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Tra sogno e realtà

Questo è un sogno a metà. O, per meglio dire, è la mia metà di un sogno. Un sogno che riguarda due persone, deve essere generato in due. Deve riflettere la fantasia di entrambi. Come un film commentato due volte. Prima da uno, poi dall’altro. Affinchè ciascuno lo descriva dalla sua parte. Io scriverò la mia metà. Mi piacerebbe tanto che qualcuno la leggesse. E aggiungesse la sua metà. Io sono un uomo. Nel senso di appartenente al genere maschile della specie umana. La Natura ha stabilito che mi congiunga carnalmente con la donna. La Natura non aveva previsto, forse, che nella specie umana l’attività sessuale avrebbe travalicato, un giorno il significato, il fine della riproduzione, della conservazione della specie, per assumere valenze affettive, ludiche, psicologiche. Oddio, fino ad oggi ho sempre ottemperato, nel mio piccolo, alle leggi della Natura. Bene o male, con tanta fatica, ho avuto la mia razione di donne. Mi sono fatto le mie donne. Per amore (dimenticherò mai il mio primo amore? ), per bisogno fisico, per necessità psicologica, per “riaffermare la mia identità sessuale”, come recita l’ultimo manuale che ho letto. Per noia, e lì ho capito che stavo invecchiando. Con alterna fortuna. Che grande emozione, che senso di onnipotenza, quando, come toccavo M. , si scioglieva letteralmente nelle mie mani. Non le ho mai tolto gli slip asciutti… Che frustrazione, mentre ascoltavo G. , che cercava con malcelato imbarazzo di spiegarmi come aveva bisogno di essere stimolata, ed io lì, che cercavo la formula magica, fino a paralizzarmi definitivamante di fronte al suo:

“ahi, così mi fai male”. Poi la boa dei trent’anni. La fantasia non mi è mai mancata. La curiosità nemmeno. Forse è stata la curiosità il seme di certi mie pensieri, prima sfiorati con paura, poi sempre più a fatica repressi. La curiosità verso il mondo della donna. Verso la sua sensibilità magica. Verso il suo modo di godere. Sì, sto parlando di “godere sessualmente”. Quel suo aprirsi lentamente, il suo iniziare a vibrare, all’unisono col suo respiro. E poi l’orgasmo. Dio, che cosa incredibile. Tutti i muscoli, le fibre del corpo, tutta la sua essenza contratta nelle convulsioni spasmodiche di quell’attimo. Ma che dico? Io sono un uomo. Che cosa vado a pensare. Basta. Pensieri, pensieri. Li chiudi da una parte, sgusciano via dall’altra. In fondo chi lo verrebbe a sapere? No, no, lasciamo perdere. Ma il pensiero diventa fisso, diventa ossessione, ti fa vivere male.

Ti spinge a decidere. Basta con questa ossessione. Ho deciso. Me lo urlo in faccia, dentro di me. Voglio provare quello che prova una donna. Voglio godere come una donna. Voglio essere preso come una donna. Tutto qui il grande travaglio? La scoperta di una omosessualità latente? Non fa più notizia. Tanta gente ha affrontato la cosa senza tanti contorcimenti. No, non è tutto qui. Voglio provare quello che prova una donna. Voglio godere come una donna. Voglio essere preso come una donna. Da una donna. Voglio essere posseduto da lei. Voglio che mi faccia aprire, l’anima e il corpo. Con la sua rassicurante dolcezza. Voglio donarle la mia verginità. No, non sto parlando di rapporti sado-maso, di dominazione, o roba del genere. Sogno una donna che mi tratti con la dolcezza di cui ha bisogno una donna. Potrei dire: una donna che voglia avere un rapporto lesbico con me!

