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L’esattore delle tasse

– Desidera? – chiese Valeria mantenendo accostata la porta d’ingresso, davanti al giovane elegante con borsa di cuoio e occhiali cerchiati di tartaruga che aveva suonato il campanello.
– Sono l’esattore delle tasse, signora. Dovrei rivolgerle alcune domande, se può concedermi un minuto. –
Il giovane sembrava timido e aveva una voce molto garbata.
Ciò impressionò favorevolmente la donna, che tuttavia rispose garbatamente:
– Giovanotto, lei deve avere sbagliato porta: io sono una donna sola e non pago tasse… –
– Lo so signora. Ma lei è la signora Valeria Perdelli, vero? –
– è esatto. Però non capisco… Non ho mai dovuto pagare tasse in vita mia… –
– Appunto perchè lei possa continuare a non pagarle, io sono qui, signora – la interruppe garbatamente il giovane. – Ci vorrà solo un minuto, se avrà la bontà di di non tenermi ancora a lungo sulla soglia. –
Valeria aprì la porta e si fece da parte. Non era del tutto convinta, però le maniere educate e l’eleganza del giovane le ispiravano uno strano senso di fiducia che vinse infine la sua innata diffidenza.
– Si accomodi, prego – disse. – Però faccia in fretta: stavo per uscire. –
– Ci vorrà un minuto soltanto – disse. – Permette che mi sieda? – chiese poi indicando una sedia.
La donna acconsentì poi si sedette a sua volta, senza preoccuparsi di abbassare la gonna che era salita alcuni centimetri sopra al ginocchio.
Gli occhi del giovane sfiorarono per un attimo la soda rotondità di quelle cosce, ma fu uno sguardo così rapido che Valeria non sentì neppure la necessità di ricoprirsi.
“Che giovane educato” pensò tra se. “Ce ne dovrebbero essere molti come lui… magari fosse così anche il mio Bruno”
Intanto il giovane aveva estratto un grande modulo e, con la matita in mano, era pronto a iniziare la serie di domande.
– Il suo nome è Valeria Perdelli, vero? – chiese il giovanotto.
Lei annuì.
– Stato civile? –
– Nubile. –
A quella risposta il giovane ebbe un moto di sorpresa.
– Scusi signora, ma Bruno Perdelli non è suo figlio? –
– Risulta dai suoi documenti? –
– Ehm… si, signora! –
– Ebbene, giovanotto, scriva pure nubile, con un figlio di nome Bruno… Tanto , lei non è il primo a cui lo dico. –
Il giovane abbozzò un sorriso comprensivo ed annotò quanto gli era stato detto.
– La sua professione, signora? –
– Casalinga, al momento. E spero di continuare ad esserlo ancora a lungo. Sa, mio figlio ha detto che io non dovrò più lavorare per tutta la vita, e che a me ci penserà lui. –
Di nuovo il giovane sorrise con comprensione.
– Allora scrivo casalinga a carico del figlio – disse. – Che mestiere fa suo… –
– Suona la chitarra, in un complesso. è bravissimo: lei dovrebbe sentirlo. Ma forse lo ha già sentito, lei è giovane… –
– Non seguo molto i complessi moderni, signora. Purtroppo non ho molto tempo, e sono fidanzato con una ragazza alla quale i genitori non danno molta libertà. Quanto guadagna, approssimativamente, suo figlio? –
La donna ebbe un gesto di sconforto.
– Oh, molto poco, per ora! Appena di che pagare l’affitto e mangiare tutti i giorni. –
– Capisco. –
Valeria pensò ancora una volta che quel giovane era davvero beneducato, molto sensibile e comprensivo, e pareva anche un po’ babbeo, poichè scriveva tutto quanto lei gli diceva, credendole ciecamente, quando gli sarebbe bastato dare un’occhiata ai mobili, alle tappezzerie e ai soprammobili, per rendersi conto che la famiglia Perdelli era più che in condizione di versare il proprio contributo alle casse dell’Erario.
Ma quando pensò la parola “babbeo”, Valeria si dispiacque e si inquietò un po’ con se stessa. In fondo, qualsiasi cosa quel giovane fosse, lei doveva essergli grata e quindi era ingiusto che pensasse di lui cose così poco carine.
Fu a seguito di questa autocritica che, quando il giovane le chiese un bicchiere d’acqua, lei non vi trovò nulla di strano, anzi arrivò a offrire, di sua iniziativa, un buon bicchiere di Chianti.
