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Ilaria: Una festa

Per qualche giorno non li vidi. Furono giorni di panico, ero sicura che avessero ripreso tutto, mi ero fatta incastrare definitivamente ero terrorizzata da quello che avrebbero potuto fare della videocassetta.
Finalmente, quanto mi costa questo finalmente, il venerdì li vidi, all’una, all’uscita da scuola. Salutai le mie colleghe e i miei alunni e mi lanciai dietro di loro temendo di perderli. Girai l’angolo e li vidi fermi in macchina, mi fecero segno di salire dietro, appena salita partirono.

Allontanandoci da scuola temevo che qualche conoscente potesse vedermi sulla macchina e scivolai sul divanetto, ma Nicola guardandomi nello specchietto retrovisore scoppiò a ridere e disse:

“Togliti il cappotto! ”

Mi sentii venir meno, quel giorno ero vestita in un modo talmente sobrio che già sapevo a loro non sarebbe piaciuto. Mi feci forza e mi sfilai il cappotto.

Antonio che mi guardava scoppiò a ridere anche lui

“La puttana vestita da brava professoressa! E lì sotto cos’hai, le mutande di lana? ”

Mi passò una busta da lettere, la aprii e tirai fuori due foto che mi ritraevano alle prese col ragazzino: in una ero ritratta di profilo mentre, ad occhi chiusi e con una espressione soddisfatta, gli tenevo il cazzo infilato nella mia bocca; nell’altra ero a quattro zampe, perfettamente inarcata, con la bocca aperta e la stessa espressione di piacere in viso mentre lui mi scopava da dietro ed era chiaro che mi stava inculando. Guardavo quelle foto in silenzio, smarrita, ero persa, con quelle foto avevano finito di incastrarmi.

Fu Nicola a rompere il silenzio:

“Tu devi andare in giro vestita per bene: tacchi alti, calze, gonne corte scolli abissali, niente mutande e niente reggiseno: tette e pelo devono essere facili da raggiungere, i vestitini per bene te li devi scordare se non vuoi vedere quelle foto e altre ancora arrivare a chi di dovere. Adesso togliti quegli stracci immediatamente. ”

“Ma è giorno, potrebbero vedermi! ” protestai con un filo di voce.

“Nuda! Non fartelo ripetere o sarà peggio per te! ”

Posai le foto al mio fianco e cominciai a sfilarmi gli stivali, poi i collant e le mutande, poi la gonna, scivolai sul divanetto ancor di più e tolsi la dolce vita, la T-shirt e il reggiseno: ero nuda.

Antonio mi guardò e disse:

“Tirati dritta, allarga le cosce e masturbati! ”

Esegui terrorizzata, chiunque ci avesse affiancato mi avrebbe vista.

Nicola, diede un’occhiata nello specchietto e disse:

“Come avrai immaginato abbiamo ripreso tutte le tue prodezze della volta scorsa” Antonio mi diede un’altra busta dalla quale tirai fuori altre foto, ancora più oscene delle precedenti, prese in vari momenti della serata ma sempre con me chiaramente identificabile mentre mi facevo fottere “spero ti piacciano e ti facciano capire che la tua unica possibilità è fare quello che ti diciamo noi e senza esitare e fare storie ogni volta come hai fatto adesso. ”

Proprio in quel momento arrivammo ad un semaforo rosso e a fianco a noi venne a fermarsi un pulmino di muratori, uno di loro mi vide e cominciò ad agitarsi dando di gomito agli altri, il semaforo scattò e Nicola partì sgommando. Per la vergogna non avevo neanche cercato di coprirmi, avevo il viso in fiamme e la mente sconvolta.