è folle, è malato. O forse no. Forse tutto è lecito. So solo che vivo male. Questa è la molla che mi ha convinto. Vivo male, reprimendomi. Voglio farlo. Ho bisogno di farlo. Chissà se esiste una donna che abbia la stessa esigenza, la stessa inconfessabile fantasia. Internet. Quale modo migliore per entrare in contatto con tanta, tanta gente, anonimamente. Lancia la bottiglia, forse qualcuno la raccoglierà. Ricordo ancora l’emozione della prima risposta. Dopo tanto tempo. A. , la cameriera. Così si presentò almeno.

“che cosa possiamo fare, insieme? “. Così iniziava la sua prima e-mail. Ed io, pazzo di emozione, col cuore a mille, che cercavo di spiegarle, il mio stato d’animo, i miei sogni. Che ero disponibile per tutto. Il suo linguaggio era un po’ crudo, non proprio dolcissimo. Ma ero deciso. Tre messaggi, poi è sparita nel nulla.

“Per te sarebbe la prima volta, nessuno ti ha mai reso donna, prima? “. Questa la sua ultima domanda, rimasta sospesa, così. Ricordo ancora il secondo, sprezzante, contatto, con K.

“Mentre tu sogni uomini finti, io mi godo il mio vero marito”. E amen. Dunque esistono anche donne “cattive”, sarcastiche, pronte a ferire gratuitamente. Ci ha sprecato anche il tempo di scrivere il messaggio! Ricordo il messaggio di A. , direttamente dagli USA. Eh, sì, nel mio girovagare telematico mi sono rivolto anche alle aree messaggi straniere. Per parlarne, se non altro. A. sembrava proprio incarnare il mio sogno. Dolce e forte. Diceva di avere già avuto un’altra esperienza del genere con un uomo. E di rimpingerlo ancora, a volte, per le irripetibili emozioni del loro rapporto. Peccato che dopo un paio di messaggi iniziò a propormi strane forme di collaborazione ad un racconto erotico che stava scrivendo, e che sembrava interessarle molto piu ‘di me. Quello che cerco è molto particolare, lo so. E le donne sono così diffidenti, guardinghe. Ci vuole costanza. E alla fine è arrivato. Il messaggio sognato è arrivato.

“Ho letto il tuo annuncio, sai anche io… ma sai, per una donna è pericoloso esporsi… ” E via a raccontarsi. Di sesso nemmeno l’ombra. A raccontarsi emozioni, aspettative. A raccontarsi la propria vita, i propri interessi. Io a conquistare la sua fiducia, lei a conquistare la mia. E soprattutto a spiegarle il mio bisogno di dolcezza, di delicatezza, di farmi prendere per mano e guidarmi in un mondo nuovo, del quale vorrei avere un ricordo di piacere, non di umiliazione. Lei non è una donna che vuole scimmiottare un uomo. Parla come una donna, si emoziona come una donna. Ride come una donna. Quanti giorni a spiegarci, a raccontarci le nostre giornate, le nostre piccole disavventure quotidiane, a parlare di sesso come un qualcosa non fine a se stesso, ma inquadrato nel contesto di un rapporto totale. Quanti piccoli imbarazzi, da parte mia, quando si toccavano gli argomenti più delicati, e lei lì, dolce e paziente, ad incoraggiarmi. Non sono proprio riuscito ad avere il coraggio di parlare degli “accessori” da usare.

“Ti prego, pensa a tutto te”. E lei, rassicurante come sempre, mi ha detto di stare tranquillo. Poi, quando ci siamo sentiti pronti, l’incontro di persona. è sempre un momento difficile. Di fatto, ti incontri con una persona che è un estraneo ma sai che sa di te le cose più segrete. Ma anche lì, basta parlare sinceramente, comunicare il proprio imbarazzo, e tutto passa. Lei non era per nulla “mascolina”, tanto per sfatare certi luoghi comuni. Non era minimamente truccata, se proprio avessi dovuto notare qualcosa che potesse si pure lontanamente collegarla alle “sue” fantasie. Ci era facile ridere insieme, e questo era importantissimo. E il suo sorriso era quanto di più dolce e femminile si possa immaginare. Non parlammo minimamente di sesso. Non ce n’era bisogno, del resto. Era come se, semplicemente guardandoci, ci comunicassimo silenziosamente la nostra complicità. Ed era terribilmente eccitante. Ero felice quando ci salutammo. E anche lei sembrava esserlo. Eravamo in sintonia, ormai Stasera, vado a casa sua. Ho suonato il campanello. Sento i suoi passi avvicinarsi. Le gambe mi tremano, la testa mi gira un po’. La porta si apre, e il suo solito , fragoroso, sorriso, mi investe.