– Sa, ne abbiamo poche bottiglie che ci manda un lontano parente dalla Toscana. Le conservo per le grandi occasioni. –
– Allora lasci perdere, signora. Per me va benissimo l’acqua. –
– Ma no! Via! Lei è così gentile che un bicchiere di buon vino è il meno che merita. –
– Troppo buona, signora. –
– Aspetti un attimo. Torno subito. –
Se Valeria si fosse voltata, avrebbe potuto accorgersi che l’educato esattore delle tasse non arrossiva affatto mentre guardava con interesse gli attributi del suo bel corpo femminile.
In cucina Valeria armeggiò in fretta tra il frigorifero e la dispensa, poi fece saltare il tappo e cominciò a versare la rossa bevanda.
– Qual’è la sua età, signora? – si sentì chiedere prima ancora che il bicchiere fosse pieno.
Sussultò quando si accorse che il giovane era a due passi da lei, sulla soglia della cucina.
Senza capire il perchè di quella scortesia improvvisa, Valeria tornò a concentrarsi sull’operazione che stava eseguendo e rispose:
– Trentanove. Ma a che serve la mia età, per le tasse? –
– Infatti non serve alle tasse, signora! –
La voce veniva da ancora più vicino.
Terrorizzata, Valeria non si mosse e posò la bottiglia senza trovare il coraggio di voltarsi a guardare di nuovo il giovane.
Se lo sentì alle spalle e tremò in tutto il corpo.
– Ha un colore meraviglioso, questo vino – disse l’altro, allungando una mano verso il bicchiere. – Mi scusi se sono venuto qui in cucina, non invitato, ma ho ritenuto di non disturbarla oltre, e di non farla venire di là. –
– Beva. Beva pure e non si preoccupi. – Valeria tremava ancora leggermente, ma cercava di sorridere, mentre si dava della stupida e della paurosa.
Ma quando il bicchiere fu vuoto e i loro occhi si incontrarono per un breve attimo, Valeria ebbe di nuovo paura e le tornò alla mente l’ultima ammissione del giovane: la sua età non serviva affatto per le tasse.
Cercando di scacciare quel dubbio che la tormentava, Valeria distolse lo sguardo, e cercò di imprimere alla sua voce un tono quanto più indifferente possibile.
– Bene. Se non ha altre domande da farmi, credo che dovrebbe andarsene. Come le ho detto, stavo per uscire e… –
– Certo, certo – la interruppe il giovane senza accennare a muoversi.
Valeria cercò di prolungare il sorriso che le stava morendo sulle labbra e, senza sapere cos’altro dire, si avviò verso la porta, ma la mano che le afferrò il polso era forte e decisa.
Si voltò di scatto, le gote in fiamme e il respiro affannoso.
– Che fa? Mi lasci o chiamo aiuto! –
Il giovane scuoteva il capo, mentre la mano serrava con maggiore forza.
– Meglio di no, signora. Sono molto forte e, anche se preferisco non dover ricorrere alle maniere rudi, potrei farle molto male prima che arrivi qualcuno. –
– Ma che cosa vuole da me? L’avverto che se ha intenzione di derubarmi, troverà poco o nulla. Sono una povera donna. –
La risata del giovane le fece morire le parole in gola.
– Derubarla, signora? Ma per chi mi ha preso? Per un volgare ladro da appartamenti? –
– Ma allora, cosa vuole? Perchè rimane qui? … Perchè mi tiene il braccio? Perchè non se ne va? –
– Davvero non arriva a capirlo? –
Valeria restrinse gli occhi e, per quanto conoscesse la risposta, che la terrorizzava, scosse il capo.
– Lo dirò io, allora: perchè lei è bella, signora. Un bocconcino davvero coi fiocchi e merita tutte le mie attenzioni. –
In quel momento Valeria volle gridare con tutto il fiato che aveva in gola, ma con suo sommo stupore, neppure lei riuscì a sentire la propria voce, in quanto l’altra mano del giovane si era posata sulle sue labbra prima che lei avesse il tempo di tirare il fiato.
Nelle due ore che seguirono, Valeria visse una serie di sensazioni sempre diverse che ebbero il potere di stordirla, di sommergerla, di ridestarla, facendola partecipare attivamente e di rigettarla di nuovo in fondo a una marea di oblio nella quale viveva senza avere la forza di dire a sè stessa che era viva e che non stava sognando.
