno? ” domandai con un principio di malizia.
Il discorso prese quasi subito la strada che volevo prendesse.
Simone, mio omonimo, si ritiro nella sua camera a guardare la tv.
Rimanemmo soli e ci spostammo sul divano del salotto illuminato soltanto da lampada da tavolo.
“Il sesso per me -incalzai facendomi coraggio – piace da matti non riesco a farne senza, ora sono solo e m’arrangio”
Adriana si schermiva, non era il tipo avventuroso.
Quella mia frase le provocò un notevole turbamento.
Aveva le gambe accavallate, e notai uno scatto del bacino e una smorfia sul viso.
Sorrise, mal celando l’imbarazzo.
Dentro di me pensai brutalmente:
“le tira, scommetto che ce l’ha già umida”.
Il pensiero mi fece avvampare e il cazzo mi divento subito duro.
Prese il coraggio anche lei:
“Cosa significa che ti arrangi? ”
“Significa che mi masturbo spesso, anche tu lo farai, immagino? ” replicai secco.
Il nodo di Gordio era reciso.
Adriana diventò rossa, tirò un sospiro e annui silenziosamente.
Poi imbarazzata, si alzò e andò in cucina; la segui, cambiai discorso: temevo di avere esagerato.
Adriana, ne sono convinto, erano anni che non vedeva uomo e improvvisamente un ragazzo poco più che adolescente irrompeva nella sua vita tutta protesa alla cura dei figli e al ricordo dei tempi andati.
Era probabilmente troppo.
Parlammo del più e del meno e poco dopo me ne andai.
“Ci sentiamo, grazie della bella serata”.
Tornai in caserma e inutile dire che mi feci una sega sotto le coperte, concentrandomi sul pensiero che in quel preciso istante anche lei si stava sditalando nel suo letto troppo grande per una donna sola.
Dopo tre giorni fu lei a chiamarmi, passammo una bella e curiosa domenica in una comunità di Arancioni, la setta degli Are Krysna, per intenderci, poco fuori città.
Mi disse che il prossimo fine settimana si sarebbe recata a Modena da un amica, e, se volevo, potevamo vederci a Parma, nella mia città.
Presi la palla al balzo.
Mi organizzai per bene: mi feci dare le chiavi di un piccolo appartamento da un amico di mio fratello, e preparai un pranzo con piatti comprati in una gastronomia modenese, vino bianco… ecc.
Era raggiante, si presento con un tailleur grigio molto elegante e una camicetta di seta bianca che faceva intravedere il reggiseno bianco e le grandi tette compresse dall’indumento.
Poi si mise a parlare di un mal di schiena che da qualche giorno la tormentava.
Le proposi un massaggio, accetto dicendo di volermi mettere alla prova come fisioterapista.
Si accomodò a pancia in giù sul divanetto del soggiorno, la casa era molto piccola ma accogliente.
Cominciai a massaggiarle le scapole, la schiena… mugulava :
“che bello, sei un massaggiatore nato”.
Sopra di lei a cavalcioni, il membro era d’acciaio, chiedeva di uscire dai jeans troppo stretti.
Lei mi guardava con la coda dell’occhio, ogni tanto staccavo una mano dalla sua schiena e con un gesto osceno mi toccavo il cazzo, facendo finta di “mettermelo a posto”.
Le scesi sui fianchi, le sfiorai le tette : con scatti contenuti, quasi impercettibili, spostava il bacino su e giù.
Cercava di strusciare su un cuscino del divano.
Strabuzzava gli occhi e faceva
“Mmmm”.
Allungai una mano sotto la gonna: le strizzai il culo:
“il massaggiatore non deve trascurare nessuna parte del corpo” dissi con stupida ironia.
Adriana non commentò, sollevò il culo aveva delle calze con le giarrettiere e le mutandine erano nere, in palese contrasto con il reggiseno bianco.
“Porca” pensai scostandogli le mutande e penetrandola con un dito.
“Ahhh” la figa era un burro.
Le tolsi le mutande e continuai a massaggiarla, tra il grilletto, enorme, e la spacca.
Si agitava.
La voltai , le allargai le gambe e cominciai a passargli la lingua sul clitoride e a prenderlo in bocca succhiandolo, ogni tanto scendevo e la penetravo con la lingua.
Dopo poco arrivo il piacere: vedevo la sua pancia accompagnare i miei movimenti, sbatteva il capo a destra e a sinistra, con le mani mi prese la testa e la premette sul suo basso ventre.
Godeva e urlava, urli veri il mio randello ora mi toccava l’ombelico, mi sfilai i pantaloni e la penetrai con violenza inaudita: colpi duri e secchi, che la squassavano, spostando il divano.