“Entra! “, mi dice, e proprio il quel momento mi accorgo di non averle portato nulla, nemmeno un fiorellino! Non faccio in tempo a rammaricarmene, mi prende sottobraccio e inizia il giro turistico del suo appartamento. Tende, tendine, soprammobili, accostamenti di colore finto-casuali, pupazzi di pelouche. Tutto parla al femminile in quella casa. Persino un fioccone rosa appeso allo specchio del bagno, segnala ai naviganti: in questa casa abita una Donna. Mi fa accomodare sul divano del salotto. Bere? Mangiare qualcosa? Scherzi, sono completamente nel pallone. Lo stomaco è bloccato, la testa è bloccata. Da quando sono entrato avrò detto due sì e un no, così, tanto per manifestare la mia presenza. Mentre gira per il salotto, inizia a raccontarmi della sua giornata. Del traffico che c’era oggi, dei casini sul lavoro, della lite al negozio con la signora che aveva cercato di passarle avanti. Almeno credo che stia dicendo tutto ciò. La testa mi ronza, sorrido meccanicamente, quando lei viene a sedersi vicino a me, tuffandosi letteralmente sul divano.

Ora la vedo meglio. I capelli sciolti, ancora leggermente umidi di doccia, i suoi occhioni ridenti, una camiciona tipo scozzese, jeans, pantofole. Ero indeciso su cosa indossare. Ho scelto un abbigliamento casual, e ho fatto bene. L’aria informale giova al momento. Ci guardiamo, Un lunghissimo attimo di silenzio. Le sue guance arrossiscono leggermente. Da donna. Io non so di che colore posso essere. Sento il mio viso bruciare e credo che lei possa leggervi sopra perfettamente il mio stato d’animo. Che parola può mai uscire dalla bocca di una persona in questi momenti?

“Allora? ” La pronunciamo quasi all’unisono, e la risata liberatoria che ne segue è una manna dal cielo. Torna la complicità nei nostri sguardi, la complicità muta che trasmettono i miei occhi un po’ stralunati e i suoi, che non smettono di ridere un momento. Siamo felici, felici. Il nostro mondo ora è tutto su quel divano, esclusivo, irraggiungibile per il resto dell’umanità. Le nostre mani si incontrano. Le guardiamo mentre si intrecciano. Poi ci guardiamo di nuovo. E finalmente ci abbracciamo, in silenzio. Basta parole. Ora le nostre mani, le nostre braccia, i nostri sguardi, parlano per noi. Ci stacchiamo restando vicinissimi. Quante volte ho già vissuto questo momento. è l’ora del primo bacio. A questo punto io passo un braccio dietro le spalle di lei, con l’altra mano la spingo verso di me, lei piega il capo sulla mia spalla, io la bacio. Di solito. Stavolta no. Stavolta resto immobile, fissandola negli occhi. Lei capisce. Non sorride più ora. Mi prende la testa tra le mani, mi accarezza il viso, mi aggiusta i capelli. Passa una mano dietro la mia nuca, mi prende il mento con l’altra. Appoggia il mio capo sulla sua spalla. La mia testa si piega all’indietro. Preme le sue labbra sulle mie. è una strana, decisa pressione quella che usa. Stringe la mia nuca più forte, fa scivolare l’altra mano sul mio collo. Dischiude le labbra, e la sua lingua forza con decisione, con urgenza, le mie. è una vera e propria penetrazione, la sua. Le sue labbra ora premono con più forza sulle mie, e la sua lingua scava, scava dentro di me, esplora il mio palato e poi giù, fino a dove è possibile. Cerco di ingaggiare un duello con la mia lingua, ma la sua , prepotentemente, me la ricaccia indietro, mentre dà una breve stretta più forte alla nuca