Dapprima credette di volare, ma forse era solo trasportata in braccio in un’altra stanza, e l’unico segno di concretezza le veniva dalla mano forte che seguitava a premerle le labbra.
Gli abiti le scivolarono via dal corpo senza scossa, senza che nessun movimento falso turbasse il suo torpore, e quando fu nuda si sentì meglio, immaginandosi libera, giovane, fresca e in balia di un corpo altrettanto giovane, libero e fresco.
Le labbra che si posarono sulle sue palpebre abbassate erano morbide e la coprirono di tanti piccoli baci che provocarono in lei una vera e propria esplosione di gioia nel rinnovarsi di quei contatti, una volta abituali, ma ormai dimenticati. Si immaginò diciottenne e il soffitto divenne la fronda ombrosa di un albero e lo spesso copriletto un tappeto verde d’erba sul quale lei, inesperta e innamorata, stava godendo la sua prima esperienza col ragazzo dei suoi sogni.
E, a conferma quasi di questo suo assurdo sogno, le giunse all’orecchio la voce tenera che le diceva tante parole meravigliose, chiamandola “delicato fiorellino”, “labbra di velluto” e “corpo di cerbiatta”.
Sentì parole di lode per le sue spalle lisce e morbide, per il suo seno piccolo dalla graziosa forma appuntita, per il ventre liscio e ancora privo di rughe e di cellulite, e per le cosce piene e affusolate. Le giunse anche un plauso per lo squisito profumo di pulito che lei emanava, e intanto la bocca con le labbra di velluto era scesa lungo il suo corpo e ora, intervallando le rapide frasi a piccoli baci, stava stuzzicandole il clitoride.
Ebbe immediatamente un orgasmo e il poco raziocinio che ancora sussisteva nel suo cervello, se ne andò del tutto e lei divenne un giocattolo senza carica, capace solo di muoversi se sollecitato dalla mano del bimbo che lo usava per giocare.
Ai piccoli baci seguirono presto baci più intensi e prolungati, sempre diversi per ritmo e direzione, che la toccavano dappertutto, che succhiavano ogni parte di lei, giocando a lungo con le labbra del suo sesso, per subito penetrare in profondità. E poi uscirne e cercare altro spazio più in basso, tra le natiche, dove c’era quel buon odore di pulito, solleticandole il buchino e risalendo in una rapida fuga verso l’alto, in mezzo ai peli ricci e neri, sino all’ombelico, sul quale s’indugiarono a lungo, per poi abbandonarlo lentamente e andare a segnarle l’attaccatura delle cosce.
E di nuovo sui peli, sopra il sesso, dentro il sesso e più giù fino al buchetto. Con fantasia, con inventiva meravigliosa, con una tale varietà che ogni nuova posizione era più eccitante della precedente, ogni bacio più caldo, ogni colpo di lingua più bruciante.
Valeria godette almeno due volte sotto quella carezza incessante ed era di nuovo sul punto di gridare la propria gioia per un nuovo orgasmo quando tutto ebbe termine. Le labbra si fermarono, le mani dalle dita morbide la abbandonarono.
Dopo un tempo lunghissimo di inerte rilassamento, Valeria aprì gli occhi e vide, a pochi centimetri dal suo viso, la faccia bella e sorridente del giovane che si era qualificato come esattore delle tasse.
– Chi sei, veramente? – gli chiese.
Le rispose un sorriso più aperto.
– Perchè me lo chiedi? Che importanza può avere il mio nome? Io sono qui. è sciocco interrompere qualcosa di tanto bello per parlare. Discutere non serve a niente… –
In un attimo Valeria ebbe davanti agli occhi tutta la scena vissuta da quando il giovane era entrato in casa sua e cento parole le si affollarono nella mente. Parole di protesta, spiegazione, rabbia, sdegno, vendetta.
Quel giovane impostore che le si era imposto con l’inganno e con la violenza, però, stava facendole vivere meravigliosi attimi d’amore, sensazioni cui lei si era disabituata, sentimenti fisici che nessun amante era più riuscito a suscitare in lei da che aveva cessato di essere una ragazzina.
La faceva sentire giovane e desiderata. E amata.
E tutto ciò era meraviglioso. E se in cambio le chiedeva di non fare domande sciocche, lei poteva anche starci.