“Stasera devi farti trovare alle nove al solito posto. La tenuta della volta scorsa va bene, sopra puoi anche aggiungerci qualcosa, ma poco, tipo un tubino o una cosa del genere, corto e scollato ricorda! Andiamo ad una festa, ci saranno un po’ di amici, niente ragazzini stavolta, non ti preoccupare. Adesso rimettiti solo gli stivali e il cappotto, il resto infilalo in borsa e d’ora in poi attenta a come ti conci. ”

Rimisi il cappotto e gli stivali finendo di abbottonarmi mentre arrivavamo alla fermata del metrò. Scesi dall’auto e venni presa ancor più dal panico: dovevo prendere la metropolitana che a quell’ora era sempre affollatissima ed ero praticamente nuda.

Scesi le scale come ubriaca, arrivai sul marciapiede mentre il mio treno stava chiudendo le porte, allungai il passo per non perderlo e così facendo la parte bassa del cappotto si aprì scoprendo la coscia nuda fin quasi all’inguine.

Mentre le porte si chiudevano dietro di me mi accorsi di essere finita in mezzo ad un gruppo di ragazzi di colore che dovevano aver visto qualcosa perché mi guardavano tutti fissamente con un sorriso sulle labbra. Ero salita nella parte terminale dell’ultimo vagone, come avevo previsto c’ era molta folla. Lentamente mi si strinsero intorno e fecero in modo che finissimo contro la parete di fondo del vagone.

Uno di loro disse qualcosa nella loro lingua e subito sentii una mano infilarsi nello spacco posteriore del cappotto e trovare la natica nuda. Non potevo reagire, sotto il cappotto ero nuda, se mi fossi messa a strillare poi che spiegazioni avrei potuto dare.

Reso più audaci dalla mancanza di reazioni, quello che aveva infilato la mano prese a palparmi , si infilò con le dita tra le mie natiche e tastò il mio ano, poi scivolò ancora verso la figa, me la carezzò un poco e poi ci infilò due dita. Ebbi un sobbalzo e strinsi le cosce più che potevo, lui fece una nuova battuta ai suoi amici poi mi pizzicò con violenza: una volta, due volte, dischiusi le cosce, non potevo che lasciarlo fare.

Uno degli altri, saranno stati una decina, guardandomi negli occhi sollevò una mano, sbottonò i primi due bottoni del cappotto, infilò la mano e andò ad impossessarsi di una mammella. Avevo la mano sinistra libera, inerte lungo il mio fianco, qualcuno la prese e ci infilò un cazzo, con la sua mano strinse la mia movendola in su e in giù.

La situazione, i loro maneggi, mi trovai eccitata pur restando paralizzata dal terrore. Quello che mi teneva le dita nella figa non poté non accorgersene: lanciò una breve battuta e prese a muovere più energicamente le dita dentro di me.

Una nuova battuta e due mani grandi e forti si poggiarono sulle mie spalle costringendomi a chinarmi. Mi trovai di fronte due cazzi, due bei cazzi, due cazzi da negri, terrorizzata all’idea che qualcuno potesse scoprirmi me ne infilai in bocca uno e presi con la mano l’altro. Quello che avevo in bocca venne immediatamente, riuscii a sfilarmelo di bocca appena in tempo per infilarci l’altro ed evitare che mi sborrasse sul cappotto.

All’improvviso mi fecero rialzare, alla fermata erano saliti due poliziotti. Mi girai verso la parete per riabbottonare il cappotto, nessuno si era accorto di nulla. Guardai i miei violentatori senza dir nulla, riuscii persino a trovarli belli. Alla fermata dopo scesero.

In qualche modo arrivai a casa, mio marito non c’era, mi buttai sotto la doccia e poi sul letto. Stetti lì immobile con la testa vuota, brividi continui di freddo, poi mi addormentai.

Mi svegliai alle sette, dovevo prepararmi: mi strizzai nella guepière, infilai delle calze nere, indossai il tubino, pure nero, le scarpe col tacco. In bagno mi truccai accuratamente. Tornando in camera mi guardai allo specchio: potevo mandare in tiro chiunque.