“Stà buono”, sembra dirmi,

“adesso sei mio”. è vero, sono suo, posseduto dalla sua lingua sempre più esigente, padrona. Sono completamente ubriaco, il cuore batte all’impazzata, le mie braccia inerti. Non so quanto duri quel bacio, il mio senso del tempo è completamente perduto. Poi, diminuisce lentamente la sua pressione, le sue mani scivolano di nuovo sul mio viso, e le sue labbra si distaccano dalle mie, non prima di avermi dato un leggero morso sul labbro. Mi guarda, sorride, anche se ora in quello sguardo, mischiata alla dolcezza c’è una luce più calda, eccitata, irrequieta. Mi accarezza, mi prende una mano tra le sue. Mi prende il capo tra le braccia, e inizia a baciarmi i capelli, ad accarezzarli.

“Non avere paura”. Ed io annuisco nascosto tra le sue braccia. Si alza, mi prende una mano e mi tira invitandomi a fare altrettanto. Ora sì, che mi tremano le gambe. Ho difficoltà a camminare dritto. Lei continua a tirarmi per mano e mi conduce. Fuori dal salotto, attraverso il corridoio. Attraverso un uscio. L’ultima porta. La seguo. Entro. Sì, lì c’è il suo letto. Lo guardo, cerco di fissarlo nella mia mente. Non è un letto qualunque. è il letto in cui accadrà il miracolo. Il sogno si avvererà. Mi guardo intorno. Voglio guardare tutto del posto in cui sto per oltrepassare il più estremo dei confini. Lei, ancora una volta, sembra intuire i miei pensieri. Mi lascia fare, per un po’. La sua camera è calda, il termosifone aperto al massimo, le persiane chiuse. L’arredamento è sobrio, un grosso armadio, una sedia, un comodino, il letto grande, con una coperta rosa, due grossi cuscini foderati sopra. L’armadio ha una porta con uno specchio. Lo guardo, mi guardo, la guardo riflessa in esso. Lei, ancora, capisce. Lo specchio mi dà fastidio, mi imbarazza in questo momento. Forse disturba anche lei. Apre la porta dell’armadio in modo che lo specchio sparisca dietro. Dentro l’armadio, si intravedono i suoi vestiti. Tailleurs, pantalini. Camicette. Minigonne! Perchè lei è una donna. Una stupenda, dolcissima donna. Mi abbraccia, mi accarezza il viso. Mi sorride. Un sorriso appena accennato, stavolta. E mi sussurra: “Vuoi? “. Un semplice, dolcissimo “vuoi”. Ad un tratto mi sento come se stessi per sposarmi, al momento della fatidica domanda.

“Sì, lo voglio”. Deglutendo a vuoto. Ora non si torna più indietro. Accende la luce dell’abat-jour, spegne quella del lampadario. è una luce più calda e soffusa quella che ora ci illumina il viso, il corpo. Mi fa sedere sul bordo del letto. è la più tenera, amorevole, svestizione quella che inizia su di me. Io non devo fare nulla. Mi toglie le scarpe, le calze. Poi torna su. Mi sfila il maglione. Slaccia i bottoni della camicia. Me la sfila. E mi sfila la “canottiera della salute”, che indosso sempre, in tutte le circostanze. Ad ogni capo di abbigliamento che mi toglie, si interrompe, mi accarezza il viso, i capelli, mi rassicura. Io la guardo, immobile e inebetito, mentre divento progressivamente più nudo, più esposto al suo sguardo. Mi fa alzare in piedi, mi slaccia i pantaloni, giù la lampo. Li abbassa fino alla coscia, poi mi fa rimettere seduto, e me li sfila definivamente. è bella la calma con cui piega e ripone i miei vestiti. In quache modo mi tranquillizza. Su, di nuovo in piedi, e anche gli slip vanno via. Sono completamente nudo dinnanzi a lei, che è ancora completamente vestita.

