Sapevo che prima o poi sarebbe successo, ma non per questo mi fece meno male.
Il discorso che mi fece Ivana era sensato, razionale, saggio, condivisibile. Io la ascoltavo in silenzio, con un nodo in gola, annuendo di tanto in tanto, seduta accanto a lei sul divano. Conoscevo quel discorso, me lo aspettavo, lo avevo immaginato esattamente così, quasi parola per parola.
La coppia, il matrimonio, la famiglia, i bambini. La necessità di interrompere un rapporto, il nostro, che comunque non aveva senso, non aveva futuro. E poi Giorgio, il maledetto Giorgio. Giorgio buono, Giorgio intelligente, Giorgio sensibile, Giorgio comprensivo. Giorgio che addirittura sapeva che lei in quel momento era qui con me. Giorgio che aveva tutto quello che serviva per renderla felice. Io capivo, annuivo, soffrivo.
Avrei voluto urlare quello che avevo dentro di me, come un mattone caldo sullo stomaco. Sei stata l’unica donna per me, Ivana. Mi abbandoni così, senza alcun desiderio di tornare a frequentare i ragazzi, senza il coraggio e la possibilità di cercare un’altra ragazza. Indefinita: nè carne, nè pesce. Condannata, negli anni migliori della mia vita, della mia bellezza, della mia voglia d’amare, a restare senza amore. Lo capisci questo, Ivana? Te ne rendi conto, Ivana, del male che mi stai facendo?
Non ce la facevo a dirlo. Mi restò dentro bruciando finchè non scoppiai in un pianto dirotto. Ivana mi abbracciò e mi strinse, io le restituii l’abbraccio. Cominciò a baciarmi, sulle guance, sul collo, sulla bocca, e presto mi ritrovai la sua lingua contro la mia, mentre tra i nostri corpi scoccava l’ormai familiare scintilla. Passai direttamente dai singhiozzi del pianto ai gemiti d’eccitazione.
Mi aprì la camicetta e prese a baciarmi i seni. Ero sopraffatta dal dolore e dal desiderio.
Poi mi spogliò dei pantaloni e delle mutandine e cominciò a darmi piacere con la sua lingua esperta. Le ci vollero pochi minuti per portarmi ad un orgasmo intenso e tormentato.
Si spogliò e si stese sul divano, aspettando che contraccambiassi, cosa che io feci con lo stesso trasporto di sempre, anche qualcosa in più. Mentre la leccavo faceva ondulare il bacino contro la mia bocca. Non erano le vibrazioni istintive e incontenibili della donna che si avvicina all’orgasmo, ma un gesto voluto e studiato per aumentare il proprio piacere. Era sempre stato così, con lei. Io stavo industriandomi con passione per donare piacere alla donna che amavo. Lei stava gustandosi una leccata di fica da una bella ragazza, dieci anni più giovane di lei. Era sempre stato così. Ma stavolta mi feriva di più.
Continuammo a lungo a scambiarci effusioni. Ero dolorosamente conscia che era l’ultima volta e avrei voluto che non finisse mai. Come sempre, terminammo il nostro incontro nella posizione del sessantanove, regalandoci orgasmi l’un l’altra fino ad essere totalmente stremate. Poi però, di solito, restavamo abbracciate, a parlare, a scherzare, a dire stronzate, a ridere. Stavolta invece si alzò, si vestì e se ne andò senza una parola.
Rimasi a lungo ferma, sdraiata, completamente immobile. Avevo paura.
Avevo paura di perdere troppo in fretta il suo sapore nella mia bocca. Avevo paura che si asciugasse troppo in fretta la sua saliva, mista ai miei succhi, tra le mie gambe. Avevo paura che il mio corpo dimenticasse troppo in fretta in caldo contatto con il suo.
Avevo paura di quello che sarebbe stato domani. FINE