Alle otto arrivò mio marito, gli dissi dell’impegno per la sera e gli raccontai del rientro in metrò: mi diede una pacca sul culo e disse che ero brava e facevo progressi, si tirò fuori il cazzo e me lo mise in mano mentre mi infilava la lingua in bocca baciandomi a lungo. Mi sciolsi per il suo bacio, mi si bagnò la figa immediatamente, lui se ne accorse, mi girò, mi fece appoggiare a una poltrona e mi infilò. Mi scopava, mi palpava e mi dava della puttana, aspettò che venissi e poi mi inondò la figa di sperma. Volevo andare in bagno ma me lo impedì, mi porse la giacca dicendo che andavo bene così.

Mi accompagnò in macchina. Quando arrivammo all’appuntamento ero ancora tutta bagnata, mentre scendevo dalla macchina, un passante di cui non mi ero accorta, ebbe una completa panoramica delle mie intimità: lui si fermò, cacciò un fischio di ammirazione ed io avvampai di vergogna; Antonio e Nicola erano già lì e si accostarono prendendomi per un braccio, l’altro, guardandoli in faccia, considerò fosse meglio allontanarsi.

Mi indicarono lo stradone e mi dissero di camminare sul bordo della strada ancheggiando al mio meglio, cercai di tirare più giù la minigonna ma Nicola mi apostrofò dicendomi di non fare la cretina.

Presi a camminare, loro seguivano ad una certa distanza.

Il tragitto fu una tortura: come già la volta precedente gli autisti delle molte macchine che passavano pensavano fossi una puttana, inchiodavano si accostavano al marciapiede e procedevano al mio fianco coi finestrini abbassati, alcuni chiedendomi quanto volessi altri dicendomi cose odiose. Due tizi in particolare, a bordo di una macchina rossa, due quarantenni orribili, calvi, obesi, bavosi, dopo avermi chiesto quanto volevo e non aver ottenuto risposta cominciarono a dirmene di tutti i colori: chi mi credevo di essere, che le puttane devono rispondere, che il mio pappa doveva essere un ricchione se mi permettevo di rifiutare dei clienti. Fermarono la macchina poco avanti a me, scesero, io mi bloccai, tremavo, Nicola e Antonio mi affiancarono, i due capirono anche loro l’antifona e se ne andarono. Fu Nicola a commentare:

“Certo che lasciarti in strada sarebbe un affare, eh cocca? ”

Non risposi, tenevo gli occhi bassi, lo spavento era stato molto forte, eppure mi sentivo anche eccitata e non volevo pensare né sapere perché.

Arrivammo alla stessa casa dell’altra volta, entrando fui abbagliata da un faro che illuminava una piccola pedana in legno disposta al centro della stanza, nella penombra scorsi delle figure ma solo dopo un po’ mi resi conto che si trattava di una decina di vecchietti che con occhi famelici mi toglievano di dosso quel poco che avevo. C’erano anche i due del cinema, li riconobbi a stento, l’età media doveva essere intorno ai settant’anni.

Quando Nicola, sfilandomi la giacca, mi disse che dovevo andare sulla pedana ed esibirmi mi sentii venir meno. Mi trovai in mano un bicchierino di grappa e lo mandai giù d’un fiato, mi venne riempito e lo vuotai di nuovo riuscendo a stordirmi un po’.

Antonio mi prese per un braccio:

“Caccia bene culo e tette, andiamo a farci ammirare! ”

Mi fece fare un giro intorno alla pedana, nella penombra vedevo solo visi allupati: per essere dei vecchietti i loro sguardi erano davvero troppo accesi.