Mi guarda, mi scruta, senza mai smettere di sorridermi. Adoro il suo sorriso. Mi dà sicurezza. Mi accarezza il viso, il petto, le mani, i fianchi. Il mio membro è completamente in stato di riposo. è assurdo, sono eccitato come non mai, ma l’emozione è troppo forte. Tremo. Dà una leggera carezza al mio inguine, poi mi accarezza le cosce, davanti, dietro e risale. Risale verso le natiche. Con entrambe le mani. Le prende. Le stringe leggermente. Poi più forte. E per un attimo il suo sorriso si contrae, e nei suo occhi c’è una scintilla nuova. Di desiderio, di possesso. Per un attimo non è più lo sguardo di una donna… Deglutisco ancora a vuoto. Oplà, ci sdraiamo sul letto, sprofondando tra i cuscinoni. Lei completamente vestita, io completamente nudo. Passa un braccio dietro le mie spalle, mi mette giù, mentre con l’altra mano mi carezza di nuovo la fronte, i capelli. Steso così al suo fianco, sotto di lei, il suo secondo bacio è ancora più profondo, penetrante, esigente. Sono suo, lei reclama il mio possesso, mentre preme con maggiore foga le sue labbra, la sua lingua mi esplora fin quasi alla gola. Il suo distacco stavolta è più immediato. Inizia a darmi dei piccoli baci sulla fronte, sugli occhi, sulle guance, sulle labbra, prima lentamente, poi sempre più velocemente. Io sono completamente passivo, inerte, creta nelle sue mani. Da quando sono entrato in casa sua ho smesso di essere un uomo, di comportarmi da uomo. Fa tutto lei, io seguo docilmente ciò che lei vuole. Mi bacia il collo, mordicchiandolo avidamente. Poi un morso più deciso. Che mi rimanga il segno. Vuole marchiare il suo possesso. Poi scende giù, verso i miei capezzoli. Quante volte l’ho fatto io… Ma ora lo sto subendo. Se subire è la parola giusta. Li pizzica, li morde, li lecca, li succhia, Il mio cuore è impazzito, e lei può sentirlo, il suo battito è talmente forte che lei può avvertirlo con le sue mani. Mi piace, mi piace essere suo, e lei lo sa, sa di aver vinto, sa che sono nelle sue mani, e farà di me quello che più desidera. La febbre ormai ci divora, anche lei fa sempre più fatica a mantenere i suoi gesti dolci, gentili. Ha paura di spaventarmi, forse, ma ormai anche il suo corpo reclama. Reclama piacere. Con le mani scende verso il mio ombelico, ci gioca, poi scende verso i miei fianchi. Ora i suoi occhi sono piantati nei miei.

Accarezza il mio inguine, il mio membro. La sua presenza non la infastidisce. Ci gioca teneramente, risvegliandolo quasi completamente. Poi scende verso le cosce. infila una mano sotto quella più vicina, e la solleva facendomi piegare la gamba. Poi, fa altrettanto con l’altra. Risale con la mano verso l’inguine, accarezza i testicoli, con la punta delle dita, poi li accoglie nell’incavo della mano. Poi, inizia a scendere. è il medio della sua mano che avanza lungo il perineo, pianissimo, centimetro dopo centimetro, in un tempo che sembra un’eternità. Io sono completamente incapace di connettere, mi verrebbe voglia all’improvviso di piangere, strillare, scaricare in qualsiasi modo la tensione che si è accumulata dentro di me. Ma devo imparare, voglio imparare i tempi di una donna. Ora voglio scordare la mia fretta di uomo. Ora sono uno strumento nelle mani di lei. Sarà lei a dettare i suoi tempi. Il suo medio è all’inizio del solco delle natiche. Ci scivola dentro, si fa largo, si insinua, pianissimo.