Valeria vide i muscoli lunghi e scattanti, le spalle larghe, il torace fitto di peli neri e il ventre piatto, e guardò tutto con ingordigia, con avidità, poi i suoi occhi si spalancarono per la gradevolissima sorpresa.
Era straordinario! Impudico! Bello! Eretto! Fiero! Altero e insinuante! Pareva avere vita e voce propria e dirle “toccami, prendimi, baciami, che aspetti? Non vedi con quanto slancio punto verso di te? ”
Valeria sentì lo straordinario linguaggio di quella creatura e non seppe resistere all’invito impellente che le veniva rivolto: tese le mani e toccò, timida come una fanciulla alle sue prime esperienze. La pelle sottile e vellutata resistette un poco sotto i suoi polpastrelli, poi si allentò, si dischiuse ed espose il glande che conteneva, in tutta la sua bellezza.
Valeria non potè trattenersi e vi si gettò sopra a labbra spalancate, cominciando a baciarlo, a percorrerlo con la lingua fremente, a mordicchiarlo adagio. Poi si impose un movimento continuo e solo carezzevole, sotto il quale le parve che il giovane virgulto emanasse nuovo e maggiore ardore, espandendosi e riempiendo sempre di più la sua bocca spalancata.
Continuò per un tempo lunghissimo quel frenetico lavoro di bocca e, senza capire come, si ritrovò in ginocchio sul tappeto col giovane che la sovrastava.
Si interruppe, sentendosi spingere delicatamente il capo all’indietro e un attimo dopo le ginocchia sul tappeto furono quattro, mentre quattro occhi presero a fissarsi da una distanza brevissima.
– Brava, sei stata magnifica! – le sussurrarono le labbra a pochi millimetri dalle sue.
Valeria fece per dire “grazie” o qualcosa del genere, ma non ne ebbe il tempo perchè la bocca fu subito contro la sua e una lingua agile le cercò la lingua. Le mani ripresero a spingerla all’indietro e non si fermarono fino a che lei non fu coricata sul tappeto. Allora abbandonarono le sue spalle e le scesero lungo la schiena fino ad artigliarle le natiche.
Valeria si sentì sollevare come un fuscello e nel breve tempo che le occorse per rendersi conto di ciò che stava accadendo, si ritrovò con le cosce aperte e le gambe tese verso l’alto, mentre il giovane bastone di carne cercava la sua fessura per penetrarla.
Un colpo solo, secco e preciso.
Con la bocca di nuovo libera, Valeria gridò la sua felicità e, mentre il secondo colpo si succedeva al primo con rapidità, lei si sentì scuotere da un nuovo, più intenso orgasmo.
I colpi del membro infuocato si susseguirono con rapidità e vigore incredibili per un tempo lunghissimo, durante il quale Valeria ebbe di nuovo la sensazione di perdere i sensi e di nuovo la sua mente inseguì sogni di una ormai lontana giovinezza, piena di vigorosi compagni di studi e di giochi, di campagna, di sole, di aria e di libertà…..
Quando riaprì gli occhi, Valeria giaceva a gambe spalancate, distesa di traverso nel grande letto. Sollevando la testa sentì uno strano senso di nausea e dovette lasciarsi ricadere sul cuscino. Il giovane era disteso accanto a lei e fumava. Sembrava calmo e disteso.
– Ho dormito molto? – chiese Valeria, strizzando gli occhi per cancellare il fastidioso senso di disagio.
– Appena qualche minuto. –
– Scusami, non me ne sono proprio resa conto. –
– Neanch’io, subito. Tant’è vero che ho continuato a fare l’amore con te anche mentre dormivi. –
– Oh, scusami! Sono stata proprio una stupida ad addormentarmi così… però la colpa è tua – Valeria abbozzò un sorriso. – Mi hai fatto godere tanto che… –
– Che ha voglia di ricominciare, scommetto! –
Valeria spalancò gli occhi per la sorpresa.
– Tu… vorresti ricominciare? – gli chiese.
– Finire. –
– Oh, no! – esclamò Valeria. – Mi ridurrai a uno straccio… –
– Farò di te una vera donna, invece! –
La voce del giovane aveva di nuovo un tono strano, che a Valeria sembrò simile a quello usato prima, in cucina, quando lei gli aveva offerto il vino.
Ne ebbe istintivamente paura, ma cercò di mascherare i suoi sentimenti dietro un sorriso.
– Credevo di essere una “vera” donna – disse. – E di esserlo stata in modo particolare con te… –
Il giovane annuì con un cenno del capo.