Intanto Nicola aveva messo su della musica rock, Antonio mi sussurrò all’orecchio:

“Adesso sali in pedana e ti esibisci bene, stasera sei la loro festa, non ti consiglio di deluderli in nulla! ”

Lo guardai stranita, mi girai e salii in pedana. Stetti ferma un momento poi presi la mia decisione, avevo alternative? , cominciai a muovere i fianchi, poi lasciai che il movimento si estendesse a tutto il mio corpo, mi aggrappavo alla musica come ad un salvagente, lasciavo che mi entrasse dentro e si impossessasse del mio corpo come se fossi sola nella stanza. Escludevo tutto il resto: i mormorii prima, gli incitamenti dopo. Solo quando Nicola a voce alta disse:

“Avanti, puttana! ”

mi riscossi e cominciai a sollevare l’abito prendendomi i fianchi, poi feci scivolare le spalline, mi spostai sul bordo della pedana, mi piegai e fece schizzare le tette in faccia ad uno dei vecchietti che subito cacciò la lingua bagnandomi un capezzolo, mi raddrizzai, mi girai mi spostai sul bordo opposto, mi piazzai di schiena, cominciai a scendere ondeggiando mentre tiravo in su il vestito scoprendo il culo, mi assestarono una pacca sonora, risero tutti, qualcuno disse:

“è spuntata la luna! ”

mi rialzai tenendo giù il vestito davanti a coprirmi la figa, ancheggiando al massimo e agitando le tette mi diressi sul terzo lato della pedana e scodellai la passera nuda in faccia ad un altro vecchietto che fischiò ammirato. Tornai in mezzo alla pedana e mi sfilai il vestito con un solo gesto, poi presi ad esibirmi nelle pose più oscene: mi piegavo in due divaricando le gambe ed aprendomi le natiche e la figa con le mani mentre le tette sbucavano tra i miei polpacci; mi flettevo divaricando al massimo le ginocchia così che la figa si dischiudesse alla penetrazione dei loro sguardi, mi palpavo tette, chiappe, figa, cosce a piene mani, mi infilavo le dita dovunque. All’improvviso sentii arrivare un orgasmo, forse non cercai neanche di fermarlo, godetti follemente, a lungo, gemendo, con tre dita in figa e tre in culo.

Qualcuno mi fece scendere dal cubo, guidò la mia mano alla patta dei calzoni, si fece tirare fuori un uccello grosso e turgido. Allo stupore che mi si dipinse in volto scoppiò a ridere:

“Temevi che non fossimo in grado di soddisfarti? Qui siamo tutti fedeli di san Viagra, ne avrai più che a sufficienza, tesoro. ”

Detto questo poggiò le mani sulle mie spalle, mi fece calare e mi infilò l’uccello in bocca tenendomi per la nuca. Si spingeva dentro di me a forza, ad ogni colpo più in fondo, fino ad arrivarmi in gola. Per un attimo riuscii a liberarmi e protestai:

“Il preservativo, maiale! ”

“Tu ciuccia e non preoccuparti, puttana! ”

Me lo reinfilò in bocca e riprese a scoparmi, mi impediva ogni movimento, con le mani tirava la mia testa contro il suo bacino; si slacciò i calzoni e si tirò indietro giusto il tempo di far scivolare a terra le mutande, apparve un bacino grinzoso, con pochi peli bianchi che ad ogni affondo mi irritavano il naso. D’un tratto si bloccò:

“Metti le mani dietro la nuca e caccia bene le tette! ”

Appena lo ebbi fatto diede ancora qualche colpo poi si sfilò sborrandomi copiosamente sul seno.

Da dietro qualcuno mi tirò su; mani spalmarono la sborra sui miei seni, portarono la sborra alle mie labbra dandomi dita da leccare, altre mani si avventarono sulle mie chiappe, sui fianchi, sulle cosce, sulla figa; in un attimo mi trovai preda di un branco di lupi affamati. Persi il controllo cominciai a tremare come una foglia, stavo per scoppiare in un pianto isterico quando uno dei vecchietti del cinema bloccò gli altri:

“Piano, la signora non è abituata. ”

Si scostarono, mi passarono un panno umido, mi pulii un po’. Poi finalmente li guardai. Il vecchietto che aveva parlato mi fece cenno di raggiungerlo sul divano su cui si era seduto dopo essersi spogliato: era mostruoso, un corpo orribile su cui svettava un cazzo molto grosso coperto da un preservativo.