è vicina, è vicina, la sento; è maledettamente vicina. Ancora un centimetro, ancora un millimetro. è come se il mio intimo più profondo si spalancasse, si offrisse senza riserve. Ora vorrei che lei non mi guardasse. Ma non è possibile. Il suo sguardo è fisso nel mio. Lei vuole possedermi con il suo sguardo, vuole cogliere quegli attimi in cui mi sta prendendo la mia intimità. Quando ritiene di essere arrivata al punto giusto, si ferma. C’è un lunghissimo attimo di immobilità. Poi, piega la punta del dito verso di me. Verso la “mia” porta. è un contatto delicatissimo, ma ha su di me l’effetto di una frustata, una scarica elettrica. Sussulto, mi contraggo. Ho la sensazione che le mie guance vadano a fuoco, non posso più guardarla, giro il mio sguardo altrove. Lei lascia il dito immobile, senza ritirarlo. Mi guarda, mi da un bacino sul naso, sulla fronte. Dolcemente, con l’altra mano cerca di rispostare il mio viso verso il suo. Eseguo. Lentamente rialzo lo sguardo verso il suo. Mi sorride. Di nuovo:

“Non avere paura”. Rimane immobile. Aspetta. Sa cosa aspettare. Che io mi calmi, che il mio corpo lentamente si rilassi. Sente i muscoli delle mie natiche decontrarsi. E, di nuovo, preme la punta del dito verso di me. La mia reazione è più composta, ora. Una leggera contrazione, ancora, più che altro involontaria. Ora, le mie barriere non esistono più. Sento come un muro crollare dentro di me. Lei può agire in tutta libertà. Il suo polpastrello inizia un delicatissimo , lento, movimento rotatorio. Descrive cerchi sempre più larghi. E più profondi… Io non ragiono più. Sento la mia porta cedere, e con essa la mia anima. Mi sento cadere nel vuoto. I muscoli si rilassano, cedono completamente, mi sento sempre più aperto. Conquistato. Il respiro è sempre più affannoso, non mi basta respirare col naso. Le mie labbra si socchiudono, comincia ad ansimare. Non controllo più le mie corde vocali, cominciano ad emettere suoni involontari, disarticolati. Non riesco a stare zitto.

Sto perdendo contatto con la realtà, le cose intorno a me spariscono. Il mio corpo, tutto il mio corpo vibra, sì, come ho sempre sognato. Forse sto dicendo qualcosa, forse sto gridando, non lo so, non me ne rendo conto, non riesco più a stare fermo. Ho bisogno. Ho bisogno di scaricare tutta l’energia che sto immagazzinando, prima che essa annienti me. Lei si ferma. è terribile il distacco della sua mano da me. Io non penso più. Aspetto. Ora i suoi gesti sono sempre gentili, ma più rapidi. Non vuole che “ritorni in me”, oppure anche lei è arrivata ad un punto di non ritorno. Guardo un attimo il suo viso avvampato, e capisco che forse è vera la seconda ipotesi. Mi fa un po’ di paura, adesso. Saprà controllarsi? Rimarrà dolce e delicata fino alla fine? Non ho tempo di rispondermi a queste domande. Mi prende per mano, mi fa alzare dal letto. Mi prende per le spalle, e in modo delicato ma deciso, mi fa voltare. Una leggera pressione sulla mia schiena. Devo chinarmi in avanti. Spinge le mie ginocchia verso il bordo del letto. Ok, ho capito, devo inginocchiarmi sul letto. Ormai sono un automa. Le sue mani ora sono più decise. Mi divarica le cosce, poi mi fa chinare il più possibile il petto verso il letto, le braccia allungate in avanti. Sono completamente esposto, senza protezione, senza pudore. Sento il suo sguardo “bere” la mia intimità che si spalanca dinnanzi a lei.