– Sei brava, te l’ho già detto… ma non basta essere brava: una vera donna è qualcosa di più. –
Di nuovo Valeria sentì la minaccia e di nuovo ebbe, suo malgrado, paura.
– Che… cosa di più? – chiese.
– è una domanda alla quale si può rispondere solo con i fatti. – il giovane si alzò e, esponendo agli occhi di Valeria il suo membro di nuovo duro, andò a schiacciare la sigaretta nel posacenere sopra la toletta.
– Stenditi a pancia sotto – le ordinò.
Valeria strinse gli occhi e non si mosse.
– Fà come ti ho detto – continuò il giovane, con la stessa voce che le incuteva paura.
– Che cosa vuoi farmi? –
– Sei sciocca ad avere paura. E la tua paura è inutile quanto il tuo tentativo di disobbedirmi. –
– Cosa vuoi farmi? – ripetè la donna con ostinazione.
– Farò di te una vera donna: ti farò provare qualcosa che devi conoscere per poter esserlo. –
Valeria ebbe un brivido di angoscia e istintivamente strinse i muscoli delle natiche, sentendosi invadere da una profonda vergogna. Questo giovane, che l’aveva costretta a cedergli e poi l’aveva fatta godere tanto, che altro voleva da lei?
– Ti prego, lasciami in pace. Vattene. Hai avuto abbastanza da me, non ti pare? – Valeria provò il bisogno di umiliarsi, cercando di fare leva sulla sensibilità dell’animo. – Non ti basta avermi manovrato come un giocattolo, su questo letto che non aveva mai visto il mio incontro con un uomo? Non ti basta avere rovistato nei miei sensi fino ad avermi toccato l’anima? –
– No. Non mi basta. – disse seccamente il giovane. – Devi ubbidire ancora e diventare una “vera donna”. Stenditi a pancia sotto. –
– Ma perchè? Perchè? –
– Perchè – le disse il giovane accostandosi, – è così che voglio. –
– è assurdo! Non voglio! Tutto questo non ha senso! – gridò Valeria, ritrovando un po’ di coraggio per opporsi a quell’assurdità.
Le mani le afferrarono le spalle, e mentre il cervello si rifiutava di collaborare, si sentì rivoltare sul letto come una bambina e si ritrovò con i seni schiacciati contro il materasso.
Dopo visse un incubo, o forse un sogno, che durò un tempo lunghissimo e che la lasciò senza forze, piangente. Vinta. Paga.
Scivolò dal dolore alla rabbia impotente, soffrì la frustrazione di un oltraggio mai subito e alla fine, dopo aver ancora goduto e benedetto il nome che non conosceva e che sapeva di dover ormai odiare, sprofondò in un sonno senza sogni.
Quando riaprì gli occhi, suo malgrado, il primo pensiero fu per il giovane che doveva giacere accanto a lei.
Si sorprese di ritrovarsi sola e il suo cervello, ancora annebbiato dal sonno, cercò una spiegazione, ma ancora una volta la sua logica cozzò contro l’illogicità di quanto le era accaduto. Chiuse gli occhi e si rotolò sul letto.
Il contatto fresco della tela contro la pelle le ricordò altri contatti subiti e goduti e, pur senza volere, lasciò che la sua mente scivolasse sull’onda dei ricordi. Rivisse così, minuto per minuto, tutte le sensazioni provate fin dal momento in cui, sollevatala di peso, il giovane l’aveva trasportata dalla cucina alla camera da letto.
In quel momento lei si era attesa un attacco diretto, incontenibile, e invece lui aveva scelto la via della dolcezza e, dopo averla spogliata con delicatezza, l’aveva accarezzata così a lungo che le forze l’avevano abbandonata e lei stessa era arrivata al punto da offrirgli il seno da baciare e le cosce da accarezzare.
Ne era scaturita una parentesi d’amore così sublime che Valeria aveva goduto quasi in continuazione e ad un tratto era stata sul punto di perdere i sensi.
Ricordava quando l’aveva guardato negli occhi, appena distanti qualche centimetro dai suoi, e aveva trovato la forza di porre una domanda:
– Ma tu chi sei? Dimmi chi sei? –
L’unica risposta era stata l’allungarsi dei colpi dentro di lei e il ritmico aumento della cadenza.