Lo raggiunsi, mi fece mettere a cavalcioni su di lui, mi disse di infilarmelo e di calarmi con dolcezza. Ero bagnatissima, entrò senza fatica, mi prese per i fianchi e cominciò a farmi salire e scendere. Poi all’improvviso mi strinse a se con una forza che non gli avrei immaginato, qualcuno alle mie spalle poggiò il cazzo tra le mie chiappe e mi sfondò. Fu questione di un attimo, strillai, cercai di divincolarmi ma arrivarono altri ad immobilizzarmi, mi abbandonai, lentamente il dolore diminuì, non mi sottraevo più, cominciarono a muoversi dentro di me. Quando quello nel mio culo mi sentì completamente aperta disse:

“è bello averne due dentro, eh cocca? ”

“Si è bello ma voi mi fate schifo! ”

Mi arrivò uno schiaffo che mi fece girare la testa, mi trovai una cappella sulle labbra e mi infilai in bocca tutto il cazzo, altri mi presero le mani e si fecero masturbare, altri ancora si avventarono sulle mie tette e su qualunque parte del mio corpo fosse disponibile. Stavolta non fu la paura a montare: lentamente fu l’eccitazione a prendermi, mi scatenai, persi completamente il controllo di me stessa, mentre i due dentro di me continuavano a fottermi io vagavo con le mani e con la bocca di cazzo in cazzo, offrendo le tette, rantolando, chiedendone ancora. Mi accontentarono: i due vennero, gli altri mi sollevarono e mi infilarono su altri due cazzi, e me ne trovai due in bocca in contemporanea, le mani sempre occupate. Godetti di nuovo urlando, smaniando, godetti moltissimo, mi accasciai semisvenuta mentre i due in me continuavano a pomparmi.

Quando mi ripresi ero stesa sul divano, erano tutti nudi intorno a me, corpi vizzi e cazzi in tiro, mi guardavano sogghignando. Non gli era bastato ancora. Uno si inginocchiò, mi aprì le cosce e mi infilò, cominciò a muoversi, io giacevo abbandonata sul divano, stanchissima, mi scopava come se fossi una bambola di carne, senza darmi né dolore né piacere; venne, lo sentii sborrare dentro di me: cercai di sfilarlo e gli urlai in faccia:

“Lurido porco! Senza il preservativo, maiale… ”

Mi arrivò uno schiaffo fortissimo che mi ributtò sul divano; il vecchietto si sfilò e un altro prese posto tra le mie cosce infilandomi, anche lui senza preservativo, accennai di nuovo a reagire ma quello mi afferrò i capezzoli torcendoli fortissimo:

“Invece di protestare partecipa puttana, qui siamo tutti puliti, non hai nulla da preoccuparti! ”

Mi lasciò il seno, rimasi immobile, portò le mani ai fianchi e cominciò a pizzicarmi con cattiveria finchè non presi ad assecondarlo nei movimenti. Venne ed un altro lo sostituì, poi un quarto entrò a fatica, la figa mi si era completamente asciugata e cominciavo a soffrire per tutte quelle penetrazioni. Riuscii a reggere ancora l’assalto del quinto ma al sesto i dolori erano così acuti che cominciai a piangere mentre loro ridevano beffardi, il sesto al settimo mi sembrava impossibile che nessuno sentisse le mie urla, al nono, finalmente svenni. Seppi dopo che il decimo mi aveva scopato inerte provandone un gran piacere.

Mi fecero riprendere a schiaffi; lo sperma mi colava dalla figa, ero completamente imbrattata, mi sollevarono e mentre mi portavano in bagno, vidi Antonio che mi faceva l’occhiolino con la telecamera in mano. Mi lavai, mi rivestii, quando uscii dal bagno i vecchietti se ne erano già andati.

Nicola mi si accostò:

“Complimenti! Hai fatto un po’ di scene alla fine ma sei proprio forte di coscia, come puttana hai un futuro! ”

Non gli risposi, non lo guardai neppure, volevo solo andare a casa. Fuori c’era la loro macchina, mi scaricarono sotto casa. FINE

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