“Ahh” Ahh” Ahh” con ritmo mi accompagnava con la voce.
Non durai molto:
“Sborro” dissi, mi sfilai e cominciai a schizzare sperma sulla sua faccia, sul divano, sulla pancia, sulla fica.
Eravamo esausti, io mi lasciai andare a peso morto.
Stetti così qualche minuto, poi Adriana mi fece coricare.
Me lo prese in bocca e mi ritorno duro come prima: aveva una straordinaria abilità nel fare i pompini era come stare dentro alla fica!!
Mi monto sopra: voleva cavalcarmi….. in poco tempo raggiunse un secondo orgasmo.
Poi la feci voltare alla pecorina, appoggiata alla spalliera del divano, con le mani le stringevo le chiappe e la facevo sbattere contro i coglioni. Vaneggiava:
“cazzo, cazzo, cazzo, cazzo duro”
“sbattimi, scopami, sì, sì, sì….. ”
La cavalcata diventò furiosa: con un rantolo le godetti dentro, aggrappato alle sue enormi tette.
Erano ormai le quattro del pomeriggio e dovevamo sbaraccare.
Ci siamo rivisti diverse volte a Firenze, a casa sua.
Ufficialmente ero diventato l’amico di famiglia, in realtà l’amante della vedova.
Simone non si accorse mai di nulla, Anna invece ci becco un pomeriggio su un tavolo della cucina mentre infilavo la mamma a cosce spalancate.
Adriana non si accorse di nulla mentre i miei occhi incrociarono quelli della figlia che rimase qualche secondo sulla porta a soffietto a rimirare la scena.
La cosa mi fece salire ancor di più il sangue alla testa e montai la mamma con una gran foga.
Godemmo in modo rumoroso: mi stuzzicava l’idea di turbare i pensieri di quella ragazzina divenuta maggiorenne da qualche giorno.
Anna usci di casa e suono alla porta, ci ricomponemmo alla belle e meglio. “Ho dimenticato le chiavi” disse alla mamma.
“Vieni – disse Adriana- c’è una visita” .
Ci scambiammo un ciao strano, e suoi occhi mi penetrarono.
Da quel momento facevo di tutto per poter trombare Adriana quando Anna era in casa e sapevo che sarebbe stata con le orecchie tese ad ascoltare ogni movimento, ogni fruscio, ogni rumore.
Me la immaginavo scandalizzata ma eccitata, con la voglia che le saliva dalla pancia al cervello.
Notai che si chiudeva in bagno, chissà?
Magari si frugava la fica, pensando che quel cazzo dell’amico di famiglia avrebbe potuto penetrare anche lei.
Col fidanzato ci scopava, me lo disse Adriana, ma vuoi mettere l’amante della madre!!!
Con me era scorbutica, ma prendeva sempre più confidenza.
Un mattino dovevo consegnare delle carte in prefettura e feci una capatina improvvisa da Adriana.
La vedova non era in casa, ma Anna era ammalata e non era andata a scuola.
Mi venne ad aprire.
Tutta scompigliata, portava una vestaglia con dei disegni di Bugs Bunny.
“Entra – mi disse- la mamma ritornerà nel pomeriggio”.
Entrai, Anna tornò a letto sostenendo di non reggersi in piedi.
Andai nella sua stanza, al suo capezzale.
“Sei un bastardo – incalzò- prendi in giro la mamma, di lei non te ne frega niente”.
Dopo un po’ su questa scia si calmò.
Le accarezzai i capelli, e non disse nulla.
Poi cominciai a palparle le tettine, era rigida: aveva paura.
Arrivai a sfiorarle in mezzo alle gambe.
Sotto le mutandine.
Sentivo il suo umore che mi avvolgeva l’indice.
Dolcemente cominciai a masturbarla.
Mi tolsi la divisa.
Le sollevai la camicia da notte e le misi in mano il cazzo.
“Ti tocchi -dissi, con voce roca- quando ci senti scopare, vero? ”
“Sì” replico, la ragazza ora era una donna fatta, vogliosa di cazzo.
Le allargai le gambe e dolcemente la penetrai, aveva una fica stretta.
Mi baciava, mi implorava:
“Amore. Amore” .
Sborrammo in simultanea svuotandoci dei mesi passati nella più oscena eccitazione reciproca.
La situazione dopo quel giorno si complicò terribilmente.
Ma il periodo di leva finì e riuscì per un paio d’anni, stando a debita distanza, a barcamenarmi con madre e figlia contemporaneamente.
Ancora oggi qualche volta ci vediamo, e nonostante gli anni, il matrimonio di Anna, il nuovo amico di Adriana, un coetaneo, non è cambiato nulla.
Io resto sempre l’amico di famiglia FINE

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