Aveva immaginato che fossero giunti al culmine dell’atto fisico e, quasi inconsapevolmente, aveva offerto la sua partecipazione di femmina. Aveva roteato il bacino, sollevato ancor più le cosce e tirato a se le braccia con cui lui le cingeva le spalle per creare un’aderenza maggiore, perfetta.
Poi lui l’aveva lasciata a contorcersi negli spasimi di un godimento incontrollabile e, come in un gioco, aveva ripreso ad accarezzarla e a pascersi le mani e le labbra della sua pelle vellutata, coperta da una patina di sudore.
Le aveva ancora sussurrato parole dolcissime e Valeria aveva ricambiato quelle espressioni d’amore sia nelle parole sia nei fatti.
Il giovane era stato inesauribile.
L’aveva accarezzata così a lungo e con tale maestria che a un certo punto i suoi nervi si erano spezzati e lei aveva giaciuto in sua completa balia.
Valeria si era sentita percorrere ogni centimetro di pelle da quella lingua morbida e da quelle dita agili e leggere, e si era abbandonata a sensazioni a lei pressochè sconosciute.
In un lampo di lucidità aveva pensato che la continuazione nel tempo di un tale genere di rapporto fisico, avrebbe anche potuto portare alla follia una persona normale. Ma era avvinta da una tale carica di benessere e di rilassatezza che era rimasta docile e remissiva, scivolando a poco a poco nel torpore e quindi in un breve sonno dovuto alla spossatezza.
Poi c’era stato un seguito che avrebbe voluto cancellare dalla sua mente.
Quando lui l’aveva rivoltata sul letto, Valeria aveva cercato di coprirsi con le mani le natiche, di rotolarsi sul letto e fuggire, ma non era riuscita a fare un solo gesto e le mani del giovane avevano cominciato a frugarla indecentemente fra le cosce e nel solco sudato.
Il cervello le si era snebbiato alla prima spinta contro l’ano e, con l’insorgere del dolore acuto e repentino, Valeria aveva ritrovato la forza per reagire.
Si era svincolata selvaggiamente e solo per un soffio non era riuscita a sfuggire del tutto alla presa del giovane.
Valeria si era detta che forse sarebbe bastato rilassarsi e lasciarlo fare. Forse il dolore sarebbe quantomeno divenuto sopportabile, ma aveva continuato a lottare e a stringere convulsamente le chiappe, seppure inutilmente, con l’unico esito di rendere maldestro e sgraziato il movimento dell’uomo contro le sue natiche.
Aveva ceduto di schianto, quando le residue forze l’avevano abbandonata e aveva versato lacrime amare contro il cuscino, mentre la forza selvaggia dell’uomo le sconquassava l’intestino attraverso quella via per lei non abituale.
Valeria aveva avuto schifo di sè e di tutto, e aveva solo ritrovato la voce per gridargli “bastardo” prima di ricadere giù e sottostare.
Quello che era accaduto dopo, Valeria lo ricordava come in un sogno.
Era stata una cosa lunghissima e molto dolorosa, rimasta tale fino al momento in cui le dita sapienti le si erano infilate in mezzo alle cosce e le avevano raggiunto il sesso ancora umido dei precedenti orgasmi.
Valeria aveva avuto una contrazione istintiva, poi aveva capito il bene che quella carezza portava e si era aperta.
Da quel momento tutto era cambiato di nuovo. Aveva ricominciato a godere, mentre il tizzone rovente che si sentiva di dietro si era trasformato e faceva nascere in lei una ben diversa e arcana sorta di godimento.
Attimo dopo attimo, Valeria aveva vissuto quel rapporto contronatura con un orgasmo dal quale non era più riemersa fino a che lo aveva sentito vuotarsi dentro di lei e infine giacere, forse stanco a sua volta, sopra la sua schiena.
Adesso tutto era finito, tutto era passato, Valeria ricordò il male che le aveva fatto, l’umiliazione che le aveva inflitta, eppure si sentì trasportata verso di lui da un’attrazione fisica irresistibile. Avrebbe voluto che il giovane fosse ancora lì, accanto a lei, per accarezzarla e farla godere e sussurrarle ancora quelle frasi così tenere.
Ma, quello che si era presentato come l’esattore delle tasse, se ne era andato e lei fu certa che non lo avrebbe mai più rivisto.
Non conosceva neppure il suo nome. FINE

About A luci rosse

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Un commento

  1. Sinceramente se venisse a casa mia una esattrice delle tasse e mi propone sesso in cambio di cancellare i debiti accetterei.

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