Apre il cassetto del comodino. So cosa sta tirando fuori. Non voglio guardare. Fisso il mio sguardo verso la spalliera del letto. Ora sono i rumori ad accompagnare questi ultimi, momenti. Piccoli rumori che rimbombano nella mia testa, che posso decifrare uno a uno, che mi avvicinano al Momento. Sento appoggiare qualcosa sul comodino, un rumore di cinghie. Il cassetto si richiude. I passi scalzi di lei dietro di me. La chiusura lampo dei suoipantaloni; si sta spogliando. Il fruscio forte dei suoi jeans che si sfilano, il tonfo che fanno quando vengono lanciati sulla sedia, facendomi sussultare. Ora non ha più la pazienza di ripiegare i vestiti… Il fruscio più leggero dei suoi slip che cadono sul pavimento. Poi, di nuovo, “il rumore di cinghie”. Un morso violento mi afferra alla bocca dello stomaco. Lei si avvicina al letto. Le sue mani sulle mie natiche. Ancora qualche leggera, impaziente, carezza. Un “click” di materiale plastico, il rumore di un liquido denso che viene versato. Sento la sua mano divaricare il solco delle mie natiche. Poi le dita dell’altra mano. Un freddo scivoloso che mi fa leggermente sobbalzare. Una delicata frizione che fa sparire il freddo, e spande il senso di bagnato. Poi le sue mani si allontanano. Ancora il rumore di liquido denso, ancora un rumore di mani che frizionano qualcosa. E ancora click, qualcosa è stato richiuso… Silenzio. Dio, sono attimi immensi, interminabili; tremo, sudo, ho il respiro affannatto, mentre continuo a fissare la spalliera del letto. I suoi passi scalzi, ancora. SI avvicina. Oddio, ci siamo. Trovo chissà dove un briciolo di fiato per mormorare:

“Ti prego, fa piano”. Lei non risponde, si avvicina a me e mi dà un ultimo, tenero bacio sulla testa. I suoi pollici. Mi schiudono. Entrambe le sue mani sono sulle mie natiche. è qualcos’altro che si appoggia, delicato e minaccioso, al centro di esse. Una leggera spinta. Un leggero dolore. Lei si ritrae avvertendo la mia contrazione. Un’altra spinta. Una ritrazione meno completa. Ora una pressione, lieve, poi sempre più decisa. Torna indietro un po’, e riavanza più di quanto si era ritirata. So che c’è una “seconda barriera”, del tutto involontaria, del tutto incontrollabile. è lì la mia verginità. è lì che sento premere nel mio ultimo atto di lucidità. Continuo a fissare la spalliera del letto, ipnotizzato. Al centro di essa c’è il disegno di una rosa sbocciata. Mi sembra di vedere il mio fiore che si schiude, sotto, l’ultima, decisiva, spinta. Dolore? Piacere? La mia mente è completamente anestetizzata. La sento salire, dentro di me, sempre di più sempre di più, sembra non finire mai, fino alla mia anima. Mi manca il respiro. Ho paura di morire soffocato. Poi ricomincio a respirare con brevi, smozzicati sussulti. Lei inizia a muoversi, lentamente. Si ritira quasi completamente e riaffonda, trovando ogni volta profondità maggiori. Avverte che sto cedendo, che sono suo, totalmente suo. Il mio respiro è sempre più rapido; il mio cuore impazzito batte sempre più violentemente, sempre più rapidamente. Sembra assecondare il ritmo di lei. Mi ronzano le orecchie, se sta dicendo qualcosa non posso sapere cosa.. I suoi movimenti sono via via leggermente più scomposti, ma sempre incessanti, più rapidi, più rapidi. Il mio cuore li segue, il battito è fortissimo, le tempie pulsano violentemente. Tutto il mio corpo è sintonizzato sul ritmo di lei. Sento ogni fibra di me contrarsi in attesa di uno spasmo liberatorio. Ho l’ultimo attimo per pensare:

“sono una donna”, prima che il cuore mi esploda in una cascata di luci multicolori. E ancora, e ancora… FINE

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